Legislazione - AUTORITA' NAZIONALE ANTICORRUZIONE - Determina 17 giugno 2015, n. 8

Linee guida per l'attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici

Premessa

Le presenti Linee guida sono volte ad orientare gli enti di diritto privato controllati e partecipati, direttamente e indirettamente, da pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici economici nell'applicazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza di cui alla legge n. 190/2012 e definiscono altresì le implicazioni che ne derivano, anche in termini organizzativi, per detti soggetti e per le amministrazioni di riferimento.

Già il Piano nazionale anticorruzione (PNA), approvato dall'Autorità (A.N.AC.) con delibera n. 72 del 2013, aveva previsto l'applicazione di misure di prevenzione della corruzione negli enti di diritto privato in controllo pubblico e partecipati da pubbliche amministrazioni, anche con veste societaria, e negli enti pubblici economici.

A seguito dell'approvazione del PNA, tuttavia, la normativa anticorruzione prevista dalla legge n. 190 del 2012 e dai decreti delegati ha subito significative modifiche da parte del decreto-legge n. 90 del 2014 convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114. In particolare, è stato ridisegnato l'assetto istituzionale incentrando nell'A.N.AC. e nel suo Presidente, il sistema della regolazione e della vigilanza in materia di prevenzione della corruzione ed è stato attribuito alla sola A.N.AC. il compito di predisporre il PNA.

Tra le altre principali modifiche che interessano ai fini delle presenti Linee guida, l'art. 24-bis del d.l. del 24 giugno 2014 n. 90 è intervenuto sull'art. 11 del d.lgs. n. 33/2013 «Ambito soggettivo di applicazione» e ha esteso l'applicazione della disciplina della trasparenza, limitatamente all'attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea, agli «enti di diritto privato in controllo pubblico, ossia alle società e agli altri enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, sottoposti a controllo ai sensi dell'art. 2359 del codice civile da parte di pubbliche amministrazioni, oppure agli enti nei quali siano riconosciuti alle pubbliche amministrazioni, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi». Nel contempo, il medesimo articolo ha previsto che alle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni «in caso di partecipazione non maggioritaria, si applicano, limitatamente all'attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea, le disposizioni dell'art. 1, commi da 15 a 33, della legge 6 novembre 2012, n. 190».

Le disposizioni in questione intervengono in un quadro normativo già di per sé particolarmente complesso, il cui ambito soggettivo di applicazione ha dato luogo a numerose incertezze interpretative, oggi solo in parte risolte a seguito della modifica dell'art. 11 del d.lgs. n. 33 del 2013.

In particolare, per quanto riguarda l'applicabilità delle misure di prevenzione della corruzione e della trasparenza alle società controllate, a quelle partecipate e agli altri enti di diritto privato in controllo pubblico nonché agli enti pubblici economici, le modifiche normative sopra citate, unitamente alla disorganicità delle disposizioni della legge n. 190 del 2012 e dei decreti delegati che si riferiscono a detti enti e società, hanno indotto l'A.N.AC. e il Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) ad avviare una riflessione comune, con l'istituzione di un tavolo tecnico, finalizzata all'elaborazione di indicazioni condivise sull'applicazione della normativa anticorruzione e della nuova disciplina in materia di trasparenza.

Alla fine di dicembre 2014, l'A.N.AC. e il MEF hanno approvato un documento, pubblicato sui rispettivi siti istituzionali, in cui sono stati tracciati i principali indirizzi a cui si attengono le presenti Linee guida e la direttiva che il MEF intende adottare nei confronti delle proprie società controllate e partecipate. Detti indirizzi sono stati anche oggetto di un seminario pubblico che si è svolto il 4 marzo 2015 presso il MEF e a cui sono stati invitati i rappresentanti degli uffici legali e i Responsabili della prevenzione della corruzione delle società partecipate e controllate dal MEF.

Consapevole della rilevanza del fenomeno degli enti di diritto privato controllati o partecipati a livello regionale e locale, l'A.N.AC. ha messo in consultazione pubblica le Linee guida sulle quali sono pervenuti contributi da parte del mondo delle autonomie oltre che da parte di tutti gli altri soggetti interessati. Le osservazioni e le proposte pervenute sono state tenute in considerazione nella stesura del testo finale delle Linee guida.

Le presenti Linee guida incidono sulla disciplina già prevista dal PNA e ne comportano una rivisitazione. Pertanto, vista la coincidenza delle questioni trattate, le Linee guida integrano e sostituiscono (1), laddove non compatibili, i contenuti del PNA in materia di misure di prevenzione della corruzione e di trasparenza che devono essere adottate dagli enti pubblici economici, dagli enti di diritto privato in controllo pubblico e dalle società a partecipazione pubblica.

Le Linee guida sono innanzitutto indirizzate alle società e agli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni, nonché agli enti pubblici economici. L'applicazione delle presenti Linee guida è sospesa per le società con azioni quotate e per le società con strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati e per le loro controllate. Ad avviso dell'Autorità e del MEF senza dubbio anche per queste società sussiste un interesse pubblico alla prevenzione della corruzione e alla promozione della trasparenza. Poiché, tuttavia, dette società sono sottoposte ad un particolare regime giuridico, specie in materia di diffusione di informazioni, a tutela degli investitori e del funzionamento delle regole del mercato concorrenziale, le indicazioni circa la disciplina ad esse applicabile saranno oggetto di Linee guida da adottare in esito alle risultanze del tavolo di lavoro che l'A.N.AC. e il MEF hanno avviato con la CONSOB.

Le Linee guida sono rivolte, inoltre, alle amministrazioni pubbliche che vigilano, partecipano e controllano gli enti di diritto privato e gli enti pubblici economici. Ad avviso dell'Autorità, infatti, spetta in primo luogo a dette amministrazioni promuovere l'applicazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza da parte di tali enti. Ciò in ragione dei poteri che le amministrazioni esercitano nei confronti degli stessi ovvero del legame organizzativo, funzionale o finanziario che li correla.

L'ambito soggettivo di applicazione delle norme è particolarmente vasto ed eterogeneo. Nel solo settore degli enti controllati e partecipati da pubbliche amministrazioni, sulla base dei dati comunicati dalle stesse amministrazioni al MEF al 31 dicembre 2012, le amministrazioni centrali partecipano, direttamente o in via indiretta, in 423 enti a cui si aggiungono i 17 partecipati dagli enti previdenziali. Le amministrazioni locali hanno dichiarato di detenere, direttamente o in via indiretta, 35.311 partecipazioni che insistono su 7.726 enti. Le strutture organizzative e i modelli giuridici degli enti in questione sono vari e diversificati. (2)

Data l'estensione del fenomeno e l'eterogeneità delle tipologie di enti privati in controllo pubblico e partecipati esistenti, con il presente atto di regolazione l'Autorità intende fornire indicazioni relativamente ai contenuti essenziali dei modelli organizzativi da adottare ai fini di prevenzione della corruzione e di diffusione della trasparenza non potendo, invece, fare riferimento puntuale a singoli enti o società. Le Linee guida, pertanto, mirano a orientare le società e gli enti nell'applicazione della normativa di prevenzione della corruzione e della trasparenza con l'obiettivo primario che essa non dia luogo ad un mero adempimento burocratico, ma che venga adattata alla realtà organizzativa dei singoli enti per mettere a punto strumenti di prevenzione mirati e incisivi.

Infine, da un punto di vista metodologico, i contenuti delle Linee guida sono stati sviluppati avendo ben presente l'esigenza di prevedere necessari adattamenti di una normativa emanata innanzitutto per le pubbliche amministrazioni ed estesa anche ad enti con natura privatistica o la cui attività presenta caratteri diversi da quella delle pubbliche amministrazioni ex art. 1, co. 2, del d.lgs. n. 165/2001.

Le presenti Linee guida si articolano in sei paragrafi.

Il primo paragrafo ricostruisce il quadro normativo e fornisce alcune indicazioni interpretative di carattere generale.

I paragrafi successivi riguardano le società in controllo pubblico e le società a partecipazione pubblica non di controllo (§ 2), gli altri enti di diritto privato controllati e partecipati (§ 3), gli enti pubblici economici (§ 4). Per ciascuna macro categoria di società ed ente sono fornite indicazioni in merito all'applicazione delle misure di prevenzione della corruzione e all'attuazione degli obblighi di trasparenza.

Il quinto paragrafo è dedicato alle attività di vigilanza svolte dall'Autorità Nazionale Anticorruzione.

Nel sesto paragrafo si definisce il regime della disciplina transitoria.

 

1. Il quadro normativo

Numerose disposizioni della legge n. 190 del 2012 e dei relativi decreti attuativi individuano gli enti di diritto privato partecipati da pubbliche amministrazioni o in controllo pubblico e gli enti pubblici economici quali destinatari di misure di prevenzione della corruzione e di promozione della trasparenza.

Assume particolare rilievo l'art. 1, commi 60 e 61, della legge n. 190 del 2012 secondo cui in sede di intesa in Conferenza unificata Stato, Regioni e autonomie locali sono definiti gli adempimenti per la sollecita attuazione della legge 190 e dei relativi decreti delegati nelle regioni, nelle province autonome e negli enti locali, nonché «negli enti pubblici e nei soggetti di diritto privato sottoposti al loro controllo».

Inoltre, gli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici sono esplicitamente indicati dal legislatore quali destinatari della disciplina in materia di inconferibilità ed incompatibilità degli incarichi dirigenziali e di responsabilità amministrativa di vertice nelle amministrazioni pubbliche ai fini della prevenzione e del contrasto della corruzione nonché della prevenzione di conflitti d'interesse (art. 1, commi 49 e 50, legge n. 190 del 2012 e d.lgs. n. 39 del 2013). In questa ottica, nell'art. 15, co. 1, del d.lgs. n. 39 del 2013 viene affidato al responsabile del Piano anticorruzione di ciascun ente pubblico e ente di diritto privato in controllo pubblico il compito di curare, anche attraverso il Piano, l'attuazione delle disposizioni del decreto.

Ai sensi dell'art. 1, co. 17, della legge n. 190 del 2012, anche le società partecipate dalle amministrazioni pubbliche e gli enti di diritto privato in controllo pubblico, in quanto stazioni appaltanti, possono prevedere negli avvisi, nei bandi di gara o nelle lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole contenute nei protocolli di legalità o nei patti di integrità costituisca causa di esclusione dalla gara. Infine, l'art. 1, co. 20, stabilisce che le disposizioni relative al ricorso all'arbitrato in materia di contratti pubblici (modificate dalla legge n. 190 del 2012) si applichino anche alle controversie in cui sia parte una società a partecipazione pubblica ovvero una società controllata o collegata a una società a partecipazione pubblica, ai sensi dell'art. 2359 del codice civile.

Per quanto riguarda la trasparenza, intesa come accessibilità totale delle informazioni pubblicate sui siti web, da subito la legge n. 190 del 2012, all'art. 1, co. 34, ne aveva esteso l'applicazione agli enti pubblici economici, come già indicato nella delibera A.N.AC. n. 50 del 2013 «Linee guida per l'aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l'integrità 2014-2016», e alle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche e alle loro controllate, ai sensi dell'art. 2359 del codice civile, «limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea» e con riferimento alle informazioni contenute nei commi da 15 a 33 dell'art. 1 della stessa legge.

Successivamente, l'art. 11 del d.lgs. n. 33 del 2013, come modificato dall'art. 24-bis del d.l. n. 90 del 2014, ha esteso l'intera disciplina del decreto agli enti di diritto privato in controllo pubblico e cioè alle «società e gli altri enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, sottoposti a controllo ai sensi dell'art. 2359 del codice civile da parte di pubbliche amministrazioni, oppure agli enti nei quali siano riconosciuti alle pubbliche amministrazioni, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi, sia pure «limitatamente all'attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea». Lo stesso art. 11, al co. 3, sottopone a un diverso livello di trasparenza le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni in via non maggioritaria. A tali società si applicano, limitatamente all'attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea, le disposizioni dell'art. 1, commi da 15 a 33, della l. n. 190/2012.

Dal quadro normativo sinteticamente tratteggiato emerge con evidenza l'intenzione del legislatore di includere anche le società e gli enti di diritto privato controllati e gli enti pubblici economici fra i soggetti tenuti all'applicazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza, intenzione ulteriormente rafforzata proprio dai recenti interventi normativi che, come visto sopra in materia di trasparenza, sono chiaramente indirizzati agli enti e alle società in questione.

La ratio sottesa alla legge n. 190 del 2012 e ai decreti di attuazione appare, infatti, quella di estendere le misure di prevenzione della corruzione e di trasparenza, e i relativi strumenti di programmazione, a soggetti che, indipendentemente dalla natura giuridica, sono controllati dalle amministrazioni pubbliche, si avvalgono di risorse pubbliche, svolgono funzioni pubbliche o attività di pubblico interesse.

Un profilo di carattere generale che l'Autorità ha inteso affrontare nelle presenti Linee guida riguarda, come anticipato sopra, l'adeguamento dei contenuti di alcune norme che, dando per presupposti modelli organizzativi uniformi, mal si attagliano, non solo alle diverse tipologie di pubbliche amministrazioni, ma anche a soggetti con natura privatistica. Nel valutare gli adeguamenti, l'Autorità ha tenuto conto della particolare struttura e della disciplina di riferimento dei soggetti che assumono veste giuridica privata e delle esigenze di tutela della riservatezza e delle attività economiche e commerciali da essi svolte in regime concorrenziale. Per quel che riguarda le indicazioni relative all'individuazione e alla gestione del rischio, ad esempio, si è tenuto conto della necessità di coordinare quanto previsto nella legge n. 190 del 2012 per i piani di prevenzione della corruzione con le disposizioni del d.lgs. n. 231 del 2001, sia in termini di modello di organizzazione e gestione che di controlli e di responsabilità.

Esigenze di maggiori adeguamenti sono emerse per l'applicazione della normativa sulla trasparenza alle società e agli enti controllati e partecipati ai sensi del d.lgs. n. 33/2013 di cui si dà conto nell'allegato alla presente delibera.

Conclusivamente, l'Autorità non può non rilevare - anche alla luce delle numerose richieste di chiarimenti pervenute - che il quadro normativo che emerge dalla legge n. 190 del 2012 e dai decreti di attuazione è particolarmente complesso, non coordinato, fonte di incertezze interpretative, non tenendo adeguatamente conto delle esigenze di differenziazione in relazione ai soggetti, pubblici e privati, a cui si applica. E' pertanto auspicio dell'Autorità, in una revisione del quadro legislativo, quale sembra prospettarsi nell'attuale fase di discussione del d.d.l. A.C. n. 3098 «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» già approvato dal Senato della Repubblica il 30 aprile 2015, che il Parlamento e il Governo intervengano per risolvere e superare lacune, dubbi e difficoltà interpretative e favorire, così, una più efficace applicazione delle misure di prevenzione della corruzione e di trasparenza.

 

2. Le società in controllo pubblico e le società a partecipazione pubblica non di controllo

Per definire l'ambito soggettivo di applicazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e di quella in materia di trasparenza alle società pubbliche, ad avviso dell'Autorità, occorre tenere distinte le società direttamente o indirettamente controllate dalle amministrazioni pubbliche, individuate ai sensi dell'art. 2359, co. 1, numeri 1 e 2, del codice civile, e quelle, come definite all'art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 33/2013, a partecipazione pubblica non maggioritaria, in cui, cioè, la partecipazione pubblica non è idonea a determinare una situazione di controllo (di seguito "società a partecipazione pubblica non di controllo"). Dal novero delle società controllate si ritiene di escludere in via interpretativa la fattispecie di cui al n. 3 del co. 1 dell'art. 2359 del codice civile, (cd. controllo contrattuale) che non presuppone alcuna partecipazione di pubbliche amministrazioni al capitale di una società, laddove il criterio di individuazione dei soggetti sottoposti alla normativa anticorruzione privilegiato dal legislatore, anche alla luce dell'art. 11 co. 3 del d.lgs. n. 33/2013 e dell'art. 1, comma 2, lett. c) del d.lgs. n. 39/2013 appare connesso alla presenza di una partecipazione al capitale o all'esercizio di poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi. In caso contrario, l'ambito di applicazione della disciplina di prevenzione della corruzione potrebbe essere estesa a soggetti sicuramente estranei al settore pubblico. Ciò non toglie, tuttavia, che qualora sussista un rapporto tra pubblica amministrazione e società del genere di quello definito nel n. 3 dell'art. 2359 c.c., l'amministrazione sia tenuta a inserire nel proprio Piano triennale di prevenzione della corruzione misure anche di vigilanza e trasparenza relative alle attività svolte dalla società in ragione dei vincoli contrattuali con l'amministrazione stessa.

In considerazione della peculiare configurazione del rapporto di controllo che le amministrazioni hanno con le società in house, queste ultime rientrano, a maggior ragione, nell'ambito delle società controllate cui si applicano le norme di prevenzione della corruzione ai sensi della legge n. 190/2012.

La distinzione tra società in controllo pubblico e società a partecipazione pubblica non di controllo non ha carattere meramente formale bensì conforma, in modo differenziato, l'applicazione della normativa anticorruzione, in ragione del diverso grado di coinvolgimento delle pubbliche amministrazioni all'interno delle due diverse tipologie di società.

Infatti, occorre muovere dallo spirito della normativa che è quello di prevenire l'insorgere di fenomeni corruttivi nei settori più esposti ai rischi dove sono coinvolte pubbliche amministrazioni, risorse pubbliche o la cura di interessi pubblici: poiché l'influenza che l'amministrazione esercita sulle società in controllo pubblico è più penetrante di quello che deriva dalla mera partecipazione, ciò consente di ritenere che le società controllate siano esposte a rischi analoghi a quelli che il legislatore ha inteso prevenire con la normativa anticorruzione del 2012 in relazione all'amministrazione controllante. Queste stesse esigenze si ravvisano anche quando il controllo sulla società sia esercitato congiuntamente da una pluralità di amministrazioni, cioè in caso di partecipazione frazionata fra più amministrazioni in grado di determinare una situazione in cui la società sia in mano pubblica.

Ciò impone che le società controllate debbano necessariamente rafforzare i presidi anticorruzione già adottati ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 ovvero introdurre apposite misure anticorruzione ai sensi della legge n. 190/2012 ove assente il modello di organizzazione e gestione ex d.lgs. 231/2001.

Le presenti Linee guida muovono dal presupposto fondamentale che le amministrazioni controllanti debbano assicurare l'adozione del modello di organizzazione e gestione previsto dal d.lgs. n. 231/2001 da parte delle società controllate.

Oneri minori gravano, come si vedrà, per le società a partecipazione pubblica non di controllo, nei confronti delle quali le amministrazioni partecipanti si attivano per promuovere l'adozione del suddetto modello organizzativo.

Come sopra già osservato, il fenomeno delle società pubbliche è particolarmente complesso ed eterogeneo, specie a livello territoriale. Al fine di individuare concretamente le società tenute all'applicazione delle norme, si raccomanda alle amministrazioni controllanti o partecipanti di dare attuazione a quanto previsto dall'art. 22, co. 1, del d.lgs. n. 33 del 2013 pubblicando sul proprio sito istituzionale la lista delle società a cui partecipano o che controllano "con l'elencazione delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore delle amministrazioni o delle attività di servizio pubblico affidate". All'interno di gruppi societari l'individuazione del tipo di società, se in controllo pubblico o a partecipazione pubblica non di controllo, deve essere fatta con riguardo ad ogni singola società del gruppo, indipendentemente dalla natura della capogruppo.

L'individuazione puntuale da parte delle amministrazioni delle società in questione, oltre che corrispondere ad un obbligo di legge, è necessaria per consentire all'A.N.AC. di esercitare i propri poteri di vigilanza.

 

2.1. Le società in controllo pubblico

La legge n. 190 del 2012 menziona espressamente tra i soggetti tenuti all'applicazione della normativa anticorruzione i soggetti di diritto privato sottoposti al controllo di regioni, province autonome e enti locali (art. 1, co. 60). Analoga disposizione non si rinviene per le società controllate dallo Stato. Tuttavia, come visto sopra, numerose disposizioni normative della stessa legge n. 190 del 2012 e dei decreti delegati si riferiscono a questi soggetti. In considerazione di ciò e della espressa menzione dei soggetti di diritto privato in controllo delle autonomie territoriali, ad avviso dell'Autorità, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, la norma non può che ricevere una interpretazione costituzionalmente orientata volta a ricomprendere nel novero dei destinatari anche gli enti di diritto privato controllati dalle amministrazioni centrali, atteso che gli stessi sono esposti ai medesimi rischi che il legislatore ha inteso prevenire con la normativa anticorruzione in relazione alle amministrazioni pubbliche e agli enti di diritto privato sottoposti al controllo da parte delle amministrazioni territoriali.

Questa interpretazione sembra peraltro coerente con quanto previsto in materia di incompatibilità ed inconferibilità degli incarichi, dall'art. 15, co. 1, del d.lgs. n. 39 del 2013 sopra richiamato, da cui si evince che anche in ogni ente di diritto privato in controllo pubblico, nazionale o locale, debba essere nominato un responsabile del Piano anticorruzione di ciascuna amministrazione pubblica, ente pubblico e ente di diritto privato in controllo pubblico e adottato un Piano anticorruzione.

Come detto in precedenza, per individuare le società controllate tenute all'applicazione della normativa sulla prevenzione della corruzione e per la promozione della trasparenza occorre fare riferimento alla nozione di controllo prevista dall'art. 2359, in particolare dal co. 1, n. 1) e 2), del codice civile, ossia quando la pubblica amministrazione dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria (art. 2359, co. 1, n. 1), ovvero di voti sufficienti per esercitare una influenza dominante nell'assemblea ordinaria (art. 2359, co. 1, n. 2). (3)

Come sopra indicato, tra le società in controllo pubblico rientrano anche le società in house e quelle in cui il controllo sia esercitato da una pluralità di amministrazioni congiuntamente.

 

2.1.1. Le misure organizzative per la prevenzione della corruzione

Nella prospettiva sopra evidenziata, le misure introdotte dalla l. n. 190 del 2012 ai fini di prevenzione della corruzione si applicano alle società controllate, direttamente o indirettamente, dalle pubbliche amministrazioni. Questo vale anche qualora le società abbiano già adottato il modello di organizzazione e gestione previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001. A tale riguardo, come sopra precisato, le amministrazioni controllanti sono chiamate ad assicurare che dette società, laddove non abbiano provveduto, adottino un modello di organizzazione e gestione ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001. Depone in tal senso il tenore letterale dell'art. 1 del d.lgs. n. 231/2001 che dispone espressamente che le sue disposizioni non si applicano solo «allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale».

Come è noto l'ambito di applicazione della legge n. 190 del 2012 e quello del d.lgs. n. 231 del 2001 non coincidono e, nonostante l'analogia di fondo dei due sistemi, finalizzati entrambi a prevenire la commissione di reati nonché ad esonerare da responsabilità gli organi preposti qualora le misure adottate siano adeguate, sussistono differenze significative tra i due sistemi normativi. In particolare, quanto alla tipologia dei reati da prevenire, il d.lgs. n. 231 del 2001 ha riguardo ai reati commessi nell'interesse o a vantaggio della società o che comunque siano stati commessi anche e nell'interesse di questa (art. 5), diversamente dalla legge 190 che è volta a prevenire anche reati commessi in danno della società.

In relazione ai fatti di corruzione, il decreto legislativo 231 del 2001 fa riferimento alle fattispecie tipiche di concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità e corruzione, nonché alla corruzione tra privati, fattispecie dalle quali la società deve trarre un vantaggio perché possa risponderne.

La legge n. 190 del 2012, ad avviso dell'Autorità, fa riferimento, invece, ad un concetto più ampio di corruzione, in cui rilevano non solo l'intera gamma dei reati contro la p.a. disciplinati dal Titolo II del Libro II del codice penale, ma anche le situazioni di "cattiva amministrazione", nelle quali vanno compresi tutti i casi di deviazione significativa, dei comportamenti e delle decisioni, dalla cura imparziale dell'interesse pubblico, cioè le situazioni nelle quali interessi privati condizionino impropriamente l'azione delle amministrazioni o degli enti, sia che tale condizionamento abbia avuto successo, sia nel caso in cui rimanga a livello di tentativo.

Con la conseguenza che la responsabilità a carico del Responsabile della prevenzione della corruzione (responsabilità dirigenziale, disciplinare ed erariale, prevista dall'art. 1, comma 12, della legge n. 190/2012) si concretizza al verificarsi del genere di delitto sopra indicato commesso anche in danno della società, se il responsabile non prova di aver predisposto un piano di prevenzione della corruzione adeguato a prevenire i rischi e di aver efficacemente vigilato sull'attuazione dello stesso.

Alla luce di quanto sopra e in una logica di coordinamento delle misure e di semplificazione degli adempimenti, le società integrano il modello di organizzazione e gestione ex d.lgs. n. 231 del 2001 con misure idonee a prevenire anche i fenomeni di corruzione e di illegalità all'interno delle società in coerenza con le finalità della legge n. 190 del 2012. Queste misure devono fare riferimento a tutte le attività svolte dalla società ed è necessario siano ricondotte in un documento unitario che tiene luogo del Piano di prevenzione della corruzione anche ai fini della valutazione dell'aggiornamento annuale e della vigilanza dell'A.N.AC.. Se riunite in un unico documento con quelle adottate in attuazione del d.lgs. n. 231/2001, dette misure sono collocate in una sezione apposita e dunque chiaramente identificabili tenuto conto che ad esse sono correlate forme di gestione e responsabilità differenti.

Le misure volte alla prevenzione dei fatti di corruzione ex lege n. 190/2012 sono elaborate dal Responsabile della prevenzione della corruzione in stretto coordinamento con l'Organismo di vigilanza e sono adottate dall'organo di indirizzo della società, individuato nel Consiglio di amministrazione o in altro organo con funzioni equivalenti.

Al riguardo, si fa presente che l'attività di elaborazione delle misure di prevenzione della corruzione ex lege n. 190/2012 non può essere affidata a soggetti estranei alla società (art. 1, co. 8, legge n. 190 del 2012). Una volta adottate, ad esse viene data adeguata pubblicità sia all'interno della società, con modalità che ogni società definisce autonomamente, sia all'esterno, con la pubblicazione sul sito web della società. Qualora la società non abbia un sito internet, sarà cura dell'amministrazione controllante rendere disponibile una sezione del proprio sito in cui la società controllata possa pubblicare i propri dati, ivi incluse le misure individuate per la prevenzione della corruzione ex lege n. 190/2012, ferme restando le rispettive responsabilità.

In caso di società indirettamente controllate, la capogruppo assicura che le stesse adottino le misure di prevenzione della corruzione ex lege n. 190/2012 in coerenza con quelle della capogruppo. Laddove nell'ambito del gruppo vi siano società di ridotte dimensioni, in particolare che svolgono attività strumentali, la società capogruppo con delibera motivata in base a ragioni oggettive, può introdurre le misure di prevenzione della corruzione ex lege n. 190/2012 relative alle predette società nel proprio modello ex d.lgs. 231/2001. In tal caso, il RPC della capogruppo è responsabile dell'attuazione delle misure anche all'interno delle società di ridotte dimensioni. Ciascuna società deve, però, nominare all'interno della propria organizzazione un referente del Responsabile della prevenzione della corruzione della capogruppo.

Nell'ipotesi residuale in cui una società non abbia adottato un modello di organizzazione e gestione ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 è tenuta, a maggior ragione, a programmare e ad approvare adeguate misure allo scopo di prevenire i fatti corruttivi in coerenza con le finalità delle legge n. 190/2012 e secondo le modalità sopra indicate. Le misure sono contenute in un apposito atto di programmazione, o Piano, da pubblicare sul sito istituzionale. Dette misure è opportuno siano costantemente monitorate anche al fine di valutare, almeno annualmente, la necessità del loro aggiornamento.

Le società, che abbiano o meno adottato il modello di organizzazione e gestione ex d.lgs. 231/2001, definiscono le misure per la prevenzione della corruzione in relazione alle funzioni svolte e alla propria specificità organizzativa.

Di seguito si indicano i contenuti minimi delle misure.

 

- Individuazione e gestione dei rischi di corruzione

In coerenza con quanto previsto dall'art. 1, co. 9, della legge n. 190/2012 e dall'art. 6, co. 2, del d.lgs. n. 231/2001, le società effettuano un'analisi del contesto e della realtà organizzativa per individuare in quali aree o settori di attività e secondo quali modalità si potrebbero astrattamente verificare fatti corruttivi.

Tra le attività esposte al rischio di corruzione vanno considerate in prima istanza quelle elencate dall'art. 1, co. 16, della legge n. 190 del 2012 (autorizzazioni e concessioni, appalti e contratti, sovvenzioni e finanziamenti, selezione e gestione del personale), cui si aggiungono ulteriori aree individuate da ciascuna società in base alle proprie caratteristiche organizzative e funzionali. Fra queste, a titolo esemplificativo, possono rientrare l'area dei controlli, l'area economico finanziaria, l'area delle relazioni esterne e le aree in cui vengono gestiti i rapporti fra amministratori pubblici e soggetti privati. Nella individuazione delle aree a rischio è necessario che si tenga conto di quanto emerso in provvedimenti giurisdizionali, anche non definitivi, allorché dagli stessi risulti l'esposizione dell'area organizzativa o della sfera di attività a particolari rischi.

L'analisi, finalizzata a una corretta programmazione delle misure preventive, deve condurre a una rappresentazione, il più possibile completa, di come i fatti di maladministration e le fattispecie di reato possono essere contrastate nel contesto operativo interno ed esterno dell'ente. Ne consegue che si dovrà riportare una «mappa» delle aree a rischio e dei connessi reati di corruzione nonché l'individuazione delle misure di prevenzione. In merito alla gestione del rischio, rimane ferma l'indicazione, sia pure non vincolante, contenuta nel PNA, ai principi e alle linee guida UNI ISO 31000:2010.

 

- Sistema di controlli

La definizione di un sistema di gestione del rischio si completa con una valutazione del sistema di controllo interno previsto dal modello di organizzazione e gestione del rischio sulla base del d.lgs. n. 231 del 2001, ove esistente, e con il suo adeguamento quando ciò si riveli necessario, ovvero con l'introduzione di nuovi principi e strutture di controllo quando l'ente risulti sprovvisto di un sistema atto a prevenire i rischi di corruzione. In ogni caso, è quanto mai opportuno, anche in una logica di semplificazione, che sia assicurato il coordinamento tra i controlli per la prevenzione dei rischi di cui al d.lgs. n. 231 del 2001 e quelli per la prevenzione di rischi di corruzione di cui alla l. n. 190 del 2012, nonché quello tra le funzioni del Responsabile della prevenzione della corruzione e quelle degli altri organismi di controllo, con particolare riguardo al flusso di informazioni a supporto delle attività svolte dal Responsabile.

 

- Codice di comportamento

Le società integrano il codice etico o di comportamento già approvato ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 oppure adottano un apposito codice, laddove sprovviste, avendo cura in ogni caso di attribuire particolare importanza ai comportamenti rilevanti ai fini della prevenzione dei reati di corruzione. Il codice o le integrazioni a quello già adottato ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 hanno rilevanza ai fini della responsabilità disciplinare, analogamente ai codici di comportamento delle pubbliche amministrazioni: l'inosservanza, cioè, può dare luogo a misure disciplinari, ferma restando la natura privatistica delle stesse. Al fine di assicurare l'attuazione delle norme del codice è opportuno:

a) garantire un adeguato supporto interpretativo, ove richiesto;

b) prevedere un apparato sanzionatorio e i relativi meccanismi di attivazione auspicabilmente connessi ad un sistema per la raccolta di segnalazioni delle violazioni del codice.

 

- Trasparenza

Al fine di dare attuazione agli obblighi di pubblicazione ai sensi del d.lgs. n. 33/2013 e della normativa vigente, le società definiscono e adottano un "Programma triennale per la trasparenza e l'integrità" in cui sono individuate le misure organizzative volte ad assicurare la regolarità e la tempestività dei flussi delle informazioni da pubblicare, prevedendo anche uno specifico sistema delle responsabilità.

 

- Inconferibilità specifiche per gli incarichi di amministratore e per gli incarichi dirigenziali

Si ricorda che la materia delle incompatibilità e delle inconferibilità degli incarichi è disciplinata dal d.lgs. n. 39/2013.

All'interno delle società è necessario sia previsto un sistema di verifica della sussistenza di eventuali condizioni ostative in capo a coloro che rivestono incarichi di amministratore, come definiti dall'art. 1, co. 2, lett. l), del d.lgs. n. 39/2013 - e cioè "gli incarichi di presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato e assimilabili, di altro organo di indirizzo dell'attività dell'ente comunque denominato" - e a coloro cui sono conferiti incarichi dirigenziali.

Per gli amministratori, le cause ostative in questione sono specificate, in particolare, dalle seguenti disposizioni del d.lgs. n. 39/2013:

- art. 3, co. 1, lett. d), relativamente alle inconferibilità di incarichi in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione;

- art. 6, sulle "inconferibilità di incarichi a componenti di organo politico di livello nazionale";

- art. 7, sulla "inconferibilità di incarichi a componenti di organo politico di livello regionale e locale".

Per i dirigenti, si applica l'art. 3, comma 1, lett. c), relativo alle cause di inconferibilità a seguito di condanne per reati contro la pubblica amministrazione.

Le società adottano le misure necessarie ad assicurare che:

a) negli atti di attribuzione degli incarichi o negli interpelli siano inserite espressamente le condizioni ostative al conferimento dell'incarico;

b) i soggetti interessati rendano la dichiarazione di insussistenza delle cause di inconferibilità all'atto del conferimento dell'incarico;

c) sia effettuata dal Responsabile della prevenzione della corruzione, eventualmente in collaborazione con altre strutture di controllo interne alla società, un'attività di vigilanza, sulla base di una programmazione che definisca le modalità e la frequenza delle verifiche anche su segnalazione di soggetti interni ed esterni.

Nel caso di nomina degli amministratori proposta o effettuata dalle p.a. controllanti, le verifiche sulle inconferibilità sono svolte dalle medesime p.a..

 

- Incompatibilità specifiche per gli incarichi di amministratore e per gli incarichi dirigenziali

All'interno delle società è necessario sia previsto un sistema di verifica della sussistenza di eventuali situazioni di incompatibilità nei confronti dei titolari degli incarichi di amministratore, come definiti dall'art. 1, co. 2, lett. l), sopra illustrato, e nei confronti di coloro che rivestono incarichi dirigenziali.

Le situazioni di incompatibilità per gli amministratori sono quelle indicate, in particolare, dalle seguenti disposizioni del d.lgs. n. 39/2013:

- art. 9, riguardante le "incompatibilità tra incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati, nonché tra gli stessi incarichi e le attività professionali" e, in particolare, il co. 2;

- art. 11, relativo a "incompatibilità tra incarichi amministrativi di vertice e di amministratore di ente pubblico e cariche di componenti degli organi di indirizzo nelle amministrazioni statali, regionali e locali, ed in particolare i co. 2 e 3;

- art. 13, recante "incompatibilità tra incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico e cariche di componenti degli organi di indirizzo politico nelle amministrazioni statali, regionali e locali";

- art. 14, co. 1 e 2, lettere a) e c), con specifico riferimento alle nomine nel settore sanitario.

Per gli incarichi dirigenziali si applica l'art. 12 dello stesso decreto relativo alle "incompatibilità tra incarichi dirigenziali interni ed esterni e cariche di componenti degli organi di indirizzo nelle amministrazioni statali, regionali e locali".

A tali fini, le società adottano le misure necessarie ad assicurare che:

a) siano inserite espressamente le cause di incompatibilità negli atti di attribuzione degli incarichi o negli interpelli per l'attribuzione degli stessi;

b) i soggetti interessati rendano la dichiarazione di insussistenza delle cause di incompatibilità all'atto del conferimento dell'incarico e nel corso del rapporto;

c) sia effettuata dal Responsabile della prevenzione della corruzione un'attività di vigilanza, eventualmente anche in collaborazione con altre strutture di controllo interne alla società, sulla base di una programmazione che definisca le modalità e la frequenza delle verifiche, nonché su segnalazione di soggetti interni ed esterni.

 

- Attività successiva alla cessazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici

Al fine di assicurare il rispetto di quanto previsto all'art. 53, co. 16-ter, del d.lgs. n. 165 del 2001, le società adottano le misure necessarie a evitare l'assunzione di dipendenti pubblici che, negli ultimi tre anni di servizio, abbiano esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto di pubbliche amministrazioni, nei confronti delle società stesse. Le società assumono iniziative volte a garantire che:

a) negli interpelli o comunque nelle varie forme di selezione del personale sia inserita espressamente la condizione ostativa menzionata sopra;

b) i soggetti interessati rendano la dichiarazione di insussistenza della suddetta causa ostativa;

c) sia svolta, secondo criteri autonomamente definiti, una specifica attività di vigilanza, eventualmente anche secondo modalità definite e su segnalazione di soggetti interni ed esterni.

 

- Formazione

Le società definiscono i contenuti, i destinatari e le modalità di erogazione della formazione in materia di prevenzione della corruzione, da integrare con eventuali preesistenti attività di formazione dedicate al «modello di organizzazione e gestione ex d.lgs. n. 231/2001».

 

- Tutela del dipendente che segnala illeciti

In mancanza di una specifica previsione normativa relativa alla tutela dei dipendenti che segnalano illeciti nelle società, come già rappresentato nelle Linee guida in materia emanate dall'Autorità con determinazione n. 6 del 28 aprile 2015, le amministrazioni controllanti promuovono l'adozione da parte delle società di misure idonee ad incoraggiare il dipendente a denunciare gli illeciti di cui viene a conoscenza nell'ambito del rapporto di lavoro, avendo cura di garantire la riservatezza dell'identità del segnalante dalla ricezione e in ogni contatto successivo alla segnalazione. A questo fine è utile assicurare la trasparenza del procedimento di segnalazione, definendo e rendendo noto l'iter, con l'indicazione di termini certi per l'avvio e la conclusione dell'istruttoria e con l'individuazione dei soggetti che gestiscono le segnalazioni.

 

- Rotazione o misure alternative

Uno dei principali fattori di rischio di corruzione è costituito dalla circostanza che uno stesso soggetto possa sfruttare un potere o una conoscenza nella gestione di processi caratterizzati da discrezionalità e da relazioni intrattenute con gli utenti per ottenere vantaggi illeciti. Al fine di ridurre tale rischio e avendo come riferimento la l. n. 190 del 2012 che attribuisce particolare efficacia preventiva alla rotazione, è auspicabile che questa misura sia attuata anche all'interno delle società, compatibilmente con le esigenze organizzative d'impresa. Essa implica una più elevata frequenza del turnover di quelle figure preposte alla gestione di processi più esposti al rischio di corruzione. La rotazione non deve comunque tradursi nella sottrazione di competenze professionali specialistiche ad uffici cui sono affidate attività ad elevato contenuto tecnico. Altra misura efficace, in combinazione o alternativa alla rotazione, potrebbe essere quella della distinzione delle competenze (cd. "segregazione delle funzioni") che attribuisce a soggetti diversi i compiti di:

a) svolgere istruttorie e accertamenti;

b) adottare decisioni;

c) attuare le decisioni prese;

d) effettuare verifiche.

 

- Monitoraggio

Le società, in coerenza con quanto già previsto per l'attuazione delle misure previste ai sensi del d.lgs. 231/2001 individuano le modalità, le tecniche e la frequenza del monitoraggio sull'attuazione delle misure di prevenzione della corruzione, anche ai fini del loro aggiornamento periodico, avendo cura di specificare i ruoli e le responsabilità dei soggetti chiamati a svolgere tale attività, tra i quali rientra il Responsabile della prevenzione della corruzione. Quest'ultimo, entro il 15 dicembre di ogni anno, pubblica nel sito web della società una relazione recante i risultati dell'attività di prevenzione svolta sulla base di uno schema che A.N.AC. si riserva di definire.

 

2.1.2. Il Responsabile della prevenzione della corruzione

Le società controllate dalle pubbliche amministrazioni sono tenute a nominare un Responsabile per la prevenzione della corruzione (d'ora innanzi "RPC"), secondo quanto previsto dall'art. 1, co. 7, della legge n. 190 del 2012, a cui spetta predisporre le misure organizzative per la prevenzione della corruzione ai sensi della legge n. 190/2012.

Al fine di rendere obbligatoria la nomina, le società adottano, preferibilmente attraverso modifiche statutarie, ma eventualmente anche in altre forme, gli opportuni adeguamenti che, in ogni caso, devono contenere una chiara indicazione in ordine al soggetto che dovrà svolgere le funzioni di RPC. Al RPC devono essere riconosciuti poteri di vigilanza sull'attuazione effettiva delle misure, nonché di proposta delle integrazioni e delle modifiche delle stesse ritenute più opportune.

Il Responsabile della prevenzione della corruzione è nominato dall'organo di indirizzo della società, Consiglio di amministrazione o altro organo con funzioni equivalenti. I dati relativi alla nomina sono trasmessi all'A.N.AC. con il modulo disponibile sul sito dell'Autorità nella pagina dedicata ai servizi on line.

Gli atti di revoca dell'incarico del RPC sono motivati e comunicati all'A.N.AC. che, entro 30 giorni, può formulare una richiesta di riesame qualora rilevi che la revoca sia correlata alle attività svolte dal responsabile in materia di prevenzione della corruzione ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. n. 39/2013.

Considerata l'esigenza di garantire che il sistema di prevenzione non si traduca in un mero adempimento formale e che sia, invece, calibrato, dettagliato come un modello organizzativo vero e proprio ed in grado di rispecchiare le specificità dell'ente di riferimento, l'Autorità ritiene che le funzioni di RPC debbano essere affidate ad uno dei dirigenti della società. Questa opzione interpretativa si evince anche da quanto previsto nell'art. 1, co. 8, della legge n. 190 del 2012, che vieta che la principale tra le attività del RPC, ossia l'elaborazione del Piano, possa essere affidata a soggetti estranei all'amministrazione. Per tali motivi, il Responsabile della prevenzione della corruzione non può essere individuato in un soggetto esterno alla società.

Gli organi di indirizzo della società nominano, quindi, come RPC un dirigente in servizio presso la società, attribuendogli, con lo stesso atto di conferimento dell'incarico, anche eventualmente con le necessarie modifiche statutarie e regolamentari, funzioni e poteri idonei e congrui per lo svolgimento dell'incarico con piena autonomia ed effettività. Nell'effettuare la scelta, la società dovrà vagliare l'eventuale esistenza di situazioni di conflitto di interesse ed evitare, per quanto possibile, la designazione di dirigenti responsabili di quei settori individuati all'interno della società fra quelli con aree a maggior rischio corruttivo. La scelta dovrà ricadere su un dirigente che abbia dimostrato nel tempo un comportamento integerrimo.

Nelle sole ipotesi in cui la società sia priva di dirigenti, o questi siano in numero così limitato da dover essere assegnati esclusivamente allo svolgimento di compiti gestionali nelle aree a rischio corruttivo, circostanze che potrebbero verificarsi in strutture organizzative di ridotte dimensioni, il RPC potrà essere individuato in un profilo non dirigenziale che garantisca comunque le idonee competenze. In questo caso, il Consiglio di amministrazione o, in sua mancanza, l'amministratore sono tenuti ad esercitare una funzione di vigilanza stringente e periodica sulle attività del soggetto incaricato. In ultima istanza, e solo in casi eccezionali, il RPC potrà coincidere con un amministratore, purché privo di deleghe gestionali.

Nei casi di società di ridotte dimensioni appartenenti ad un gruppo societario, in particolare quelle che svolgono attività strumentali, qualora sia stata seguita l'opzione indicata al paragrafo 2.1.1. con la predisposizione di un'unica programmazione delle misure ex lege n. 190/2012 da parte del RPC della capogruppo, le società del gruppo di ridotte dimensioni sono comunque tenute a nominare almeno un referente del RPC della capogruppo.

In ogni caso, considerata la stretta connessione tra le misure adottate ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 e quelle previste dalla legge n. 190 del 2012, le funzioni del Responsabile della prevenzione della corruzione, dovranno essere svolte in costante coordinamento con quelle dell'Organismo di vigilanza nominato ai sensi del citato decreto legislativo.

In questa ottica, nelle società in cui l'Organismo di vigilanza sia collegiale e si preveda la presenza di un componente interno, è auspicabile che tale componente svolga anche le funzioni di RPC.

Questa soluzione, rimessa all'autonomia organizzativa delle società, consentirebbe il collegamento funzionale tra il RPC e l'Organismo di vigilanza. Solo nei casi di società di piccole dimensioni, nell'ipotesi in cui questa si doti di un Organismo di vigilanza monocratico composto da un dipendente, la figura del RPC può coincidere con quella dell'Organismo di vigilanza.

Dall'espletamento dell'incarico di RPC non può derivare l'attribuzione di alcun compenso aggiuntivo, fatto salvo il solo riconoscimento, laddove sia configurabile, di eventuali retribuzioni di risultato legate all'effettivo conseguimento di precisi obiettivi predeterminati in sede di previsioni delle misure organizzative per la prevenzione della corruzione, fermi restando i vincoli che derivano dai tetti retributivi normativamente previsti e dai limiti complessivi alla spesa per il personale. Ciò vale anche nel caso in cui le funzioni di RPC siano affidate ad un componente dell'Organismo di vigilanza.

Inalterato il regime di responsabilità dei dirigenti e dei dipendenti proprio di ciascuna tipologia di società, nel provvedimento di conferimento dell'incarico di RPC sono individuate le conseguenze derivanti dall'inadempimento degli obblighi connessi e sono declinati gli eventuali profili di responsabilità disciplinare e dirigenziale, quest'ultima ove applicabile. In particolare, occorre che siano specificate le conseguenze derivanti dall'omessa vigilanza sul funzionamento e sull'osservanza delle misure organizzative per la prevenzione della corruzione, nonché dall'omesso controllo in caso di ripetute violazioni delle misure previste, in considerazione di quanto disposto dall'art. 1, commi 12 e 14, della legge n. 190 del 2012.

In relazione agli organi di amministrazione, fatte salve le responsabilità previste dal d.lgs. n. 231 del 2001, nonché l'eventuale azione ex art. 2392 del codice civile per i danni cagionati alla società, le amministrazioni controllanti promuovono l'inserimento, anche negli statuti societari, di meccanismi sanzionatori a carico degli amministratori che non abbiano adottato le misure organizzative e gestionali per la prevenzione della corruzione ex l. 190/2012 o il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità.

E' compito delle amministrazioni controllanti vigilare sull'adozione delle misure di prevenzione della corruzione e sulla nomina del RPC da parte delle società controllate. A tal fine le amministrazioni prevedono apposite misure, anche organizzative, all'interno dei propri piani di prevenzione della corruzione.

 

2.1.3. La trasparenza

Alle società controllate, direttamente o indirettamente, dalle pubbliche amministrazioni si applica la normativa sulla trasparenza contenuta nel d.lgs. n. 33/2013 (art. 11, co. 2, del d.lgs. n. 33/2013), oltre a quanto già previsto dall'art. 1, co. 34, della legge n. 190 del 2012 per tutte le società a partecipazione pubblica, anche non di controllo.

L'art. 11, co. 2, lett. b), come novellato dall'art. 24-bis del d.l. n. 90 del 2014, dispone, infatti, che la disciplina del d.lgs. n. 33 del 2013 prevista per le pubbliche amministrazioni sia applicata «limitatamente all'attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea» anche agli enti di diritto privato in controllo pubblico, incluse le società in controllo pubblico che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle pubbliche amministrazioni o di gestione di servizi pubblici.

La nuova disposizione introduce una netta distinzione tra le società controllate e le società a partecipazione pubblica non di controllo. L'elemento distintivo tra le due categorie di società consiste nel fatto che nelle società controllate deve sempre essere assicurata la trasparenza dei dati relativi all'organizzazione. Per le società in controllo pubblico, cioè, la trasparenza deve essere garantita sia relativamente all'organizzazione che alle attività di pubblico interesse effettivamente svolte.

Per le società a partecipazione pubblica non di controllo, invece, gli obblighi di trasparenza sono quelli di cui ai commi da 15 a 33 della legge n. 190 del 2012 con riferimento alle attività di pubblico interesse se effettivamente esercitate, e di cui all'art. 22, co. 3, per quanto attiene all'organizzazione, secondo quanto indicato nel paragrafo 2.2.2.

Per quanto riguarda le «attività di pubblico interesse regolate dal diritto nazionale o dell'Unione europea» svolte dalle società in questione, sono certamente da considerarsi tali quelle così qualificate da una norma di legge o dagli atti costitutivi e dagli statuti degli enti e delle società e quelle previste dall'art. 11, co. 2, del d.lgs. n. 33 del 2013, ovvero le attività di esercizio di funzioni amministrative, di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche, di gestione di servizi pubblici.

Come orientamento di carattere generale, è onere delle singole società, d'intesa con le amministrazioni controllanti o, ove presenti, con quelle vigilanti, indicare chiaramente all'interno del Programma triennale per la trasparenza e l'integrità, quali attività rientrano fra quelle di «pubblico interesse regolate dal diritto nazionale o dell'Unione europea» e quelle che, invece non lo sono. Le amministrazioni controllanti o quelle vigilanti - laddove dette funzioni siano in capo ad amministrazioni diverse - sono chiamate ad una attenta verifica circa l'identificazione delle attività di pubblico interesse volta ad assicurare il pieno rispetto della normativa in materia di trasparenza.

Data la natura di alcune attività espressione di funzioni strumentali, ad esempio di acquisto di beni e servizi ovvero di svolgimento di lavori e di gestione di risorse umane e finanziarie, si presume che le stesse siano volte a soddisfare anche esigenze connesse allo svolgimento di attività di pubblico interesse. Dette attività, pertanto, sono sottoposte alla normativa sulla trasparenza, salvo specifiche e motivate indicazioni contrarie da parte dell'ente o della società interessata. In prospettiva sarebbe di sicura utilità che le società distinguano più chiaramente le due tipologie di attività (di pubblico interesse e commerciali), sotto i profili dell'organizzazione (individuando ad esempio distinti uffici), delle modalità di gestione (individuando distinte regole applicate nello svolgimento delle attività), della gestione contabile (dando distinta rilevanza nei bilanci alle risorse impiegate, ai costi e ai risultati).

Laddove una società controllata non svolga invece attività di pubblico interesse, è comunque tenuta a pubblicare i dati relativi alla propria organizzazione e a rispettare gli obblighi di pubblicazione che possono eventualmente discendere dalla normativa di settore, ad esempio in materia di appalti o di selezione del personale.

Naturalmente, considerate le peculiarità organizzative, il tipo di attività e il regime privatistico, la disciplina della trasparenza è applicabile con i necessari adattamenti, anche per contemperare l'obiettivo della più ampia pubblicazione dei dati con le eventuali esigenze relative alla natura privatistica e alle attività svolte in regime concorrenziale. L'allegato 1 alla presente delibera indica i principali adattamenti relativi agli obblighi di trasparenza che le società controllate dalle pubbliche amministrazioni sono tenute ad osservare.

A tal proposito si fa presente che alle società in house, che pure rientrano nell'ambito di applicazione delle presenti Linee guida, si applicano gli obblighi di trasparenza previsti per le pubbliche amministrazioni, senza alcun adattamento. Infatti, pur non rientrando tra le amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, co. 2, del d.lgs. n. 165/2001, in quanto organizzate secondo il modello societario, dette società, essendo affidatarie in via diretta di servizi ed essendo sottoposte ad un controllo particolarmente significativo da parte delle amministrazioni, costituiscono nei fatti parte integrante delle amministrazioni controllanti.

Le società controllate adottano, ai sensi del combinato disposto dell'art. 10 e dell'art. 11 del d.lgs. n. 33/2013, un "Programma triennale per la trasparenza e l'integrità" in cui viene definito il modello organizzativo che esse intendono adottare per assicurare il raggiungimento degli obiettivi di trasparenza. Nel Programma sono specificate le modalità, i tempi di attuazione, le risorse e gli strumenti di verifica dell'efficacia delle iniziative e degli obblighi in materia di trasparenza. Nello stesso Programma, come sopra anticipato, le società indicano, esplicitandone la motivazione, quali sono le attività non qualificabili di pubblico interesse che quindi come tali, non sono sottoposte alle misure di trasparenza previste dal d.lgs. n. 33 del 2013 e quelle che invece sono di pubblico interesse. Per gli altri contenuti del Programma e per le indicazioni relative alla qualità dei dati da pubblicare, si rinvia alla delibera A.N.AC. n. 50/2013. Si ricorda che, l'omessa adozione del Programma è esplicitamente sanzionata ai sensi dell'art. 19, co. 5, del d.l. n. 90/2014.

Le società sono tenute anche a costituire sul proprio sito web una apposita Sezione, denominata "Società trasparente", in cui pubblicare i dati e le informazioni ai sensi del d.lgs. n. 33 del 2013. Per limitare gli oneri derivanti dalla disciplina della trasparenza, qualora le società controllate non abbiano un sito web, sarà cura delle amministrazioni controllanti rendere disponibile una sezione del proprio sito in cui le società controllate possano predisporre la sezione "Società trasparente" in cui pubblicare i dati, ferme restando le rispettive responsabilità.

Si ricorda che, in ogni caso, le società sono tenute a comunicare le informazioni di cui all'art. 22, co. 2, del d.lgs. n. 33 del 2013 ai soci pubblici, così come gli amministratori societari comunicano i dati concernenti il proprio incarico, pena la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 47 del medesimo decreto.

Tenuto conto dell'esigenza di ridurre gli oneri organizzativi e di semplificare e valorizzare i sistemi di controllo già esistenti, ciascuna società individua, all'interno degli stessi un soggetto che curi l'attestazione dell'assolvimento degli obblighi di pubblicazione analogamente a quanto fanno gli Organismi indipendenti di valutazione per le amministrazioni pubbliche ai sensi dell'art. 14, co. 4, lett. g), del d.lgs. n. 150/2009. I riferimenti del soggetto così individuato sono indicati chiaramente nella sezione del sito web "Società Trasparente" e nel Programma triennale per la trasparenza e l'integrità.

L'organo di indirizzo della società controllata provvede, inoltre, alla nomina del Responsabile della trasparenza, le cui funzioni, secondo quanto previsto dall'art. 43, co. 1, del d.lgs. n. 33 del 2013 sono svolte, «di norma», dal Responsabile della prevenzione della corruzione. E' opportuno precisare che, laddove la società abbia nominato due soggetti distinti per le funzioni in materia di trasparenza e per quelle di prevenzione della corruzione, è necessario garantire un coordinamento tra i due soggetti.

Le società controllate sono tenute anche ad adottare autonomamente le misure organizzative necessarie al fine di assicurare l'accesso civico (art. 5, d.lgs. n. 33 del 2013) e a pubblicare, nella sezione "Società trasparente", le informazioni relative alle modalità di esercizio di tale diritto e gli indirizzi di posta elettronica cui gli interessati possano inoltrare le relative richieste.

 

2.2. Le società a partecipazione pubblica non di controllo

Ai fini delle presenti Linee guida, rientrano fra le società a partecipazione pubblica non di controllo quelle definite dall'art. 11, co. 3, del d.lgs. n. 33/2013 come a partecipazione pubblica non maggioritaria, ossia quelle in cui le amministrazioni detengono una partecipazione non idonea a determinare una situazione di controllo ai sensi dell'art. 2359, co. 1, numeri 1 e 2, del codice civile (v. par. 2).

In considerazione del minor grado di controllo che l'amministrazione esercita sulle società partecipate, trattandosi di mera partecipazione azionaria, ad avviso dell'Autorità, l'attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione comporta oneri minori rispetto a quelli imposti alle società in controllo pubblico. Per la trasparenza, la stessa legge n. 190 del 2012 e il d.lgs. n. 33 del 2013 prevedono obblighi di pubblicazione ridotti.

 

2.2.1. Le misure organizzative per la prevenzione della corruzione

Le amministrazioni partecipanti promuovono l'adozione del modello di organizzazione e gestione ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 nelle società a cui partecipano. Al riguardo si ricorda che l'art. 1 del d.lgs. n. 231/2001 dispone espressamente che le sue disposizioni non si applicano solo «allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale».

E' opportuno che il predetto modello di organizzazione e gestione sia integrato, preferibilmente in una sezione apposita, con misure di organizzazione e gestione idonee a prevenire, nelle attività che vengono svolte, ulteriori fatti corruttivi come sopra definiti (par. 2.1.1.) in danno alla società e alla pubblica amministrazione, nel rispetto dei principi contemplati dalla normativa in materia di prevenzione della corruzione. Le società in questione, in quanto rientranti fra gli enti regolati o finanziati dalle pubbliche amministrazioni ai sensi dell'art. 1, co. 2, lett. d), numero 2), del d.lgs. n. 39/2013, sono tenute a rispettare le norme sulla incompatibilità previste nel medesimo decreto ed, in particolare, dagli articoli 9 e 10.

Le società a partecipazione pubblica non di controllo restano quindi soggette al regime di responsabilità previsto dal d.lgs. n. 231/2001 e non sono tenute a nominare il Responsabile della prevenzione della corruzione, potendo comunque individuare tale figura, nell'ambito della propria autonomia organizzativa, preferibilmente nel rispetto delle indicazioni fornite nelle presenti Linee guida.

Qualora le società non abbiano adottato un modello di organizzazione e gestione ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, resta comunque ferma la possibilità, anche su indicazione delle amministrazioni partecipanti, di programmare misure organizzative ai fini di prevenzione della corruzione ex l. 190/2012.

 

2.2.2. La trasparenza

In virtù dell'art. 1, co. 34, della legge n. 190/2012 e dell'art. 11, co. 3, del d.lgs. n. 33 del 2013 alle società a partecipazione pubblica non di controllo si applicano le regole in tema di trasparenza contenute nell'art. 1, commi da 15 a 33, della legge n. 190 del 2012, limitatamente «all'attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea».

Ne consegue che, limitatamente alle attività di pubblico interesse eventualmente svolte, le società a partecipazione pubblica non di controllo assicurano la pubblicazione nei propri siti web delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi (art. 1, co. 15, l. n. 190/2012), ivi inclusi quelli posti in essere in deroga alle procedure ordinarie (art. 1, co. 26); al monitoraggio periodico del rispetto dei tempi procedimentali (art. 1, co. 28); ai bilanci e conti consuntivi (art. 1, co. 15); ai costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini (art. 1, co. 15); alle autorizzazioni o concessioni (art. 1, co. 16); alla scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al d.lgs. n. 163/2006 (art. 1, co. 16 e 32); alle concessioni ed erogazioni di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché all'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati (art. 1, co. 16); ai concorsi e prove selettive per l'assunzione del personale (art. 1, co. 16). Esse rendono noto, inoltre, almeno un indirizzo di posta elettronica certificata cui il cittadino possa rivolgersi per trasmettere istanze ai sensi dell'art. 38 del D.P.R. n. 445/2000 e ricevere informazioni circa i provvedimenti e i procedimenti amministrativi che lo riguardano (art. 1, co. 29).

I dati sono pubblicati in una apposita sezione del sito denominata "Società trasparente".

Le società partecipate, diversamente dalle società controllate, sono sottoposte, per quanto concerne la pubblicazione dei dati sull'organizzazione, unicamente agli obblighi di pubblicità di cui agli artt. 14 e 15 del d.lgs. n. 33/2013, in virtù del rinvio operato dall'art. 22, co. 3, del medesimo decreto. L'interpretazione di queste disposizioni deve essere coordinata con l'art. 11 del d.lgs. n. 33/2013, come modificato dal d.l. 90/2014 che limita gli obblighi di pubblicazione per le società a partecipazione pubblica a quelli previsti dall'art. 1, co. da 15 a 33, della legge n. 190/2012.

Ad avviso dell'Autorità, pertanto, la pubblicazione dei dati di cui agli artt. 14 e 15 deve avvenire con opportuni adattamenti indicati nell'allegato 1 della presente delibera.

Per quanto riguarda i dati reddituali e patrimoniali previsti dall'art. 14, l'obbligo di trasparenza si considera assolto con la pubblicazione dei dati relativi ai soli componenti degli organi di indirizzo politico-amministrativo nominati o designati dalle amministrazioni partecipanti.

Per ciò che attiene all'art. 15, con particolare riferimento alla pubblicazione dei compensi, comunque denominati, relativi agli incarichi dirigenziali, questa può avvenire in forma aggregata dando conto della spesa complessiva sostenuta ciascun anno, con l'indicazione dei livelli più alti e più bassi dei compensi corrisposti, salvo che la società non provveda ad identificare chiaramente, nell'ambito della propria struttura, le articolazioni organizzative che svolgono attività di pubblico interesse. In tale ultimo caso, per i dirigenti preposti alle predette articolazioni organizzative, deve essere indicato il compenso da ciascuno di essi percepito. Analoghi accorgimenti possono essere osservati per la pubblicazione dei compensi relativi agli incarichi di collaborazione e consulenza, come indicato nell'allegato 1.

Inoltre le società partecipate non sono tenute a nominare il Responsabile della trasparenza né ad adottare il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità ma possono comunque provvedere in tal senso. E' auspicabile, in ogni caso, che le società rendano noto, ai fini dell'accountability, come intendono realizzare la pubblicazione dei dati e i soggetti interni coinvolti.

Poiché le società devono pubblicare i dati e le informazioni sopra elencati, l'Autorità ritiene che per questi dati e informazioni sia applicabile la normativa sull'accesso civico (art. 5, d.lgs. n. 33 del 2013). Al fine di assicurare detto accesso, le società partecipate adottano autonomamente le misure necessarie e pubblicano, nella sezione "Società trasparente", le informazioni relative alle modalità di esercizio di tale diritto e gli indirizzi di posta elettronica cui inoltrare le relative richieste.

E' opportuno, in aggiunta, che esse prevedano, al proprio interno, una funzione di controllo e di monitoraggio degli obblighi di pubblicazione, anche al fine di attestare l'assolvimento degli stessi. Questa funzione è affidata preferibilmente all'Organismo di vigilanza, ferme restando le scelte organizzative interne ritenute più idonee, tenuto conto dell'esigenza di limitare gli oneri organizzativi e di semplificare e valorizzare i sistemi di controllo già esistenti.

Analogamente a quanto indicato per le società controllate, qualora le società a partecipazione pubblica non di controllo non dispongano di un sito internet in cui costituire la sezione "Società trasparente", sarà cura delle amministrazioni partecipanti rendere disponibile una sezione del proprio sito in cui le società partecipate possano predisporre la sezione "Società trasparente" in cui pubblicare i dati, ferme restando le rispettive responsabilità.

 

3. Gli altri enti di diritto privato in controllo pubblico e gli altri enti di diritto privato partecipati

Per delimitare l'ambito di applicazione delle norme in materia di prevenzione della corruzione agli enti di diritto privato diversi dalle società è possibile adottare un criterio analogo a quello individuato per l'applicazione della medesima disciplina alle società pubbliche, identificando quelli che possono ritenersi sottoposti al controllo delle pubbliche amministrazioni e quelli meramente partecipati.

La distinzione ha effetti sull'applicazione differenziata della normativa anticorruzione in ragione del diverso grado di coinvolgimento delle amministrazioni negli assetti degli enti come di seguito approfondito.

 

3.1.1. Gli altri enti di diritto privato in controllo pubblico

Ai sensi dell'art. 1, co. 60, della legge n. 190 del 2012, dell'art. 11 del d.lgs. n. 33 del 2013 e dell'art. 1, co. 2, lettera c), del d.lgs. n. 39 del 2013, sono tenuti all'applicazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione anche gli altri enti di diritto privato in controllo pubblico diversi dalle società, con particolare riguardo agli enti costituiti in forma di "fondazione" o di "associazione" ai sensi del Libro I, Titolo II, capo II, del codice civile. Anche per tali enti si pone, analogamente a quanto avviene per le società controllate, il problema dell'esposizione al rischio di corruzione che il legislatore ha inteso prevenire con la normativa anticorruzione in relazione alle pubbliche amministrazioni.

Per quanto concerne l'individuazione degli enti in parola, l'art. 1, co. 2, lettera c), del d.lgs. n. 39/2013 prevede che per «enti di diritto privato in controllo pubblico» si intendono «le società e gli altri enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, sottoposti a controllo ai sensi dell'art. 2359 del codice civile da parte di amministrazioni pubbliche, oppure gli enti nei quali siano riconosciuti alle pubbliche amministrazioni, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi». Il medesimo testo è riproposto nell'art. 11 del d.lgs. n. 33 del 2013, come sostituito dall'art. 24-bis, co. 1, del d.l. n. 90 del 2014, in cui si precisa, tuttavia, che l'attuazione delle disposizioni in materia di trasparenza deve avvenire da parte di questi enti solo limitatamente all'attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea.

Dalla disciplina positiva e dall'analisi giurisprudenziale emerge che il fenomeno degli enti di diritto privato in controllo pubblico è particolarmente complesso. Gli enti in questione hanno caratteristiche e struttura eterogenee, non sono riconducibili ad una categoria unitaria e non sussiste, per la loro individuazione, una nozione di controllo analoga a quella dettata dall'art. 2359 del codice civile per le società.

Si deve trattare di enti, in particolare associazioni e fondazioni, che hanno natura privatistica, non necessariamente con personalità giuridica, rispetto ai quali sono riconosciuti in capo alle amministrazioni pubbliche poteri di controllo che complessivamente consentono di esercitare un potere di ingerenza sull'attività con carattere di continuità ovvero un'influenza dominante sulle decisioni dell'ente.

Fermo restando il potere di ingerenza, al fine di identificare tali enti, si può utilizzare il metodo della individuazione di alcuni indici, la cui ricorrenza nel caso concreto può considerarsi sintomatica della sussistenza di un controllo pubblico. Di seguito si elencano alcuni indici in via esemplificativa:

1. l'istituzione dell'ente in base alla legge o atto dell'amministrazione interessata, oppure la predeterminazione, ad opera della legge, delle finalità istituzionali o di una disciplina speciale;

2. la nomina dei componenti degli organi di indirizzo e/o direttivi e/o di controllo da parte dell'amministrazione;

3. il prevalente o parziale finanziamento dell'attività istituzionale con fondi pubblici o il riconoscimento agli enti del diritto di percepire contributi pubblici. Ciò comporta che la gestione finanziaria degli stessi sia soggetta al controllo della Corte dei conti con le modalità previste dall'art. 2 della l. n. 259 del 1958 per la gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria;

4. il riconoscimento in capo all'amministrazione di poteri di vigilanza, tra i quali, ad esempio:

- l'approvazione, da parte dell'amministrazione, dello statuto, delle eventuali delibere di trasformazione e di scioglimento;

- l'approvazione, da parte dell'amministrazione, delle altre delibere più significative, come quelle di programmazione e rendicontazione economico-finanziaria;

- l'attribuzione all'amministrazione di poteri di scioglimento degli organi e di commissariamento e/o estinzione in caso di impossibilità al raggiungimento dei fini statutari o in caso di irregolarità o gravi violazioni di disposizioni legislative nonché in altri casi stabiliti dallo statuto;

5. la limitazione, da parte della legge, dell'apporto di capitale privato o della partecipazione dei privati;

6. per le associazioni, la titolarità pubblica della maggioranza delle quote.

Perché si verifichi l'esistenza di un controllo dell'amministrazione occorre, anche in presenza dei suddetti indici, procedere ad un'analisi in concreto del rapporto tra amministrazione ed ente. In alcuni casi è possibile che la presenza anche di uno solo dei suddetti indici sia già idonea a determinare un controllo vero e proprio, come avviene, ad esempio, nel caso in cui all'amministrazione competa la nomina della maggioranza dei componenti degli organi direttivi e/o di indirizzo. Questo criterio, anche isolatamente considerato, consente di individuare una posizione di controllo pubblico, sempre che a tali organi siano demandate le principali scelte programmatiche. Nella maggioranza dei casi, invece, verificata la presenza dei predetti indici, occorre procedere ad un'analisi in concreto del rapporto tra amministrazione ed ente.

Sempre in via generale, può avere rilievo, ai fini della individuazione della categoria, il carattere delle attività svolte, quali, come si è visto, la finalizzazione delle attività alla realizzazione di un interesse pubblico: gli enti in questione, pur avendo natura privatistica, svolgono funzioni che rientrano nell'ambito dei compiti tipicamente appartenenti ai pubblici poteri, ossia funzioni cui le pubbliche amministrazioni, in loro mancanza, dovrebbero sopperire. L'assimilazione alle amministrazioni pubbliche si deve alla pubblicità delle attività svolte dai suddetti enti, alla strumentalità degli stessi rispetto al conseguimento di finalità di chiara impronta pubblicistica. In particolare, secondo il tenore letterale del d.lgs. n. 33 del 2013 e del d.lgs. n. 39 del 2013, occorre ricondurre alla categoria degli enti di diritto privato in controllo pubblico quelli che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche, gestiscono servizi pubblici, ossia servizi qualificati tali perché l'attività in cui consistono si indirizza istituzionalmente al pubblico, mirando a soddisfare esigenze della collettività in coerenza con i compiti dell'amministrazione pubblica.

Ai fini dell'identificazione degli enti in questione, spetta, innanzitutto, alle amministrazioni specificare, anche sulla base delle indicazioni sopra fornite, quali siano gli enti di diritto privato in loro controllo. Detta ricognizione è resa necessaria dall'art. 22, co. 1, lett. c), del d.lgs. n. 33 del 2013, secondo cui ciascuna amministrazione è tenuta a pubblicare l'elenco degli enti di diritto privato, comunque denominati, controllati "con l'indicazione delle funzioni attribuite, delle attività svolte in favore dell'amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate".

 

3.1.2. Le misure organizzative per la prevenzione della corruzione

Gli enti di diritto privato in controllo pubblico sono tenuti ad applicare la normativa sulla prevenzione della corruzione. Per quanto attiene alle iniziative da porre in essere, valgono le indicazioni formulate in relazione alle società controllate (v. par. 2.1.1.).

Le amministrazioni controllanti assicurano, quindi, l'adozione del modello previsto dal d.lgs. n. 231/2001 da integrare con le misure organizzative e di gestione per la prevenzione della corruzione ex lege n. 190/2012. Gli enti nominano un Responsabile della prevenzione della corruzione nell'ambito del personale in servizio. Come visto sopra, le misure previste per corrispondere alle finalità della l. n. 190/2012 sono strettamente correlate al modello di organizzazione e gestione previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001, anche se è opportuno che i contenuti siano chiaramente identificabili.

Nelle ipotesi residuali, in cui manchi il modello di organizzazione e gestione previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001, gli enti sono comunque tenuti ad adottare misure organizzative di prevenzione della corruzione in coerenza con le finalità della legge n. 190/2012, analogamente a quanto sopra indicato per le società in controllo pubblico.

Al RPC spetta la predisposizione delle misure per la prevenzione della corruzione, nonché le proposte di modifica e di aggiornamento.

Le misure sono adottate dall'organo di indirizzo dell'ente. Per i contenuti e l'aggiornamento delle misure si rinvia a quanto precisato nel paragrafo 2.1.1. con riferimento alle società in controllo pubblico.

 

3.1.3. Il Responsabile della prevenzione della corruzione

Per quanto concerne il Responsabile della prevenzione della corruzione, valgono le stesse indicazioni fornite con riguardo alle società controllate nel paragrafo 2.1.2., al quale dunque si rinvia.

Anche per questi enti, le amministrazioni controllanti inseriscono all'interno dei propri piani di prevenzione della corruzione le misure, anche organizzative, utili ai fini della vigilanza sull'effettiva nomina da parte degli enti di diritto privato in controllo pubblico del RPC e sull'adozione di misure idonee a prevenire fenomeni corruttivi.

 

3.1.4. La trasparenza

L'art. 11, co. 2, lettera b), del d.lgs. n. 33 del 2013 prevede che sono soggetti a tutti gli obblighi di trasparenza previsti dal medesimo decreto gli enti di diritto privato in controllo pubblico che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici o i cui vertici o componenti degli organi siano nominati o designati dalle amministrazioni.

Anche per questi enti, così come per le società in controllo pubblico, la trasparenza deve essere assicurata sia sull'attività, limitatamente a quella di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale e dell'Unione europea, sia sull'organizzazione.

Ai fini dell'attuazione del d.lgs. n. 33 del 2013, gli enti di diritto privato in controllo pubblico adottano il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità, nominano il Responsabile della trasparenza, di norma coincidente con il Responsabile della prevenzione della corruzione, assicurano l'esercizio dell'accesso civico e istituiscono nel proprio sito web una sezione denominata "Amministrazione trasparente".

Poiché la disciplina è la stessa applicabile alle società in controllo pubblico, si rinvia complessivamente a quanto precisato nel par. 2.1.3. per dette società.

Per limitare gli oneri derivanti dalla disciplina della trasparenza, qualora gli enti di diritto privato in controllo pubblico non dispongano di un sito web in cui inserire la sezione «Amministrazione trasparente», sarà cura delle amministrazioni controllanti rendere disponibile una sezione del proprio sito in cui gli enti possano pubblicare i dati, ferme restando le rispettive responsabilità.

 

3.2. Altri enti di diritto privato partecipati

Sono da ricomprendere tra gli "altri enti di diritto privato partecipati" quegli enti di natura privatistica, diversi dalle società, non sottoposti a controllo pubblico, cioè quelli le cui decisioni e la cui attività non risultano soggette al controllo dell'amministrazione nelle forme e nei modi illustrati nel paragrafo 3.1. Questi enti sono rilevanti ai fini della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza in quanto comunque partecipati da amministrazioni.

Infatti, detti enti, pur avendo natura di diritto privato, si possono configurare quali strutture organizzative che hanno un rilievo pubblico in quanto deputate a svolgere attività amministrative ovvero attività di interesse generale. Nonostante l'autonomia statutaria e gestionale loro riconosciuta, all'amministrazione sono attribuiti poteri di vigilanza in ragione della natura pubblica dell'attività svolta. Detti poteri possono sostanziarsi, ad esempio, nell'approvazione da parte dell'amministrazione degli atti fondamentali, nella formulazione di rilievi sui bilanci, nei compiti di verifica dell'effettiva tutela dei beneficiari secondo le forme individuate negli statuti.

Nella categoria degli enti di diritto privato solo partecipati da pubbliche amministrazioni rientrano, anche sulla base della giurisprudenza, ordinaria e costituzionale, le fondazioni bancarie, le casse di previdenza dei liberi professionisti, le associazioni e le fondazioni derivanti dalla trasformazione per legge di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, nonostante l'indubbio rilevo di interesse generale delle funzioni ad esse attribuite.

 

3.2.1. Le misure organizzative di prevenzione della corruzione

In considerazione delle finalità istituzionali perseguite da questi enti non viene meno l'interesse generale alla prevenzione della corruzione. Poiché, però, tali enti non sono considerati in controllo pubblico essi non sono tenuti ad adottare le misure previste dalla l. n. 190/2012 né a nominare un Responsabile della prevenzione della corruzione.

E' compito delle pubbliche amministrazioni partecipanti promuovere, in special modo nel caso in cui esse corrispondano all'ente forme di finanziamento a vario titolo riconosciute, l'adozione di protocolli di legalità che disciplinino specifici obblighi di prevenzione della corruzione e di trasparenza, diversamente calibrati e specificati in base alla tipologia di poteri, di vigilanza, di finanziamento o di nomina, che l'amministrazione esercita. In questi casi i protocolli di legalità devono disciplinare, ad esempio, gli obblighi di trasparenza e di informazione sull'uso delle risorse pubbliche da parte dei beneficiari. Nel caso di esercizio di soli poteri di vigilanza, occorre che nei protocolli siano indicate le modalità per rendere tale attività efficace e trasparente, assicurandone la conoscibilità degli esiti.

E' anche compito delle amministrazioni che a vario titolo vi partecipano, promuovere, da parte di questi soggetti, l'adozione di modelli come quello previsto nel d.lgs. n. 231 del 2001, laddove ciò sia compatibile con la dimensione organizzativa degli stessi.

 

3.2.2. La trasparenza

Per ragioni di coerenza complessiva nell'interpretazione sistematica delle norme, non essendo tali enti destinatari diretti delle disposizioni contenute nell'art. 11, co. 3, del d.lgs. n. 33 del 2013, le amministrazioni partecipanti sono tenute a promuovere, all'interno dei protocolli di legalità di cui al precedente paragrafo, l'applicazione anche da parte di tali enti degli obblighi di trasparenza individuati per le società a partecipazione pubblica non di controllo.

 

4. Enti pubblici economici

Gli enti pubblici economici, ancorché svolgano attività di impresa, sono da ritenersi tra i soggetti destinatari della normativa in materia di anticorruzione e trasparenza in quanto enti che perseguono finalità pubbliche. L'art. 1, commi 59 e 60, della legge n. 190 del 2012, non può che ricevere una interpretazione costituzionalmente orientata volta a ricomprendere nel novero dei soggetti tenuti all'applicazione delle disposizioni di prevenzione della corruzione anche gli enti pubblici economici atteso che, anche per la natura delle funzioni svolte, essi sono esposti ai medesimi rischi che il legislatore ha inteso prevenire per le pubbliche amministrazioni, per le società, e gli altri enti di diritto privato controllati o partecipati. Diversamente, la normativa genererebbe un'evidente asimmetria applicandosi a soggetti privati, quali le società, che esercitano attività d'impresa, ma non ad enti pubblici che pure svolgono il medesimo tipo di attività.

Gli enti pubblici economici, d'altra parte, sono da subito stati inclusi dal Piano Nazionale Anticorruzione tra i soggetti cui applicare le disposizioni in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza della legge n. 190 del 2012. La delibera dell'Autorità n. 50 del 2013 aveva chiarito l'applicabilità ad essi delle misure di trasparenza, anche se, allora, limitatamente, alle previsioni dei commi da 15 a 33 dell'art. 1 della legge n. 190. Da ultimo, a ulteriore conferma, è intervenuta la modifica dell'art. 11 del d.lgs. n. 33 del 2013, che al co. 2, lett. a), si riferisce agli «enti di diritto pubblico non territoriali, comunque denominati, istituiti, vigilati, finanziati dalla pubblica amministrazione, ovvero i cui amministratori siano da questa nominati», tra cui rientrano gli enti pubblici economici, come ha precisato l'Autorità con la delibera n. 144 del 2014.

 

4.1. Le misure organizzative per la prevenzione della corruzione e il Responsabile della prevenzione della corruzione

Nella prospettiva indicata, le misure introdotte dalla legge n. 190 del 2012 ai fini di prevenzione della corruzione si applicano agli enti pubblici economici.

In particolare, considerate le attività svolte in regime di diritto privato e tenuto conto che a tali enti si applicano le disposizioni previste dal d.lgs. n. 231/2001 appare coerente un'interpretazione delle norme che prevede l'applicazione delle misure stabilite per le società in controllo pubblico e indicate nei paragrafi 2.1.1. e 2.1.2. ai quali, dunque, si rinvia.

 

4.2. La trasparenza

A seguito delle modifiche introdotte dal d.l. n. 90 del 2014 all'art. 11 del d.lgs. n. 33 del 2013 gli enti pubblici economici sono tenuti ad osservare la medesima disciplina in materia di trasparenza prevista per le pubbliche amministrazioni.

Sulla base del nuovo quadro normativo sono, pertanto, da ritenersi superate le indicazioni in materia di trasparenza rivolte agli enti pubblici economici contenute nella delibera A.N.AC. n. 50 del 2013 e nel PNA.

Per l'attuazione degli obblighi di trasparenza del d.lgs. n. 33 del 2013 gli enti pubblici economici adottano il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità, nominano il Responsabile della trasparenza, di norma coincidente con il Responsabile della prevenzione della corruzione, istituiscono sul proprio sito web una sezione denominata "Amministrazione trasparente" nella quale pubblicano i documenti, le informazioni e i dati previsti dal d.lgs. n. 33/2013 e assicurano l'esercizio dell'accesso civico.

 

5. Attività di vigilanza dell'A.N.AC.

Come sopra ricordato le pubbliche amministrazioni redigono e pubblicano sul proprio sito istituzionale, ai sensi dell'art. 22, co. 1, del d.lgs. n. 33 del 2013, un elenco degli enti e delle società da esse partecipate o controllate.

L'attività di vigilanza e controllo dell'A.N.AC., che può comportare anche l'adozione di sanzioni, è svolta anche tenuto conto di tali elenchi nonché dei dati sulle società partecipate comunicati dalle pubbliche amministrazioni al Dipartimento del Tesoro del MEF, in attuazione del decreto del Ministero dell'Economia del 30 luglio 2010 (adottato ai sensi dell'art. 2, co. 222, della l. n. 191/2009), e dell'art. 17, co. 3 e 4, del d.l. n. 90/2014, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014.

I documenti contenenti le misure di prevenzione della corruzione ex lege n. 190/2012 e i loro aggiornamenti, ivi inclusi i Programmi triennali per la trasparenza e l'integrità, devono essere pubblicati esclusivamente nei siti istituzionali delle società e degli enti, nella sezione "Amministrazione trasparente"/"Società trasparente" sotto-sezione "Altri contenuti - Corruzione". In una logica di semplificazione degli oneri, pertanto, essi non devono essere trasmessi all'A.N.AC. né al Dipartimento della Funzione Pubblica mediante il sistema integrato "PERLA PA".

 

6. Disciplina transitoria

Considerate le modifiche apportate dalla disciplina delle presenti Linee guida rispetto ai contenuti del PNA, le società e gli altri enti di diritto privato in controllo pubblico, nonché gli enti pubblici economici, procedono, qualora non l'abbiano già fatto, a nominare tempestivamente il Responsabile della prevenzione della corruzione affinché predisponga entro il 15 dicembre 2015 una relazione recante i risultati dell'attività di prevenzione svolta sulla base di quanto già previsto dal PNA e dando conto delle misure già adottate in attuazione delle presenti Linee guida.

L'adeguamento alle presenti Linee guida, con l'adozione delle misure di organizzazione e gestione per la prevenzione della corruzione ex lege n. 190/2012, dovrà comunque avvenire entro il 31 gennaio 2016.

Per quanto attiene alla trasparenza, fermo restando quanto già stabilito anche in termini di sanzioni dall'art. 22 del d.lgs. n. 33/2013, le società e gli enti destinatari delle presenti Linee guida adeguano tempestivamente i propri siti web con i dati e le informazioni da pubblicare, tenuto conto che le disposizioni in materia di trasparenza di cui al d.lgs. n. 33/2013 si applicano a tali soggetti già in virtù di quanto previsto dall'art. 24-bis del d.l. n. 90/2014.

Per le misure di prevenzione della corruzione e di trasparenza da introdurre nelle società e negli altri enti di diritto privato partecipati, le amministrazioni partecipanti promuovono, tempestivamente e comunque non oltre il 31 dicembre 2015, la stipula dei protocolli di legalità, ove è indicata la cadenza temporale delle misure da adottare negli enti.

Le presenti Linee guida entrano in vigore dalla data di pubblicazione sul sito istituzionale dell'Autorità.

 

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(1) In particolare le Linee guida intervengono sulle seguenti parti del PNA: 1.3 - Destinatari - pag. 12; 3.1.1 - I Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione - P.T.P.C. - e i modelli di organizzazione e gestione del d.lgs. n. 231 del 2001 - pag. 33-34; 3.1.2 Trasparenza - pag. 35; 3.1.7 - Conferimento di incarichi dirigenziali in caso di particolari attività o incarichi precedenti (pantouflage - revolving doors) - pag. 40; 3.1.8 - Incompatibilità specifiche per posizioni dirigenziali - pag. 42; Allegato 1 A Soggetti e ruoli della strategia di prevenzione; A.1 Soggetti e ruoli della strategia di prevenzione a livello nazionale - pag. 3; A.2 Soggetti e ruoli della strategia di prevenzione a livello decentrato - pag. 5 e 6; B.3.1 Ambito di applicazione delle norme sulla trasparenza - pag. 34-36; B.9 Incompatibilità specifiche per posizioni dirigenziali - pag. 50.

(2) Ministero economia e finanza, Dipartimento del Tesoro "Patrimonio della P.A. Rapporto sulle partecipazioni detenute dalle Amministrazioni Pubbliche al 31 dicembre 2012" - Luglio 2014. http://www.dt.tesoro.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/ programmi_cartolarizzazione/patrimonio_pa/Rapporto_Partecipazioni _DatiAnno2012.pdf.

(3) Per quanto riguardo il cd. "controllo di fatto" cfr. Tribunale di Venezia, decreto 10 febbraio 2011, ove si afferma che «Mentre il controllo di una società su un'altra è presunto in caso di maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria, per dimostrare "l'influenza dominante" è indispensabile verificare in concreto l'andamento delle assemblee della partecipata per un arco di tempo ragionevolmente significativo, al fine di valutare se vi sia stata un'effettiva capacità di controllo da parte dell'asserita controllante».

 

Allegato 1

PRINCIPALI ADATTAMENTI DEGLI OBBLIGHI DI TRASPARENZA CONTENUTI NEL D.LGS. N. 33/2013 PER LE SOCIETÀ E GLI ENTI DI DIRITTO PRIVATO CONTROLLATI O PARTECIPATI DA PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

 

SOCIETA’ ED ENTI DI DIRITTO PRIVATO CONTROLLATI (1)

 

1) Pubblicità dei dati reddituali e patrimoniali relativi ai componenti degli organi di indirizzo politico-amministrativo (art. 14, d.lgs. 33/2013)

Le società e gli enti sono tenuti ad applicare l’art. 14 con riferimento a tutti i componenti degli organi di indirizzo politico-amministrativo.

 

2) Pubblicità dei compensi relativi agli incarichi dirigenziali (art. 15, co. 1, lett. d), d.lgs. 33/2013)

Fermi restando tutti gli altri obblighi di pubblicazione previsti dall’art. 15, per gli incarichi dirigenziali le società e gli enti pubblicano per ciascun soggetto titolare di incarico il relativo compenso, comunque denominato, salvo che non provvedano a distinguere chiaramente, nella propria struttura, le unità organizzative che svolgono attività di pubblico interesse da quelle che svolgono attività commerciali in regime concorrenziale. Di tale distinzione deve essere dato conto anche all’interno del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità pubblicato sul sito istituzionale.

A tal proposito, al fine di assicurare il pieno rispetto della normativa in materia di trasparenza, le amministrazioni controllanti o vigilanti, laddove dette funzioni siano in capo ad amministrazioni diverse, sono chiamate ad una attenta verifica circa l’identificazione delle attività di pubblico interesse, anche sulla base di quanto contenuto negli atti organizzativi di costituzione degli uffici.

In quest’ultimo caso, ferma restando la pubblicazione dei compensi individualmente corrisposti ai dirigenti delle strutture deputate allo svolgimento di attività di pubblico interesse, la pubblicazione dei compensi relativi ai dirigenti delle strutture che svolgono attività commerciali potrà avvenire in forma aggregata dando conto della spesa complessiva sostenuta ciascun anno, con l’indicazione dei livelli più alti e più bassi dei compensi corrisposti.

 

3) Pubblicità dei compensi relativi agli incarichi di collaborazione e consulenza (art. 15, co. 1, lett. d), d.lgs. 33/2013)

Fermi restando tutti gli altri obblighi di pubblicazione previsti dall’art. 15 per gli incarichi di collaborazione e consulenza, le società e gli enti pubblicano il compenso di ogni singolo consulente o collaboratore.

Se le società e gli enti individuano e distinguono chiaramente, dandone evidenza anche all’interno del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità pubblicato sul sito istituzionale, le consulenze e le collaborazioni connesse ad attività di pubblico interesse e quelle correlate allo svolgimento di attività commerciali in regime concorrenziale, possono pubblicare, limitatamente a queste ultime, i compensi in forma aggregata. In questo caso deve essere dato conto della spesa complessiva sostenuta per ciascun anno, con l’indicazione dei livelli più alti e più bassi dei compensi corrisposti. A tal proposito, al fine di assicurare il pieno rispetto della normativa in materia di trasparenza, le amministrazioni controllanti o vigilanti, laddove dette funzioni siano in capo ad amministrazioni diverse, sono chiamate ad una attenta verifica circa l’identificazione delle attività di pubblico interesse, anche sulla base di quanto contenuto negli atti organizzativi di costituzione degli uffici.

Le società e gli enti possono eventualmente differire la pubblicazione dei compensi laddove sussistano esigenze di riservatezza legate alla natura concorrenziale delle attività svolte.

 

4) Personale (artt. 16, 17 e 21, d.lgs. 33/2013)

Le società e gli enti pubblicano, su base annuale, il numero e il costo annuale del personale a tempo indeterminato e determinato in servizio e i dati sui tassi di assenza. Essi rendono inoltre disponibile sul sito il contratto nazionale di categoria di riferimento del personale della società o dell’ente.

 

5) Selezione del personale (art. 19, d.lgs. 33/2013)

Le società e gli enti pubblicano i regolamenti e gli atti generali che disciplinano la selezione del personale e i documenti e le informazioni relativi all’avvio di ogni singola procedura selettiva - avviso, criteri di selezione - e all’esito della stessa.

Tali modalità di pubblicazione tengono conto che in alcune società pubbliche, pur non essendo applicabili le norme che regolano i concorsi pubblici, vi è comunque l’obbligo, nel reclutare il personale, del rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità (art. 18, co. 2, d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133). Restano fermi gli obblighi di trasparenza relativi al bando e ai criteri di selezione per le società a cui si applica l’art. 18, co. 1, del citato decreto legge.

 

6) Valutazione della performance e distribuzione dei premi al personale (art. 20, d.lgs. 33/2013)

Le società e gli enti adeguano gli obblighi di pubblicazione relativi alla performance ai sistemi di premialità in essi esistenti, rendendo comunque disponibili i criteri di distribuzione dei premi al personale e l’ammontare aggregato dei premi effettivamente distribuiti annualmente.

 

7) Bilancio (art. 29, d.lgs. 33/2013)

Le società e gli enti pubblicano, su base annuale, il bilancio consuntivo. Esso è reso disponibile in forma sintetica, aggregata e semplificata, anche con il ricorso a rappresentazioni grafiche.

 

SOCIETA’ ED ENTI DI DIRITTO PRIVATO PARTECIPATI

 

1) Pubblicità dei dati reddituali e patrimoniali relativi ai componenti degli organi di indirizzo politico-amministrativo (art. 14, d.lgs. 33/2013)

L’obbligo di trasparenza dei dati reddituali e patrimoniali di cui all’art. 14, si considera assolto con la pubblicazione dei dati relativi ai soli componenti degli organi nominati o designati dalle amministrazioni partecipanti.

 

2) Pubblicità dei compensi relativi agli incarichi dirigenziali (art. 15, co. 1, lett. d), d.lgs. 33/2013)

Fermi restando tutti gli altri obblighi di pubblicazione previsti dall’art. 15, le società e gli enti pubblicano i compensi, comunque denominati, relativi agli incarichi dirigenziali conferiti in forma aggregata dando conto della spesa complessiva sostenuta ciascun anno, con l’indicazione dei livelli più alti e più bassi dei compensi corrisposti, salvo che la società o l’ente non provveda ad identificare chiaramente, nell’ambito della propria struttura, le articolazioni organizzative che svolgono attività di pubblico interesse.

In tale ultimo caso, per i dirigenti preposti alle predette articolazioni organizzative deve essere indicato il compenso da ciascuno di essi percepito.

 

3) Pubblicità dei compensi relativi agli incarichi di collaborazione e consulenza (art. 15, co. 1, lett. d), d.lgs. 33/2013)

Fermi restando tutti gli altri obblighi di pubblicazione previsti dall’art. 15, le società e gli enti pubblicano i compensi relativi agli incarichi di collaborazione o consulenza conferiti in forma aggregata dando conto della spesa complessiva sostenuta ciascun anno, con l’indicazione dei livelli più alti e più bassi dei compensi corrisposti, salvo che la società o l’ente non provveda ad identificare e distinguere chiaramente le consulenze e le collaborazioni connesse ad attività di pubblico interesse. In tale ultimo caso, deve essere indicato il compenso percepito da ciascun consulente o collaboratore.

 

4) Selezione del personale (art. 19, d.lgs. 33/2013)

Le società e gli enti pubblicano i regolamenti e gli atti generali che disciplinano la selezione del personale e i documenti e le informazioni relativi all’avvio di ogni singola procedura selettiva - avviso, criteri di selezione - e all’esito della stessa.

Tali modalità di pubblicazione tengono conto che in alcune società pubbliche, pur non essendo applicabili le norme che regolano i concorsi pubblici, vi è comunque l’obbligo, nel reclutare il personale, del rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità (art. 18, co. 2, d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133). Restano fermi gli obblighi di trasparenza relativi al bando e ai criteri di selezione per le società a cui si applica l’art. 18, co. 1, del citato decreto legge.

 

5) Bilancio (art. 29, d.lgs. 33/2013)

Le società e gli enti pubblicano, su base annuale, il bilancio consuntivo. Esso è reso disponibile in forma sintetica, aggregata e semplificata, anche con il ricorso a rappresentazioni grafiche.

 

Tenuto conto della natura privatistica di tutti gli enti e delle società considerati nelle linee guida e del tipo di attività svolta, non sono considerati applicabili a tali soggetti alcuni obblighi di trasparenza contenuti nel d.lgs. n. 33/2013 quali, ad esempio, quelli sui controlli sulle imprese (art. 25), il Piano degli indicatori e risultati attesi di bilancio (art. 29), gli oneri informativi per cittadini ed imprese (art. 12, co. 1-bis).

Si ricorda, infine, che in virtù del principio di trasparenza quale "accessibilità totale", come ribadito dal d.lgs. 33/2013, è auspicabile che le società e gli enti, nell’esercizio della propria discrezionalità e in relazione all’attività di pubblico interesse svolta, pubblichino sui propri siti istituzionali dati "ulteriori" oltre a quelli espressamente indicati e richiesti da specifiche norme di legge.

In proposito, è utile che ciascuna società o ente, in ragione delle proprie caratteristiche strutturali e funzionali, individui i dati ulteriori a partire dalle richieste di conoscenza dei propri portatori di interesse, anche in coerenza con le finalità della legge 190/2012. Si può trattare anche di elaborazioni di "secondo livello" di dati e informazioni obbligatori, resi più comprensibili per gli interlocutori che non hanno specifiche competenze tecniche.

La pubblicazione di dati ulteriori deve in ogni caso essere effettuata nel rispetto dell’art. 4, co. 3, del d.lgs. 33/2013, ovvero "fermi restando i limiti e le condizioni espressamente previsti da disposizioni di legge, procedendo alla anonimizzazione dei dati personali eventualmente presenti".

Le società e gli enti di diritto privato controllati riportano nell’ambito del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità, all’interno di tabelle pubblicate in formato aperto, i dati ulteriori che intendono pubblicare entro la fine dell’anno e nel triennio.

I dati, le informazioni e i documenti ulteriori dovranno essere pubblicati nella sotto-sezione di primo livello "Altri contenuti - Dati ulteriori", laddove non sia possibile ricondurli ad alcuna delle sottosezioni in cui deve articolarsi la sezione "Amministrazione trasparente"/"Società trasparente".

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(1) Ad esclusione delle società in house, cui si applica la disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni senza adattamenti.

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Provvedimento pubblicato nella G.U. 3 luglio 2015, n. 152.