Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 01 luglio 2015, n. 13549

Tributi - Registro - Vendita di terreno - Determinazione del valore imponibile - Riferimento ad una CTU disposta in un diverso giudizio e non acquisita agli atti di causa - Illegittimità

 

Osserva

 

La CTR di Roma ha accolto l’appello della "E.L. spa" - appello proposto contro la sentenza n. 38/29/2010 della CTP di Roma che aveva solo parzialmente accolto il ricorso della predetta società (perciò riducendo il valore accertato ad € 2.500.000,00) avverso avviso di liquidazione e rettifica di atto di vendita di terreno registrato il 13.10.2004 a mezzo del quale il valore dichiarato in € 1.750.500,00 è stato rideterminato in € 3.584.000,00.

La predetta CTR - dopo avere messo in evidenza che la pronuncia di primo grado appariva carente di motivazione in ordine alla adottata riduzione del valore accertato - ha motivato la decisione nel senso di prescegliere - "tra le molteplici valutazioni elaborate" - quella resa da un consulente tecnico d’ufficio nel processo altrove instaurato dalla parte venditrice del medesimo fondo avverso l’avviso di accertamento che aveva riguardato quest’ultima (consulenza nella quale il fondo era stato valutato in € 1.500.000,00 e perciò con valore inferiore al dichiarato), e ciò vuoi perché detta stima proveniva "da un soggetto terzo rispetto alle parti in causa", vuoi perché essa "era comunque indicativa del minor valore del terreno rispetto a quello originariamente accertato dall’Ufficio e confermato, perlomeno come tendenza di riduzione, anche dalla seconda stima dell’Agenzia del Territorio".

L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

La parte contribuente non si è difesa.

Il ricorso - ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore- può essere definito ai sensi dell’art.375 cpc.

Con i tre distinti motivi di impugnazione l’Agenzia ricorrente si duole da un canto della nullità della decisione (in relazione all’art.115 cpc e all’art.1 comma 2 del D.Lgs.n.546/1992) per avere il giudicante aderito ad un giudizio di valore espresso in un separato procedimento senza che il documento fosse stato acquisito agli atti della controversia da quello decisa (ma essendo semplicemente risultante il predetto giudizio di valore dalla sentenza della CTP di Roma 17.9.2009 conclusiva del menzionato procedimento che la parte contribuente aveva prodotto), nel mentre il giudicante è tenuto a porre a fondamento del proprio convincimento solo le prove dedotte dalle parti.

Si duole, d’altro canto, della nullità della decisione del primo giudice (in relazione agli art.61 e 115 cpc ed agli art.1 comma 2 e 7 comma 3 del D.Lgs.546/1992) per avere il giudicante preferito la valutazione dianzi menzionata sulla sola scorta del requisito della sua provenienza (soggetto terzo rispetto alle parti), in tal modo rimettendo la decisione al consulente e spogliandosi della funzione di decidente.

Si duole, infine, della omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata, per avere il giudicante limitato il proprio apprezzamento alla attendibilità della valutazione resa dal consulente, senza in alcun modo motivare sulle ragioni di merito relative alla bontà di detto giudizio di valore e senza neppure esprimere valutazione alcuna in ordine ai valori illustrati dall’Ufficio nelle controdeduzioni in appello avvalendosi della nuova stima resa dall’Agenzia del territorio sulla scorta di criteri tecnici specifici (riferiti ai valori unitari e per ciò assai più corretti della stima "a corpo" fatta dal consulente in questione").

I motivi predetti (da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione) appaiono infondati e da disattendersi.

Occorre previamente evidenziare che il giudice del merito (sia nella parte in fatto che nella parte motiva della decisione) ha dato conto di avere chiaramente presenti i dati storici della questione, ed in specie ha dato analiticamente conto del fatto che la consulenza tecnica (in altro processo espletata ed invocata dalla parte contribuente nel presente processo) risultava essere stata non solo valorizzata nella decisione conclusiva dell’autonomo procedimento prodotta in causa dalla stessa parte contribuente, ma anche precisamente nota alla Agenzia qui ricorrente, che anzi ne aveva inviato copia all’Agenzia del territorio, richiedendo una valutazione di detto organo sull’elaborato tecnico ed ottenendo da quest’ultima un giudizio (ampiamente rettificativo del valore indicato nel provvedimento impositivo qui impugnato: e cioè € 2.352.000,00) tanto che lo stesso giudice del merito ha poi fatto riferimento proprio a detto sensibile decremento di apprezzamento per corroborare il proprio convincimento in ordine alla preferenza da dare al giudizio di stima contenuto nell’elaborato del consulente officiato nel parallelo procedimento.

La consapevolezza che tutti i protagonisti della fase di merito conclusa con la sentenza qui impugnata certamente avevano in ordine ai contenuti dell’elaborato del menzionato consulente si desume peraltro proprio dalle autosufficienti modalità con le quali l’Agenzia qui ricorrente ha ricostruito il contenuto delle proprie controdeduzioni in appello, nelle quali è riportato non solo il criterio utilizzato dal menzionato consulente per giungere al proprio giudizio di stima ma anche il differente criterio utilizzato dall’Agenzia del territorio e le critiche da quest’ultima espresse nei confronti degli apprezzamenti diversi del menzionato consulente.

Ciò posto, non è chi non veda che il primo motivo di impugnazione non può essere condiviso, alla luce del costante indirizzo di legittimità secondo il quale II giudice di merito può legittimamente tenere conto, ai fini della sua decisione, delle risultanze di una consulenza tecnica acquisita in un diverso processo, anche di natura penale ed anche se celebrato tra altre parti (in termini si vedano, fra le molte, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15714 del 02/07/2010; Cass. Sez. L, Sentenza n. 28855 del 05/12/2008), anche traendone elementi di convincimento ed anche attribuendo valore di prova esclusiva (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2839 del 01/04/1997; Cass. Sez. 2, Sentenza n.8585 del 11/08/1999), nel mentre è altrettanto costante l’indirizzo secondo il quale "La consulenza di parte costituisce mera allegazione difensiva di contenuto tecnico priva di autonomo valore probatorio che, se non esplicitamente confutata in sentenza, deve per implicito essere ritenuta come disattesa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15572 del 11/12/2000).

Né può farvelo il difetto del presupposto della rituale acquisizione dell’elaborato consulenziale al processo qui sub iudice (elemento in altre pronunce di legittimità valorizzato in considerazione di fattispecie non paragonabile a quella qui in esame: oltre a quella menzionata dalla parte ricorrente si consideri anche la recentissima Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9843 del 07/05/2014), perché le pronunce da ultimo menzionate hanno chiarito che detto elemento è funzionale a consentire di rendere il detto documento oggetto di valutazione critica delle parti e di stimolare la valutazione giudiziale su di esso.

Detto presupposto, nella specie di causa non è carente, per le ragioni che sono state dianzi evidenziate, sicché non può che convenirsi sul punto che la produzione del documento in giudizio è stata debitamente surrogata dalla indiretta consapevolezza raggiunta dai protagonisti del processo, attraverso le menzionate fonti, vuoi delle conclusioni vuoi del metodo utilizzato ai fini dell’espressione del giudizio di stima, ciò che ha consentito al giudicante (che ne ha dato conto) di esprimere una consapevole selezione della fonte del proprio convincimento.

Del pari infondato appare il secondo motivo di impugnazione, atteso che il giudicante non risulta affatto avere "appaltato" a terzi la decisione della lite, ma ha fatto selezione, "tra le molteplici valutazioni elaborate", di quella che ha ritenuto più attendibile, in tal modo esercitando il proprio potere di giudizio, peraltro corroborato dal riferimento (oggettivamente pregnante) alla sensibile differenza tra i giudizi estimativi (pur provenienti dalla stessa fonte) valorizzati dall’Agenzia nel provvedimento impositivo e negli atti difensivi del giudizio di appello.

Del pari infondato (per inammissibilità) appare il terzo motivo di impugnazione, vuoi perché (come già evidenziato) gli apprezzamenti estimativi di parte costituiscono mere allegazioni difensive tecniche che non abbisognano di specifica confutazione, vuoi perché, a mezzo del motivo di impugnazione, la parte ricorrente vuole in realtà sollecitare la Corte a sovrapporre il proprio apprezzamento a quello che il giudice del merito ha debitamente e correttamente espletato.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta infondatezza ed inammissibilità.

Roma, 3 ottobre 2014

ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, considera di non poter condividere gli argomenti posti a sostegno della proposta di decisione contenuta nella relazione atteso che la Commissione tributaria di appello, nel fare irrituale riferimento ad una CTU disposta in un diverso giudizio e non acquisita agli atti di causa (per quanto nota alle parti del processo e conosciuta dal medesimo collegio, siccome giudicante nel processo nel corso del quale la consulenza è stata commissionata e svolta) si è in concreto avvalso di un elemento di prova estraneo al processo, dovendosi invece considerare quale condizione di utilizzabilità delle prove acquisite in altro processo, quella della presenza della documentazione nel giudizio, a mezzo di rituale acquisizione in quest’ultimo, al fine di consentire alle parti di farne oggetto di valutazione critica e stimolare la valutazione giudiziale su di essa (in termini, Cass. 10.12.2004, n. 23132; 5.12.2008, n. 28855 e, più di recente Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9843 del 07/05/2014);

che non resta che concludere nel senso della fondatezza del primo motivo di impugnazione (con assorbimento del residuo) e della conseguente necessità di provvedere alla cassazione della pronuncia che non si è attenuta ai menzionati principi di diritto, con rimessione della lite allo stesso giudice del merito affinché rinnovi il proprio apprezzamento alla luce del materiale istruttorio ritualmente acquisito;

che le spese di lite posso essere regolate dal giudice del rinvio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Lazio che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente giudizio.