Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 giugno 2015, n. 12486

Lavoro subordinato - Estinzione del rapporto - Mancanza di titoli - Impossibilità temporanea - Illegittimo

 

Svolgimento del processo

 

1. - La sentenza attualmente impugnata accoglie l’appello di D.M. avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 12096/2012 e, in riforma di tale sentenza, annulla il licenziamento intimato all’appellante dalla M.A. s.r.l. il 24 maggio 2011 e, per l’effetto, ordina alla suddetta società di reintegrare il dipendente nel posto di lavoro precedentemente assegnatogli e la condanna a corrispondergli, a titolo di risarcimento del danno, una indennità pari all’importo delle retribuzioni globali di fatto dalla data del licenziamento fino all’effettiva reintegra, oltre agli accessori di legge e detratto quanto percepito dal lavoratore, negli anni 2012 e 2013, per attività lavorativa svolta alle dipendenze di terzi ovvero per redditi di impresa.

La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:

a) ad avviso del Collegio, nella specie, è ravvisabile una sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa "meramente temporanea", come confermato non solo dal fatto che il lavoratore è riuscito, in poco tempo, ad acquisire i titoli e le abilitazioni la cui mancanza ha determinato il licenziamento, ma anche dalla circostanza che la datrice di lavoro non ha dedotto alcun elemento idoneo a dimostrare la ricorrenza di una ipotesi di impossibilità definitiva e non rimovibile;

b) pur dovendosi escludere la possibilità di attribuire rilievo, per la valutazione della sussistenza dell’interesse apprezzabile dell’azienda all’utilizzabilità dell’appellante in mansioni diverse, in ogni caso la società avrebbe dovuto dimostrare le ragioni tecnico-produttive che rendevano impossibile attendere la rimozione del temporaneo impedimento all’espletamento, da parte del lavoratore, delle mansioni dì pilota di I.;

c) invece, la M. non solo non ha dato tale dimostrazione, ma neppure ha dedotto le anzidette ragioni, che, peraltro, nella specie, non appaiono neppure ravvisabili, date le dimensioni dell’organizzazione aziendale e il periodo di tempo molto contenuto che, con un giudizio ex ante, si può ipotizzare come necessario per la rimozione dell’impedimento;

d) né va omesso di rilevare che la datrice di lavoro, violando i principi costituzionali di solidarietà sociale, anziché segnalare al lavoratore - riammesso in servizio molto tempo dopo la sentenza dichiarativa della sussistenza, tra le parti, di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a seguito della nullità dei termini apposti ad alcuni contratti intercorsi tra le parti - la necessità di riacquistare a sue spese i titoli e le abilitazioni mancanti, ha immediatamente proceduto al licenziamento, pur essendo consapevole del fatto che il corso di T.R. doveva svolgersi necessariamente entro un periodo di tempo incompatibile con quello necessario per l’acquisizione dei titoli e delle abilitazioni mancanti.

2.- Il ricorso di M.A. s.r.l. domanda la cassazione della sentenza per cinque motivi;

resiste, con controricorso, D.M.

Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.

 

Motivi della decisione

 

I - Sintesi dei motivi di ricorso

1. Il ricorso è articolato in cinque motivi.

1.1. - Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Si contesta la affermazione della Corte d’appello secondo cui la mancanza dei titoli e elle abilitazioni posta a base del licenziamento è configurarle come sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa "meramente temporanea", come confermato non solo dal fatto che il lavoratore è riuscito, in poco tempo, ad acquisire i suddetti titoli e le abilitazioni, ma anche dalla circostanza che la datrice di lavoro non ha dedotto alcun elemento idoneo a dimostrare la ricorrenza di una ipotesi di impossibilità definitiva e non rimovibile.

Si sottolinea che la società aveva evidenziato, nel giudizio di appello, che il lavoratore non essendo in possesso di una licenza in corso di validità come da normativa JAR - FCL 1025(a) (b) (1) non era abilitato ad accedere al nuovo T.R. ATR, indicato nella lettera di ripristino del rapporto di lavoro e, conseguentemente, non poteva svolgere le mansioni di pilota di I, per le quali era stato assunto. Tale situazione faceva venire meno la causa del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, ai sensi dell’art. 2119 cod. civ.

Era stato, in particolare, chiarito che, fin dal 2009, il M. non era in possesso della abilitazione necessaria a pilotare i nuovi aerei della Compagnia, non avendo effettuato il T.R. per gli aerei B737 300/900 e ATR 42/72, abilitazione che non aveva ancora conseguito all’epoca del giudizio di appello e che è essenziale per il pilotaggio, non essendo all’uopo sufficiente avere la licenza o l’iscrizione all’albo.

1.2. - Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 41 Cost., della legge n. 604 del 1966, dell’art. 2119 cod. civ., nonché dell’art 421 cod. proc. civ.

Si sostiene che le condizioni di legittimità del licenziamento vanno valutate con riguardo al momento in cui l’atto è stato intimato, mentre nella specie la Corte romana ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento facendo riferimento a circostanze verificatesi dopo l’intimazione, con un metodo in base al quale l’ipotesi della impossibilità sopravvenuta della prestazione, come causa del recesso, verrebbe, di fatto, vanificata tutte le volte in cui il lavoratore, dopo l’atto di risoluzione, riesca a modificare e/o eliminare le condizioni fattuali che aveva reso impossibile la prestazione lavorativa.

In tal modo, verrebbe limitata la libertà dell’imprenditore di stabilire le modalità di svolgimento della propria attività, sancita dall’art. 41 Cost, e sicuramente non limitata dalla legge n. 604 del 1966 e verrebbe meno anche uno dei due limiti del potere istruttorio del giudice del lavoro, rappresentato dal rispetto dei fatti costitutivi del diritto controverso, sui quali non possono incidere le sopravvenienze.

1.3. - Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1175 e 1464 cod. civ., nonché del CCAL dei piloti M. s.r.l. del 2009.

Si contesta l’affermazione della Corte territoriale secondo cui la M.A. s.r.l. avrebbe dovuto dimostrare le ragioni tecnico-produttive che rendevano impossibile attendere la rimozione del temporaneo impedimento all’espletamento, da parte del lavoratore, delle mansioni di pilota di I.

Si aggiunge che l’unica mansione esigibile ad un pilota è quella del servizio al volo, sicché se non ne è possibile l’espletamento, il recesso è legittimo in base alla contrattazione collettiva.

Inoltre, nella specie, non vi erano elementi che potevano rendere oggettivamente prevedibile la cessazione della impossibilità della prestazione, visto che, al momento del licenziamento, tale situazione si protraeva dall’ottobre 2009.

D’altra parte, non si può sostenere che la società abbia agito violando, i principi di correttezza e buona fede, in quanto, come attesta anche la relativa normativa, è il titolare della licenza che ha la responsabilità di avere cura delle date di scadenza della licenza stessa, come di ogni altra qualifica. E, nella specie, il lavoratore ha tenuto un comportamento negligente, indicativo di un palese disinteresse alla prosecuzione del rapporto e non si è curato di tenere aggiornata la documentazione necessaria per l’espletamento delle mansioni di pilota, mentre, nelle more, si è impegnato in dispendiose operazioni economiche nel settore della ristorazione.

1.4. - Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 253, 420 e 421 cod. proc. civ.

Si precisa che, dalla sentenza impugnata, risulta che, secondo la Corte territoriale, le suindicate ragioni tecnico-produttive che rendevano impossibile attendere la rimozione del temporaneo impedimento allo svolgimento della prestazione non solo non sono state dimostrate dalla M. ma non sono state neppure dedotte e, comunque, non sarebbero ravvisabili, date le dimensioni dell’organizzazione aziendale e il periodo di tempo molto contenuto che, con un giudizio ex ante, si può ipotizzare come necessario per la rimozione dell’impedimento.

Si rileva, al riguardo, che la società si era offerta di fornire la prova dell’impossibilità di aspettare - data la non prevedibilità delle tempistiche - il perfezionamento della documentazione da parte del lavoratore necessaria, non tanto per rendere la prestazione lavorativa, ma semplicemente per accedere al T.R. con esito comunque con scontato.

La Corte d’appello non ha invece ammesso la prova orale chiesta, sul punto, dalla società, fin dalla memoria di primo grado ed ha emesso la propria decisione senza effettuare alcuna verifica della sussistenza delle condizioni che avevano determinato il licenziamento, con riguardo al momento della relativa intimazione.

1.5. - Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Si deduce che la Corte territoriale ha anche omesso di esaminare le attività commerciali poste in essere dal M. nel periodo in cui aveva lasciato scadere la documentazione necessaria per la effettuazione del T.R. conseguentemente, aveva reso impossibile l’espletamento delle mansioni di pilota.

Infatti, se la Corte d’appello avesse considerato che il lavoratore, nelle more, si è impegnato in dispendiose operazioni economiche nel settore della ristorazione, non solo avrebbe potuto rendersi conto non solo della carenza di interesse dimostrata dal M. rispetto alla ripresa dell’attività di pilota ma avrebbe potuto apprezzare l’esistenza di altri elementi che rendevano impossibile la prestazione lavorativa per un periodo di tempo non compatibile con le esigenze aziendali.

Il — Esame delle censure

2. - Il primo e il quinto motivo sono inammissibili, perché non sono formulati in modo conforme al nuovo testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. che si applica ratione temporis al presente ricorso (visto che la sentenza impugnata è stata depositata il 29 maggio 2014 e la novella si applica ai ricorsi avverso sentenze depositate dopo il giorno 11 settembre 2012).

2.1. - Infatti, benché la rubrica di tali motivi abbia un contenuto conforme alla suddetta novella, le argomentazioni delle censure, invece, non ne tengono conto e neppure tengono conto dei condivisi orientamenti di questa Corte, secondo cui:

a) la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053 e n. 8054; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928);

b) tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico", nella " motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053);

c) analogamente deve escludersi che, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come novellato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, sia sindacabile, in sede di legittimità, la correttezza logica della motivazione della idoneità probatoria di una determinata risultanza processuale, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di contraddittorietà della motivazione (Cass. 16 luglio 2014, n. 16300).

2.2. - Nella specie, è del tutto evidente che né con il primo né con il quinto motivo si denunciano "anomalie motivazionali che si tramutano in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinenti all’esistenza della motivazione in sé".

Questo rende tali motivi inammissibili.

3. - Gli altri motivi di ricorso (secondo, terzo e quarto) - da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione - non sono da accogliere, salva restando l’inammissibilità dei profili di censura con i quali - nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge, contenuto nell’intestazione di tutti i suindicati motivi - la società ricorrente esprime, in realtà, un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa e invoca, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse, non ammissibile in sede di legittimità.

4. - Le restanti censure sono infondate in quanto non sono idonee a contestare in modo efficace quella che si deve considerare come la ratio decidendi che principalmente sorregge la motivazione della sentenza impugnata, rappresentata dalla affermazione secondo cui la datrice di lavoro - con violazione dei principi di correttezza e buona fede e dei "principi costituzionali di solidarietà sociale" - anziché segnalare, con congruo anticipo, al lavoratore - riammesso in servizio molto tempo dopo la sentenza dichiarativa della sussistenza, tra le parti, di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a seguito della nullità dei termini apposti ad alcuni contratti intercorsi tra le parti - la necessità di riacquistare a sue spese i titoli e le abilitazioni mancanti, ha proceduto al licenziamento pochi giorni dopo la accettazione, da parte dell’interessato, di riprendere servizio anche presso la sede di Pescara ove era stato trasferito, e benché la M. fosse consapevole del fatto che il richiesto corso di T.R. doveva svolgersi necessariamente entro un periodo di tempo incompatibile con quello necessario per l’acquisizione dei titoli e delle abilitazioni mancanti.

Questo tipo di comportamento - che effettivamente risulta in contrasto i fondamentali principi richiamati dalla Corte romana - dimostra, di per sé, l’illegittimità del licenziamento, risultando priva di ragionevole giustificazione la decisione della società di irrogare la sanzione espulsiva, in modo cosi "precipitoso" e adducendo motivazioni che appaiono del tutto pretestuose - come rileva la Corte territoriale - tanto più ove si consideri l’intero rapporto intercorso fra le parti, che per ben tre anni si è sviluppato attraverso una serie di contratti a termine, giudizialmente dichiarati parzialmente nulli.

5. - Ebbene, la suindicata statuizione - idonea da sola a sorreggere la sentenza impugnata come si è detto — non viene specificamente contestata dalla attuale ricorrente, che, a proposito della violazione dei principi di correttezza e buona fede riscontrata dalla Corte romana, svolge argomentazioni del tutto ininfluenti ed ultronee rispetto alle ragioni poste a base della decisione, limitandosi a fare generico riferimento, del tutto non contestualizzato, alla normativa che pone a carico del proprietario della licenza la responsabilità di avere cura delle date di scadenza della licenza stessa, come di ogni altra qualifica, senza considerare che, nella specie, il pilota non ha mai negato tale circostanza ma si è trovato a subire, a causa del comportamento della M. uno iato nel suo percorso professionale, con conseguente forzata inutilizzazione della licenza.

La società inoltre - anziché spiegare la ragione della condotta censurata dalla Corte d’appello, nel punto, rappresentata dal non avere avvertito in tempo utile l’interessato della necessità di procurarsi l’abilitazione necessaria a pilotare i nuovi aerei della Compagnia, onde poter ripristinare il rapporto di lavoro e, conseguentemente, svolgere le mansioni di pilota di I., per le quali era stato assunto, secondo quanto stabilito nella sentenza che aveva dichiarato l’illegittimità della clausola appositiva del termine ai contratti intercorsi fra le parti dal giugno 2006 all’agosto 2009 - sostiene che sarebbe stato il lavoratore a tenere un comportamento negligente, indicativo di un palese disinteresse alla prosecuzione del rapporto e, del tutto apoditticamente, desume tale disinteresse dal fatto che il pilota non si sia curato di tenere aggiornata la documentazione necessaria per l’espletamento delle mansioni di pilota e si sia impegnato, nelle more, in dispendiose operazioni economiche nel settore della ristorazione (circostanze che risultano del tutto inidonee a dare una giustificazione del comportamento della M., preso in considerazione nel suddetto passo della sentenza impugnata).

6. - Come si vede, quindi, nessuno dei pur numerosi argomenti svolti al riguardo dalla M. tocca minimamente la suddetta statuizione della sentenza impugnata, sicché la relativa impugnazione si deve considerare meramente apparente e quindi inesistente.

Trova quindi applicazione il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, l’omessa impugnazione di una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (vedi, per tutte: Cass. 5 ottobre 1973, n. 2499; Cass. SU 8 agosto 2005, n. 16602; Cass. SU 29 maggio 2013, n. 7931; Cass. 11 febbraio 2011, n. 3386; Cass. 27 maggio 2014, n. 11827).

Questo porta al rigetto del secondo, terzo e quarto motivo del ricorso, con assorbimento di ogni altro profilo di censura.

III - Conclusioni

7. - In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 (cento/00) per esborsi, euro 5000,00 (cinquemila/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.