Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 giugno 2015, n. 12122

Licenziamento collettivo - Mobilità - Accordo con il sindacato - Vizio nella comunicazione - Commissione regionale permanente - Invalidità della procedura - Non sussiste

 

Svolgimento del processo

 

1 La sentenza attualmente impugnata accoglie l’appello proposto da A.B. avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 18402/2001 e in riforma di tale sentenza, dichiara l’inefficacia del licenziamento intimato al B. dal BANCO X. s.p.a. il 18 settembre 2008 e, per l’effetto, ordina alla suddetta società di reintegrare il dipendente nel posto di lavoro e la condanna a corrispondere al lavoratore l’importo delle retribuzioni dalla data del licenziamento fino all’effettiva reintegra, oltre agli accessori di legge nonché al pagamento dei contributi assistenziali e previdenziali per il periodo compreso tra il recesso e la reintegra.

La Corte d’appello di Napoli, per quel che qui interessa, precisa che:

a) in ordine logico, deve essere esaminata per prima la censura con la quale il B. sostiene, sulla base dell’art. 3 della legge n. 218 del 1990, sia l’inapplicabilità, nei propri confronti, della legge n. 223 del 1991 sia la sussistenza del proprio diritto a giovarsi del regime più favorevole di cui agli artt. 72 e ss. del d.P.R. n. 3 del 1957;

b) tale censura è infondata per le seguenti ragioni: 1) perché in base al comma 1 del richiamato art. 3 si prevedeva che ai dipendenti degli istituti di eredito privatizzati avrebbero continuato ad applicarsi la normativa vigente alla data di entrata in vigore della legge stessa "fino al rinnovo del contratto collettivo nazionale di categoria o fino alla stipula di un nuovo contratto integrativo aziendale" e sicuramente dopo il 1990 sono stati stipulati i nuovi contratti collettivi; 2) perché, in ogni caso, dal comma 2 dal richiamato art. 3 dello legge n. 218 cit. non potrebbe comunque derivare l'applicabilità, nella specie, del d.P.R. n. 3 del 1957, in quanto è da escludere che sia configurabile al riguardo un "diritto quesito" del B., come tale fatto salvo dal suindicato comma 2 dell’art. 3 cit.;

c) nel merito, deve essere accolto il motivo di appello con il quale il lavoratore deduce che erroneamente il primo giudice ha ritenuto insussistente la prospettata violazione dell’art. 4, comma 9, della legge n. 223 del 1991, consistente nella omessa comunicazione alla Commissione regionale tripartita della Regione Calabria, e ritenuta dal Tribunale giustificata dalla mancata attivazione di tale organo, implicitamente comprovata dall’art. 1, comma 1, del Regolamento della Regione Calabria 12 gennaio 2009, n. 1;

d) com’è noto, l’art. 5 del d.lgs. 23 dicembre 1997, n. 469 ha soppresso le Commissioni regionali per l’impiego, disponendone la sostituzione con le Commissioni regionali permanenti tripartite (disciplinate dal precedente art. 4 dello stesso decreto legislativo);

e) il B. sostiene che, diversamente da quanto affermato dal primo giudice, la Commissione in oggetto è stata istituita dalla Regione Calabria con d.P.G r. 27 luglio 2001, n. 27, sulla base della legge regionale 19 febbraio 2001, n. 5 e che, da quel momento, è sempre stata operativa, anche se con il Regolamento n. 1 del 2009 ne è stata solo parzialmente modificata la disciplina attuativa;

f) quanto alle conseguenze della suddetta omessa comunicazione, non può condividersi la tesi del BANCO, secondo cui tale unica omissione non avrebbe impedito alla procedura, nel suo complesso, di raggiungere lo scopo - cui è preordinata di assicurare - il controllo sindacale e pubblico dell’operazione imprenditoriale:

g) infatti, la copiosa giurisprudenza di legittimità richiamata dal BANCO X. si riferisce all’individuazione del contenuto minimo delle comunicazioni di cui all’art. 4, comma 9, cit. necessario per il raggiungimento del relativo scopo e, quindi, non può considerarsi pertinente nella specie, in cui viene in considerazione assolvimento dell'onere di effettuare la comunicazione agli organi pubblici, che risponde alla diversa ratio di consentire agli enti destinatari di adempiere ai compiti loro rispettivamente demandati dalla legge;

h) è evidente che lo scopo di tale adempimento non può considerarsi raggiunto per la sola ragione che lavoratore e altri destinatari sono stati posti in condizione di conoscere l’atto, perché altrimenti si arriverebbe ad una interpretazione abrogatrice dell’indicato art. 4, comma 9 e dei precisi oneri ivi contemplati, sostituendo ad essi un generico dovere di trasmissione del contenuto degli atti al soggetto interessato;

i) la Commissione tripartita, in base all’art. 6 della legge n. 223 del 1991, svolge la rilevante funzione di approvare le liste di mobilità c, siccome, nell’art. 24 della stessa legge non è prevista una procedura semplificata per il licenziamento collettivo non preceduto dalla. sospensione in CIGS - come quello di cui si discute nel presente giudizio - l'onere della relativa comunicazione non è derogabile per effetto della esclusione dei lavoratori del settore del credito dal novero degli aventi diritto all’indennità di mobilità (ex art. 16 della legge n. 223 del 1991);

I) in sintesi, per le suddette ragioni, il licenziamento de quo va dichiarato inefficace in base all’art. 4, comma 12, della legge n. 223 del 1991, secondo cui la suddetta sanzione si applica ai recessi intimati senza l’osservanza delle procedure previste "e, quindi, anche in carenza delle comunicazioni a tutti i soggetti di cui al comma 9".

2. - Il ricorso di BANCO X s.p.a., illustralo da memoria, domanda la cassazione della sentenza per tre articolati motivi; resiste, con controricorso, A.B. che propone, a sua volta ricorso incidentale condizionato, per un unico motivo, cui replica BANCO X s.p.a., con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Preliminarmente i ricorsi vanno riuniti, perché proposti avverso la medesima sentenza.

I - Sintesi dei motivi di ricorso principale

1 - Il ricorso principale è articolato in tre motivi.

1.1 - Con il primo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. art. 4, commi 9 e 12, 5, comma 3, della legge n. 223 del 1991 nonché dell’art. 12 delle preleggi; b) in relazione d’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia.

Si sottolinea che la Corte d’appello ha dichiarato l’inefficacia del licenziamento in oggetto in conseguenza della omessa trasmissione della comunicazione ex art. 4, comma 8, della legge n. 223 del 1991 alla sola Commissione regionale permanente tripartita della Regione Calabria, pur dando atto della regolare effettuazione delle comunicazioni prescritte a tutti gli altri destinatari indicati dalla legge stessa.

Per giungere a questo risultato la Corte partenopea è partita dal presupposto secondo cui la copiosa giurisprudenza di legittimità richiamata dal BANCO X non può considerarsi pertinente nella specie, in quanto essa si riferisce all’individuazione del contenuto minimo delle comunicazioni di cui all’art. 4, comma 9, cit. necessario per il raggiungimento del relativo scopo e, quindi, per evitare, da un lato, motivazioni datoriali del recesso meramente apparenti e non oggettive e, dall’altro lato, dichiarazioni di inefficacia del recesso per vizi meramente formali.

La Corte territoriale ha, quindi, rilevato che, nella presente controversia, viene in considerazione la diversa questione del ruolo della comunicazione in argomento agli organi pubblici, questione per la cui soluzione la suindicata giurisprudenza è inapplicabile perché in questo caso l’adempimento e finalizzato a porre l’organo pubblico in condizione di svolgere i suoi compiti e, quindi, non può ipotizzarsi il ricorso all’ipotesi da, "raggiungimento dello scopo", per la sola ragione che il lavoratore e gli altri destinatari (tranne uno) siano stati posti in condizione di conoscere l’atto, se non si vuole giungere ad una interpretazione abrogatrice dell’indicato art. 4, comma 9 e dei precisi oneri ivi contemplati, sostituendo ad essi un generico dovere di trasmissione del contenuto degli atti al soggetto interessato.

Si sostiene che, diversamente da quanto affermato dalla Corte partenopea:

a) la richiamata, e consolidata, giurisprudenza di legittimità - secondo cui le comunicazioni previste dall’art. 4, comma 9, cit. devono rispondere al carattere di certezza e trasparenza, al fine di consentire ai lavoratori interessati, alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi di controllare la correttezza dell’operazione e la sua rispondenza agli accordi raggiunti - non ha operato alcuna distinzione tra contenuto della comunicazione e destinatari della stessa;

b) è, pertanto, da escludere che a tali ultime due fattispecie corrispondano, rispettivamente, due differenti rationes legislative, in quanto pur essendo indubbio, per quel che qui rileva, che la Commissione tripartita svolga una funzione propria nell''ambito della procedura - di approvazione delle liste di mobilità - e per questo sia inclusa fra i destinatari della comunicazione, tuttavia questo non significa che la ratio sottesa alla comunicazione stessa sia diversa rispetto a quella individuata dalla giurisprudenza di legittimità, nella necessità di trasparenza e correttezza delle scelte datoriali.

Peraltro, Pente che ha il compito di predisporre le liste di mobilità è la Direzione regionale del lavoro e il BANCO ha regolarmente inoltrato le comunicazioni a tutte le Direzioni regionali del lavoro presso le quali vi erano unità produttive della società, cosi come a tutti i Centri per l’impiego delle Province interessate, alla DPL di Napoli, al Ministero del lavoro e alle OO.SS.

Tutte le predette comunicazioni hanno posto le OO.SS. e il Lavoratore in condizione di controllare la regolarità dell’esercizio del potere datoriale di recesso e la sua coerenza con Le scelte operate in precedenza, tanto che il B. non solo ha prodotto in giudizio la comunicazione stessa, ma non neppure avanzato alcuna censura in merito ad ipotetiche difficoltà incontrate dalle OO.SS. nel controllare la corretta applicazione del citato Accordo aziendale del 25 luglio 2008.

L'avvenuta comunicazione ai suddetti destinatari ha determinato l’effetto di "cristallizzare le ragioni della scelta" dei lavoratori da licenziare e la mancata comunicazione ad uno solo dei previsti destinatari - la suddetta Commissione tripartita - era da considerare ininfluente rispetto alla produzione di tale effetto, ormai verificatasi.

A ciò si aggiunge che la Corte partenopea non ha attribuito alcun rilievo alla peculiarità dell’unico criterio di scelta - della prossimità al pensionamento - concordato, unitamente con le relative modalità applicative, prima nell’Accordo Quadro sottoscritto dalla Banca Capogruppo I. s.p.a. il giorno 8 luglio 2008 e poi Dell’Accordo sindacale del BANCO X del 25 luglio 2008.

La procedura concordata era tale da garantire - addirittura con accordo sindacale - la valutazione comparativa di tutto il personale potenzialmente interessato alla applicazione «dei criteri di scelta che erano quelli previsti dal d.m. n. 158 del 2000.

In altri termini, a tutti lavoratori - e, quindi, anche al B. - è stato applicalo, in modo automatico, l’unico criterio rigido della vicinanza al pensionamento, senza alcun margine di discrezionalità del l’azienda e quindi si è utilizzato un criterio, di per sé, insuscettibile di essere discriminatorio, come affermato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità.

In questa situazione estremamente garantista non è ragionevole pervenire alla dichiarazione di inefficacia del licenziamento esclusivamente per la mancanza di una comunicazione - quella alla Commissione tripartita - in quanto tale mancanza non ha influito dalla possibilità delle OO.SS. e "soprattutto" del lavoratore di controllare la regolarità dell'operato del BANCO, tanto più che il personale del settore del credito non è interessalo all'indennità di mobilità, cui si collega l’intervento nella procedura della Commissione tripartita, come si è detto.

Ne consegue che, anche in tale particolare ipotesi, dovrebbe trovare applicazione il generale principio secondo cui la nullità di un atto può essere pronunciata solo se è espressamente prevista dalla legge ovvero se l’atto manchi dei requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo, mai, comunque, se l’atto ha raggiunto lo scopo cui era destinato (Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2011, n. 1290).

1.2. - Con il secondo motivo si denunciano: a) In relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione - sotto un diverso profilo - degli arti art. 4, commi 9 e 12, 5, comma 3, della legge n. 223 del 1991 nonché dell’art. 12 delle preleggi; b) in relazione all’art. 360, n. 5. cod. proc. civ., insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia.

Si contesta la statuizione della Corte d’appello secondo cui, ai fini dell’obbligo di effettuare la comunicazione in oggetto anche alla Commissione tripartita, sarebbe irrilevante la esclusione dei lavoratori del settore del credito dal novero degli aventi diritto all’indennità di mobilità (ex art. 16 della legge n. 223 del 1991).

Tale affermazione si basa sulla considerazione della non eccettuazione - con la previsione di una procedura semplificata - di tale caso rispetto alla normativa generale, come si desumerebbe dal fatto che l’art. 24 della legge n. 223 del 1991, che disciplina specificamente l’ipotesi di licenziamento collettivo non preceduto dalla sospensione in CIGS, richiama i commi da 2 a 12 del precedente art. 4, senza alcuna riserva.

Ad avviso della società ricorrente tale affermazione si porrebbe in contraddizione con quella secondo cui la ratio specifica della comunicazione omessa consiste nel porre gli enti destinatari in condizione di "adempiere i compiti demandati dalla legge"; se, infatti, è indubbio che il compito - considerato "rilevante" nella sentenza impugnata - demandato dalla legge alla Commissione è quello di approvare le liste di mobilità e se, nella specie, la Commissione non può svolgere questo compito, in quanto ai lavoratori del settore del credito non si applica l’indennità di mobilità, allora sarebbe illogico e contraddittorio arrivare ad affermare che il mancato invio della comunicazione alla Commissione determina l’inefficacia del licenziamento.

In ogni caso, la soluzione adottata dalla Corte partenopea risulta tautologica ed eccessivamente formalistica, anche laddove si sostiene che attribuire rilevanza al raggiungimento dello scopo dell’atto equivarrebbe ad una interpretazione abrogatrice dell’indicato art. 4, comma 9 e dei precisi oneri ivi contemplati, con la sostituzione ad essi un "generico dovere di trasmissione del contenuto degli atti al soggetto interessato".

A tale ultimo riguardo il BANCO precisa di non aver mai sostenuto che, per la validità della comunicazione ex art. 4, comma 9, cit., sia sufficiente trasmettere il contenuto degli atti all’interessato, avendo invece rilevato che, nella specie, l‘effettuato inoltro della comunicazione a tutti i numerosi destinatari prescritti aveva comunque consentito di realizzare la finalità perseguita dal legislatore e che, quindi, la omessa trasmissione alla Commissione tripartita doveva considerarsi ininfluente.

1.3. - Con il terzo motivo si denunciano: a) in relazione all'art. 360, n. 3. cod. proc. Civ., violazione e falsa applicazione - sotto un ulteriore profilo - degli artt. art. 4, commi 9 e 12, 5, comma 3, della legge n. 223 del 1991 nonché dell'art. 12 delle preleggi; b) in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia.

Si sottolinea che: a) il comma 12 dell’art. 4 cit. sanziona con la inefficacia i licenziamenti intimati senza l’osservanza delle procedure previste e, quindi, anche senza le comunicazioni a "tutti" i soggetti di cui al comma 9; b) nella specie, però, tale sanzione non è applicabile perché la comunicazione mancante è una sola (quella alla Commissione regionale tripartita) e, inoltre, la procedura è stata avviata sulla base di un Accordo sindacale, con il quale si è convenuto il numero degli esuberi (pari a 187 dipendenti) e l’unico criterio di scelta (pensionabilità), di cui si sono definite le modalità applicative.

Pertanto il richiamo all’art. 4, comma 12, cit. contenuto nella sentenza impugnata è scorretto dal punto di vista logico-giuridico, perché il caso d specie è diverso da quello al quale detta disposi/ione collega la inefficacia del licenziamento.

La Corte partenopea non ha tenuto conto di tale diversità e - in contrasto con l'art. 12 delle preleggi - non ha considerato che, ai fini della presente vicenda, l’art. 4, comma 9, cit. avrebbe dovuto essere interpretato alla luce della ratio legis e, quindi, ponendo l’accento sul fatto che la mancanza dell'unica comunicazione in argomento non ha impedito comunque il raggiungimento dello scopo cui era preordinata l’intera procedura, tanto più in considerazione delle peculiari caratteristiche della specifica procedura in oggetto (rappresentate dalla presenza dell’Accordo sindacale, dal criterio selettivo unico della pensionabilità e dall’autoapplicatività di tale criterio).

In tal modo la Corte territoriale si è anche discostata da quante affermato dalla giurisprudenza di legittimità per analoghe situazioni verificatasi in similari procedure di licenziamento collettivo.

II - Sintesi del ricorso incidentale condizionato

2 - Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge n. 218 del 1990, in relazione alla inapplicabilità della legge n. 223 del 1991 al personale ex dipendente del BANCO X., quale istituto di credito di diritto pubblico.

Il B. sostiene che, diversamente da quanto affermato dalla Corte partenopea, dall’art. 3 della legge n. 218 del 1990 si desumerebbe l’inapplicabilità al proprio rapporto di lavoro della legge n. 223 del 1991, trattandosi di rapporto nato quando il BANCO era un istituto di credilo di diritto pubblico.

Pertanto, egli avrebbe avuto diritto all’applicazione della disciplina di maggior favore di cui agli artt. 72 e seguenti del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, mentre sarebbe inconferente il riferimento effettuato nella sentenza impugnata all’avvenuto rinnovo del contratto collettivo in epoca successiva al 1990, in quanto tale elemento sarebbe rilevante solo per le posizioni giuridiche dei dipendenti non consistenti in diritti quesiti e assimilati, quale è quello di cui si tratta.

Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità tali situazioni, infatti, non sono tutelate soltanto "in via transitoria" e questo comporta l’irrilevanza del fatto che la presente vicenda ha avuto inizio nel 2008 - quindi molto dopo la privatizzazione del BANCO - elemento sul quale la Corte d'appello ha posto l’accento.

Infatti, il diritto quesito è tale indipendentemente dall’essersi verificati tutti i presupposti di fatto che ne consentano l’esercizio.

Del resto, l’interpretazione data alla norma dalla Corte territoriale di fatto toglie ogni significato alla disposta salvezza dei diritti quesiti e, quindi alla nonna stessa.

Infine, il B. precisa che, "nella non creduta ipotesi di accoglimento del ricorso principale e rigetto del ricorso incidentale condizionato, codesta Suprema Corte dovrà comunque disporre il rinvio ad altra Corte territoriale, quanto meno, per l’esame della questioni ritenute assorbite dalla Corte di secondo grado partenopea", questioni afferenti ulteriori dedotti vizi delle comunicazioni in oggetto.

III - Esame del ricorso principale

3. - I tre motivi del ricorso principale - da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione - sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.

4. - Dal punto di vista della formulazione delle censure va precisato che, diversamente da quanto sostiene il controricorrente, non si ravvisano profili di inammissibilità, derivanti dal cumulo - che si riscontra in tutte e tre i motivi - di doglianze prospettate ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., in quanto nella trattazione sono ben evidenziate le doglianze relative, rispettivamente, all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie (che, pur essendo sempre le stesse, risultano chiaramente invocate per aspetti differenti) ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto e, quindi, ai vizi di motivazione (vedi, per tutte: Cass. 3 aprile 2013, n. 9793; Cass. SU 31 marzo 2009, n. 7770; Cass. 19 settembre 2012, n. 15242).

Va, infatti, precisato che, per l’esposizione delle censure nel ricorso per cassazione, non è prevista una forma rigida: ciò che si richiede è che il vizio denunciato rientri tra quelli espressamente indicati dall’art. 360 cod. proc. civ. (visto che giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata) e che il contenuto delle singole doglianze sia esposto in modo tale che risulti chiara la loro riconducibilità, in maniera immediata ed inequivocabile, ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali (Cass. 31 ottobre 2013, n. 24553).

Ne consegue che quando ciò si verifica, anche in presenza nella denuncia in un unico motivo di una pluralità vizi denunciati - come avviene nella specie - il ricorso è ammissibile; mentre il ricorso - o il singolo motivo - è inammissibile se nella esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione non è esplicitato in modo chiaro il contenuto della o delle - censure, il che può, più facilmente, accadere laddove si cumulino in un unico motivo censure riferite ad una pluralità di vizi tra quelli indicati dall’art. 360 cod. proc. civ., laddove si sovrappongano e confondano le diverse doglianze e, quindi, si finisca per richiedere un inesigibile intervento integrativo della Corte onde pervenire alla compiuta formulazione delle diverse censure (vedi, per tutte: Cass. 7 novembre 2013, n. 25044; Cass. 20 settembre 2013, n. 21611; Cass, 18 ottobre 2013, n. 23675; Cass. 31 ottobre 2013, n. 24553; Cass. 29 agosto 2011, n. 17739; Cass. 30 marzo 2007, n. 7891; Cass. 5 aprile 2006, n. 7882; Cass. 18 marzo 2002, n. 3941).

In altre parole, non è previsto alcun formalismo, ma si richiede solo il rispetto del canone della chiarezza e della sinteticità espositiva, che fa da sfondo a tutto il nostro codice di rito e che corrisponde all'obiettivo di favorire la emanazione di una decisione di merito onde assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., nell’ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all’art. 111, comma secondo, Cost., e in coerenza con l’art. 6 CEDU, nonché di evitare di gravare sia lo Stato che le parti di oneri processuali superflui (vedi, per tutte; Cass. 6 agosto 2014, n. 17698; Cass. 4 luglio 2012, n. 11199; Cass. 30 aprile 2014, n. 9488).

5. - Quanto al merito delle censure, va innanzitutto ribadito il costante orientamento di questa Corte secondo cui, in materia di licenziamenti collettivi per riduzione del personale, la disciplina di cui all’art. 24, in relazione alla L. 23 luglio 1991, n. 223, artt. 4 e 5, nel prevedere (agli artt. 4 e 5) la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del potere datoriale ha introdotto una profonda innovazione, consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale - esercitato, ex post. nel precedente assetto ordinamentale - ad un controllo ex ante sull’iniziativa imprenditoriale diretta ridimensionamento del livello occupazionale, devoluto alle organizzazioni sindacali, dotate di incisivi poteri di informazione, consultazione e di stipulazione di accordi gestionali, con la conseguenza che gli spazi residui - devoluti al giudice, in sede contenziosa - non riguardano i motivi specifici di riduzione del personale - cioè la sussistenza di effettive esigenze di riduzione o , trasformazione dell’attività produttiva - ma soltanto la legittimità e la correttezza della procedura, in relazione, essenzialmente, alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5, cit. (vedi, per tutte: Cass. SU 11 maggio 2000, n. 302; Cass. 24 ottobre 2008, n. 25758; Cass. 11 gennaio 2008, n. 528; Cass. 16 marzo 2007, n. 6225; Cass. 12 ottobre 1999, n. 11455).

Nell’ambito delle suindicate procedure - delle quali il giudice è chiamato a scrutinare, per quanto si è detto, soltanto legittimità e correttezza (in relazione, essenzialmente, alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5, cit.) - la comunicazione alle organizzazioni sindacali (di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 2 e 3, cit.) assolve la mera funzione di avvio delle stesse procedure, le quali possono esaurirsi con la comunicazione medesima - una volta che siano inutilmente decorsi i termini acceleratori, che scandiscono perentoriamente le fessi diverse della procedura (L. n. 223 del 1991, stesso art. 4, commi 5, 6 e 8, cit.) - oppure dare luogo ad esame congiunto (consultazione) - su richiesta delle organizzazioni sindacali - ed, eventualmente, alla stipulazione di accordo sindacale, "meramente gestionale" (vedi, per tutte: Cass. 16 settembre 2013 n. 21075; Cass. 24 ottobre 2008, n. 25758 cit.; Cass. 19 maggio 1995, n. 5517).

Soltanto "qualora non sia stato raggiunto l’accordo", il direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione - destinatario (ai sensi del comma 4) di copia della comunicazione di avvio della procedura (di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 2 e 3, cit) - "convoca le parti al fine di un ulteriore esame delle materie di cui al comma 5, anche formulando proposte per la realizzazione di un accordo" (L. n., 223 del 1991, art. 4, comma 7, cit.).

6. - Quando, invece, un accordo sindacale sia stato raggiunto - come nella specie - il controllo giurisdizionale ex post - su legittimità e correttezza della procedura (in relazione, essenzialmente, agli art. 4 e 5 legge 223/91, cit.) - si esaurisce nel verificare se risulti realizzata la funzione della comunicazione di avvio alle organizzazioni sindacali (di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 2 e 3, cit.), in dipendenza, appunto, della stipulazione dell'accordo, oppure se, ciononostante, la stessa comunicazione sia risultata tale da fuorviare od eludere l'esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti alle organizzazioni sindacali. Pertanto, in questo caso, eventuali vizi (quali l’incompletezza o l’erroneità) della stessa comunicazione di avvio della procedura (di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 2 e 3, cit.) non sono rilevanti, al fine della inefficacia del licenziamento, intimato all’esito della procedura stessa (ai sensi dell’art. 4, comma 9, in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3), a meno che risulti dimostrala, appunto, la idoneità effettiva dei vizi denunciati a fuorviare od eludere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti alle organizzazioni sindacali (in tal senso, vedi, per tutte, Cass. 12 gennaio 2008, n. 528 cit; Cass, 5 giugno 2003, n. 9015).

In questa ottica, in base a consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte, si è affermato che - rappresentando la comunicazione di avvio della procedura ex art. 4, comma 3, della legge a 223 del 1991 una cadenza essenziale per la proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato e per la trasparenza del processo decisionale del datore di lavoro - da un lato il lavoratore è legittimato a far valere l’incompletezza della comunicazione quale vizio del licenziamento e, d’altra parte, il successivo raggiungimento di un accordo sindacale, pur essendo rilevante ai fini del giudizio retrospettivo sull’adeguatezza della comunicazione, non sana ex se un eventuale deficit informativo, che il giudice del merito può accertare laddove sia emerso che il sindacato abbia partecipato alla trattativa, sfociata nell’intesa, senza piena consapevolezza dei dati di fatto di base (Cass. 6 aprile 2012, n. 5582; Cass. 20 marzo 2013, n. 6959; Cass. 2 marzo 2009, n. 5034; Cass. 12 novembre 2013, n. 25394).

7. - Ai sensi del comma 9 dell’art. 4 cit., ove sia stato raggiunto l’accordo sindacale ovvero si sia esaurita la procedura (amministrativa) di cui ai commi 6, 7 e 8, il datore di lavoro, prima di esercitare la facoltà di licenziare i dipendenti eccedenti, deve comunicare, per iscritto, a ciascun lavoratore il recesso e contestualmente, deve inviare all'Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla Commissione regionale per l’impiego" e alle OO.SS. comunicazioni scritte contenenti l’elenco dei lavoratori interessati dalla procedura "con l’indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell’età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all’art. 5, comma 1".

In più occasioni - anche con riguardo a procedure di riduzione dei personale di Istituti bancari - nella giurisprudenza di questa Corte è stato affermalo che, la verifica della sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 3, così come delle comunicazioni di cui all’art. 4, comma 9, deve essere effettuata in relazione alla tipologia di motivi della riduzione di personale (pur sottratti, in quanti tali, al controllo giurisdizionale, come si è detto), cosicché, ove il progetto imprenditoriale sia diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso tra i diversi profili professionali previsti dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, senza che occorra l’indicazione degli uffici o reparti con eccedenza, e ciò tanto più se è da escludere qualsiasi limitazione del controllo sindacale e si sia in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all’esito della procedura che, nell'ambito delle misure idonee a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, abbia adottato il criterio urico della scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione. Infatti, laddove si utilizzi tale ultimo criterio, può considerarsi corretta anche una comunicazione del tipo descritto, in quanto la natura oggettiva del criterio stesso rende superflua la comparazione con i lavoratori privi del requisito della pensionabilità prescelto (vedi, fra le tante: Cass. 26 agosto 2013, n. 19576; Cass. 17 aprile 2014, n. 8971; Cass. 11 luglio 2012, n. 11661).

Di qui la ritenuta erroneità della dichiarazione (da parte del giudice del merito) di illegittimità di una procedura del tipo descritto sulla base del "mero rilievo formale" che la comunicazione conteneva l'elenco dei soli lavoratori destinatari del provvedimento espulsivo e non di tutti i dipendenti fra i quali era stata operata la scelta, senza considerare che la comunicazione indicava specificamente il criterio di scelta, individuato in sede di accordo sindacale, nel possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione di anzianità o vecchiaia, la cui natura oggettiva rendeva superflua la comparazione con i lavoratori privi del requisito stesso (Cass. 6 giugno 2011, n. 12196).

8. - In altri termini, con riguardo al contenuto della suddetta comunicazione - così come di quella di cui all’art. 4, comma 3 - l’approccio ermeneutico di questa Corte non è mai stato di tipo formalistico, ma è sempre stato diretto a stabilire se in concreto fesse stata accertata l’idoneità dello svolgimento della procedura al fine di garantire la proficua partecipazione delle OO.SS. alla cogestione della crisi e la trasparenza del processo decisionale dei datore di lavoro, muovendo dalla premessa che, anche con riguardo ai procedimenti in oggetto, nella loro fase amministrativa, deve trovare applicazione il generale principio della "strumentalità delle forme", che attribuisce rilievo alla finalizzazione della forma per consentire il raggiungimento dello scopo dell’atto, sicché se tale scopo è raggiunto anche senza il rispetto di una certa formalità - che, quindi, nella specie non sia essenziale - l’atto è ugualmente valido.

Del resto, tale principio - che, per gli atti processuali, trova riscontro, sulla base dell’art. 156 cod. proc. civ., in una decennale giurisprudenza di questa Corte (Cass. 13 agosto 1981, n. 4921; Cass. 28 gennaio 2005, n. 1820; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726) oltre che nei principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. - da tempo viene applicato regolarmente al procedimento amministrativo, specialmente dopo che ne è avuto il recepimento da parte del legislatore (per effetto delle modifiche della legge n. 241 del 1990 introdotte dalla legge n. 15 del 2005), stabilendosi che non ad ogni irregolarità formale compiuta nel procedimento amministrativo può essere riconosciuta efficacia invalidante, occorrendo piuttosto verificare le ragioni per le quali determinati adempimenti sono previsti (vedi, per tutte: Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2011, n. 1290; Cons. Stato, sez. VI, 24 aprile 2011, n. 2482; Cons. Giust. Anrc. Reg. Sic., 5 febbraio 2014, n. 46).

9. - L’applicazione del suddetto principio alla presente fattispecie porta ad escludere che, nella specie, la omessa comunicazione alla Commissione regionale tripartita della Regione Calabria possa determinare l’inefficacia del licenziamento intimato al Brescia dal BANCO X s.p.a.

Infatti - anche a voler prescindere dalla diversità intrinseca della anzidetta comunicazione, al pari di quella all’Ufficio regionale del lavoro, rispetto alle comunicazioni al singolo lavoratore e alle OO.SS., tanto che, da tempo, è prevista dalla giurisprudenza la sanabilità della relativa mancanza (vedi, per tutte: Cass. SU 13 giugno 2000, n. 419), recepita dal legislatore con la legge n. 92 del 2012 - quel che conta è che la procedura di cui si tratta è scala avviata sulla base di un Accordo sindacale del BANCO X del 25 luglio 2008 preceduto dall’Accordo Quadro sottoscritto dalla Banca Capogruppo I. s.p.a. il giorno 8 luglio 2008 - con il quale si è convenuto il numero degli esuberi (pari a 187 dipendenti) e l’unico criterio di scelta (pensionabilità), di cui si sono definite le modalità applicative senza margini di discrezionalità datoriali. Inoltre, le comunicazioni ai singoli interessati sono state regolari cosi come quelle effettuate dal BANCO a tutte le Direzioni regionali del lavoro presso le quali vi erano unità produttive della società, così come a tutti i Centri per l’impiego delle Province interessate, alla DPL di Napoli, al Ministero del lavoro e alle OO.SS.

L’unica comunicazione risultata mancante è stata quella alla suindicata Commissione regionale tripartita, che è inclusa fra i destinatari delle comunicazioni di cui all’art. 4, comma 9, perché, in base all’art. 6 della legge n. 223 del 1991, svolge la rilevante funzione di approvare le liste di mobilità.

Ebbene, in base all’art. 16 della legge n. 223 del 1991, il presupposto di carattere oggettivo per l’indennità di mobilità è che l’impresa rientri nel campo di applicazione della disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale e, a sua volta, la facoltà di giovarsi di tale intervento - specificamente disciplinato in relazione alle diverse categorie di lavoratori e non connesso indissolubilmente a quello della mobilità, avente diversa natura, essendo legato a differenti presupposti - spetta soltanto in caso in cui sia espressamente prevista dalla relativa legislazione, la quale, laddove ne risulta la limitazione del campo di applicazione alle imprese industriali in senso stretto, si pone in rapporto di specialità rispetto alla normativa (art. 49 legge 9 marzo 1989 n. 88) riguardante l’inquadramento delle imprese ai fini previdenziali (vedi, per tutte: Cass. SU 10 dicembre 2004, n. 23078 e Cass. 25 gennaio 2007, n. 1675).

Ne risulta che le aziende che esercitano l’attività di credito, non essendo contemplate, ai suddetti fini, tra le imprese industriali in senso stretto e non essendo specificamente incluse tra quelle cui si applica la CIGS, non rientrano neppure tra quelle ai cui dipendenti è attribuibile l’indennità di mobilità, ai sensi del combinato disposto degli artt. 7 e 16 della legge n. 223 del 1991.

Pertanto, nella procedura di cui si tratta, la suddetta Commissione non era chiamata a svolgere alcuna specifica funzione.

10. - A fronte di tale situazione la Corte partenopea dopo avere operaio una "singolare" distinzione tra individuazione del "contenuto minimo" delle comunicazioni di cui all’art. 4, comma 9, cit. necessario per il raggiungimento del relativo scopo e assolvimento dell’onere di effettuare la comunicazione agli organi pubblici, afferma che tale ultimo onere risponde alla "diversa ratio" di consentire agli enti destinatari di adempiere ai compiti loro rispettivamente demandati dalla legge e poi, contraddittoriamente, esclude che l’onere di tate comunicazione alla Commissione sia, nella specie, derogabile per effetto della esclusione dei lavoratori del settore del credito dal novero degli aventi diritto all’indennità di mobilità.

È, pertanto, evidente che si tratta di una ricostruzione della vicenda del tutto formalistica e quindi in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in materia, ricostruzione che porta la Corte d’appello a concludere nel senso suddetto, sulla tese di una interpretazione altrettanto formalistica del combinato disposto dell’art. 4, commi 9 e 12, e dell’art. 24 della legge n. 223 del 1991, senza neppure considerare che, a fronte della palese irragionevolezza di tale risultato ermeneutico, in base all’art. 12 disp. prel cod. civ., non ci si sarebbe dovuti fermare al senso letterale delle parole delle suindicate disposizioni, ma si sarebbe dovuta indagare intenzione del legislatore alla stregua dei criteri di interpretazione logicosistematica e teleologica, da sempre praticata da questa Corte in materia (vedi, da ultimo: Cass. 6 febbraio 2015, n. 2271), sulla scorta dell’insegnamento della Corte costituzionale (vedi, al riguardo: Corte cost. sentenze n. 223 del 1991 e n. 445 del 1995).

11. - In questa ottica - diversamente da quante affermalo dalla Corte d’appello - il licenziamento di A.B. non può essere considerato inefficace in base all’art. 4, comma 12, della legge n. 223 del 1991, in quanto l’applicazione di tale sanzione presuppone che sia risultata mancante una comunicazione essenziale per fare sì che la procedura di licenziamento collettivo per riduzione del personale possa raggiungere lo scopo cui è preordinata, rappresentato dal consentire ai lavoratori interessati, alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi di controllare la correttezza e trasparenza della complessiva operazione e la rispondenza ad eventuali accordi raggiunti.

Nella specie, invece, è pacifico che:

a) nell’intera procedura si è avuta una proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte delle OO.SS. con la stipulazione di un Accordo sindacale, nel quale è stato individuato come unico criterio selettivo quello della vicinanza al pensionamento, di carattere auto applicativo;

b) è stata effettuata la prescritta comunicazione al lavoratore, che è stato pacificamente posto in condizione di controllare la regolarità dell’esercizio del potere datoriale di recesso e la sua coerenza con le scelte operate in precedenza in sede sindacale;

c) il BANCO ha regolarmente inoltrato le comunicazioni a tutte le Direzioni regionali del lavoro presso le quali vi erano unità produttive della società, cosi come a tutti i Centri per l’impiego delle Province interessate, alla DPL di Napoli, al Ministero del lavoro e alle OO.SS.

In detta situazione, l’omissione della sola comunicazione ex art. 4, comma 9, della legge n. 223 del 1991 alla Commissione regionale tripartita appare ininfluente sulla riscontrata correttezza dello svolgimento della procedura in tutte le sue articolazioni, dal momento che tale mancanza non ha inciso comunque sul raggiungimento dello scopo cui era preordinata l’intera procedura, visto che il personale del settore del credito non 6 incluso tra i beneficiari dell’indennità di mobilità, cui si collega l’intervento nella procedura della Commissione tripartita, sicché tale Commissione, nella specie, non era chiamata a svolgere alcun compito.

12. - Alle esposte considerazioni consegue l’accoglimento del ricorso principale, risultando che la Corte territoriale, con motivazione contraddittoria, non si è attenuta ai suindicati principi.

IV - Esame del ricorso incidentale

13. - Il motivo di ricorso incidentale condizionato deve essere respinto, per le ragioni di seguito esposte.

14. - Con tale motivo il B. contesta la statuizione con la quale la Corte partenopea ha respinto la censura del lavoratore volta a sostenere, sulla base dell’art. 3 della legge n. 218 del 1990, sia l’inapplicabilità, nei propri confronti, della legge n. 223 del 1991 sia la sussistenza del proprio diritto a giovarsi del regime più favorevole di cui agli art. 72 e ss. del d.P.R. n. 3 del 1957.

A tale conclusione la Corte d’appello è pervenuta sul duplice rilievo secondo cui: a) in base al comma 1 del richiamato art. 3 si prevedeva che ai dipendenti degli istituti di credito privatizzati avrebbero continuato ad applicarsi la normativa vigente alta data di entrata in vigore della legge stessa "fino al rinnovo del contratto collettivo nazionale di categoria o fino alla stipula di un nuovo contratto integrativo aziendale" e sicuramente dopo il 1990 sono stati stipulati i nuovi contratti collettivi; b) in ogni caso, dal comma 2 dal richiamato art. 3 della legge n. 218 cit. non potrebbe comunque derivare l’applicabilità, nella specie, del D.P.R. n. 3 del 1957, in quanto è da escludere che sia configurabile al riguardo un "diritto quesito" del B., come tale fatto salvo dal suindicato comma 2 dell’art. 3 cit.

Il B. sostiene che, viceversa, essendo il proprio rapporto di Lavoro nato quando il BANCO era un istituto di credito di diritto pubblico, ex art. 3 della legge n. 218 cit. ad esso sarebbe inapplicabile la legge n. 223 del 1991, sicché egli avrebbe avuto diritto all’applicazione della disciplina di maggior favore di cui agli artt. 72 e seguenti del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, mentre sarebbe inconferente il riferimento effettuato nella sentenza impugnata all’avvenuto rinnovo del contratto collettivo in epoca successiva al 1990, in quanto tale elemento sarebbe rilevante solo per le posizioni giuridiche dei dipendenti non consistenti in diritti quesiti e assimilati, quale è quello di cui si tratta.

15. - Come già affermato da questa Corte in analoga controversia, la tesi del B. è destituita di fondamento (vedi: Cass. 18 marzo 2005, n. 5936 e, nello stesso senso: Cass. SU 19 novembre 2001, n. 14538).

Infatti, tale tesi muove dall’erroneo presupposto secondo cui il regime di stabilità (e la complessiva configurazione) di un rapporto di lavoro con un ente pubblico economico, stabilito dal relativo regolamento, sopravviverebbe alla trasformazione dell'erte in società commerciale ed alla sostituzione del regolamento con un contratto collettivo di lavoro.

L’art. 3 della legge n. 218 del 1990, invocato dall’interessato, riferendosi alla detta trasformazione - come correttamente ritenuto dalla Certe partenopea - conserva le "disposizioni vigenti (ossia il regolamento) fino al rinnovo del contratto collettivo nazionale di categoria e fino dia stipula di un nuovo contratto integrativa aziendale" (primo comma) ed aggiunge nel secondo, comma la salvezza dei "diritti quesiti".

Tali debbono essere considerate le posizioni giuridiche soggettive che, sotto il profilo economico, siano già entrate nel patrimonio del prestatore di lavoro e, sotto il profilo giuridico, non si risolvano in mere aspettative ovvero possano già essere fette valere in giudizio attraverso un’azione di condanna oppure costitutiva o anche di mero accertamento.

Ne deriva che, non potendo configurarsi un diritto soggettivo alla stabilità, azionato dal lavoratore prima che il datore neghi la proseguibilità del rapporto di lavoro, tanto meno può parlarsi di un diritto quesito ai sensi dell’art. 3 cit.

Di cui il rigetto del ricorso incidentale condizionato.

V - Conclusioni

16. - In sintesi, il ricorso principale deve essere accolto e quello incidentale condizionato va respinto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti dì tatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto della domanda proposta dal B. con il ricorso introduttivo del giudizio.

La peculiarità fattuale della controversia in esame, la natura delle questioni trattate e la diversa soluzione, rispettivamente, adottata dai giudici dei due gradi di merito giustificano la compensazione delle spese dell’intero processo.

17.- Ai sensi dell’art. 384, primo comma, cod. proc. civ. si ritiene opportuno enunciare i seguenti principi di diritto:

1) "Nell’ipotesi di licenziamento collettivo per riduzione di personale, se pure, in linea generale, l’inefficacia del licenziamento, prevista dall’art. 5 della legge n. 223 del 1991, per il caso di inosservanza delle procedure di cui all’art. 4, può ricorrere anche nel caso di violazione della disposizione dell’art. 4, comma 9 (sulla comunicazione delle specifiche modalità di applicazione dei criteri di scelta, ai competenti Uffici del lavoro e alle Organizzazioni sindacali) - dovendosi escludere che l’accordo tra il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali faccia perdere rilevanza al mancato espletamento o al radicale stravolgimento della procedura medesima (vedi, per tutte: Cass. 15 luglio 2014, n. 16134) - tuttavia tale sanzione non è applicabile quando risulti, in concreto, che l’omissione di una delle comunicazioni previste dal citato art. 4, comma 9, non abbia impedito all’intera procedura, svoltasi correttamente tutte le sue articolazioni, di raggiungere lo scopo cui è preordinata, rappresentato dal consentire ai lavoratori interessati, alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi di controllare la correttezza e trasparenza della complessiva operazione e la rispondenza ad eventuali accordi raggiunti";

2) "Nell’ipotesi di licenziamento collettivo, in applicazione del generale principio della "strumentalità delle forme" del procedimento amministrativo, non può essere dichiarata la inefficacia del licenziamento laddove, nell’ambito di una procedura svoltasi in modo corretto e adeguato alle finalità cui è preordinata per legge, risulti omessa esclusivamente la comunicazione alla Commissione regionale indicata dall’art. 4, comma 9, della legge n. 223 del 1991 - che, in base all’art. 6 della stessa legge svolge, nella procedura il compito di approvare le liste di mobilità - e si tratti di un licenziamento collettivo per riduzione del personale da parte di una impresa non rientrante nel campo di applicazione della disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale, i cui dipendenti, quindi, non possono beneficiare dell’indennità di mobilità".

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorsi. Accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale condizionato. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso accolto, e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di cui al ricorso introduttivo del processo. Compensa, tra le parti, le spese dell’intero processo.