Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 maggio 2015, n. 8882

Lavoro subordinato - Contratto a tempo determinato - Mancata indicazione dell'orario lavorativo - Emolumento a favore del lavoratore ai sensi dell'art. 8 del D.Lgs. n. 61/2000 - Natura sanzionatoria - Conseguenze

 

Svolgimento del processo

 

La Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado (che aveva invece accolto le domande di M. C. F., dipendente dal 27 settembre 1988 di A. s.p.a. e fino all’1 ottobre 2002 a tempo parziale, dapprima inquadrata al VI e quindi al V livello, con mansioni di cuoca da febbraio 1988, accertandone il diritto all’inquadramento al IV livello CCNL del turismo, con relativa condanna della società datrice ad esso, alle differenze retributive e al risarcimento del danno, liquidato in € 3.000,00 oltre accessori, per unilaterale variazione dell’orario non contrattualmente stabilito), con sentenza 29 maggio 2008, rigettava la domanda di superiore inquadramento, compensando le spese di entrambi i gradi.

A motivo della decisione, la Corte territoriale escludeva la corretta qualificazione di inquadramento della lavoratrice al IV livello professionale, pure in assenza di cuoco responsabile dell’organizzazione della cucina, in quanto addetta ad attività rigorosamente procedimentalizzata, senza margini di autonomia, né di iniziativa; riteneva tuttavia, in difetto di previsione contrattuale, che l’orario lavorativo a tempo parziale non potesse essere unilateralmente determinato dalla società datrice, senza il consenso della predetta, in violazione dell’art. 8, secondo comma d.lg. 61/2000, essendole dovuto un emolumento risarcitorio per il disagio, indipendente dalla prova di esistenza di danno.

Con atto notificato il 17 settembre 2008, A. s.p.a. ricorre per cassazione con unico motivo, cui resiste M.C. F. con controricorso, contenente ricorso incidentale con quattro motivi, al quale replica A. s.p.a. con controricorso e successiva memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Con unico motivo, la datrice ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 8, secondo comma d.lg. 61/2000, 1223, 1226, 2056, 2059 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea qualificazione dell’emolumento previsto dalla prima norma a titolo sanzionatorio anziché risarcitorio, con la conseguente necessità di prova dell’esistenza di danno per la sua liquidazione.

Con il primo motivo, la lavoratrice a propria volta deduce, in via incidentale, violazione e falsa applicazione dell’art. 250 CCNL Turismo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per omessa considerazione, tra i profili professionali della declaratoria del V livello, della figura di "secondo cuoco di mensa aziendale", tenuto conto della natura deiresercizio delle proprie mansioni in un vero e proprio ristorante quale quello gestito dalla datrice.

Con il secondo, ella deduce omessa motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., per mancato accertamento, in base alle risultanze istruttorie, dell’attività concretamente svolta ai fini del proprio inquadramento, invece ritenuto sull'erroneo convincimento dell’assenza di un cuoco a predisporre il lavoro.

Con il terzo, la ricorrente incidentale deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 250 CCNL Turismo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per espressione dalla Corte territoriale di un giudizio qualitativo non previsto dalla declaratoria generale del IV livello, relativo ad esercizio di mansioni specifiche di natura anche tecnico-pratica "in condizioni di autonomia esecutiva", né dallo specifico profilo professionale di cuoco che "assicura il servizio in cucina

Con il quarto, ella deduce omessa motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., per inadeguato esame delle risultanze istruttorie, deponenti nel senso del proprio esercizio di mansioni autonome di cuoca, capace di assemblare ingredienti e cucinarli secondo i tempi corretti senza soggezione a direttive o controlli di altro cuoco.

L’unico motivo principale, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 8, secondo comma d.lg. 61/2000, 1223, 1226, 2056, 2059 c.c., per erronea qualificazione dell’emolumento previsto dalla prima norma a titolo sanzionatorio anziché risarcitorio, è infondato.

La norma speciale denunciata è chiara nel sanzionare (coerentemente con la rubrica titolata "Sanzioni"), nel lavoro a tempo determinato, la mancata indicazione dell’orario lavorativo (accertata in fatto, come illustrato dalla Corte territoriale a pg. 4 della sentenza) non unilateralmente variabile dal datore di lavoro in violazione dell’art. 3, settimo e nono comma d.lg. 61/2000, con il diritto del lavoratore "in aggiunta alla retribuzione dovuta, alla corresponsione di un ulteriore emolumento, a titolo di risarcimento del danno, da liquidarsi con valutazione equitativa e pertanto senza necessità di allegazione né di prova dell’esistenza di un danno, consistente nell’obiettivo disagio subito dal lavoratore per l’unilaterale determinazione datoriale, non consentita, delle modalità temporali di svolgimento della prestazione. È noto che l’applicazione di una sanzione, in ragione del riscontrato accertamento di una fattispecie concreta corrispondente al modello astratto, prescinda dalla mancata prova del danno procurato, a differenza di un addebito a titolo risarcitorio (Cass. 30 giugno 2006, n. 15131, con specifico riferimento a soprattasse, in materia tributaria).

Il primo motivo incidentale (violazione e falsa applicazione dell’art. 250 CCNL Turismo, per omessa considerazione, tra i profili professionali della declaratoria del V livello, della figura di "secondo cuoco di mensa aziendale") può essere esaminato, per intima connessione, congiuntamente con il secondo (omessa motivazione per mancato accertamento, in base alle risultanze istruttorie, dell’attività concretamente svolta da F. ai fini del suo inquadramento), con il terzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 250 CCNL Turismo, per espressione dalla Corte territoriale di un giudizio qualitativo non previsto dalla declaratoria generale del IV livello) e con il quarto (omessa motivazione, per inadeguato esame delle risultanze istruttorie, deponenti nel senso dell’esercizio da F. di mansioni autonome di cuoca).

Essi sono tutti infondati.

La Corte territoriale ha correttamente applicato la norma di CCNL denunciata, direttamente interpretabile in sede di legittimità in base al novellato art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. (Cass. 19 marzo 2014, n. 6335), neppure ricorrendo i presupposti di inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza, non controvertendo le parti sul testo letterale delle clausole del contratto collettivo, ma unicamente sulle conseguenze di diritto che da esse derivino e che il giudice di merito ne abbia tratto (Cass. 3 febbraio 2009, n. 2602).

E ben può essere qualificata alla stregua del V livello, e non del IV, l’attività di cuoca svolta dalla lavoratrice con le modalità standardizzate in fatto accertate dalla Corte territoriale (per le ragioni esposte a pg. 4 della sentenza), con una valutazione probatoria insindacabile in sede di legittimità (Cass. 27197/11; 6694/09; 5066/07), in base a motivazione congrua e corretta (a pgg. 3 e 4 della sentenza).

L’accertamento di fatto operato dal giudice di merito e la sua valutazione probatoria sono poi, come noto, insindacabili nel giudizio di legittimità, se non per violazione dei canoni di corretto ragionamento logico neppure denunciati e comunque non ricorrenti nel corretto ed esauriente percorso argomentativo della Corte territoriale.

Al giudice di legittimità spetta, infatti, non già il riesame nel merito dell’intera vicenda processuale, ma la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica e formale delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 marzo 2007, n. 5066). Soltanto il secondo avendo il compito in via esclusiva di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti, liberamente attribuendo prevalenza all’una o all’altra (Cass. 21 aprile 2006, n. 9368).

Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto di entrambi i ricorsi, con la compensazione delle spese del giudizio tra le parti.

 

P.Q.M.

 

Rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese del giudizio tra le parti.