Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 08 maggio 2015, n. 9392

Società di capitali - Società per azioni - Organi sociali - Collegio sindacale - Cause di incompatibilità - Rapporto di consulenza con la società riguardante il socio o l'associato - Sussistenza - Condizioni - Criterio della prevalenza dei ricavi derivanti dalla attività di consulenza - Applicabilità

 

Ragioni in fatto e in diritto della decisione

 

1. - Il Tribunale di Vicenza, con il decreto impugnato (depositato il 12.6.2008), ha rigettato l'opposizione allo stato passivo del fallimento della s.p.a. "C.R." proposta da M.A.T., il quale lamentava l'esclusione del proprio credito per compensi relativi all'attività di sindaco svolta negli anni 2005-2006 in favore della società.

Il tribunale ha condiviso la valutazione del giudice delegato secondo la quale l'opponente, in qualità di membro dello studio professionale "Dottori Commercialisti Associati", già consulente della società nello stesso periodo in cui l'istante esercitava le funzioni di sindaco, si trovava nella condizione di ineleggibilità prevista dall'art. 2399, lett. C), c.c., sussistente ogni qualvolta i proventi dell'attività di consulenza siano maggiori per l'associazione di professionisti e, di riflesso, per il suo componente-sindaco, rispetto a quelli che quest'ultimo percepisce per l'attività di controllo. Talché, essendosi l'opponente insinuato per un credito di euro 4.225,00 per l'anno 2005 e per euro 9.750,00 per l'anno 2006 nel mentre i proventi della consulenza ammontavano a euro 72.000,00, sussisteva l'eccepita ineleggibilità, la quale impediva il maturare del diritto al compenso.

1.1. - Contro il decreto del tribunale il creditore opponente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

Resiste con controricorso la curatela fallimentare intimata.

Nel giudizio è intervenuta, infine, la L.I. s.r.l., assuntore del concordato fallimentare della s.p.a. "C.R.".

1.2. - Va preliminarmente negata l'ammissibilità dell'intervento della L.I. s.r.l. Cass. 7441/2011, che quest'ultima invoca a fondamento della legittimità dell'intervento di terzi nel giudizio di cassazione, si riferisce infatti all'intervento del successore a titolo universale, giustificato dal subentro del medesimo in universum ius al dante causa; questa Corte invece non ha mai ammesso l'intervento nel giudizio di legittimità del terzo successore a titolo particolare, qual è l'assuntore del concordato fallimentare, ed ha anzi avuto occasione di escluderne espressamente l'ammissibilità proprio con riferimento all'ipotesi dell'assuntore (cfr. Cass. 7986/2011; Sez. 1, n. 2254/2015, relativa alla stessa interveniente).

2. - I primi due motivi, con i quali il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 96 l. fall, (primo motivo) nonché l'insufficienza di motivazione (secondo motivo) in ordine al rigetto del motivo di opposizione con il quale era stata lamentata la sostanziale omessa motivazione del provvedimento del giudice delegato, perché riferita alla fattispecie astratta (art. 2399 c.c.) senza alcuna specificazione, sono inammissibili.

Infatti, è applicabile all'opposizione allo stato passivo, avente pur sempre natura impugnatoria (Sez. 1, n. 7278/2013) il principio per il quale in virtù dell'effetto sostitutivo della pronuncia della sentenza resa sull'impugnazione e del principio secondo cui le nullità del provvedimento soggetto a gravame si convertono in motivi di impugnazione, non può essere denunciato in cassazione il vizio del provvedimento di primo grado - per il quale si deduce la mancanza di motivazione - non rilevato dal giudice del gravame (cfr. per l'appello Sez. L, n. 17072/2007; cfr. anche Sez. L, n. 12642/2014).

3. "Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la falsa applicazione dell'art. 2399 lett. C) c.c. e formula - ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis - il seguente quesito: se «nel fare applicazione dell'art. 2399 lett. c) c.c. e con riferimento agli "altri rapporti di natura patrimoniale" il Giudice deve valutare la compromissione dell'indipendenza del sindaco, socio pure di un'associazione professionale che fornisca consulenza alla medesima società di cui il sindaco sia revisore, in base alla comparazione tra il profitto che il sindaco riceve dalla società per la sua carica ed il totale dei profitti percepiti dall'associazione per le consulenze svolte (alla medesima società) o non deve piuttosto svolgere il confronto tra il valore dei profitti derivanti dalle consulenze alla società ed il totale dei profitti dello studio associato cui il sindaco appartiene>>.

3.1. - Il motivo è infondato.

Invero, da un lato questa Corte ha già. puntualizzato che la ratio sottesa alla causa di ineleggibilità per i sindaci delle società per azioni, prevista dall'art. 2399 cod. civ., come sostituito dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, "risiede nell’esigenza di garantire l'indipendenza di colui che è incaricato delle funzioni di controllo, in presenza di situazioni idonee a compromettere tale indipendenza, quando il controllore sia direttamente implicato nell'attività sulla quale dovrebbe, in seguito, esercitare dette funzioni di controllo" (Sez. 1, Sentenza n. 11554 del 09/05/2008); dall'altro, a fronte dell'ipotesi residuale di cui alla lett. c) della predetta disposizione, non pare dubbio che quella implicazione vada intesa come sussistente anche quando riguardi un socio o associato del sindaco. Peraltro, in siffatta ipotesi - come è stato rilevato in dottrina (orientamento fatto proprio dal provvedimento impugnato) - ciò che rileva è il rapporto associativo fra il sindaco ed il consulente, talché occorre valutare i profili di compromissione patrimoniale verificando quale sia la quantità dei ricavi derivanti dalla collaborazione altrui destinata a rifluire nel patrimonio personale del sindaco in rapporto all'entità del compenso sindacale, tenendo presente la sua posizione nella compagine associativa. In applicazione di tale criterio, occorre concludere che l'indipendenza del controllore sia messa in pericolo tutte le volte in cui egli si possa attendere dal rapporto di consulenza del suo associato un ritorno economico personale superiore a quello che gli deriva dalla retribuzione sindacale.

Peraltro, l'espressione "altri rapporti patrimoniali che ne compromettano l'indipendenza", nella sua indeterminatezza, affida al prudente apprezzamento del giudice di merito l'individuazione del criterio da seguire nella concreta fattispecie sottoposta al suo esame (oltre che la verifica della sussistenza in fatto dell'incompatibilità in base allo stesso criterio).

La violazione della norma è certamente insussistente, alla luce di quanto innanzi evidenziato, e la sostituzione di un criterio, come quello proposto dal ricorrente, a quello utilizzato dal giudice e intrinsecamente razionale, esula dal sindacato della corte di legittimità.

4. " Con il quarto motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione e formula la seguente sintesi ex art. 366 bis c.p.c.: «il Giudice ha motivato la scelta del criterio di prevalenza del profitto, nell'applicazione dell'art. 2399 lett. c) c.c., affermando che esso è idoneo a fornire un parametro valutazione della compromissione della serenità del sindaco nella sua attività di controllo.

Ha, cioè, detto che il criterio scelto è, di per sé, valido allo scopo, confondendo così il parametro con il fine per cui quello stesso deve essere utilizzato.

Ma la motivazione di una scelta può essere basata semplicemente sulla intrinseca bontà della scelta stessa per lo scopo perseguito, per dirsi sufficiente ?>>.

4.1. - Anche il quarto motivo è infondato.

Una volta indicato il criterio applicabile, il giudice di merito ha compiutamente assolto il dovere di motivazione, e non è configurabile alcuna insufficienza.

Nella specie, peraltro, il criterio alternativo proposto dal ricorrente non è utilmente applicabile, posto che esso è incentrato sull'interesse della stessa intera associazione, mentre nella fattispecie in esame è in gioco l'interesse del professionista associato.

Invero, è il sindaco che sarà condizionato, per non contraddire o svalutare la consulenza, e poco importa se per l'associazione il cliente è uno dei tanti.

5. - Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 2697 c.c. e formula il seguente quesito: «se il Tribunale, nell'applicazione del criterio prescelto per la determinazione della compromissione della indipendenza del sindaco ex art. 2399 lett. c) c.c. possa utilizzare, per effettuare tale comparazione, dei riferimenti numerici (quale il volume di fatturato della associazione professionale) semplicemente allegati dalla controparte e non supportati da alcuna prova, alla luce del disposto dell'art. 2697 c.c.>>.

5.1. - Secondo il ricorrente mancherebbe la prova che il criterio d'imparzialità adottato giustificasse la conclusione che il sindaco non era imparziale, perché a questo fine non potrebbe essere utilizzato un documento prodotto dal fallimento "tardivamente allegato".

Si tratta di una pura questione di merito, estranea al giudizio di cassazione (non si denuncia una violazione nella produzione del documento, ma il suo contenuto dimostrativo).

Talché la censura è inammissibile.

Il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità - liquidate in dispositivo - seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile l'intervento della s.r.l. L.I.; rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi oltre accessori e spese forfettarie come per legge.