Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 giugno 2015, n. 24772

Tributi - Reato di appropriazione indebita - Consulente fiscale - Omesso versamento imposte per conto del cliente

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con la sentenza indicata in epigrafe , la Corte di appello di Milano, dichiarato prescritto il reato ascritto al capo a), limitatamente ai fatti commessi in tempo anteriore al 21 gennaio 2005, ed il reato di cui al capo b) perché estinti per prescrizione, rideterminata la pena per il residuo reato di cui al capo a), esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 cod.pen., in mesi 11 di reclusione ed euro 400,00 di multa, confermava la sentenza del Tribunale di Milano, del 21.1.2015 per i reati di seguito indicati:

A) del reato p. e p. dagli artt. 99 cpv., 646, 61, 1° co. nn. 7 e 11) c.p. perché, compiendo più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di trarne un ingiusto profitto, in qualità di consulente fiscale fin dagli anni 70 di P.G. presso lo S.P. S.r.l. con sede in Milano, in via X, si appropriava, sottraendola alla proprietaria P.G. della somma complessiva di 9.591,51 consegnatagli da P.G. per pagare le imposte IRPEF relative agli anni 2002, 2003, 2004, 2005, 2006 e 2007, somma che non restituiva alla predetta P. nonostante le sue reiterate richieste.

Fatti aggravati perché commessi con abuso di relazioni d’ufficio e di prestazione d’opera e fatti aggravati perché cagionavano alla P.O. un danno patrimoniale di rilevante entità.

Fatti aggravati per la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale.

Fatti commessi in Milano in epoca anteriore e prossima al 23/05/2008 e con permanenza attuale.

B) del reato p. e p. dagli arti. 99 cpv, 646, 61, 1° co. nn. 7 e 11) c.p. perché, compiendo più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di trarne un ingiusto profitto, in qualità di consulente fiscale di R.G.M. e P.L. presso lo S.P. S.r.l. con sede in Milano, in via X. n. (...) si appropriava, sottraendola ai loro proprietari, delle somme consegnategli dai predetti R.G.M. e P.L. per pagare le imposte IRPEF relative agli anni 2002, 2003, 2004 e 2005, pari a complessivi 20.800,33, somme che non restituiva a questi ultimi nonostante le loro reiterate richieste.

Fatti aggravati perché commessi con abuso di relazioni d'ufficio e di prestazione d’opera e fatti aggravati perché cagionavano alle PP.OO. un danno patrimoniale di rilevante entità, consistente nella iscrizione ipotecaria da parte dell’Agenzia delle Entrate di Milano, a causa del mancato pagamento delle imposte per gli anni sopra descritti, sull’immobile sito in X. di cui al f.g. mapp. Sub., in comproprietà di R.G.M. e P.L.

Fatti aggravati per la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale.

Fatti commessi in Milano in epoca anteriore e prossima al 26/01/2006 e con permanenza attuale.

1.1 Avverso tale sentenza propone ricorso l'avvocato F. F., difensore di fiducia dell’imputato che chiede l'annullamento della sentenza e deduce a motivo:

a) la violazione dell’art. 606 lettera e) c.p.p. per inosservanza dell’art. 521 c.p.p. e per illogicità della motivazione nella parte in cui ha ritenuto non determinante, ai fini della sussistenza del reato di appropriazione indebita, il mancato invio della cartella esattoriale alla P.

b) la violazione dell’art. 606 lettera e) c.p.p. per la manifesta illogicità della sentenza nel punto in cui ha ritenuto ininfluente conoscere l’esatto ammontare del credito vantato dal fisco nei confronti delle parti lese e la carenza di motivazione circa il mancato accertamento della reale causa delle dazioni di denaro a V., da parte delle sue clienti;

c) la violazione dell’art. 606 lettera e) c.p.p. per manifesta illogicità della motivazione circa il mancato "recupero" del giudizio abbreviato, condizionato all’acquisizione di documentazione relativa ai crediti vantati dall’Agenzia delle Entrate verso i clienti di V.;

d) la violazione dell’ art. 606 lettera b) c.p.p. per erronea applicazione dell'art. 99 quarto comma c.p., e la necessità che la recidiva, per poter applicare le forme aggravate, sia stata in precedenza dichiarata dal giudice della cognizione.

 

Considerato in diritto

 

2. Il ricorso è inammissibile perché è basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità ovvero manifestamente infondati.

2.1 I motivi di ricorso sono, infatti, la pedissequa riproposizione di motivi già proposti con l’appello, tutti già scrutinati dalla Corte di merito e già respinti con una motivazione correttamente argomentata e priva di illogicità manifeste.

2.3 La Corte, in modo assai pertinente, ha escluso che possa ravvisarsi un mutamento radicale del fatto di indebita appropriazione addebitato al V., a causa dell’omesso accertamento delle infrazioni tributarie da parte dell’Agenzia delle Entrate ovvero a causa dell’incertezza sull’ammontare esatto dei debiti tributari gravanti sulle parte lese a causa del mancato assolvimento dell’obbligo di pagare l’imposta IRPEF, sicché è da escludere ogni mutamento dell’accusa mossa al V. con conseguente appropriata valutazione di inutilità (peraltro neanche censurabile in questa sede, attenendo al merito di una decisione, correttamente motivata) della integrazione probatoria cui la difesa aveva condizionato il consenso al rito abbreviato.

2.4 L’impugnazione proprio perché incentrata sui medesimi temi già devoluti in appello, è generica e si pone fuori dal dettato dell’art. 581 cod.proc.pen., perché non conformandosi ad una critica ragionata delle argomentazioni formulate dai giudici dell’appello, si apprezza del tutto pleonastica ed aspecifica oltre che avulsa dalla dialettica del processo.

2.5 E’ stato già affermato da questa Corte che, in tema di impugnazioni, il requisito della specificità dei motivi di appello è rispettato quando l'atto di impugnazione individua il punto che intende devolvere alla cognizione del giudice del gravame, enucleandolo con riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, e specificando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l'oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice "ad quem". (n. 48422 del 2013 rv 257506).

2.6 E ciò sia perché il carattere autonomo di ogni impugnazione postula che essa rechi in sè tutti i requisiti voluti dalla legge per provocare e consentire il controllo devoluto al giudice superiore, sia perché in tale caso i motivi non assolvono la loro funzione tipica di critica, ma si risolvono in una mera apparenza (Cass, Sez. 6^, 29.10.96, n. 12, Del Vecchio; id., 7.4.88, n. 12023, D'Alterio).

2.6 Il motivo relativo alla recidiva oltre che reiterativo perché già scrutinato, è anche manifestamente infondato, perché le decisioni di legittimità che si richiamano a conferma di quanto dedotto, attengono al diverso tema della contestazione dell’aggravante.

2.7 In tema di dichiarazione della recidiva, secondo la radicata e consolidata giurisprudenza di questa Corte, che questo Collegio condivide, è stato affermato che "la circostanza che il terzo comma dell’art. 99 cod. pen., nel prevedere l'aumento di pena per effetto della recidiva reiterata, faccia riferimento al recidivo che commette un altro reato, non suffraga la tesi secondo cui in tanto la recidiva reiterata può essere contestata in quanto in precedenza sia stata dichiarata giudizialmente la recidiva semplice. Infatti, dalla lettura, della norma emerge evidente che il termine "recidivo" è stato usato dal legislatore per comodità di esposizione, per non ripetere la definizione contenuta nel primo comma dello stesso articolo e non già per indicare una qualità del soggetto giudizialmente affermata. Ne deriva che la recidiva reiterala può essere riconosciuta in sede di cognizione anche quando in precedenza non sia stata dichiarata giudizialmente la recidiva semplice" (n. 6424 del 1993 Rv. 195127; n. 18701 del 2010 rv 247089; n. 41288 del 2008 Rv. 241598; n. 24023 del 2003 Rv.225233). Ne consegue, nel caso in esame che il reato per il quale si procede non si è prescritto, dovendosi applicare, per il corretto computo del termine, l'aumento di due terzi al termine ordinario di prescrizione, secondo la previsione in tal senso ai casi di cui all'art. 99 cod.pen., comma 4.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro 1.000,00 (mille/00).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.