Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 giugno 2015, n. 12124

Licenziamento - Reintegra - Provvedimento esecutivo ma provvisorio, in seguito caducato - Restituzione della retribuzione pagata - Ripetizione contributi previdenziali versati - Diritto prestazione pensionistica lavoratore - Non sussiste

 

Svolgimento del processo

 

Il lavoratore, licenziato il 28/7/97, ripreso il rapporto (con pagamento della retribuzione, ma senza prestazione di lavoro, nonostante l'offerta della stessa) nel periodo seguente fino al 31/10/03 per effetto di reintegrazione giudiziale poi annullata dalla Cassazione, chiedeva la condanna dell'INPS al pagamento della pensione di anzianità, negatagli dall'Istituto sul presupposto dell'incapienza contributiva relativamente al periodo successivo al licenziamento, per il quale il datore di lavoro aveva chiesto di ripetere quanto versato a titolo di contributi.

Con sentenza 25/10/07, la corte d'appello di Palermo, confermando la sentenza del 29/3/2005 del tribunale di Trapani, ritenuta la natura risardtoria delle somme versate net periodo in questione dal datore di lavoro, ha escluso la computabilità del periodo lavorato a fini pensionistici.

Avverso tale sentenza ricorre il lavoratore con due motivi, illustrati da memoria; resiste la società con controricorso; l'INPS è rimasto intimato, partecipando alla sola udienza di discussione. Con il primo motivo di ricorso si deduce (ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c.) violazione dell'art. 18 Stat. Lav., per avere trascurato la natura retributiva delle somme corrisposte sulla base di reintegra eseguita, poi venuta meno giudizialmente, e conseguentemente la loro irripetibilità.

Con il secondo motivo si lamenta (ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c.), violazione degli artt. 18 stat. Lav., 2126 e 1362 c.c., per le ragioni indicate nel motivo che precede.

 

Motivi della decisione

 

Le parti controvertono sulla questione se siano dovuti i contributi previdenziali per il periodo che va dalla reintegrazione giudiziale del lavoratore licenziato alla sentenza (nella specie, di legittimità) che dichiara definitivamente legittimo il licenziamento.

Occorre premettere peraltro, che, secondo quanto risulta dagli atti, nel detto periodo il lavoratore non ha reso la prestazione, pur avendola offerta, in quanto il datore di lavoro gli ha corrisposto la retribuzione senza ammetterlo al lavoro. Non vi è stata dunque prestazione lavorativa con pagamento di somme con natura retributiva (ipotesi nella quale potrebbe trovare applicazione estensiva l'art. 2126 cod. civ., con conseguente consolidamento dei contributi versati sulla posizione contributiva del lavoratore), ma solo una parziale esecuzione da parte del datore di un provvedimento giudiziale non definitivo (ma provvisoriamente esecutivo), senza che ciò abbia comportato una prestazione lavorativa di fatto.

Ne deriva, a giudizio del collegio, che la successiva caducazione del titolo alla base della reintegrazione importa - quale che sia la qualificazione giuridica delle somme corrisposte - l'obbligo del lavoratore di restituire le retribuzioni medio tempore corrisposte.

Infatti, se la valutazione della fattispecie deve operarsi in relazione a quanto accertato dall'ultima sentenza, e dunque in termini di legittimità del licenziamento, non può che restare irrilevante che la mancata prestazione di lavoro sia derivata da scelta del datore, in quanto l'iniziale ricostruzione della fattispecie in termini di inadempimento datoriale a quello che era un originario obbligo di riammissione del lavoratore non può che cedere il passo una volta che, ex post, il detto obbligo non è più configurabile).

Analogamente, i termini del problema non mutano anche a considerare l'eventuale adempimento medio tempore da parte del lavoratore degli obblighi accessori del rapporto derivanti dalla ricostituzione dell'impegno contrattuale esclusivo del lavoratore verso il datore, atteso che il lavoratore che esegue la sentenza - esecutiva, ma non definitiva - a lui favorevole lo fa a proprio rischio e pericolo, sicché, ove sarà poi dimostrata la legittimità del recesso datoriale, eventuali effetti irreversibili derivati dalla provvisoria ricostituzione del rapporto di lavoro resteranno a suo carico.

Correlativamente, una volta affermato l'obbligo del lavoratore di restituire le retribuzioni medio tempore corrisposte, non può che ritenersi che a decorrere dal licenziamento (successivamente dichiarato legittimo) viene meno altresì l'obbligo contributivo del datore di lavoro, che si ricollega per legge (art. 6 d.l., n. 636/1939, conv, in I. n. 1272/39) al pagamento della retribuzione, nella quale ha il proprio presupposto giuridico (oltre che il proprio riferimento ai fini della quantificazione del dovuto).

Il datore che abbia provveduto al pagamento dei contributi potrà ripeterli in quanto (una volta che il licenziamento è dichiarato legittimo) il pagamento va qualificato come indebito.

Tale soluzione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte (Sez. L, Sentenza n, 11091 del 26/05/2005) che ha affermato, con specifico riferimento alla materia contributiva, che, in caso di rinuncia, in appello, agli effetti della sentenza di reintegrazione pronunciata in primo grado, il rapporto di lavoro deve ritenersi estinto dalla data del licenziamento restando escluso qualsiasi diritto alle retribuzioni nel periodo intercorso fino alla sentenza; ne consegue l’esclusione anche dell'obbligo contributivo, in conseguenza dell’estinzione del rapporto di lavoro determinato dal licenziamento, la cui efficacia è stata confermata con la rinuncia all'impugnazione.

Il principio è peraltro una conseguenza indiretta della ripetibilità della retribuzione corrisposta nella descritta situazione, principio consolidato in sede di legittimità, essendosi ripetutamente affermato (Sez. L, Sentenza n. 4943 del 01/04/2003; Sez. L, Sentenza n. 16037 del 17/08/2004; Sez. L, Sentenza n. 8263 del 17/06/2000; Sez. L, Sentenza n. 7543 del 30/03/2006) che tutti gli importi erogati dal datore di lavoro in esecuzione della sentenza che ordina la reintegrazione del lavoratore licenziato, anche per il periodo successivo alla data di detta decisione, costituiscono, ai sensi dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 (nel nuovo testo introdotto dalla legge n. 108 del 1990) risarcimento del danno derivante dall'illegittimo licenziamento e come tali sono interamente ripetibili a seguito della sentenza di riforma in appello che esclude con effetto immediato l’illecito e l'obbligo di risarcimento (con riferimento alla ripetibilità delle somme corrisposte in esecuzione di un provvedimento d'urgenza "ante causam", emanato ai sensi dell'art. 700 cod. proc. civ., successivamente revocato dalla sentenza di merito che accerti la legittimità del recesso, Sez. 6 - L, Ordinanza n. 15251 del 03/07/2014; nel senso, invece, che, nel caso di licenziamento dichiarato illegittimo ai sensi dell'art. 18 legge n. 300 del 1970, il rapporto di lavoro prosegue, anche in assenza di effettive prestazioni lavorative, fino al momento della reintegra del lavoratore licenziato ovvero fino alla transazione - eventualmente intervenuta successivamente alla sentenza di reintegra - che pone termine al rapporto, e nel senso che ne consegue, in tale ultima ipotesi, che il datore di lavoro è obbligato a pagare i contributi previdenziali sulla somma corrisposta al lavoratore, comunque qualificata nella sede transattiva, e fino ad un ammontare corrispondente alla misura della retribuzione dovuta in base al contratto di lavoro, Sez. L, Sentenza n. 3487 del 07/03/2003, Rv. 560997 e Sez. L, Sentenza n. 5639 del 17/04/2001, Rv. 545976).

Può dunque affermarsi che non sono dovuti i contributi previdenziali (e se corrisposti dal datore all'ente previdenziale, essi sono ripetibili) per il periodo che va dalla reintegrazione giudiziale del lavoratore licenziato alla sentenza che dichiara definitivamente legittimo il licenziamento, ove nel detto periodo il lavoratore non abbia reso la prestazione, pur avendola offerta (in quanto il datore di lavoro gli ha corrisposto la retribuzione senza ammetterlo al lavoro).

In presenza della scopertura contributiva relativa al periodo in questione, è pacifico che al lavoratore non competeva la prestazione previdenziale richiesta per difetto del requisito contributivo, mentre per altro verso deve escludersi l'operatività del principio di automaticità delle prestazioni previdenziali, previsto per il caso in cui il datore non corrisponda i contributi, riferendosi il principio a somme omesse ma pur sempre dovute dal datore.

Il ricorso deve dunque essere rigettato.

Le spese di lite possono essere compensate, attesa la novità della specifica questione trattata relativamente airobbligo contributivo datoriale.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa le spese.