Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 maggio 2015, n. 8983

Contratto di agenzia - Recesso del preponente - Efficacia interruttiva della prescrizione del credito dell'agente per l'indennità di cessazione del rapporto - Configurabilità

 

Svolgimento del processo

 

Il 21/9/1989 la T. S.p.A. (ora A.X.A. Montepaschi Assicurazione Danni d’ora innanzi semplicemente A.X.A.) revocava per asserita giusta causa il mandato di Agenzia conferito ad A. s.a.s.

Con citazione del 22/12/1989 A. s.a.s. conveniva in giudizio A.X.A. per la declaratoria dell’invalidità della revoca del mandato per insussistenza della giusta causa con riserva di chiedere i danni; il giudizio (nel quale confluiva altra causa di opposizione a decreto ingiuntivo con eccezione di compensazione con crediti vantati da A.) era definito con sentenza della Corte di Appello di Roma (che aveva escluso la giusta causa) passata in giudicato a seguito di sentenza di questa Corte pronunciata il 20/5/2008.

Con citazione 15/11/2010 A. conveniva in giudizio A.X.A. per chiederne la condanna al pagamento della somma di euro 69.346,40 oltre interessi e svalutazione a titolo di residua indennità per la revoca del mandato senza giusta causa.

La domanda era accolta con sentenza del 29/11/2012 del tribunale di Palermo che rigettava l’eccezione di prescrizione di A.X.A.

L’appello di A.X.A., che censurava la statuizione con la quale era rigettata l’eccezione di prescrizione, era rigettato dalla Corte di Appello di Palermo con sentenza del 27/1/2014 che poneva a fondamento esclusivo della propria decisione l’assunto secondo il quale il credito azionato da A. era sorto solo a seguito del definitivo accertamento del difetto di giusta causa della revoca del rapporto di agenzia, intervenuto solo a seguito della sentenza di questa Corte pronunciata il 20/5/2008 e che solo dalla pronuncia della Cassazione A. poteva far valere il diritto al pagamento A.X.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi e ha depositato memoria.

A. ha resistito con controricorso e ha depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso A.X.A. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2934, 2935, 2945, 2962 e 2963 c.c.

La ricorrente sostiene che è stato violato il principio stabilito dall’art. 2935 c.c., secondo il quale la prescrizione decorre solo dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, in quanto la Corte di Appello ha inteso la norma come riferibile all’accertamento giudiziale del presupposto del diritto (l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento), mentre la pendenza del giudizio di accertamento dell’illegittimità del recesso non costituiva impedimento a far valere il diritto al pagamento dell’indennità.

La ricorrente aggiunge:

- che dalla sentenza n. 12768/08 di questa Corte (che ha determinato il passaggio in giudicato della statuizione sull’illegittimità del recesso di A.X.A.) risulta che i giudici di appello avevano ritenute abbandonate le richieste di condanna dell’appellato al pagamento delle maggiori somme dovute per provvigioni e indennità e che pertanto l’abbandono della domanda, da qualificarsi come rinuncia, avrebbe in ogni caso precluso il prodursi dell’effetto interruttivo permanente della prescrizione;

- che neppure l’effetto interruttivo poteva prodursi dalla proposizione, nel giudizio di cassazione, della domanda, da parte di A., di Montepaschi Assicurazioni (ora A.X.A.) della differenza di quanto dovuto per il recesso illegittimo, in quanto questa Corte aveva ritenuto inammissibile tale domanda e la domanda inammissibile è inidonea ad interrompere la prescrizione, tanto più che la domanda era stata formulata con ricorso incidentale che non viene notificato alla parte personalmente;

- che neppure l’istanza di conciliazione poteva valere come atto interruttivo, non essendo affermato che fosse indirizzata alla ricorrente e non riguardando la materia del lavoro;

- che dalla lettura della motivazione della sentenza 12768/08 il ricorso incidentale inammissibile si riferiva ad una differenza tra quanto dovuto e quanto spettante senza una distinzione tra crediti,

1.1 II motivo è infondato in quanto la richiesta giudiziale di declaratoria di illegittimità del recesso aveva introdotto un giudizio definito solo con la sentenza 20/5/2008 n. 12768 di questa Corte e tale richiesta costituiva atto di esercizio del credito del diritto di credito ai sensi dell’art. 2943 c.c. che attribuisce effetto interruttivo ad ogni atto con il quale si inizia un giudizio, come, d’altra parte osservato anche dalla controricorrente Assiservice a pagina 12 del controricorso, laddove si sottoilinea che l’effetto interruttivo così prodottosi, si è protratto fino al 20 Maggio 2008, data della sentenza di questa Corte che ha definito il giudizio sull’illegittimità del recesso.

L’indennità dovuta per illegittimo recesso (essendo stato definitivamente accertato come illegittimo il recesso della società di Assicurazione), in ordine alla quale la A.X.A. eccepisce la prescrizione, costituisce un diritto di credito necessariamente ed esclusivamente dipendente dall’accertamento dell’illegittimità del recesso e resta quindi applicabile il principio, già da tempo affermato da questa Corte, secondo il quale la domanda giudiziale proposta davanti ad un giudice da uno dei soggetti di un rapporto giuridico ed avente ad oggetto la sussistenza o meno degli elementi costitutivi del rapporto stesso, ha efficacia interruttiva della prescrizione ai sensi degli articoli 2943 e 2945 cod. civ. con riguardo a tutti i diritti che si ricolleghino con stretto nesso di causalità a quel rapporto senza necessità che il loro titolare proponga nello stesso (o in altro) giudizio una specifica domanda diretta a farli valere.

In tal senso si è già espressa questa Corte (Cass. 1/10/1997 n. 9589) decidendo una controversia analoga alla presente nella quale era stata proposta domanda volta a far dichiarare l'illegittimità di un licenziamento ed era stato ritenuto che la domanda interrompesse la prescrizione del diritto al pagamento delle indennità supplementari previste dall'art. 19 del c.c.n.l. dei dirigenti di aziende industriali, a prescindere dalla formulazione di una specifica richiesta; gli stessi principi sono stati riaffermati da Cass. 4/9/2007 n. 18570 (così in massima: la proposizione della domanda giudiziale ha efficacia interruttiva della prescrizione che si protrae fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ai sensi dell'art. 2945 cod. civ., con riguardo a tutti i diritti che si ricolleghino con stretto nesso di causalità a quel rapporto, senza che occorra che il loro titolare proponga, nello stesso o in altro giudico, una specifica domanda diretta a farli valere, ed anche quando tale domanda non sia proponibile nel giudico pendente... conseguentemente, la domanda giudiziale di qualifica superiore interrompe la prescrizione del diritto alle differente retributive consequenziali) e, più recentemente, sempre in applicazione degli stessi principi si è affermato che la proposizione dell'azione revocatoria, al fine di garantire la soddisfazione di un diritto di credito risarcitorio produce, ai sensi degli art. 2943 e 2945 cod. civ., l'effetto interruttivo-sospensivo della prescrizione di tale diritto, pur se quest'ultimo sia azionato solo successivamente in autonomo giudizio, trattandosi di un comportamento univocamente finalizzato a manifestare la volontà di esercitare specificamente il diritto medesimo, benché mediante l'attivazione preventiva di un altro giudizio, peraltro ad esso teleologicamente connesso invia esclusiva (Cass. 18/1/2011 n. 1084). Ancor più recentemente questa Corte, seppure in una fattispecie non perfettamente sovrapponibile alla presente, ha espresso un orientamento non dissonante dai precedenti sopra richiamati osservando che la domanda di annullamento dell'atto proposta al giudice amministrativo nell'assetto normativo anteriore alla concentrazione davanti allo stesso di ogni tutela, pur non costituendo il prodromo necessario per conseguire il risarcimento dei danni, dimostra la volontà della parte di reagire all'azione autoritativa reputata illegittima e quindi interrompe per tutta la durata del processo amministrativo il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria (Cass. S.U. 3/12/2014 n. 25572).

I suddetti principi, nella fattispecie applicabili (stante la stretta dipendenza tra l’accertamento dell’illegittimità del recesso e i crediti che solo dall’accertata illegittimità scaturivano) sono qui condivisi in quanto coerenti con le ragioni stesse dell’esistenza dell’istituto della prescrizione, sia che si ravvisino nell’interesse pubblico alla certezza del diritto, sia che si ravvisino nella volontà di sanzionare l’inerzia del titolare del diritto o nella presunzione di carenza di interesse del titolare che per un tempo considerevole non invoca la tutela concessagli dall’ordinamento o, infine, nella ritenuta opportunità di estinguere il diritto che limita l’attività di un altro soggetto quando il titolare non lo eserciti.

Nella fattispecie nessuna di queste ragioni ricorre in quanto A. ha tempestivamente messo in discussione, instaurando il contenzioso davanti al giudice, la legittimità del recesso senza giusta causa esercitato da A.X.A. (all’epoca T. s.p.a.); il diritto al pagamento delle indennità per recesso senza giusta causa si ricollega con un nesso di causalità esclusivo proprio alla definizione del contenzioso sull’illegittimità del recesso e, d’altra parte, non si vede quale altra ragione potrebbe giustificare l’iniziativa giudiziaria dell’agente, se non proprio e solo quella di ottenere il pagamento della suddetta indennità. Secondo la relazione al codice l’istituto della prescrizione non avrebbe la funzione di sanzionare l’inerzia del titolare di un diritto, ma di garantire la certezza dei rapporti giuridici, dal che la conseguenza che la decorrenza della prescrizione dal giorno in cui il diritto può farsi valere dovrebbe essere intesa come riferita solo alla possibilità legale, restando irrilevante l’impossibilità di mero fatto, ma per le ragioni già evidenziate, neppure questa "ratio" viene qui in rilievo, perché lo stesso rapporto giuridico dal quale discendeva o meno il diritto al pagamento era posto in discussione con l’iniziativa giudiziaria.

In questo senso deve essere semplicemente integrata ai sensi dell’art. 384 c.p.c. la motivazione della sentenza impugnata, precisandosi che, pur essendo corretta l’affermazione della Corte di Appello secondo la quale A. non poteva far valere (nel senso che non poteva ottenere il riconoscimento del diritto) il diritto al pagamento della indennità di fine rapporto fino al passaggio in giudicato della sentenza che accertava l’illegittimità del recesso, occorre rilevare (come del resto osservato anche dalla controricorrente alla pag. 12 del controricorso) che la prescrizione del diritto era interrotta proprio per l’effetto interruttivo della domanda di accertamento della illegittimità del recesso e tale effetto si è protratto fino al passaggio in giudicato della sentenza che ha definisce il giudizio sull’illegittimità del recesso.

Gli ulteriori argomenti sviluppati nel motivo sono assorbiti e comunque infondati. La ricorrente, come detto, assume che dalla sentenza n. 12768/08 di questa Corte (che ha determinato il passaggio in giudicato della statuizione sull’illegittimità del recesso di A.X.A.) risulta che i giudici di appello avessero ritenute abbandonate le richieste di condanna dell’appellato al pagamento delle maggiori somme dovute per provvigioni e indennità e che pertanto l’abbandono della domanda, da qualificarsi come rinuncia, avrebbe in ogni caso precluso il prodursi dell’effetto interruttivo permanente della prescrizione.

Tuttavia il ricorrente non deduce il formarsi di un giudicato esterno sul rigetto della domanda di pagamento delle dovute indennità, peraltro sicuramente insussistente perché la domanda non riproposta nella specie ben poteva essere riproposta in altro giudizio; il fatto che non sia stata esaminata nel precedente giudizio dalla Corte di Appello la domanda di condanna al pagamento dell’indennità non incide sull’effetto interruttivo prodottosi a seguito della domanda di accertamento dell’illegittimità del recesso e sul permanere di tale effetto, per le ragioni già in precedenza evidenziate.

Le censure dirette ad escludere l’effetto interruttivo dalla proposizione di una domanda inammissibile e dell’istanza di conciliazione risultano di conseguenza irrilevanti; va comunque ricordata, in diritto (per segnalare anche l’infondatezza delle tesi della ricorrente), la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale:

- la domanda proposta per la prima volta nel corso del giudizio di appello ha efficacia interruttiva della prescrizione ai sensi dell'art. 2943, secondo comma, c.c., e tale effetto si protrae fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ai sensi dell'art. 2945 c.c., non rilevando, ai fini dell'esclusione dell'effetto interruttivo, il fatto che la domanda sia dichiarata inammissibile ai sensi dell'art. 345 c.p.c. in quanto nuova, nè il fatto che essa sia sottoscritta dal solo procuratore "ad litem" e non anche dalla parte personalmente (Cass. 11/1/2006 n. 255);

- al pari dell'atto introduttivo del giudizio, l'atto con il quale è proposta la domanda in corso di causa deve recare la sottoscrizione del procuratore ad litem del titolare del diritto prescrivendo, ma a differenza dell’atto introduttivo, non occorre che sia notificato; ciò perché la pendenza della lite ne garantisce la conoscenza e non perché l'atto non abbia natura recettizia, salvo il caso di contumacia del soggetto passivo, nel quale la domanda va notificata (così, in motivazione, Cass. n. 696/02 e Cass. 14/12/2012 n. 23017);

- anche la convocazione avanti alla competente commissione di conciliazione, può costituire una vera e propria messa in mora, valutabile ex art. 2943, comma quarto cod. civ., ai fini dell'interruzione della prescrizione, ove contenga l'esplicitazione della pretesa e manifestando l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo; l'accertamento di tale requisito oggettivo costituisce indagine di fatto riservata all'apprezzamento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici, (cfr. Cass. 16/3/2009 n. 6336).

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2948 n. 4 c.c. anche in relazione all’art. 112 c.p.c. La ricorrente sostiene che la Corte di Appello non si sarebbe pronunciata sulle questioni sollevate da A.X.A. riguardo alla compensazione tra i crediti.

La ricorrente, premesso che solo le indennità sostitutive del preavviso si prescrivono in dieci anni, mentre le provvigioni si prescrivono in cinque anni, afferma di avere sostenuto in appello che, con riferimento alla compensazione tra i crediti delle parti contrapposte, il credito residuo (euro 69.346,32) non si riferiva solo all’indennità di fine rapporto, ma anche a provvigioni e indennità accessorie, così il credito residuo si riduceva a lire 38.818, 852 e che il decorso del termine prescrizionale (quinquennale per le provvigioni) avrebbe dovuto rapportarsi alla maturazione del credito e cioè al 1988 e non all’accertamento dell’illegittimità del recesso e così anche per la rivalutazione e interessi.

2.1 Il motivo resta assorbito dalla ragioni poste a fondamento del rigetto del primo motivo.

Ed infatti:

- la prescrizione dei crediti è stata interrotta sin dalla domanda sin dall’atto di citazione del 27/12/1989 e l’effetto interruttivo si è protratto fino al passaggio in giudicato della sentenza pronunciata in appello, ossia fino 20/5/2008, data di pronuncia della sentenza con la quale questa Corte ha rigettato il ricorso con il quale (ora) A.X.A. censurava la sentenza di appello che, negando la giusta causa di recesso, aveva affermato l’inidoneità dei motivi addotti dalla resistente società "T.", a configurare gli estremi della giusta causa di recesso dal rapporto di agenzia;

conseguentemente il fatto che per una parte di crediti la prescrizione possa essere quinquennale non assume rilevanza alcuna, posto che la domanda introduttiva di questo giudizio è stata introdotta con citazione del 15/11/2010 e, quindi, ben prima di cinque anni dal passaggio in giudicato della predetta sentenza.

La ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha fatto decorrere correttamente la prescrizione dal passaggio in giudicato della sentenza di cui al precedente giudizio ha assorbito implicitamente, ma inequivocabilmente le censure fondate sull’applicabilità di un più breve termine di prescrizione e quindi non sussiste il denunciato vizio di omessa pronuncia.

Il quantum della liquidazione del complessivo credito non risulta attinto da uno specifica motivo di ricorso.

3. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1 comma 17 della l. n. 228 del 2012, tenuto conto che il ricorso è successivo al 31/1/2013, deve dichiararsi la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente A.X.A. MPS Assicurazione danni S.p.A. a pagare alla controricorrente società A. s.a.s. di C. A. & C. le spese di questo giudizio di legittimità che liquida in complessivi euro 3.700,00 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese forfetarie, oltre accessori di legge.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 introdotto dall’art. 1 comma 17 della legge n. 228 del 2012.