Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 maggio 2015, n. 10843

Lavoro subordinato - Licenziamento - Mobilità - Mansioni promiscue - Irrilevanza

 

Svolgimento del processo

 

La Corte d'Appello di Catania, con sentenza del 5/5/11, confermava la pronuncia di prime cure con la quale erano state respinte le domande proposte da Z.L. nei confronti della Associazione V.R., intese a conseguire pronuncia dichiarativa di illegittimità del licenziamento collettivo intimato in data 1/3/05 per violazione degli artt.4-5 l.223/91 e di condanna alla reintegra nel posto di lavoro, nonché di riconoscimento della qualifica superiore corrispondente al V° livello super c.c.n.I. settore assistenziale, sociale, socio-sanitario, educativo (U. ) in relazione alle mansioni svolte di assistente tutelare, con tutti i conseguenziali effetti sul piano retributivo.

A sostegno del decisum, per ciò che in questa sede specificamente rileva, la Corte territoriale osservava quanto segue:

a) la disamina dell'articolato compendio probatorio acquisito, di natura testimoniale e documentale, aveva condotto ad escludere che la ricorrente avesse espletato nel corso della propria vicenda lavorativa, le mansioni superiori rivendicate di assistente tutelare degli anziani, essendo emerso che le mansioni qualitativamente e quantitativamente prevalenti da essa espletate, fossero riconducibili a quelle propriamente a lei ascritte, di addetta alla pulizia dei locali;

b) non poteva, di conseguenza, ritenersi violato il precetto di cui all’art.5 l.223/91, oggetto di specifica impugnazione da parte ricorrente, per omessa formulazione di scelte comparative con gli altri dipendenti rimasti in servizio, in relazione al preteso svolgimento per tutto il rapporto di lavoro, delle mansioni di assistente tutelare;

c) prive di rilievo erano da reputarsi le doglianze articolate con riferimento al comportamento della società appellata nel corso della procedura e successivamente ad essa anche in relazione alla assunzione di personale da adibire a mansioni di assistenza.

Avverso tale sentenza della Corte territoriale la Z. ha interposto ricorso per cassazione sostenuto da cinque motivi illustrati da memoria ex art.378 c.p.c.

L’intimata Associazione V.R. ha resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Deve premettersi che destituita di fondamento si palesa l'eccezione di inammissibilità del controricorso sollevata dalla Z. per invalidità della procura  speciale, in ragione della mancanza di specificazioni in relazione alla data di rilascio della stessa.

Risulta infatti dagli atti, che la società, in calce al ricorso notificato, ha conferito procura alle liti all'avv. S.V. in data 18/6/12 in coerenza con il principio per cui nel giudizio di cassazione, la procura speciale (espressamente prevista dall'art. 365 cod. proc. civ.) deve essere conferita al difensore iscritto nell’apposito albo in epoca anteriore o coeva alla notificazione de! ricorso o del controricorso (nella specie notificato alla stessa data), investendo espressamente Io stesso patrocinatore del potere di proporre impugnazione per cassazione contro un provvedimento determinato ai sensi dell’art.83 c.p.c. (vedi fra le altre, Cass. 26 giugno 2007 n. 14749, Cass. 13 marzo 2007 n.5867).

2. Con i primi tre motivi si denuncia violazione degli artt. 2095 e 2013 c.c., degli artt.38 e 39 ccnl U., dell'art.5 L.223/91 in relazione all'art.360 n.3 c.p.c. nonché difetto di motivazione ex art.360 n.5 c.p.c.

Si addebita alla Corte territoriale il difetto di valutazione del compendio probatorio acquisito, che si assume non modulata secondo i canoni sanciti dalle disposizioni contrattuali collettive invocate nonché dai dettami di cui all'art.2095 c.c. nella interpretazione resa dalla Suprema Corte, alla cui stregua, nell'ipotesi di svolgimento di mansioni promiscue, la nozione di prevalenza ai fini di un corretto inquadramento, non va individuata sulla base di una mera contrapposizione quantitativa fra le mansioni svolte, bensì tenendo conto, in base alla reciproca analisi quantitativa, di quella maggiormente significativa sul piano professionale, purché non espletata in via sporadica ed occasionale.

2.1 Le censure, che possono trattarsi congiuntamente stante la connessione che le connota, sono prive di pregio.

E' bene rimarcare che nella specie la ricorrente, pur lamentando che i giudici del merito, in tesi, hanno male interpretato le molteplici disposizioni normative e contrattuali indicate nella intestazione del motivo, in realtà, si limita a censurare l'interpretazione data delle risultanze di causa - interpretazione a parere della ricorrente inadeguata - sollecitando, così, contro legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione, un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze.

Non si limita, invero, la Z., a prospettare questioni attinenti alla ermeneutica contrattuale in relazione alla corretta individuazione delle mansioni svolte, ma si addentra nella ricostruzione della propria vicenda lavorativa - di cui sollecita l’analisi con riferimento all'intero arco temporale piuttosto che all'ultimo periodo, come disposto dai giudici del gravame -prospettando una più appagante lettura dei dati istruttori acquisiti in ordine alla qualifica superiore rivendicata, a sé favorevole.

2.2 Non può, al riguardo, tralasciarsi di considerare che il vizio di motivazione, oggetto di censura, concerne esclusivamente la motivazione in fatto, in quanto la norma che lo regola, il punto n. 5) dell'art. 360, Co, 1, c.p.c., nella versione di testo applicabile al presente giudizio, consente il ricorso per cassazione solo per "omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio".

2.3 Per consolidato orientamento di questa Corte la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dai primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest'ultimo tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (in termini, Cass. SS.UU. 25 ottobre 2013 n. 24148, Cass. 4 aprile 2014 n.8004).

2.4 Invero il motivo di ricorso ex art. 360, co.1, n.5, c. p. c., non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l'attendibilità e la concludenza nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.

2.5 Alla luce dei principi enunciati, deve affermarsi che nello specifico, la Corte territoriale ha reso, nei termini riportati nello storico di lite, una motivazione perfettamente comprensibile e coerente con le risultanze processuali esaminate.

Muovendo dal dati documentali acquisiti, e relativi ad "un limitatissimo arco temporale", ha proceduto ad una esegesi del tutto congrua degli elementi istruttori, osservando che essi non deponevano nel senso né della esclusività delle mansioni, stante il limitato numero di sostituzioni (tre giorni nell'anno 2005) del personale addetto alla assistenza (contrassegnato dalla lettera T.), né nel senso della prevalenza, atteso che i testimoni avevano chiarito che quando si palesava l'esigenza, la ricorrente, come tutte le addetta ai servizi generali, doveva prima attendere alle pulizie, e poi, aiutare le assistenti tutelari.

2.6 Gli approdi ai quali è pervenuta la Corte distrettuale sulla specifica questione, appaiono, del resto, in linea con i dieta giurisprudenziali ai quali la medesima ricorrente ha fatto richiamo, secondo cui "in caso di mansioni promiscue, ove la contrattazione collettiva non preveda una regola specifica per l'individuazione della categoria di appartenenza del lavoratore, come non risulta nella specie, la prevalenza - a questo fine - non va determinata sulla base di una mera contrapposizione quantitativa delle mansioni svolte, bensì tenendo conto, in base alla reciproca analisi qualitativa, della mansione maggiormente significativa sul piano professionale, purché non espletata in via sporadica od occasionale (vedi in motivazione, Cass. 22 dicembre 2009 n.26978).

La Corte di Appello si è infatti sostanzialmente attenuta a siffatto principio in quanto, pur non negando l'avvenuto espletamento della superiore mansione di assistente tutelare rivendicata, ha ritenuto - con motivazione corretta e priva di salti logici - che siffatta utilizzazione sia avvenuta in via meramente episodica, escludendo che potesse connotare in misura significativa sul piano professionale, le mansioni svolte.

In definitiva, sotto il profilo motivazionale la sentenza impugnata, per quello che riguarda il richiamato accertamento, è formalmente coerente con equilibrio dei vari elementi che ne costituiscono la struttura argomentativa, e va pertanto confermata, essendo precluso a questa Corte qualsiasi sindacato di legittimità.

3. Con il quarto ed il quinto mezzo di impugnazione si deduce violazione dell'art.5 n.3 l.223/91 e dell'art.112 c.p.c. in relazione all'art.360 n.5 c.p.c. nonché violazione degli artt.2697 c.c. e 116 c.p.c. ex art.360 n.3 c.p.c.

Si lamenta che la Corte distrettuale, in violazione dei dettami di cui all'art.112 c.p.c., , abbia proceduto ad una erronea interpretazione della domanda e dei motivi di gravame, tralasciando di considerare la eccepita violazione dell'art.5 legge n.223/91 per carenza di comparazione fra il personale impiegato presso la sede di Sant'Agata Li Battiati, ove era stato licenziato tutto il personale addetto ai servizi di cucina e pulizie generali, e quello adibito alla struttura di Taormina, ove risultavano ancora operanti detti reparti.

3.1 Anche tali censure vanno disattese.

La questione all'esame è già stata oggetto di disamina da parte della giurisprudenza di questa Corte con enunciazione del principio secondo cui, in caso di licenziamento collettivo per riduzione del personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda, la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, non deve necessariamente interessare l'intera azienda, ma può avvenire, secondo una legittima scelta dell’imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico-produttive, nell’ambito della singola unità produttiva, ovvero del settore interessato alla ristrutturazione, in quanto ciò non sia il frutto di una determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma sia obiettivamente giustificato dalle esigenze organizzative che hanno dato luogo alla riduzione dì personale (cfr, ex plurimis, Cass. 20 febbraio 2012 n.2429, Cass. n. 15 giugno 2006 n.13783).

Inoltre è stato osservato che "...la delimitazione del personale a rischio si opera in relazione a quelle esigenze tecnico produttive ed organizzative che sono state enunciate dal datore con la comunicazione di cui all'art. 4, comma 3; è ovvio che, essendo la riduzione di personale conseguente alla scelta del datore sulla dimensione quantitativamente e qualitativamente ottimale dell’impresa per addivenire al suo risanamento, dalla medesima scelta non si può prescindere quando si voglia determinare la platea del personale da selezionare", dovendosi tuttavia attribuire il debito rilievo anche alla previsione testuale della norma secondo cui le medesime esigenze tecnico produttive devono essere riferite al "complesso aziendale", "...si arguisce facilmente che non vi è spazio per una restrizione all'ambito di applicazione dei criteri di scelta che sia frutto della iniziativa datoriale pura e semplice, perché, come già detto, ciò finirebbe nella sostanza con l'alterare la corretta applicazione dei criteri stessi, che la L. n. 223 del 1991, art. 5, intende espressamente sottrarre al datore, imponendo che questa venga effettuata o sulla base dei criteri concordati con le associazioni sindacali, ovvero, in mancanza, secondo i criteri legali (vedi in motivazione, Cass. cit. n.2429/12).

È dunque arbitraria e quindi illegittima ogni decisione del datore diretta a limitare l'ambito di selezione ad un singolo settore o ad un reparto, se ciò non sia strettamente giustificato dalle ragioni che hanno condotto alla scelta di riduzione del personale.

La delimitazione dell'ambito di applicazione dei criteri dei lavoratori da porre in mobilità è dunque consentita solo quando dipenda dalle ragioni produttive ed organizzative, che si traggono dalle indicazioni contenute nella comunicazione di cui all'art. 4, comma 3, quando cioè gli esposti motivi dell'esubero, le ragioni per cui lo stesso non può essere assorbito, conducono coerentemente a limitare la platea dei lavoratori oggetto della scelta" (cfr, Cass., 2 dicembre 2009 n. 25353/2009, in motivazione, nonché, nello stesso senso, Cass., 3 maggio 2011 n. 9711, Cass. 12 gennaio 2015 n.203).

3.2 Tuttavia, questa Corte ha avuto modo di ribadire che può accedersi a tale valutazione solo ove l'eventuale incompletezza della comunicazione sia specificamente censurata da colui che impugna il licenziamento (vedi Cass. n.2429/12).

Nella fattispecie, siffatta carenza della comunicazione di cui all'art.4 comma 3 l.223/91 non risulta oggetto di specifica doglianza in sede di merito da parte della ricorrente, la quale (peraltro solo nelle note conclusive di primo grado, riportate per il principio dell'autosufficienza a pag. 31 presente ricorso) ha modulato le critiche avverso II procedimento di riduzione del personale, esclusivamente sotto il profilo della violazione dell’art.5 l.223/91, rilevandone la non corretta conclusione, per il solo fatto dell'esistenza di altra sede dell'associazione in cui risultavano collocati lavoratori addetti ai reparti soppressi.

3.3 A ciò si aggiunga che, secondo l'interpretazione dell'atto di gravame (neanche riportato, se non per taluni stralci, nel contesto del presente ricorso), resa dalla Corte distrettuale, la censura proposta dalla lavoratrice per violazione dei criteri di scelta ex art. 5 l.223/91 risultava calibrata ancora una volta, con riferimento al preteso svolgimento di mansioni superiori (vedi pag.10 sentenza di appello).

L'infondatezza del diritto azionato in relazione alla qualifica rivendicata - e verificata alla stregua dello scrutinio dei primi tre motivi del presente ricorso - destituisce di fondamento anche le ulteriori critiche formulate con riferimento alla regolarità del procedimento di riduzione del personale per violazione dei criteri di scelta di cui al quarto motivo, ed alla circostanza, rimarcata con il quinto mezzo di impugnazione, inerente alla offerta da parte datoriale, di una ricollocazione di due lavoratrici licenziate, ed adibite alle superiori mansioni di assistenti tutelari.

In definitiva, sotto tutti i profili delineati, il ricorso, in quanto infondato, deve essere respinto.

Le spese del giudizio di legittimità seguono il principio della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per competenze professionali oltre accessori di legge.