Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 26 maggio 2015, n. 10819

Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Società cancellata che impugna la cartella esattoriale - Reclamo - Inammissibilità

 

È stata depositata la seguente relazione:

1) La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 21.1.013, ha respinto il reclamo proposto da I. E. 3000 s.r.l. in liquidazione contro la sentenza del tribunale dichiarativa del suo fallimento, pronunciata ad istanza di Equitalia Esatri s.p.a. (oggi Equitalia Nord s.p.a.) entro l’anno dalla cancellazione della società dal R I., avvenuta il 23.9.011.

La Corte territoriale, per quanto effettivamente interessa nella presente sede, ha rilevato: i) che il credito di Esatri, di circa 8.600.000 euro, era liquido ed esigibile, in quanto portato da una cartella esattoriale notificata e non impugnata dalla debitrice e da altre due cartelle contro le quali la reclamante aveva proposto opposizioni che erano state respinte, con sentenze divenute definitive, dalla Commissione tributaria provinciale di Milano; ii) che tali cartelle derivavano dall'iscrizione a ruolo di ingenti crediti tributari per IRES, IRAP ed IVA evase, in relazione ai quali E. aveva ricevuto nel 2008 un avviso di accertamento: iii) che il ricorso proposto dalla società contro l'avviso era stato respinto dalla Commissione provinciale tributaria di Milano con sentenza che, ad una sommaria delibazione, risultava dettagliatamente e congruamente motivata, sicché doveva escludersi che vi fossero effettive possibilità di accoglimento dell’appello avanzato dalla soccombente contro la decisione; iv) che il giudice dell'impugnazione aveva accolto la richiesta di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza solo in ragione della possibilità di sollecita trattazione del procedimento; v) che, peraltro, il processo tributario era stato interrotto a seguito della cancellazione della ricorrente dal R I. e sarebbe potuto permanere in uno stato di quiescenza, stante l’inesistenza della giusta parte legittimata a proseguirlo; vi) che in definitiva, sussisteva una cristallizzata e conclamata ingentissima esposizione debitoria di E. nei confronti dell’erario.

2) La sentenza è stata impugnata da Euro 3000 con ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo con il quale la ricorrente denuncia plurime violazioni di legge, sostenendo in sintesi: a) che, ai fini della prova dell’esistenza del credito dell'erario sarebbe del tutto irrilevante il passaggio in giudicato delle sentenze che hanno respinto il ricorso contro le cartelle di pagamento, che attengono alla fase della riscossione e che, essendo fondate su una sentenza di primo grado (quella che ha respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento) la cui efficacia esecutiva è stata sospesa dal giudice d’appello, sono necessariamente anch’esse sospese; b) che, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado è stata disposta "per fondati motivi", e dunque per l’esistenza del fumus boni iuris; c) che, in conseguenza, non v’è alcuna cristallizzata e conclamata sua esposizione debitoria verso l’erario, tanto più che l’ordinanza di sospensione è destinata a divenire definitiva per difetto della giusta parte cui spetterebbe di proseguire il processo c) che pertanto il giudice del reclamo, anziché arrestarsi al rilievo della definitività delle cartelle, avrebbe dovuto valutare nel merito la fondatezza della pretesa tributaria Equitalia Nord ha resistito con controricorso.

3) Il motivo appare manifestamente infondato, se non inammissibile.

E. non contesta di non essere in grado di adempiere con mezzi normali all’obbligazione tributaria dedotta in giudizio, ma sostiene di non essere tenuta al pagamento dell’ingente credito vantato dall’erario nei suoi confronti e lamenta l’erroneità della sentenza dichiarativa sotto tale, limitato, profilo.

Ciò premesso, va in primo luogo rilevato che, contrariamente a quanto si deduce nel motivo, la corte territoriale ha valutato in via incidentale la fondatezza della pretesa azionata da Equitalia, laddove ha affermato che la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da E. contro l’avviso di accertamento appariva congruamente e dettagliatamente motivata, subito dopo aggiungendo che l’appello proposto dalla società contro la decisione non conteneva rilievi degni di considerazione e che, in particolare, appariva "assai debole" la contestazione dell’ingente sopravvenienza attiva ravvisata dall’ufficio, operata dalla ricorrente attraverso il disconoscimento dei debiti, per 6.500.000 euro, contratti verso imprese in liquidazione.

E. non chiarisce, del resto, in quale altro modo (se non attraverso l’esame della sentenza di primo grado e dell’appello) il giudice del reclamo avrebbe dovuto riguardare, incidenter tantum, il merito della questione tributaria è appena il caso di rilevare, sul punto, che la mera contestazione del credito - comunque portato da un avviso di accertamento la cui congruità era già stata confermata da una sentenza di primo grado, ancorché (temporaneamente) priva di efficacia esecutiva - non poteva essere sufficiente a farne presumere l’inesistenza e che nella presente sede la ricorrente non solo non denuncia l’omessa valutazione da parte della corte territoriale di eventuali documenti contabili o fiscali prodotti al fine di provare l’infondatezza dell'avversa pretesa, ma neppure fa accenno alle ragioni poste a sostegno dapprima del ricorso contro l’avviso di accertamento e, successivamente, dell’impugnazione contro la sentenza di primo grado che lo aveva respinto.

Appare peraltro dirimente il rilievo che la mancata riassunzione del processo d’appello, dichiarato interrotto a seguito della cancellazione di E. dal R.I., ne ha comportato l’estinzione, rilevabile anche d’ufficio dal giudice ai sensi del III comma dell’art. 45 della I. n. 546/92, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

Il credito tributario risulta dunque definitivamente accertato, anche se per ragioni di diritto diverse da quelle individuate dalla corte territoriale, sicché, in applicazione dell’art. 384 c.p.c. si imporrebbe unicamente la correzione della motivazione della sentenza impugnata.

Tanto potrebbe essere deciso in camera di consiglio, ai sensi degli artt 375 e 380 bis c.p.c.

E. ha depositato memoria cui, in violazione del disposto dell’art. 372 c.p.c., ha inammissibilmente allegato nuovi documenti, dei quali non può tenersi alcun conto.

Ciò premesso il collegio, esaminati gli atti e la memoria, condivide le conclusioni della relatrice.

L’affermata, attuale pendenza in appello del giudizio tributario (che, secondo quanto riferito dalla ricorrente nella memoria - sebbene in contrasto con le difese svolte in ricorso - sarebbe stato tempestivamente riassunto dal curatore), e la conseguente, perdurante efficacia del provvedimento interinale di sospensione del titolo esecutivo, non sono infatti circostanze sufficienti a provare, o quantomeno a far presumere, la totale inesistenza del credito erariale controverso già accertato in primo grado, solo a fronte della quale potrebbe escludersi lo stato di insolvenza della ricorrente, che si è cancellata dal registro delle imprese e che è dunque priva di risorse patrimoniali o finanziarie che le consentano di pagare i propri debiti, quale che ne sia l’ammontare.

Il ricorso deve pertanto essere respinto.

Le spese del giudizio in favore di Equitalia Nord s.p.a. seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Non v’è luogo alla liquidazione delle spese in favore del Fallimento intimato, che non ha svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di Equitalia Nord s.p.a., che liquida in € 4.100, di cui € 100 per esborsi, oltre rimborso forfetario e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.P.R. n. 115/2002, introdotto dall’art. 1, 17° comma, della I. n. 228 del 24.12.2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.