Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 maggio 2015, n. 10346

Tributi - Canone depurazione acqua - Rimborso - Termine di decadenza biennale

 

Svolgimento del processo

 

Il condominio di via X di Milano ricorre per cassazione contro la sentenza con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia, respingendo l'appello del condominio medesimo, ha confermato il silenzio serbato dal comune di Milano su un'istanza di rimborso del canone di depurazione delle acque relativo all'anno 1999. La commissione tributaria ha motivato la decisione assumendo che il canone era dovuto indipendentemente dall'istituzione del servizio o dall'esistenza dell'allacciamento alla fognatura, e indipendentemente dall'avere l'utente fruito del servizio detto; e inoltre che il condominio era comunque decaduto dal diritto al rimborso, per infruttuoso decorso del termine di due anni previsto dall'art. 21, 2° co., del d.lgs. n. 546 del 1992.

Il ricorrente articola quattro motivi di ricorso in relazione a ciascuno dei due capi della decisione e reclama, in subordine, il diritto al rimborso per via dell' intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 14 della L. n. 36 del 1994.

Il comune replica con controricorso e memoria.

 

Motivi della decisione

 

I. - Il ricorrente formula censure sia   avverso il capo della sentenza d'appello che ha sancito la debenza del tributo per l'anno 1999, sia avverso il capo della  sentenza medesima che ha sancito la decadenza del diritto al rimborso.

Dal primo punto di vista deduce: (a) violazione dell'art. 112 c.p.c. per non avere il giudice d'appello esaminato uno degli argomenti ivi sostenuti, e segnatamente 1'argomento secondo il quale la successione delle leggi nel tempo aveva comportato che la disciplina applicabile al caso fosse non quella di cui alla versione originaria dell’art. 14 della l. n. 36 del 1994, ma quella di cui agli artt- 16 e 17 della l. n. 316 del 1974; (b) falsa ed erronea applicazione dell'art. 15 delle prel.f per non avere il giudice a quo individuato correttamente la disciplina rilevante in materia; (c) falsa ed erronea applicazione dell'art. 14 della l. n. 36 del 1994, per avere il giudice a quo erroneamente ritenuto che la norma rilevante fosse quella in versione originaria; (d) falsa ed erronea applicazione degli artt. 16 e 17 della l. n. 319 del 1976, per avere il medesimo giudice erroneamente omesso di rilevare che la fattispecie andava appunto decisa in base alle dette norme.

Dal secondo punto di vista deduce: (e) violazione dell'art. 112 c.p.c. per non avere il giudice d'appello esaminato uno degli argomenti ivi sostenuti, e in particolare l'argomento secondo il quale la successione di leggi nel tempo aveva comportato l'applicabilità alla fattispecie della disciplina in un primo momento abrogata e poi richiamata in vigore; (f) falsa ed erronea applicazione dell'art. 15 delle prel., per non avere il giudice a quo individuato correttamente la disciplina rilevante in materia; (g) falsa ed erronea applicazione dell'art. 21, 2° co., del d.lgs. n. 546 del 1992 per avere il giudice a quo erroneamente ritenuto applicabile al caso di specie siffatta norma; (h) falsa ed erronea applicazione dell'art. 50 del t.u, n. 1175 del 1931, per avere il giudice omesso di rilevare l'applicabilità, invece, della norma indicata.

II. - Devono essere prioritariamente esaminate le censure volte a sostenere la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c. Trattasi dei motivi sopra riportati sub (a) ed (e).

I motivi sono inammissibili.

II ricorso è soggetto, ratione temporis, all'art.366-bis c.p.c. e, secondo un indirizzo interpretativo del tutto consolidato, alla base dell'art. 366-bis c.p.c. è rinvenibile la ratio di porre la              corte suprema in condizione dì rilevare con precisione e immediatezza la questione da risolvere. In virtù di simile ratio il quesito di diritto non può consistere in una semplice domanda di accoglimento del motivo, né in un mero interpello della corte in ordine alla fondatezza di una censura così come illustrata. Il quesito deve costituire la chiave di lettura delle ragioni illustrate nel motivo e deve porre la corte di cassazione in condizione di rispondere con l'enunciazione di una regula iuris (id est, di principio di diritto) suscettibile di ricevere applicazione nel caso concreto e in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto. Dovendo dal quesito emergere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto, i fondamenti del caso medesimo devono essere nel quesito enunciati, per lo meno nei dati essenziali.

A fronte di tale complesso di principi, le censure sub (a) ed (e) sono invece concluse da quesiti astratti, praticamente incentrati sull'assunto "che a norma dell'art. 112 c.p.c. il giudice è tenuto ad esaminare tutti gli argomenti proposti dalla parte"? il che, oltre che infondato, in quanto, ai sensi dell'art. 112 c.p.c., il giudice è tenuto a pronunciarsi sulle domande della parte, non necessariamente sui singoli suoi argomenti, traduce una prospettazione del tutto generica, dalla cui risposta non sortirebbe alcun effetto in ordine alla soluzione della controversia.

III - Vanno poi in ordine logico esaminate le censure ulteriormente articolate dal ricorrente in relazione al capo della sentenza di merito che ha ritenuto la parte decaduta dall'azione di rimborso.

A tal riguardo è possibile evincere l'esistenza di un unico sostanziale quesito, per quanto frazionato nella sommatoria di interrogativi redatti a conclusione dei motivi di cui ai punti (f ), {g) e (h) . Il giudice del merito ha ritenuto la parte decaduta dall'azione di rimborso in base allo specifico regime di cui all'art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992. Mentre il quesito complessivamente chiede alla corte di affermare:

- "che per effetto dell'art. 15 delle preleggi, a seguito dell'approvazione del d.lgs. 11-5-1999, n. 152, commi 5 e 6 dell'art. 62, nel periodo in esame sono tornate ad avere applicazione in tema di accertamento e di riscossione (e dunque anche per quanto riguarda il termine decadenziale per chiedere il rimborso) le norme proprie dei tributi comunali, ed in particolare l'art. 50 t.u. 1175/1931, che stabilivano in tre anni il termine in questione";

- "che l'art. 21 (..) non trovava applicazione nel caso di specie"; - "che il caso di specie (..) doveva essere deciso facendo applicazione dell'art. 50 t.u. 1175-1931".

Il quesito, considerato giustappunto unitariamente, nel complesso di frasi tra loro correlate, consente di cogliere la discrasia che si intende sostenere tra la criticata ratio decidendl e il principio giuridico che il ricorrente vorrebbe fosse posto a fondamento di una decisione diversa.

Dunque è ammissibile.

Tuttavia la tesi sulla quale il quesito si base non possiede fondamento.

Per dimostrarlo giova dire che è certo vero che fino all'anno 2000 i canoni di depurazione e fognatura avevano natura di tributi locali. Ed è altrettanto vero che questa corte ha già affermato che l'accertamento di tali tributi doveva avvenire nelle forme e nei termini di cui agli art. 273 e seg. del r.d. 14 settembre 1931 n. 1175, osservando il termine triennale di decadenza di cui all’art. 290 (v. per tutte Cass. n. 4881-05). Ma, anche così premettendo, non può sostenersi esistente alcuna simmetria tra il termine di accertamento e di riscossione del tributo e il termine di decadenza dell'azione di rimborso. E questo perché in linea generale non è vero che la previsione di un termine per l'accertamento abbia a comportare di per sé la previsione di un corrispondente termine decadenziale per l'esercizio del diritto al rimborso.

Il  ricorrente richiama a sostegno della propria tesi l'art. 50 del r.d. cit.

Questa norma, nella parte che interessa, disponeva: "Il contribuente ha diritto al rimborso delle somme indebitamente pagate, purché ne faccia domanda alla amministrazione nel termine di 3 anni dalla data del pagamento e la domanda sia corredata dall'originale bolletta di pagamento. Trascorso il triennio, l'azione rimane estinta".

Sennonché la norma era parte della sezione riferita esclusivamente alle imposte comunali di consumo, e come tale (e come le altre della medesima sezione) ha cessato di avere applicazione con decorrenza 1° gennaio 1973, ai sensi dell'art. 90, 1° co., n. 15, del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633. Donde è stata abrogata senza che rilevi, di contro, la perdurante vigenza dell'art. 290 nel periodo di cui si controverte.

L'art. 290, infine pure lui abrogato dall'art. 24 del d.l. 25 giugno 2008 n. 112, con decorrenza dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore di questo d.l., non riguardava affatto il rimborso, ma unicamente il termine per l'accertamento.

Ne consegue che correttamente la commissione tributaria regionale ha ritenuto soggetta la domanda del contribuente al termine decadenziale di cui all'art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992. Difatti nella normativa applicabile durante il periodo di rilevanza tributaria del canone di depurazione e fognatura non era rinvenibile l'espressa indicazione di alcun termine entro il quale il contribuente potesse richiedere il rimborso di somme versate e non dovute a tale titolo. Discende il rigetto delle censure dal ricorrente prospettate in ordine al capo della sentenza d'appello che ha ritenuto la decadenza del contribuente dalla domanda di rimborso.

IV. - Ciò comporta l'inammissibilità dei motivi residui - sopra riportati sub (b), (c) e (d) - afferenti l'altro capo della decisione involgente l'affermata inesistenza del diritto al rimborso in sé e per sé considerato. Invero allo scrutinio di tali motivi - anche al netto della intervenuta declaratoria di incostituzionalità dell'art. 14, 1° co., della l. n. 36 del 1994 nella parte previdente la debenza della quota tariffaria anche nel caso di inesistenza o di inattività degli impianti centralizzati di depurazione {v. c. cost. n. 335-08) - il ricorrente non ha interesse. La decisione di rigetto dell'azione di rimborso resterebbe comunque infine sorretta dalla concorrente esaminata ratio, rivelatasi esatta, circa l'avvenuta decadenza della domanda di restituzione.

V. - Il ricorso è rigettato.

La mancanza di specifici precedenti della corte in ordine alla questione controversia giustifica la compensazione delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.