Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 aprile 2015, n. 8240

Previdenza - Sgravi contributivi di cui alla legge n. 448 del 1998 - Fine lavori edili - Licenziamento dei lavoratori - Decadenza dal diritto allo sgravio

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda proposta nei confronti dell’INPS dalla C. C. S.p.A., riconoscendo il diritto della predetta società a beneficiare degli sgravi contributivi di cui alla legge n. 448 del 1998, art. 3, commi 5 e 6, per sette dipendenti relativamente al periodo febbraio-novembre 2000.

Ha osservato la Corte anzidetta che gli sgravi in questione, secondo la citata disposizione, spettano in misura totale ai datori di lavoro operanti in talune regioni d Italia per i nuovi assunti negli anni 1999, 2000 e 2001 per un periodo di tre anni dalla data di assunzione di ogni singolo lavoratore a condizione, tra l'altro, che "il livello di occupazione raggiunto a seguito delle nuove assunzioni non subisca riduzioni nel corso del periodo agevolato"; che tale norma deve essere interpretata nel senso che la riduzione del livello occupazionale può essere consentita quando essa non sia dovuta a cause imputabili al datore di lavoro; che nella specie il licenziamento dei lavoratori è stato disposto per mancato rinnovo del contratto di appalto, ipotesi questa riconducibile al licenziamento per giustificato motivo oggettivo e non alla riduzione del personale; che pertanto la sentenza di primo grado doveva essere confermata.

Per la cassazione di questa sentenza propone ricorso l’INPS sulla base di un solo motivo. La società è rimasta intimata.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo del ricorso l'lstituto, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 5 e 6, della legge n. 448 del 1998, deduce che l’interpretazione della Corte di merito, secondo cui le agevolazioni contributive sono dovute anche in caso di cessazione anticipata dei lavori edili, con conseguente licenziamento dei lavoratori, trattandosi di causa non imputabile al datore di lavoro, non è corretta. Ed infatti la ratio della disposizione che attribuisce gli sgravi in questione risponde all’esigenza non solo di favorire nuove assunzioni, ma anche che queste vengano mantenute per tutto il periodo agevolato, e cioè per un periodo almeno di tre anni dalla data di assunzione di ogni singolo lavoratore.

E’ irrilevante, aggiunge il ricorrente, che nella specie la cessazione dei lavori sia intervenuta per mancato rinnovo del contratto di appalto, non costituendo una simile evenienza un evento imprevedibile o una circostanza eccezionale nel settore edile, rientrando piuttosto nel rischio di impresa connesso alla natura dei lavori in questione, verificandosi viceversa un uso distorto e strumentale degli sgravi.

2. Il ricorso è fondato.

Secondo la sentenza impugnata la disposizione secondo cui, ai fini della fruizione dello sgravio in questione, il livello di occupazione raggiunto a seguito delle nuove assunzioni non deve subire riduzioni nel corso del periodo agevolato, deve essere interpretata nel senso che sussiste il diritto allo sgravio nelle ipotesi in cui la riduzione del personale non sia imputabile al datore di lavoro, ma è dovuta a cause che non lascino dubbi sulla "oggettività" della stessa e, conseguentemente non induca sospetti su assunzioni effettuate al solo scopo di usufruire dello sgravio.

Ad avviso della Corte di merito ricorre tale ultima ipotesi allorché - come nella specie - il licenziamento dei lavoratori è stato disposto per "fine lavori edili" e più precisamente per mancato rinnovo del contratto di appalto, ipotesi questa riconducibile al licenziamento per giustificato motivo oggettivo e non alla riduzione del personale.

Non ritiene questo Collegio di condividere tale assunto.

Nel settore dell’edilizia la fine dei lavori e la conseguente chiusura di un cantiere sono eventi del tutto fisiologici e, in quanto tali, prevedibili, trattandosi di attività che per loro stessa natura importano la fissazione di una data di consegna dell'opera commissionata.

In particolare, la mancanza di ulteriori commesse di lavoro, lungi dal potersi considerare evento imprevedibile, rientra nel normale rischio d'impresa proprio delle attività edili, che non hanno un ciclo continuo e ininterrotto, ma dipendono dal numero e dall’importanza degli appalti stipulati dall'imprenditore che aspira agli sgravi, a prescindere dalla diligenza dimostrata nel cercare nuove occasioni di lavoro e/o dalla necessità, in mancanza di esse, di ridurre il personale con licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 L. n. 604 del 1966.

L’evento imprevedibile può ravvisarsi in un factum principis o in altra circostanza eccezionale che, alterando il normale funzionamento del mercato, pregiudichi le concrete possibilità di accedere a commesse di lavoro tali da consentire di mantenere quell'incremento occupazionale cui è causalmente collegato il diritto agli sgravi per cui è processo (cfr., nei termini suindicati, Cass. 14316/13 e Cass. 6196/12).

Discende dalle superiori argomentazioni che nella specie, avendo la società intimata licenziato il personale prima della scadenza del triennio, la medesima non ha diritto allo sgravio in questione, non ricorrendone le condizioni.

Il ricorso va pertanto accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa, a norma dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ., va decisa nel merito, con il rigetto della originaria domanda.

3. L’esito favorevole, per la società, dei giudizi di merito giustifica la compensazione tra le parti delle spese di entrambi i predetti giudizi, mentre la società deve essere condannata al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

In ragione dell’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, comma inserito dall’art. 1, comma 17, L. n. 228 del 2012, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo unificato pari a quello dovuto per il ricorso medesimo a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'originaria domanda.

Compensa tra le parti le spese dei giudizi di merito e condanna la società intimata al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 100,00 per esborsi ed € 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, comma inserito dall’art. 1, comma 17, L. n. 228 del 2012, non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo unificato pari a quello dovuto per il ricorso medesimo a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.