Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 maggio 2015, n. 20090

Fallimento ed altre procedure concorsuali - Bancarotta fraudolenta documentale e per distrazione - Prova documentale - Relazioni del Curatore - Ammissibilità - Sussistenza

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con la sentenza di cui in epigrafe, la corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha assolto F.F. dal delitto di truffa; ha confermato la condanna dello stesso con riferimento al delitto di bancarotta fraudolenta documentale e per distrazione (di un'autovettura in leasing) in relazione al fallimento della S.r.l. T. (dichiarato con sentenza 2 novembre 2006), rideterminando più favorevolmente la pena (anni 3 e mesi 6 di reclusione).

2. Ricorre per cassazione il difensore e deduce illogicità della motivazione circa la qualifica del F. quale amministratore di fatto, violazione dell'articolo 192 terzo comma del codice di rito in ordine alla valutazione delle dichiarazioni dei coimputati P., R. e G. (moglie separata dell'imputato), violazione del medesimo articolo, comma secondo, in ordine alla mancanza di gravità e concordanza degli indizi assunti a base della condanna.

2.1. In particolare, il ricorrente si duole del fatto che la qualifica di amministratore di fatto sia stata ritenuta semplicemente sulla base della relazione del curatore, il quale aveva esaminato i tre soggetti sopra indicati. Tra costoro, P. è stato anche formalmente imputato nel procedimento, R. avrebbe dovuto esserlo in quanto precedente amministratore, mentre la G., già socia della S.r.l., era certamente animata da sentimenti ostili nei confronti del F. Va peraltro ricordato che il curatore non è stato sentito in dibattimento, in quanto deceduto. Ne consegue che la condanna dell'imputato è maturata unicamente sulla base della relazione scritta del predetto curatore, mentre R. P. e G. non sono stati (neanche essi) sentiti in dibattimento. È venuta così a mancare la possibilità di qualsiasi verifica dell'attendibilità delle propalazioni rese dai predetti, cui, inevitabilmente, è conseguita la arbitraria attribuzione della qualifica di amministratore di fatto in capo al ricorrente. Non risultano - pertanto - minimamente soddisfatte le condizioni che la legge e la giurisprudenza pongono perché un soggetto possa essere ritenuto dominus di una società.

2.2. La corte poi neanche sembra essersi posta il problema consistente nel fatto che, all'epoca del fallimento, il legale rappresentante era tale L. e, prima di lui, tal R. Invero il collegio di merito ha fermato la propria disamina di gennaio 2005, data in cui il P. ha lasciato la carica e data alla quale quindi si arrestano le dichiarazioni del P. stesso. Ne consegue che nulla si può affermare circa la responsabilità del P. in orarne al mancato reperimento e alla mancata consegna della documentazione contabile che deve pur essere stata nel possesso, ad un certo punto, del R. e poi del L.

Tali doglianze, puntualmente rappresentate nell'atto d'appello, non hanno ricevuto risposta alcuna dal giudice di secondo grado.

 

Considerato in diritto

 

1. Costituisce principio consolidato, elaborato da questa sezione (es. ASN 200439001 - RV 229330), quello in base al quale, in tema di prova documentale, le relazioni e gli inventari redatti dal curatore fallimentare sono sicuramente ammissibili in ogni caso e non solo quando siano ricognitivi di una organizzazione aziendale e di una realtà contabile, atteso che gli accertamenti documentali e le dichiarazioni ricevute dal curatore costituiscono prove rilevanti nel processo penale, al fine di ricostruire le vicende amministrative della società. Ne consegue che è corretto l'inserimento della relazione diretta al giudice delegato nel fascicolo processuale, in quanto il principio di separazione delle fasi non si applica agli accertamenti aventi funzione probatoria, preesistenti rispetto all'inizio del procedimento o che appartengano comunque al contesto del fatto da accertare. Ne consegue ulteriormente che - certamente - possono essere veicolate attraverso lo gli scritto del curatore i contributi di conoscenza forniti dalle persone che lo stesso ha avuto modo di ascoltare e le cui parole ha verbalizzato.

1.1. Nondimeno, se le persone che il curatore ha esaminato rivestono il ruolo di indagati o imputati nel medesimo procedimento e procedimento connesso o collegato, tali dichiarazioni vanno valutate alla luce del terzo comma dell'articolo 192 cpp, in quanto non può certo essere il "filtro" consistente nell'intervento del curatore quel che può valere a far derogare dalla predetta regola di valutazione. Diversamente ragionando, si giungerebbe alla conclusione - ovviamente paradossale - che, se un soggetto imputato o indagato di reato connesso o collegato o del medesimo reato opera una chiamata in correità davanti al giudice, si deve fare applicazione del terzo comma dell'articolo 192 del codice di rito, se - viceversa - tali dichiarazioni vengono rese al curatore, esse sarebbero valutabili ex se. Ma l'apparente paradosso si supera se solo si distingue tra acquisibilità (della relazione) e valutazione (del suo contenuto).

2. Nel caso in esame, come effettivamente lamentato dal ricorrente, non solo non sono stati sentiti in dibattimento i soggetti che il curatore ha esaminato (e dunque - a fortori - non è stato applicato il canone valutativo ex comma terzo dell'art. 192 del codice di rito), ma non è stato possibile ascoltare neanche il curatore stesso, in quanto, nel frattempo, come premesso, egli è deceduto.

2.1. Ne consegue che la qualifica di amministratore di fatto riconosciuta in capo al F. riposerebbe, a tal punto, solo sulle dichiarazioni del notaio C., dichiarazioni, per quel che si legge a pagina 2 della sentenza di appello, di per sé sono certamente idonee ad indicare un forte coinvolgimento del F. nella gestione della T. ma che non possono ritenersi sufficienti per affermare che lo stesso fosse (o fosse stato) amministratore di fatto della società predetta, alla luce di quanto previsto dall'art. 2639 c.c. e dalla copiosa giurisprudenza di questa corte di legittimità.

3. Resta poi inesplorata la problematica relativa al momento in cui la distrazione è stata consumata, così come non è mai stato chiarito dalla sentenza di secondo grado se P. e/o R. abbiano mai avuto la disponibilità dei libri e delle scritture contabili.

Sul punto, invero, il giudice di appello esibisce una motivazione carente e superficiale, che non chiarisce affatto quale sia stata in concreto la condotta del ricorrente e se dunque essa possa essere riportata allo schema della bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale.

4. Si impone, conseguentemente, l'annullamento della sentenza impugnata e il rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte d'appello di Milano, che farà applicazione dei principi di diritto sopra enunciati.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte di appello di Milano.