Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 maggio 2015, n. 9957

Tributi - Imposta di successione - Mutuo contratto dal defunto - Per ristrutturare immobili di una società - Deducibilità

 

Svolgimento del processo

 

L'11 marzo 2001 si aprì la successione di L. B. G.

L'erede, sig.ra C.B. presentò in sequenza, all'agenzia delle entrate, due dichiarazioni di successione e pagò l'imposta così come liquidata dall'ufficio. Peraltro l'erede presentò infine una terza dichiarazione, nella quale indicò l'esistenza dì immobili vincolati ai sensi della l. n. 1089 del 1939 da escludere dall'attivo ereditario, nonché l'esistenza di quote di partecipazione in s.r.l. e di passività deducibili. L'ufficio, con riferimento a tale dichiarazione, notificò un avviso di liquidazione dell'imposta principale di successione negando il fondamento della esclusione degli immobili e non ammettendo le denunziate passività.

La contribuente impugnò l'avviso avanti la commissione tributaria provinciale di Firenze, innanzi tutto deducendo l'illegittimità dell'atto perché emesso in violazione delle norme sull'accertamento e la liquidazione dell'imposta (artt. 27, 28, 33 e 34 del d.lgs. n. 346-90); e poi, comunque, l'illegittimità della pretesa quanto al merito delle affermate esclusioni.

La commissione accolse il ricorso nei profili di merito, in ordine ai vincoli immobiliari, che riconobbe, e alle passività deducibili.

La sentenza, gravata da appello dell'ufficio, è stata riformata dalla commissione tributaria regionale della Toscana nella parte afferente le passività deducibili. Il giudice d'appello ha invece confermato l'esclusione dall'attivo ereditario degli immobili di interesse storico-artistico vincolati e ha considerato infine inammissibile, in quanto non tradotta in specifico motivo di appello incidentale, la riproposizione della censura preliminare della contribuente circa la violazione delle norme in materia di accertamento e di liquidazione dell'imposta di successione.

Avverso la sentenza d'appello, depositata il 17 marzo 2008, l'agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione sorretto da un motivo. La B. si è costituita con controricorso, proponendo ricorso incidentale sorretto da sette motivi e illustrato anche da memoria.

 

Motivi della decisione

 

I. - Il ricorso principale denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 13, 1° e 2° co., 30, 6° co., e 23, 4° co., del d.lgs. n. 346-90 per avere la commissione tributaria regionale ritenuto di natura solo formale l'inadempimento dei termini previsti dalle disposizioni dette a proposito della presentazione della documentazione relativa ai beni immobili vincolati di interesse culturale. Premesso che il beneficio della esclusione dall'attivo ereditario dei beni di tal genere era stato negato dall'ufficio per mancanza della documentazione prevista dall'art. 13 del d.lgs. n. 346-90, la commissione avrebbe dovuto ritenere la natura perentoria del termine citato, e quindi dichiarare la decadenza dell'erede in ragione della sua mancata osservanza.

Il motivo è infondato.

L'art. 13 del d.lgs. n. 346 del 1990 prevede che i beni culturali di cui alla l. n. 1089 del 1939 sono esclusi dall'attivo ereditario se sottoposti a vincolo anteriormente all'apertura della successione e se sono stati assolti i conseguenti obblighi di conservazione e protezione. L'erede deve presentare l'inventario dei beni che ritiene non debbano essere compresi nell'attivo al competente organo periferico del ministero dei beni culturali e ambientali (oggi del ministero per i beni e le attività culturali), per l'attestazione in ordine all'esistenza del vincolo e all'assolvimento degli obblighi di conservazione e protezione. L'attestazione deve poi essere presentata all'amministrazione finanziaria in allegato alla dichiarazione di successione o, se non vi sono altri beni ereditari, nel termine stabilito per questa.

Ora, dalla sentenza risulta che l'amministrazione aveva negato il beneficio per la "mancata e comunque tardiva produzione dei documenti da richiedere (..) ex art. 13 d.lgs. 346/1990". E la ricorrente non nega che la documentazione era stata presentata. La ricorrente afferma che la mancata osservanza del termine aveva comunque comportato la decadenza della contribuente dal beneficio.

Di contro questa corte ha avuto modo di stabilire il principio opposto, vale a dire che i beni culturali sono esclusi dall'attivo ereditario alla condizione che venga presentata all'ufficio l'attestazione suddetta, in quanto l'omessa allegazione della medesima alla dichiarazione di successione può essere sanata anche oltre il termine fissato per la presentazione della dichiarazione integrativa, non essendo prevista a tal riguardo alcuna comminatoria di decadenza (v. Cass. n. 16873-09; e anche Cass. n. 26449-08).

Anche considerandosi il principio generale di emendabilità della dichiarazione fiscale e il diritto del contribuente, ex art. 53 cost., a non essere assoggettato a prelievo maggiore di quello imposto dalla legge, l'insegnamento va in questa sede confermato. Per cui correttamente la commissione tributaria ha ritenuto l'esclusione dall'attivo ereditario dei beni considerati sottratti a imposizione in ragione della loro condizione sostanziale.

II. - Il ricorso incidentale deduce sette motivi che, involgendo questioni tra loro distinte, è necessario esaminare separatamente.

III. - Col primo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 54, 1° e 2° co., e 56 del d.lgs. n. 546-92, la ricorrente censura la sentenza d'appello per aver ritenuto inammissibile la domanda relativa alla illegittimità dell'avviso di liquidazione, in sé e per mancato rispetto della normativa in materia, già proposta in primo grado e ivi non esaminata.

Il motivo è fondato.

La commissione tributaria regionale, pur dando atto che si era trattato di domanda non esaminata dalla commissione tributaria provinciale, ne ha ritenuto inammissibile la riproposizione in sede di gravame in difetto di presentazione di appello incidentale. Così decidendo la sentenza ha infranto il consolidato principio per cui, a norma degli artt. 56 del d.lgs. n. 546-92 e 346 c.p.c., l'appellato, al fine di superare la presunzione di rinuncia quanto alle questioni o alle eccezioni non accolte nella sentenza impugnata, ha soltanto l'onere di riproposizione in sede di gravame, senza necessità di farlo mediante un'impugnazione incidentale. L'onere di proporre appello incidentale sussiste solo ove le correlate domande o eccezioni siano state in primo grado respinte (v. Cass. n. 7702-13 e n. 1545-07, nonché da ultimo Cass. n. 1562-14).

IV. - Tanto comporta l'assorbimento (prima ancora che l'inammissibilità, essendo mancata la statuizione che rileva) del secondo motivo del ricorso incidentale, volto a riproporre direttamente in questa sede, con denunzia di violazione e falsa applicazione degli artt. 27, 1° co., 28, 6° co., 33 del d.lgs. n. 346-90, il vizio di illegittimità che ad avviso della contribuente aveva inficiato l'avviso di liquidazione di cui è causa.

V. - Col terzo motivo la ricorrente incidentale deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 22, 1° co., del d.lgs. n. 346-90 quanto alla statuizione con la quale la commissione tributaria regionale ha ritenuto indeducibile la passività dichiarata dalla contribuente in relazione a un mutuo fondiario contratto dal de cuius per la ristrutturazione di un complesso di fabbricati di proprietà della A.F. s.r.l.

La commissione tributaria ha escluso la passività affermando che il mutuo non poteva essere dedotto giustappunto perché utilizzato per ristrutturare beni di proprietà di terzo - la società - ancorché il de cuius fosse socio in ragione di 1/3. Ha aggiunto che tale ultima circostanza poteva indurre a ritenere inciso dal mutuo il valore della quota caduta in successione; e la ricorrente, premesso che il mutuo era stato stipulato dal de cuius per la ristrutturazione di beni della società, da esso de cuius condotti in affitto, sostiene che non aveva rilevanza il profilo della titolarità dei beni, giacché l'aspetto essenziale era quello della riconducibilità dell'obbligazione al defunto in quanto contraente il mutuo.

La doglianza è fondata nel senso che segue.

In linea generale, in base all'art. 20 del d.lgs. n. 346-90, sono deducibili tutti i debiti del defunto esistenti alla data di apertura della successione, senza esclusione, purché sussistano le condizioni stabilite negli artt. da 21 a 24 (v. Cass. n. 24547-07). Il regime di deducibilità dei debiti dalla massa ereditaria va cioè ricostruito nel senso che tutti i debiti sono deducibili purché sussistano le condizioni e le dimostrazioni di cui agli artt. 21 e 23, mentre l'art. 22 prende in esame particolari ipotesi di non deducibilità di alcuni debiti (o di deducibilità a determinate condizioni), come quelli contratti per l'acquisto di beni o diritti non compresi nell'attivo ereditario.

Consegue che, ai fini della deducibilità, non è necessario che i debiti siano stati contratti in relazione a beni di proprietà del defunto, e compresi nell'attivo ereditario, ben potendo essere deducibili anche debiti diversi da questi, ove ricorrano i presupposti indicati nelle altre norme sopra evocate (v. Cass. n. 2531-03).

Nella specie è risolutivo osservare che la sentenza ha stabilito che il mutuo era stato contratto non per l'acquisto di beni o di diritti, quanto per ristrutturazione. Era ovvio allora che non poteva venire in rilievo l'art. 22, 1° co. Del d.lgs. n. 346-90, secondo cui non sono deducibili i debiti contratti per l'acquisto di beni o di diritti non compresi nell'attivo ereditario; e dunque non poteva rilevare il profilo della titolarità dei beni della cui ristrutturazione si fosse trattato. Il profilo rilevante era unicamente quello della titolarità del debito in capo al defunto.

VI. - L'accoglimento del terzo motivo determina l'assorbimento del quarto, col quale la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 22, 1° co., del d.lgs. n. 346-90, osserva con riferimento al medesimo capo di sentenza che in ogni caso l'importo della passività avrebbe dovuto essere riconosciuto in misura pari alla quota di partecipazione del de cuius nella società A.F., caduta in successione.

VII. - Vanno esaminati congiuntamente il quinto e il sesto motivo del ricorso incidentale.

La censura di cui al quinto motivo, dedotta come violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 22, 2° co., del d.lgs. n. 346-90, attinge il capo della decisione d'appello che ha confermato l'esclusione dal passivo ereditario dell'importo dì cui alle cambiali agrarie. La ricorrente denunzia che le cambiali erano relative a un prestito a lungo termine chiesto dal de cuius alla provincia di Firenze in data 9 settembre 1997, accordato con deliberazione del 16 novembre 2000. A dire della ricorrente, si era trattato di obbligazione contratta dal de cuius nella qualità di imprenditore agricolo (il che sarebbe risultato dai documenti prodotti nel corso del giudizio di merito) anteriormente ai sei mesi dalla morte, in conseguenza di un evento straordinario e imprevedibile costituito da una straordinaria gelata dell'anno 1997, estraneo alle sue determinazioni volitive.

La censura di cui al sesto motivo denunzia l'omessa motivazione della sentenza circa un fatto controverso decisivo, essendo stata immotivatamente esclusa la deducibilità delle cambiali suddette a fronte invece del fatto che    il debito risultava provato da un documento prodotto in giudizio, riguardante la data di concessione del prestito sottostante, la causale e la specifica rateazione.

Osserva la corte che il sesto motivo, col quale si denunzia il vizio di motivazione dell'impugnata sentenza, è inammissibile perché non concluso dal necessario momento di sintesi (ex art. 366-bis c.p.c.), indicativo del fatto controverso con riguardo al quale la motivazione andrebbe considerata omessa. Ciò si riverbera negativamente sul quinto motivo che di conseguenza, risulta inammissibile e in ogni caso infondato. La censura invero prospetta fatti che dalla sentenza non risultano (l'esser stato il debito contratto nell'esercizio di un'impresa e l'essersi trattato di debito riconducibile a domanda di finanziamento per eventi straordinari collocabili nell'anno 1997). E in questo senso non può trovare ingresso, giacché tali fatti la ricorrente vuole suscettibili di accertamento direttamente da parte di questa corte, in dissonanza rispetto ai noti limiti cognitivi del giudizio di legittimità.

In ordine poi alla rilevanza del secondo di quei fatti, su cui la censura particolarmente insiste, va detto che tale rilevanza è da escludere in radice. La sentenza ha negato la deducibilità dell'importo delle cambiali in considerazione della data di emissione delle stesse, collocabile nel periodo semestrale anteriore alla morte; dunque in ragione del momento di insorgenza del debito cambiario. A tal riguardo la commissione tributaria ha tenuto conto anche di quanto oggi dalla ricorrente addotto sul piano dell'obbligazione causale, circa l'essere le cambiali conseguite a una delibera di ammissione al credito agevolato. Indicando la data di tale delibera, pure collocabile nei sei mesi detti (16 novembre 2000, a fronte della successione apertasi l'il marzo 2001), la commissione ha ritenuto ininfluente lo stesso legame causale. La decisione, per questo aspetto, si sottrae a critica in quanto, anche a seguire la tesi di parte ricorrente, rileverebbe pur sempre la data della delibera di finanziamento sottostante l'emissione dei titoli, che identifica la fonte dell'obbligazione, non già la diversa anteriore data di assunzione dell'iniziativa finalizzata a ottenere il credito. Per cui la deduzione della passività andrebbe comunque a infrangersi contro il limite oggettivo temporale dettato dall'art. 22, 2° co., del d.lgs. n. 346- 90. Il quinto e il sesto motivo del ricorso incidentale vanno dunque disattesi.

VIII. - Infine col settimo motivo la B. denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 1° e 2° co., e 24, 1° co., del d.lgs. n. 346-90 in relazione al capo della decisione d'appello che ha negato la deducibilità delle spese mediche indicate al passivo ereditario.

La sentenza ha ritenuto ostativo, in base all'art. 24 del d.lgs. cit., "il fatto che le prestazioni mediche occorse al de cuius [fossero] state a lui fatturate". La ricorrente obietta che non esiste previsione "che escluda che le fatture relative alle spese mediche sostenute dagli eredi per il de cuius non debbano essere formalmente intestate al defunto per risultare deducibili ai fini dell'imposta di successione".

Il motivo è fondato.

Deve essere innanzi tutto precisato che, come emerge dalla trascrizione operata nel controricorso senza avverse contestazioni, la sentenza di primo grado aveva stabilito essersi trattato di "spese relative all'Istituto Europeo di Oncologia" riferite "agli ultimi mesi di vita del defunto. Ora, il regime di deducibilità dei debiti dalla massa ereditaria non impone che la fattura, emessa a corredo della spesa medica, debba essere formalmente intestata agli eredi. In linea generale il sistema afferente suppone di far fronte una prova legale nel limitato senso che, ex art. 24 del d.lgs. n. 346-90, le spese mediche e chirurgiche relative al defunto negli ultimi sei mesi di vita, sostenute dagli eredi, comprese quelle per ricoveri, medicinali e protesi, possano essere dedotte "a condizione che risultino da regolari quietanze, anche se di data anteriore all'apertura della successione".

L'oggetto dell'accertamento che alla commissione tributaria si richiedeva doveva essere rapportato alla duplice situazione di fatto (i) della esistenza di valida quietanza e (ii) della pertinenza della spesa all'ambito medico-chirurgico nell'ultimo semestre di vita del defunto; non anche al profilo formale della intestazione della fattura direttamente agli eredi anziché al defunto medesimo.

IX. - Conclusivamente e per le esposte ragioni l'impugnata sentenza, rigettato il ricorso principale, va cassata in relazione al primo, al terzo e al settimo motivo del ricorso incidentale, con assorbimento dei motivi secondo e quarto e rigetto dei restanti. Segue il rinvio alla medesima commissione tributaria regionale della Toscana, diversa sezione, per nuovo conseguente esame.

La commissione si uniformerà ai principi di diritto sopra fissati e provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale; accoglie il primo, terzo e il settimo motivo del ricorso incidentale; dichiara assorbiti i motivi secondo e quarto e rigetta i motivi quinto e sesto del ricorso suddetto; cassa l'impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale della Toscana.