Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 maggio 2015, n. 9956

Tributi - Registro - Transazione e vendita - Rettifica del valore dell'immobile - Stima del catasto - Perizia giudiziaria - Sussiste

 

Svolgimento del processo

 

La società S. S.p.A. acquistò per atto denominato transazione e vendita, da potere della Curatela del fallimento di un’impresa edile, un complesso immobiliare composto da 27 appezzamenti di terreno, con insistenti villette in costruzione. Per quanto interessa, l’Ufficio, con distinti atti, rettificò il valore dichiarato nell’atto sulla base di quello determinato dall’UTE, ed irrogò le relative sanzioni. I ricorsi proposti dalla contribuente, dopo esser stati riuniti furono, in parte, accolti dall’adita CTP e la decisione fu confermata in appello, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla CTR della Lombardia, secondo cui: a) l’avviso d’accertamento del maggior valore era motivato e congruo, in quanto si fondava su valori di precedenti atti di trasferimenti e della stima dell’UTE, teneva conto dello stato d’avanzamento dei lavori ed era confermato dall’importo delle ipoteche iscritte e delle sanatorie edilizie; b) la sanzione era legittima, essendo stata irrogata sul valore definitivamente accertato, per tale dovendosi intendere quello non più modificabile dall’Ufficio, una volta emesso l’avviso di rettifica e liquidazione.

Per la cassazione di tale sentenza, ricorre la Società S. S.p.A. con sette mezzi, ai quali resiste l’Agenzia delle Entrate.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 51 e 52 del dPR n. 131 del 1986 "con riferimento alla perizia giudiziale" acquisita nell’ambito della procedura fallimentare. La ricorrente sostiene che l’Ufficio doveva tener conto del valore in quella espresso e che la sentenza è erronea "laddove ha statuito che non vi fosse alcun obbligo di legge di tenere conto delle risultanze della CTU giudiziale depositata".

2. Col secondo motivo, si denuncia che la CTR è incorsa in violazione degli artt. 7 della L n. 212 del 2000 e 52, co 2 bis, del dPR n. 131 del 1986 nel negare che l’avviso impugnato facesse "riferimento alla perizia dell’Agenzia del territorio nella parte in cui richiama la vendita del 1996". La ricorrente afferma, per contro, che l’atto impositivo era motivato mediante il rinvio alla stima dell’Agenzia del Territorio, oltre che nel testo allegato all’avviso di rettifica e liquidazione, anche nella specificazione successiva, che si riferiva, appunto, alla predetta compravendita, che era stata allegata al processo verbale di contraddittorio, nel corso della procedura di accertamento con adesione.

3. Col terzo motivo, deducendo violazione degli artt. 51 e 52 del dPR n. 131 del 1986, la ricorrente lamenta che la CTR ha ritenuto legittima la rettifica, nonostante si fondasse su di un atto (la compravendita del 1996) che era stato dichiarato nullo per simulazione assoluta e che, inoltre, era stato stipulato oltre tre anni prima di quello oggetto della ripresa.

4. Col quarto motivo, la ricorrente deduce, nuovamente, la violazione degli artt. 51 e 52 del dPR n. 131 del 1986, per avere i giudici d’appello individuato il valore in comune commercio del complesso immobiliare al lordo e non al netto delle passività costituite dalle iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli.

5. Col quinto motivo, si lamenta la violazione dell’art. 71 del dPR n. 131 del 1986 per avere la CTR ritenuto legittima l’irrogazione delle sanzioni, senza che ne sussistesse il presupposto, ossia "la definitività del valore accertato con sentenza passata in giudicato che statuisse sul valore del bene".

6. Col sesto motivo, si denuncia la contraddittorietà della motivazione della sentenza, che ha disconosciuto rilievo probatorio alla CTU giudiziale e lo ha invece riconosciuto alla vendita del 1996.

7. Col settimo motivo, si lamenta l’insufficienza della motivazione in merito allo stato d’avanzamento dei lavori di realizzazione delle villette. La ricorrente evidenzia che, mentre nella perizia giudiziale la percentuale era indicata nella misura del 40%, la CTR ha considerato il dato esposto dall’Agenzia del territorio, pari al 64,42%, senza motivare come i lavori potessero proseguire successivamente alla dichiarazione di fallimento.

8. I motivi primo, secondo, terzo, quarto, sesto e settimo, che, attenendo tutti alla medesima questione, vanno congiuntamente esaminati, sono infondati.

9. Va premesso che, a norma dell’art. 52, co 1, del dPR n. 131 del 1986, l'ufficio provvede alla rettifica, e alla conseguente liquidazione, se ritiene che gli immobili ceduti abbiano un valore venale superiore a quello dichiarato o al corrispettivo pattuito, ed, a tal fine, ha "riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell'atto o a quella in cui se ne produce l'effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, ovvero al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari, nonché ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fomite dai comuni" (art. 51, co 3, del dPR n. 131 del 1986).

10. Questa Corte ha affermato che i predetti criteri di valutazione sono assolutamente pariordinati (cfr. Cass. n. 4221 del 2006), ed, in riferimento al criterio comparativo, ha, in particolare, rilevato che la circostanza secondo cui deve aversi riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo ed alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni, non implica l'immodificabilità del valore risultante da detti atti, ma si limita ad indicare un parametro certo di confronto, in base al quale l'Ufficio deve determinare il valore del bene in comune commercio (Cass. n. 4363 del 2011).

11. Se, a tale stregua, l’errore di diritto addebitato col primo motivo è insussistente, va rilevato che le censure di cui ai motivi secondo e terzo, muovono da un assunto che la CTR ha espressamente smentito, avendo, appunto, affermato che nell’atto "non è stato fatto alcun riferimento ... alla valutazione di una vendita avvenuta nel 1996... Non essendo stata tale vendita indicata nell’avviso non ne inficia, ovviamente, la validità".

12. Lo specifico contenuto dell’avviso, quale accertato dalla CTR, non è stato contestato, come solo avrebbe potuto, mediante indicazione di specifici canoni ermeneutici, in tesi, violati, nella sua ricostruzione, o mediante censura di difetto di motivazione, di talchè i motivi risultano inammissibili, perché volti censurare un atto di contenuto diverso rispetto a quello accertato ed al contempo volti a sollecitare una diversa indagine di fatto (sulla motivazione dell’atto stessa), rimessa in via esclusiva al giudice del merito e preclusa in questa sede di legittimità.

13. Non può, peraltro, non rilevarsi che la pretesa del fisco resta compiutamente fissata in riferimento alle ragioni enunciate nell’atto impositivo, la cui motivazione, volta a garantire il diritto di difesa del contribuente, e a delimitare, appunto, l'ambito delle ragioni deducibili dall'ufficio nell’eventuale giudizio, non si presta ad esser integrata, né in sede processuale, né con atti successivi (salvo il potere di autotutela, che qui non viene in rilievo), al contrario di quanto postula la ricorrente, che tanto assume, proprio allo scopo di dedurre motivi d’illegittimità dell’atto nel suo contenuto "integrato".

14. I vizi motivazionali denunciati coi motivi sesto e settimo sono, in parte, infondati, avendo la CTR dato conto adeguatamente della preferenza accordata alla stima dell’UTE rispetto alla consulenza acquisita dal giudice fallimentare (data l’epoca della sua redazione, anteriore di ben 19 mesi l’atto di trasferimento) ed, in parte, inammissibili, per la genericità delle argomentazioni (in riferimento all’effettivo stato d’avanzamento dei lavori), e perché relativi a dati fattuali insussistenti (asserita valutazione della vendita nulla del 1996).

15. Va, quindi, rilevato che la congruità del valore attribuito al compendio ceduto costituisce l'oggetto di un giudizio di fatto rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito, di talchè il quarto motivo risulta inammissibile, perché censura sotto il profilo della violazione di legge e non come vizio motivazionale, la questione, di merito appunto, della valorizzazione del dato economico relativo all’entità delle iscrizioni e trascrizioni esistenti sul complesso immobiliare a riprova del relativo elevato valore, dovendo a tanto aggiungersi che la ricorrente non riporta, come avrebbe dovuto, il testo dell’atto impositivo, di talchè l’assunto, secondo cui il valore sarebbe stato assunto al lordo delle passività, è privo di autosufficienza.

16. Anche il quinto motivo è infondato. A norma dell’art. 71 del dPR n. 131 del 1986, si applica la prevista sanzione amministrativa "se il valore definitivamente accertato" di beni e diritti, ridotto di un quarto, supera quello dichiarato. Pur in modo non del tutto perspicuo, la locuzione "definitivamente accertato" si riferisce al valore cristallizzato in seno all’atto impositivo, e, come tale, non più modificabile da parte dell’Ufficio.

17. Tale esegesi trova la sua conferma, in riferimento all’interpretazione sistematica, nella disposizione di cui all’art. 76, co 4, del medesimo decreto, secondo cui la soprattassa e "la pena pecuniaria" devono essere applicate, a pena di decadenza, nel termine stabilito per chiedere l’imposta cui si riferiscono, disposizione che non avrebbe alcun significato, ove la sanzione dovesse esser irrogata a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che statuisse sul valore del bene, come, invece, sostiene la contribuente. Deve, ancora, rilevarsi che la sostituzione della pena pecuniaria con la sanzione amministrativa, per effetto dell’art. 1, co 1 lett. c) del d.lgs. n. 473 del 1997, non modifica la relazione tra le anzidette disposizioni, dovendo il riferimento alla pena pecuniaria, contenuto nell’art. 76 del TUR (sanzione prevista nell’originario testo dell’art. 71 del TUR) esser correlato alla sanzione amministrativa prevista, per l’infedele dichiarazione di valore, dal nuovo testo dell’art. 71 del TUR.

18. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 20.000,00, oltre a spese prenotate a debito.