Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 12 maggio 2015, n. 9546

Tributi - Accertamento - Operazioni soggettivamente inesistenti - Acquisizione della prestazione da soggetto diverso da quello che ha emesso fattura - Fatturante sfornito di dotazione personale e strumentale - Presunzione di acquisto in mala fede - Onere della prova - A carico del contribuente

 

Svolgimento del processo

 

1. La società (...) srl. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Calabria n. 152/06/11, depositata il 15 luglio 2011, con la quale, accolto l'appello dell'Agenzia delle Entrate contro la decisione di quella provinciale, l'impugnazione dell'avviso di accertamento, relativamente all'Irpeg, Irap ed Iva per l'annualità 2003, veniva rigettata. In particolare il giudice di secondo grado osservava che l'atto impositivo doveva ritenersi legittimo, perché emesso in base a confessioni stragiudiziali, oltre che ai vari rilievi ed anomalie riscontrati con esattezza dai funzionari erariali nel corso della verifica, come indicati nel pvc., mediante i quali era emerso che i costi erano indeducibili, trattandosi di operazioni antieconomiche, compiute con fornitori del tutto privi di strutture ricettive. Inoltre si trattava di vendite addirittura sottocosto, con mancanza di documenti di trasporto, e anomalie varie. L'Agenzia delle Entrate resiste con contrroricorso, mentre la ricorrente ha depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

2. Col primo motivo la ricorrente deduce il vizio di omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in quanto la CTR non indicava le ragioni, in virtù delle quali riteneva legittima la pretesa erariale, nonostante le contestazioni e difese dell'appellata società, che si basavano sui vari documenti, prodottine a sostegno.

Il motivo è generico, e perciò inammissibile, posto che la ricorrente lamenta il mancato esame delle osservazioni addotte, e dei documenti posti a base delle stesse, da parte del giudice di appello. Invero, com'è noto, il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell'omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere - imposto dall'art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. e dall'art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., a pena di improcedibilità del ricorso - di indicare esattamente nell'atto di gravame in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di riportarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso stesso. Né la (...) ha riprodotto i tratti salienti del ricorso introduttivo - stante la sua mancata costituzione in appello - con cui avrebbe enunciato le specifiche argomentazioni e dati a sua difesa, onde mettere la Corte nella condizione di vagliare la contestazione di carenza mossa alla decisione (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 2966 del 07/02/2011, n. 15628 del 2009) . Al riguardo poi alcun rilievo può avere il fatto che la contribuente abbia riportato quasi integralmente la motivazione della sentenza di primo grado a sostegno del presente gravame nella parte in fatto del gravame, posto che si tratta tipicamente del vizio di assemblaggio, che non consente la specifica illustrazione di ogni censura formulata con i singoli motivi addotti (V. pure Cass. Sez. U, Sentenza n. 5698 del 11/04/2012).

3. Col secondo motivo la ricorrente denunzia il vizio di insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacché il giudice di appello non enunciava le ragioni, per le quali riteneva legittima la ripresa a tassazione dei costi, anche quelli attinenti agli pneumatici, agli acquisti dei servizi, pure attinenti all'immatricolazione dei veicoli, nonché gli altri inerenti alle varie autovetture, effettuati comunque in buona fede, senza cioè che la contribuente fosse a conoscenza delle frodi carosello in cui era coinvolta-

La censura è anch'essa carente di autosufficienza, e quindi è inammissibile. Invero anche per la medesima, valgono le stesse considerazioni svolte per il motivo prima esaminato, posto che la ricorrente non ha riprodotto i tratti salienti quanto meno del ricorso introduttivo, né ha indicato il contenuto preciso dei documenti offerti per l'illustrazione delle contestazioni nemmeno dinanzi al giudice di prime cure, considerato che lo stesso ente impositore ha addotto nel controricorso che persino E.A., legale rappresentante, aveva ammesso (...) agli che il calcolo delle rimanenze era stato effettuato erroneamente a prezzo pieno, e cioè comprensivo di Iva, e non invece in base al solo costo al netto d'imposta.

Tuttavia, ad ogni buon conto - e "ad abundantiam" - si osserva che la doglianza è priva di pregio. Si tratta di valutazione di elementi probatori differenti rispetto a quella effettuata dal giudice di merito. Invero, com'è noto, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., qualora con esso s'intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, si prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. Infatti, in caso contrario, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione, come nella specie (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 7394 del 26/03/2010, n. 6064 del 2008). Inoltre va osservato che in ipotesi di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente, risolventesi nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto diverso da quello che ha emesso fattura e percepito l’IVA in rivalsa, la prova che la medesima non è stata effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito di dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione, costituisce, di per sé, idoneo elemento sintomatico dell'assenza di "buona fede" del contribuente, poiché l'immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore - fatturante - cessionario o committente) induce ragionevolmente ad escluderne l'ignoranza incolpevole circa l'avvenuto versamento dell'IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all'obbligo del pagamento dell'imposta. Ne consegue che, in tal caso, sarà il contribuente a dover provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detrazione dell’IVA versata, come nella specie (V. pure Cass. Sentenze n. 6229 del 13/03/2013, n. 23560 del 2012).

Dunque, sulla scorta di quanto più sopra osservato, la decisione gravata risulta motivata in modo adeguato e giuridicamente corretto sul punto.

4. Ne discende che il ricorso va rigettato.

5. Quanto alle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al rimborso delle spese a favore della controricorrente, e che liquida €. 4.500,00(quattromilacinquecento/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito.