Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 maggio 2015, n. 9722

Tributi - Imposte sui redditi ed IVA - Accertamento - Ricarico insufficiente a remunerare il capitale impiegato - Inattendibilità - Accertamento induttivo - Legittimità

 

Svolgimento del processo

 

La X. Sas ed i soci M. R. S. e V.P., A.S. R.T. ed H.P.C., propongono ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, avverso la sentenza della CTR dell’Umbria che, in riforma della sentenza della CTP di Temi, ha respinto il ricorso dei contribuenti avverso l’accertamento con il quale era stato rettificato ex art. 39 Dpr 600/73, ai fini Irap ed Iva, il reddito della società relativo all’anno 2003 e conseguentemente il reddito da partecipazione dei soci per la stessa annualità.

La CTR , in particolare, affermava che sussistevano i presupposti per dar luogo all’ accertamento induttivo ex art. 39 Dpr 600/73 sulla base della inattendibilità della percentuale di ricarico applicata dalla società, neppure sufficiente a remunerare il capitale impiegato nell’attività, rivelatasi passiva per diversi esercizi, e concludeva rilevando la congruità del maggior reddito come determinato. L’Agenzia resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo di ricorso i contribuenti denunziano la nullità della sentenza della CTR per nullità della notifica dell’atto di appello, in relazione all’art. 360 n.4) c.p.c.

Il motivo è privo del quesito di diritto ex. art. 366 bis c.p.c., vigente ratione temporis.

Tuttavia, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio, essa va esaminata d’ufficio.

La censura è infondata, in quanto, dall’esame degli atti la notifica risulta ritualmente perfezionata mediante consegna della raccomandata contenente l’atto di impugnazione al difensore della contribuente in data 6 aprile 2007.

Con il secondo motivo si denunzia la mancata pronuncia su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n.4) c.p.c., lamentando che la CTR abbia omesso di pronunziarsi sull’unico motivo per il quale i giudici di primo grado avevano accolto i ricorsi riuniti, e cioè la violazione da parte dell’Amministrazione del divieto di praesumptio de praesumpto.

Il motivo non ha pregio.

Nel caso di specie la CTR ha specificamente preso in esame e disatteso l’eccezione dei contribuenti, avente ad oggetto l’infondatezza dell’accertamento in quanto scaturito da una serie di presunzioni "a catena".

La CTR infatti, accogliendo l’appello dell’Ufficio, ha affermato la fondatezza dei motivi di impugnazione, rilevando che l’accertamento era fondato su fatti concreti verificatasi nell’anno oggetto di accertamento ed in quelli precedenti, quali le anomale giacenze di magazzino con riferimento all'anno oggetto di accertamento, nonché il fatto che la società avesse riportato costantemente una redditività negativa dal 1999 all’anno 2002.

Ha pertanto escluso che fosse ravvisabile la c.d. doppia presunzione, dedotta dai contribuenti , affermando la legittimità del ricorso all’accertamento induttivo per la determinazione del reddito della società da parte dell’Ufficio.

Con il terzo motivo di ricorso si denunzia la insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 n.5) c.p.c., formulando il seguente quesito ex art. 366 bis ultima parte c.p.c.:

"Dica la Corte se sia viziata da motivazione insufficiente - oltre che errata - la sentenza di appello che ha ritenuto legittimi gli accertamenti impugnati sulla sola generica considerazione della presunta antieconomicità della gestione aziendale ritenuta erroneamente in perdita e della incongruità della redditività rispetto al capitale investito, senza considerare che, invece, la società non era affatto in perdita nel 2003 ma in utile per 11.115,00 euro, e che la stessa risultava congrua e coerente ai fini degli studi di settore."

Con il quarto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 39 Dpr 600/73, nonché dell’art. 10 comma 4 bis L. 146/1998, dell’art. 2727 c.c., in relazione all’art. 360 n.3) c.p.c., formulando il seguente quesito di diritto:

"Dica codesta Corte se sia legittimo emettere un accertamento di tipo induttivo ex art. 39 comma 2 lett d) Dpr 600/73, in assenza di qualsivoglia contestazione circa le gravi omissioni, inesattezze ed errori richieste dalla norma nella contabilità aziendale - che dunque deve presumersi regolare ed attendibile - nonché in presenza del fatto che la società risultasse congrua e coerente ai fini degli studi di settore."

I motivi che, in quanto strettamente connessi, vanno congiuntamente esaminati sono infondati. Costituisce invero orientamento consolidato di questa Corte , cui si intende dare senz’altro continuità, che l’accertamento induttivo del reddito è consentito, anche in presenza di scritture contabili formalmente corrette, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente inattendibile in quanto confliggente con regole fondamentali di ragionevolezza (Cass.n.5870/2003). In particolare, è stato affermato che, in tema di accertamento induttivo dei redditi d'impresa, consentito dall'art. 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l'atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste dì bilancio e dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l'operato degli accertatori, nel senso che null’altro l'ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte (Cass. 14068/2014).

Orbene, nel caso di specie la CTR, con valutazione di merito che, in quanto logicamente ed adeguatamente motivata, si sottrae a sindacato nella presente sede, ha ritenuto condivisibili i rilievi dell’Ufficio di antieconomicità della gestione della società, sulla base della percentuale di ricarico praticata, che aveva determinato perdite o guadagni minimi negli anni immediatamente precedenti a quello oggetto di accertamento, ed una minima redditività anche per l’annualità in esame, ravvisando dunque quella "grave incongruenza" idonea a fondare l’accertamento induttivo, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare.

Questa Corte ha invero già affermato che nel giudizio tributario, una volta contestata dall'erario l’antieconomicità di un comportamento posto in essere dal contribuente, poiché contrario ai canoni dell’economia, incombe sul medesimo l'onere di fornire, al riguardo, le necessarie spiegazioni, essendo - in difetto - pienamente legittimo il ricorso all’accertamento induttivo da parte dell'amministrazione, ai sensi degli artt. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass. 6918/2013).

Con il quinto motivo si denunzia violazione dell’art. 2727 c.c. in relazione all’art. 360 n.3) c.p.c., formulando il seguente quesito di diritto:

"Dica codesta Corte se sia stato violato il divieto di "doppia presunzione" nel caso di accertamento di pretesi maggiori ricavi scaturenti unicamente dall’applicazione della percentuale di incidenza del servizio al tavolo effettuato da un bar, ove tale percentuale dichiarata in base a mere "sensazioni" personali da uno dei soci in relazione all’esercizio 2005, in sede di procedimento con adesione per il ricalcolo dei ricavi, sia stata arbitrariamente trasportata dall'Ufficio sui ricavi dichiarati relativi all’anno 2003."

Il motivo è inammissibile per inidoneità del quesito ex art. 366 bis c.p.c..

Esso non consiste infatti nella censura ad una determinata statuizione della sentenza impugnata, in relazione ad una specifica violazione di legge, ma nella diretta contestazione dell’accertamento dell’Ufficio, lamentandosi l’inidoneità delle presunzioni poste a fondamento del maggior reddito accertato.

Non è peraltro ravvisabile, nel merito» la c.d. doppia presunzione (cd. "praesumptio de praesumpto") che attiene esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con altra presunzione semplice.(Cass. 17953/2013)

Nel caso di specie, secondo quanto risulta dallo stesso ricorso del contribuente, il maggior reddito risulta determinato sulla base della percentuale di incidenza del servizio al tavolo ( in misura del 29,78%) sull’ammontare complessivo delle consumazioni, elemento che non è presuntivo ma risulta riconducibile a quanto riferito da uno dei soci della contribuente.

Il ricorso va dunque respinto ed i ricorrenti vanno condannati in solido alla refusione delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in 6.000,00 euro per compensi, oltre ad accessori e rimborso spese prenotate a debito.