Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 maggio 2015, n. 9458

Lavoro - Lavoro straordinario - Compenso a forfait - Superminimo - Retribuzione ordinaria

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 14 marzo 2007 la Corte d’appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Torino del 20 novembre 2004 che ha condannato la (...) s.p.a. al pagamento in favore dei lavoratori indicati in epigrafe degli importi dovuti a titolo di compenso a forfait per eventuale lavoro straordinario. La Corte territoriale, riproducendo la motivazione di altra sentenza pronunciata su questione identica e confermata dalla Corte di Cassazione, ha ritenuto che in realtà il compenso forfetario costituisse un superminimo, che prescindeva in realtà dallo straordinario effettivamente prestato, e che era entrato a far parte della retribuzione ordinaria, e perciò non poteva essere ridotto unilateralmente.

La (...) s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione avverso questa sentenza affidato ad un unico motivo.

Resistono i lavoratori con controricorso.

Entrambe le parti hanno presentato memoria e, in relazione alla posizione le stesse parti hanno presentato verbale di conciliazione.

 

Motivi della decisione

 

Riguardo alla posizione di (...) deve dichiararsi l'avvenuta cessazione della materia del contendere, cui fa seguito l'estinzione del processo. La intervenuta conciliazione della lite successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, infatti, comportando la sostituzione del nuovo assetto pattizio voluto dalle parti del rapporto controverso, alla regolamentazione datane dalla sentenza impugnata, che resta così travolta e caducata, fa venire meno l'interesse alla naturale definizione del giudizio e determina - come chiarito anche di recente da Cass. sez. un. 28 settembre 2000 n. 1048 - la cessazione della materia del  contendere con conseguente estinzione del processo. Nulla si dispone sulle spese in questa sede, avendo le parti già concordato il loro regolamento in sede transattiva.

Con l’unico motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e seguenti, 2077, secondo comma, 1372 e 1340 cod. civ. in relazione al disposto dell’art. 5 del r.d.l. 15 marzo 1923, n. 692; carenza e contraddittorietà della motivazione su un punto essenziale della controversia. In particolare si deduce, innanzi tutto, che la sentenza impugnata avrebbe ignorato e superato i dati documentali in atti, ed errato così nell'interpretazione del contratto, che parlava di compenso forfetario per lavoro straordinario. Quest'ultimo costituiva una modalità di pagamento dello straordinario, alternativa rispetto a quella ordinario, e che prescindeva dall'effettiva prestazione e dalla relativa autorizzazione. Se il lavoro straordinario prestato era inferiore al forfait ricevuto, non per questo si trasformava in un miglioramento retributivo. La possibilità per il datore di lavoro di pagare lo straordinario effettivo oppure di compensarlo forfetariamente attribuita al datore stesso configurava un'obbligazione facoltativa, e la scelta tra le due modalità di adempimento spettava allo stesso debitore. La datrice di lavoro ne aveva fatto uso legittimamente comunicando ai dipendenti che avrebbe pagato soltanto le ore di lavoro effettivamente prestate. La ricorrente nega che si potesse fare uso della valutazione del comportamento complessivo delle parti per dedurne elementi utili alla tesi del superminimo, perché si trattava di una valutazione ex post. Sarebbe stato necessario, piuttosto, valutare ex ante, se l'entità dello straordinario forfetizzato fosse congrua rispetto alle reali esigenze aziendali. Né poteva rilevare - a differenza di quanto ritenuto dalla sentenza impugnata - il fatto che il forfait potesse essere corrisposto in misura notevolmente diversa tra lavoratori con sostanziale - parità di anzianità aziendale e di retribuzione complessiva. Trattandosi di una erogazione per prestazione straordinaria, anche se ipotetica, non avrebbe trovato applicazione il principio della irriducibilità della retribuzione.

Il ricorso non è fondato e non può trovare accoglimento, alla stregua di quanto già deciso con le sentenze di questa Corte n. 22050/2006, n. 542/2011 e n. 15781/2011, dalle quali non vi sono ragioni per discostarsi. Sotto un primo profilo, nel merito, il ricorso non è ammissibile, perché ripropone, in realtà, questioni di fatto non più suscettibili di riesame in questa sede di legittimità. La ricorrente contesta, infatti, l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il compenso forfetario in discussione avrebbe dovuto essere imputato a "superminimo" e non a "lavoro straordinario", e lamenta espressamente che questa ricostruzione avrebbe ignorato i dati documentali, criticando così la ricostruzione effettuata dalla Corte di Appello di Torino di questo aspetto del rapporto contrattuale. L'interpretazione dei contratti, e più ampiamente dei rapporti negoziali, compete, però, al giudice del fatto, e, nel merito, non è suscettibile di riesame in sede di legittimità; non può essere impugnata nel merito, ma soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, come, del resto, è stato in ammissibilmente fatto.

Sotto un altro aspetto l'impugnazione è infondata. Come si è detto, la società (...) lamenta che la sentenza abbia ignorato i dati documentali, e cioè le lettere attributive, inviate ai dipendenti interessati e da loro sottoscritte, nelle quali comunicava i miglioramenti retributivi specificando che venivano corrisposti a titolo di compenso forfetario per eventuale lavoro straordinario. La sentenza, peraltro, ha motivato congruamente, attraverso una serie di passaggi logici strettamente concatenati tra loro, le ragioni per le quali giungeva alla conclusione che quella voce retributiva in realtà costituisse un superminimo. In particolare ha spiegato in dettaglio: che, in base alle norme della contrattazione collettiva, ai caporeparto, quali erano appunto gli attuali controricorrenti, non era dovuto alcun compenso speciale salvo per i servizi di notte o nei giorni festivi; che, di conseguenza, la ditta non aveva alcun obbligo di corrispondere un compenso specifico per le prestazioni rese al di fuori dell'orario di lavoro, ma non in orario notturno, ne' in giorno festivo; che le prestazioni straordinarie rese in orario notturno, o in giorno festivo, erano state sempre retribuite a parte, al di fuori della posta retributiva in discussione; che la circostanza, allegata dalla ditta, secondo cui il compenso forfetario sarebbe stato introdotto per incentivare il cosiddetto straordinario "ordinario", non emergeva dalle lettere che lo avevano istituito. Ha argomentato, inoltre, che il significato effettivo della pattuizione poteva essere ricercato anche avvalendosi di elementi extratestuali, ed innanzi tutto attraverso il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore all'istituzione del compenso forfetario. Ha rilevato a questo proposito, in fatto, che, a parità di anzianità e di retribuzione complessiva, i compensi forfetari riconosciuti ai diversi interessati differivano in misura considerevole nelle misure, deducendone che non erano correlati all'entità presumibile della prestazione straordinaria resa, ma si riferivano ad altri aspetti del rapporto. Queste argomentazioni molto concrete, e le altre di contorno pure sviluppate nella sentenza, non appaiono scalfite dalle argomentazioni di segno contrario della società ricorrente. Quest'ultima si basa, innanzi tutto, sul testo letterale delle lettere di attribuzione, sul fatto che specificassero che il compenso forfetario veniva riconosciuto per l'eventuale lavoro straordinario.

In realtà il criterio letterale non è assoluto ne' assorbente. Secondo la ricorrente l'interprete doveva ricercare la volontà negoziale sulla base delle espressioni utilizzate nel testo e non poteva cercare un significato diverso da quello letterale. Questo criterio, però, può valere soltanto per i casi in cui il testo letterale sia sufficientemente chiaro, e non consenta dubbi sul suo significato e sulla effettiva volontà delle parti. Non può valere, in ogni caso, per la qualificazione giuridica del contratto e delle singole clausole che ne fanno parte.

Le categorie giuridiche, gli istituti cui ricondurre i termini dell'accordo negoziale, debbono essere individuate dal giudice del merito, che non è vincolato dai termini utilizzati dalle parti, perché questi ultimi possono risultare errati, e non necessariamente per consapevole volontà di occultare l'effettivo contenuto del contratto, ma anche per improprietà di linguaggio o per semplice inesattezza. Nel caso di specie il testo riportato in ricorso era sufficientemente chiaro per quel riguardava il contenuto dell'attribuzione patrimoniale, in concreto l'entità del compenso forfetario (che, infatti, di per se stessa non risulta abbia dato luogo a contestazioni di sorta) ma - come ha ritenuto in sostanza la sentenza impugnata - non lo era per quel che riguardava il titolo dell'attribuzione stessa. D'altra parte il criterio utilizzato dal giudice del merito, di fare riferimento nell'interpretazione del contratto al comportamento complessivo delle parti, anche posteriore all'istituzione del compenso forfetario, non è certo arbitrario o improprio, ma è del tutto lecito perché previsto espressamente proprio dall'art. 1362 c.c. (di cui la ricorrente ha denunziato la violazione), che precisa, al comma 2, che "per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto".

Corollario di quanto sinora detto è che la sentenza impugnata, per , essere congruamente motivata, priva di salti logici, e per avere fatto corretta applicazione dei canoni ermeneutici applicabili alla fattispecie in esame, si sottrae alle censure che le sono state mosse.

In conclusione, mentre il giudizio va dichiarato estinto nei confronti del (...), va rigettato nei confronti degli altri contro ricorrenti.

Le spese del grado seguono la soccombenza in danno della società ricorrente, mentre nessuna statuizione sulle spese va emessa nei confronti del (...).

 

P.Q.M.

 

Dichiara estinto il giudizio nei confronti di (...).

Rigetta il ricorso nei confronti degli altri contro ricorrenti.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in complessivi € 100,00 per esborsi ed € 3.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.

Nulla sulle spese relative al giudizio nei confronti di (...).