Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 07 maggio 2015, n. 9185

Previdenza e assistenza - Contribuzione - Società a capitale misto esercenti attività industriali - CIG e mobilità - Corresponsione - Obbligo - Esenzione

 

Fatto e diritto

 

II Consigliere relatore nominato ai sensi dell’art. 377 cod. proc. civ. ha depositato la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. e 375 cod. proc. civ.: "Il Tribunale di Milano, con sentenza resa all’udienza del 3.12.2008, previa riunione dei relativi ricorsi, respingeva il ricorso in opposizione proposto da A.E. s.p.a (oggi A.E. s.p.a) avverso cartella esattoriale n. X. Il ricorso in opposizione proposto dalla medesima società avverso cartella esattoriale n. X e il ricorso in opposizione proposto da A avverso cartella esattoriale n. X. Le cartelle esattoriali avevano ad oggetto la richiesta di pagamento di somme a titolo di contributi omessi e relative sanzioni.

La Corte di appello di Milano, riunite le impugnazioni proposte separatamente avverso la sentenza di primo grado, in parziale riforma della stessa, confermata nel resto, ha dichiarato non dovuti i contributi per maternità e relative sanzioni,

Per la (parziale) cassazione della decisione ha proposto ricorso A.E. s.p.a (già A. s.p.a) sulla base di otto motivi.

L’INPS, anche quale procuratore di S. s.p.a., ha depositato tempestivo controricorso, rappresentando di avere a sua volta impugnato, con autonomo atto la decisione di appello. Equitalia Nord s.p.a. è rimasta intimata.

Con autonomo ricorso l’istituto previdenziale, anche quale procuratore di S. s.p.a., ha chiesto la (parziale) cassazione della decisione sulla base di un unico motivo. T. s.p.a ha depositato tempestivo controricorso con ricorso incidentale affidato a due motivi. Ha eccepito la illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 41 Cost., dell’art. 1, comma 238 della legge n. 662 del 1996 nella parte in cui non dispone che la contestuale riduzione delle aliquote contributive di finanziamento per le prestazioni temporanee a carico della gestione di cui all’art. 25 l. n. 88 /89 trovi applicazione anche agli iscritti all’l.V.S. INPDAP, ovvero quanto meno si applichi ai dipendenti che avevano mantenuto l’iscrizione all’INPDAP per effetto dell’opzione esercitata ai sensi dell’art. 5 l. n. 274 del 1991.

L’INPS ha depositato tempestivo controricorso per resistere al ricorso incidentale della società T. La A.E. s p a ha depositato tempestivo controricorso per resistere al ricorso dell’INPS in subordine ai motivi di ricorso per cassazione già formulati in via principale ha svolto un ulteriore motivo di ricorso. Equitalia Nord è rimasta intimata.

Per ragioni di ordine espositivo i ricorsi avverso la decisione di appello saranno trattati separatamente.

Ricorso in via principale della A.E. s.p.a (già A. s.p.a.).

Il ricorso è articolato in otto motivi.

Con il primo motivo attinente ai contributi per CIGS, CIGO e mobilità la società ricorrente, denunciando violazione di plurime norme,, deduce che alla luce della disciplina comunitaria e della disciplina nazionale, il riferimento alle imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate e dello Stato, contenute nell’art. 3 comma 1 d.lgs Capo provvisorio dello Stato n. 869 del 1947, non può essere inteso come relativo solo alle società esercenti servizi pubblici a capitale totalmente pubblico e non anche a quelle a capitale maggioritario pubblico a influenza dominante pubblica; in particolare, nell’articolata deduzione richiama la nozione di influenza dominante quale tratto distintivo della impresa pubblica, secondo quanto previsto nei rispettivi ambiti dalle Direttive n. 50 del 1992, n. 38 del 1993 e n. 53 del 2000, deduce altresì che la unicità della nozione di impresa non esclude la esistenza di diversità tra impresa pubblica ed impresa privata come si evince dall’art. 2093 ultimo comma cod. civ. ; non sarebbe dunque condivisibile l’affermazione che la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché lo Stato e gli enti pubblici ne posseggano le azioni in tutto o in parte, non assumendo rilievo alcuno per le vicende della medesima la persona dell’azionista, dato che tale società, quale persona giuridica privata, opera nell’esercizio della sua autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l’ente pubblico; ad avviso della ricorrente, ciò che rileva non è il dato formale della personalità giuridica privata e/o l’esercizio o meno di poteri autoritativi, al fine di determinare una significativa alterazione del modello societario tipico ma il dato sostanziale dell’unitarietà economica e funzionale con il soggetto pubblico proprietario di semplice maggioranza, ciò sarebbe sufficiente a determinare un’alterazione del modello societario come evidenziato dalla Corte di giustizia nella sentenza 6 dicembre 2007 ( cause C-463 /04 e C- 464 /04) .

Con il secondo motivo, denunciando violazione di plurime norme di legge e vizio di motivazione, ha censurato la decisione per avere escluso che la natura strettamente strumentale rispetto a quella generale di pubblico servizio comportasse la qualificazione dell’attività svolta nell’ambito del servizio pubblico medesimo, ai fini dell’esonero contributivo.

Con il terzo motivo di ricorso, denunziando vizio di motivazione e violazione di norme di diritto, si duole che la Corte territoriale non abbia tenuto conto della circostanza che la sussistenza del requisito della "stabilità d'impiego", indispensabile ai fini dell’esonero dai contributi per disoccupazione involontaria, era stata riconosciuto dal Ministero del Lavoro, con lettera del 10.7.1956, in favore della A azienda municipalizzata poi trasformata in società per azioni (la A. spa), dalla quale era derivata, per effetto di successivo scorporo essa ricorrente; ricorrente; deduce quindi che, così come riconosciuto in relazione alle società derivate dall'E., essa ricorrente doveva ritenersi subentrata, in quanto società derivata, nell'esonero contributivo a suo tempo accordato all’A.

Con il quarto motivo, denunziando violazione e falsa applicazione di norme di diritto e omesso esame di un punto decisivo del giudizio ha sostenuto che, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, dalla disamina della disciplina collettiva (CCNL 17,11.1995 dipendenti di imprese del gas e dell'acqua; CCNL 9.7.1996 dipendenti di imprese elettriche), e tenuto anche conto di quanto affermato nel Protocollo dell'11.3.2003, emergevano le condizioni per ritenere la sussistenza di una stabilità di impiego rafforzata ai fini dell’esonero dalla contribuzione per la disoccupazione.

Con il quinto motivo, denunciando violazione di plurime norme di diritto, deduce che, ai sensi dell'art 3, comma 23, legge n. 335/95 e del dm 21.2.1996, attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata, avrebbe dovuto riconoscersi che la riduzione delle aliquote CUAF spettava, a decorrere dal 1° gennaio 1996, anche per quei lavoratori delle aziende municipalizzate privatizzate del settore elettrico, che, ai sensi dell'art.5, comma 1, lett. a) e b), legge n. 274/91, avevano optato per mantenere l'iscrizione all' INPDAP dovendosi altrimenti ritenere il contrasto della normativa di riferimento con gli artt. 81 e ss del Trattato CE e con gli artt. 3 e 41 della Costituzione, con conseguente disapplicazione del ridetto dm 21.2.1996.

Con il sesto motivo, svolto in via subordinata, la società ricorrente, denunciando violazione di plurime norme di diritto, deduce che ai sensi dell'art. 41 legge n. 88/99, come interpretato autenticamente dall'art. 68 legge n. 88/00, attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata, avrebbe dovuto riconoscersi che la riduzione delle aliquote CUAF spettava a decorrere dal 1° gennaio 2000 anche per quei lavoratori delle aziende municipalizzate privatizzate del settore elettrico, che, ai sensi dell'art. 5, comma 1, lett. a) e b), legge n. 274/91, avevano optato per mantenere l'iscrizione all’INPDAP , dovendosi altrimenti ritenere il contrasto con le sopra indicate norme comunitarie e costituzionali.

Con il settimo motivo, denunziando omessa motivazione e violazione di legge, censura la decisione per non avere applicato le sanzioni in misura ridotta in applicazione dell’art. 116, comma 15 lett a) In. 388 del 2000.

Con l’ottavo motivo la ricorrente ribadisce le censure di incostituzionalità e di contrarietà alla normativa comunitaria già dedotte, in relazione all'art. 1, comma 238, legge n. 662/96.

Il primo motivo è manifestamente infondato. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte ( v. tra le altre, Cass. n. 14847 del 2009, a 5816 del 2010, n. 19087, n. 20818, n. 20819, n. 22318, n. 27513 del 2013, n. 14089 , n, 13721 del 2014) in tema di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all'erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l'amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione - pur maggioritaria, ma non totalitaria - da parte dell'ente pubblico. E’ stato in particolare precisato che la forma societaria di diritto privato è per l'ente locale la modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta dall'ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell'obiettivo pubblico è caratterizzato dall'accettazione delle regole del diritto privato e che la finalità perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo rilevanza determinante, in ordine all'obbligo contributivo, il passaggio del personale addetto alla gestione del servizio dal regime pubblicistico a quello privatistico.( Cass. n. 20818 del 2013 , Cass. 27513 del 2013).

Il secondo, il terzo motivo ed il quarto motivo, attinenti alla contribuzione per disoccupazione, sono manifestamente infondati. Le questioni proposte sono state infatti esaminate e disattese da numerose pronunzie di legittimità.

In particolare questa Corte, richiamata la normativa di riferimento, all’epoca costituita dall’art. 40 RDL n. 1827 del 1935 e dall’art. 36 dpr n. 818 del 1957, ha affermato che dalla coordinata lettura di tali norme si evince che:

- anche in relazione al personale dipendente delle aziende esercenti pubblici servizi l'esenzione dall’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione volontaria opera soltanto ove ai medesimi sia garantita la stabilità d'impiego;

- anche in relazione al personale dipendente delle aziende esercenti pubblici servizi detta stabilità d’impiego, ove non risultante da norme regolanti Io stato giuridico e il trattamento economico, deve essere accertata dal Ministero competente su domanda del datore di lavoro,con decorrenza dalla data di tale domanda.

In difetto di disposizioni di legge o regolamentari specificamente riguardanti la tipologia d'impresa cui appartiene la ricorrente principale, diviene quindi sostanzialmente irrilevante, ai fini de quibus, accertare se alla stessa debba o meno essere riconosciuta la qualifica di azienda esercente un pubblico servizio, posto che, anche in ipotesi affermativa, non potrebbe farsene derivare, de plano, l'invocata esenzione contributiva.

Del pari, non essendo ricomprese le clausole pattizie di cui alla contrattazione collettiva di diritto comune fra le "norme regolanti lo stato giuridico e il trattamento economico", l'eventuale stabilità d'impiego garantita da detta contrattazione collettiva non potrebbe di per sé condurre all'esenzione contributiva in difetto di domanda di accertamento ai riguardo da parte del datore di lavoro e di conseguente riconoscimento di detta stabilità da parte dell'Autorità amministrativa competente(ex plurimis Cass. n. 18455/2014, n. 8022/2013; n.24524/2013; n. 20818/2013).

Nel caso di specie la ricorrente non deduce di avere inoltrato la domanda, né tanto meno, che sia stata riconosciuta nei suoi confronti la stabilità d'impiego dei dipendenti. Sostiene invece, di essere "subentrata", in quanto società derivata, nell'esonero contributivo a suo tempo accordato all'azienda municipalizzata A. L'assunto non può essere condiviso, sia perché l'azienda municipalizzata A. oggi non più esistente, era un soggetto giuridico diverso dalla società per azioni in cui venne trasformata e,a fortiori, dalle altre società che da quest'ultima sono state scorporate; sia perché, essendo stata la valutazione della sussistenza della stabilità d'impiego per i dipendenti dell'azienda municipalizzata A. necessariamente resa in relazione alle disposizioni vigenti all'epoca il riconoscimento invocato non è parametrabile alla diversa disciplina vigente all'epoca dei fatti per cui è causa, atteso che i contratti collettivi di lavoro che, secondo l'assunto della ricorrente principale, regolano il rapporto d'impiego dei suoi dipendenti, sono stati conclusi a distanza di molti anni (cfr., altresì, sul punto, ex plurimis, Cass. n.18455/2014, n. 28022/20139;24524/2013; 20818/2013).

La mancanza del prescritto riconoscimento amministrativo della stabilità d'impiego conduce di per sé ad escludere la sussistenza dell'invocata esenzione, assorbendo le ulteriori censure svolte con i motivi in esame.

Non avendo parte ricorrente offerto argomenti diversi ed ulteriori a quelli presi in considerazione e disattesi dal giudice di legittimità nelle richiamate decisioni, la sentenza impugnata deve essere confermata quanto all’esclusione del diritto l’esonero dalla contribuzione per disoccupazione involontaria.

Parimenti infondati sono il quinto, sesto e ottavo motivo che investono, sotto vari profili, l’applicabilità dell’aliquota ridotta in relazione ai contributi dovuti per gli assegni familiari.

Le questioni proposte con i detti motivi, anche sotto il profilo della necessità di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme di riferimento, sono state disattese dalla giurisprudenza di questa Corte la quale ha escluso che tale disciplina, interpretata nel senso della non applicabilità dell’aliquota ridotta per i dipendenti rimasti all’INPDAP, si ponesse in contrasto con le norme costituzionali e comunitarie. E’ stato infatti precisato che "l'obiettivo di armonizzazione degli ordinamenti pensionistici nel rispetto della pluralità degli organismi assicurativi, fatto proprio alla riforma previdenziale di cui alla legge n. 335/95, non implica che sia sottratta alla discrezionalità del legislatore la regolamentazione della disciplina contributiva in relazione alle peculiari necessità dei diversi enti previdenziali, sicché non può ritenersi che le norme che implichino al riguardo una diversificazione contributiva costituiscano violazione del principio di uguaglianza; tanto meno potrebbe quindi legittimarsi una loro interpretazione che, nella suddetta ottica, si discosti dal contenuto testuale delle disposizioni scrutinate. La manifesta infondatezza dei dubbi di costituzionalità sollevati sussiste anche con riferimento al parametro di cui all'art. 41 della Costituzione, la cui asserita violazione è del resto espressa in termini generici, non potendo ravvisarsi nelle specifiche disposizioni regolanti gli oneri contributivi a carico delle aziende in misura diversificata a seconda dell’ente previdenziale di iscrizione dei dipendenti una limitazione della libertà di iniziativa economica. Non consta, né è stato dedotto, che la Commissione UE abbia ravvisato nella riduzione contributiva di che trattasi un aiuto di stato incompatibile; il che, dei resto, avrebbe semmai condotto alla soppressione della disposta riduzione, non certo ad una sua estensione nel senso propugnato dalla ricorrente principale. 5.2 Ciò premesso, deve rilevarsi che l'art. 3, comma 23, legge n. 335/95, laddove prevede che "Con effetto dal 1° gennaio 1996, l'aliquota contributiva di finanziamento dovuta a favore del Fondo pensioni lavoratori dipendenti è elevata al 32 per cento con contestuale riduzione delle aliquote contributive di finanziamento per le prestazioni temporanee a carico della gestione di cui all'articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, (...)" è assolutamente inequivoco nel ricollegare la "contestuale" riduzione delle aliquote contributive di finanziamento per le prestazioni temporanee all’elevazione dell'aliquota contributiva dovuta a favore del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, onde non vi è spazio per poter ritenere che la prevista riduzione operi anche a favore dei soggetti che non versano i contributi a tale Fondo; e il successivo comma 24, nel prevedere invece un aumento delle aliquote contributive dovute "all’assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti e alle forme di previdenza esclusive, sostitutive ed esonerative della medesima "suona a conferma che la ricordata previsione di cui al precedente comma deve ritenersi sancita con riferimento alle sole contribuzioni relative al Fondo pensioni lavoratori dipendenti.

5.3 Anche per ciò che riguarda le disposizioni di cui all'art. 41 legge n. 488/99 deve riconoscersi che la riduzione delle percentuali contributive introdotte dal quarto periodo del primo comma è direttamente collegata alle previsioni di cui ai precedenti periodi dello stesso comma (soppressione del Fondo di previdenza per i dipendenti dell'Ente nazionale per l'energia elettrica e delle aziende elettriche private e del Fondo di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia; iscrizione all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti dei titolari di posizioni assicurative e dei titolari di trattamenti pensionistici diretti e ai superstiti presso i detti fondi soppressi) e si applica quindi in relazione alle posizioni dei soggetti che venivano ad essere iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti, non certo ai dipendenti delle imprese del settore elettrico che avevano mantenuto l'iscrizione all'Inpdap. Parimenti il contributo straordinario di cui ai commi 2 e 3 del medesimo art. 41 legge n. 488/99 è testualmente ricollegato alla soppressione degli anzidetti fondi e risulta pertanto privo di consequenzialità voler desumere dalla norma di interpretazione autentica del terzo comma (art 68, comma 7, legge n. 388/00) l'estensione alle posizioni dei dipendenti iscritti all'Inpdap della riduzione contributiva di cui al primo comma."(Cass. n.l 8455/2014 e» in termini, fra le altre, Cass. n. 14098/2014, 13721/2014 ).

Il settimo motivo di ricorso, che concerne il diritto alla riduzione delle sanzioni in base al disposto dell’art. 116 comma 15 l. n. 388 del 2000, è anch’esso infondato. Il rigetto della richiesta di riduzione delle sanzioni è stato motivato dall’insussistenza dei relativi presupposti rappresentati dalla preventiva richiesta della società e dall’integrale pagamento della contribuzione controversa. Parte ricorrente non ha contestato tali ultime circostanze di fatto ma si è limitata a ribadire che la riduzione delle sanzioni era giustificata, secondo quanto previsto dalla previsione richiamata, da oggettive incertezze connesse a contrastanti orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative. La statuizione del giudice di appello è corretta. Essa secondo quanto già affermato da questa Corte (Cass. n. 27513/2013) trova riscontro nella lettera della legge, atteso che il citato comma 15, pone come premessa per "la riduzione delle sanzioni civili di cui al comma 8", in presenza delle suddette incertezze, "l'integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali" circostanza questa pacificamente non verificatasi.

In base ai superiori rilievi il ricorso di A.E. s.p.a è quindi manifestamente infondato.

Ricorso in via principale dell’INPS.

Con l’unico motivo di ricorso l’INPS, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 78 e 79 d. lgs n. 151 del 2001 ha censurato la decisione per avere ritenuto applicabile l’aliquota ridotta ai fini del contributo di maternità in relazione ai dipendenti che avevano optato per il mantenimento del rapporto previdenziale presso l’INPDAP.

Il motivo è manifestamente infondato. Questa Corte in numerose pronunzie ha, infatti, chiarito che l'art. 78, comma 1, del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, prevede, a decorrere dal 1.1.2002, la riduzione degli oneri contributivi quale conseguenza della fiscalizzazione degli importi delle indennità di maternità erogate per eventi successivi al 10 luglio 2001 e per i quali è riconosciuta la tutela previdenziale obbligatoria, senza alcun riferimento all'aumento dell'aliquota contributiva dovuta al Fondo pensioni lavoratori dipendenti di cui all'art. 3, comma 23, della legge 8 agosto 1995, n. 335, con la conseguente applicabilità della riduzione contributiva anche sulle retribuzioni dei lavoratori che siano dipendenti da datori di lavoro privati e che, in forza di pregresse disposizioni legislative, abbiano optato per il mantenimento della posizione assicurativa presso l’INPDAP. ( v., tra le altre, Cass. n. 9593/2014, n. 7834/2014, n. 18455 /2014,n. 14098/2014, n. 8211/2014).

E’ stato in particolare precisato che l’art. 78 dlg.vo n. 151 del 2001, (in cui è stato trasfuso l'art. 49, commi 1, 4 e 11, legge n. 488/99), introduce la riduzione degli oneri contributivi quale conseguenza ("Conseguentemente") della prevista messa a carico del bilancio statale (nei limiti indicati) degli importi delle prestazioni relative ai parti, alle adozioni e agli affidamenti intervenuti successivamente al luglio 2001 e per i quali è riconosciuta la tutela previdenziale obbligatoria, senza far quindi alcun riferimento all'aumento dell'aliquota contributiva dovuta al Fondo pensioni lavoratori dipendenti di cui all'art. 3, comma 23, legge n. 335/95.; non può quindi condividersi l'assunto dell’INPS secondo cui la suddetta disposizione costituirebbe la disciplina di riferimento. Sotto il profilo testuale, inoltre, l'art. 79 d. lgs. n. 151/01 stabilisce espressamente che il contributo "in attuatone della riduzione degli oneri di cui all’art. 78" è "dovuto dai datori di lavoro (...) sulle retributori di tutti i lavoratori dipendenti l'inequivoca dizione legislativa "tutti i lavoratori dipendenti" impedisce pertanto di accogliere l'opzione ermeneutica secondo cui la riduzione in parola non dovrebbe applicarsi per i lavoratori (dipendenti da datori di lavoro privati) che, per effetto di pregresse disposizioni legislative, abbiano optato per il mantenimento della propria posizione assicurativa presso l'Inpdap". (Cass. n. 18455/2014).

Alla luce del richiamato orientamento di questa Corte il ricorso dell’INPS risulta manifestamente infondato.

Ricorso in via incidentale di T. s.p.a.

Con il primo motivo di ricorso incidentale la società T deducendo violazione e falsa applicazione dell’art 41 L. n. 488 del 1999 e dell’art. 3 comma 23 L. n. 335 del 1995 ha sostenuto che la previsione di cui all’art. 41 L. n. 488 cit. in ordine alla riduzione delle aliquote ai fini del calcolo dei contributi per le prestazioni temporanee, e quindi anche per i contributi CUAF, aveva portata generale, estesa a tutto il "settore elettrico" cui essa società apparteneva. In conseguenza tali aliquote erano destinate a trovare applicazione anche in relazione ai contributi relativi ai propri dipendenti che avevano optato per il mantenimento dell’iscrizione presso l’INPDAP.

Con il secondo motivo di ricorso deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 238, l. n. 662 del 1996 ha sostenuto che l’applicabilità delle aliquota ridotta ai fini del contributo CUAF discenderebbe dalla previsione di carattere generale evidenziando che l’aumento dell’aliquota IVS anche per gli iscritti all’INPDAP, dalla fine del 1996 analogamente a quanto avvenuto per gli iscritti all’INPS imporrebbe necessariamente la diminuzione dei contributi minori anche per gli iscritti all’INPDAP.

Ha sostenuto la illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost. di ogni diversa interpretazione delle norme soprarichiamate. I motivi in esame sono manifestamente infondati secondo quanto già ritenuto nell’esame degli analoghi motivi (e precisamente dei motivi quinto, sesto e ottavo) svolti con il ricorso principale della A.E. s.p.a. Va quindi ribadito che secondo l’orientamento di questa Corte l’art. 3, comma 23, l. n. 335 del 1995 e l'art. 41, comma l. n. 488 del 1999 che prevedono la riduzione delle aliquote contributive per il finanziamento delle prestazioni temporanee in favore dei lavoratori dipendenti e per il contributo per gli assegni familiari, si applicano unicamente ai soggetti per i quali sussiste obbligo contributivo al fondo pensioni lavoratori dipendenti e comunque iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti e non anche ai dipendenti delle aziende elettriche private che hanno continuato a mantenere l'iscrizione all’INPDAP, costituendo la disciplina differenziata degli oneri contributivi esplicazione della discrezionalità del legislatore, con riferimento alle peculiari necessità dei diversi enti previdenziali e, pertanto, non si pone in contrasto con i principi di eguaglianza e di libertà dell'iniziativa economica privata, di cui agli art. 3 e 41 Cost. (v. tra le altre, Cass. n.7834/ 2014).

Ricorso incidentale di A.E. s.p.a.

La A.E. s.p.a. nel controricorso avverso il ricorso dell’INPS ha proposto un motivo di ricorso ulteriore rispetto a quelli già formulati con il ricorso principale.

Con tale motivo ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 3 comma 8 l. n. 335 del 1995 e censurato la decisione nella parte in cui ha fatto decorrere l’obbligo contributivo per CIGS, CIGO e mobilità, come anche per la disoccupazione involontaria, da epoca antecedente al maggio 2005, in contrasto con quanto ritenuto dal Consiglio di Stato nel parere reso in data 8 febbraio 2006 e dalla Circolare INPS n. 63 del 2005.

Il motivo è inammissibile oltre che per intrinseco difetto di autosufficienza anche perché tardivo in quanto formulato quando ormai sì era consumato in capo alla società il diritto di impugnare. Questa Corte ha chiarito che " La proposizione del ricorso principale per cassazione determina la consumazione del diritto di impugnazione, con la conseguenza che il ricorrente, ricevuta la notificazione del ricorso proposto da un'altra parte non può introdurre nuovi e diversi motivi di censura con i motivi aggiunti, né ripetere le stesse censure già avanzate con il proprio originario ricorso mediante un successivo ricorso incidentale, che, se proposto, va dichiarato inammissibile, pur restando esaminabile come controricorso nei limiti in cui sia rivolto a contrastare l'impugnazione avversaria" (Cass. ss.uu. n. 2568 /2012). In conclusione la sentenza deve essere integralmente confermata.

Si chiede che il Presidente voglia fissare la data per l’Adunanza camerale."

La A.E. s.p.a e T. s.p.a. hanno ciascuna depositato memoria.

Preliminarmente va discosta la riunione dei ricorsi principali proposti da A.E. s.p.a. e dall’INPS e dei ricorsi incidentali di A.E. s.p.a. e di T. s.p.a.

Nel merito ritiene il Collegio che le conclusioni del Relatore sono del tutto condivisibili siccome coerenti alla ormai consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di obbligo contributivo delle società partecipate. Le deduzioni svolte nelle memorie depositate dalla A.E. s.p.a e da T. s.p.a., non persuadono ad una rimeditazione della proposta formulata nella Relazione.

In particolare, quanto alla memoria depositata da A.E. s.p.a., si osserva che essa si incentra sui seguenti rilievi : a) in merito all’obbligo contributivo per CIGO, CIGS e mobilità, non sussiste un orientamento consolidato in ordine alla rilevanza del "quantum" di partecipazione pubblica al fine dell’esonero contributivo ai sensi dell’art. 3 comma 1 d. Igs n. 869 del 1947; b) è errata da un punto di vista storico, oltre che giuridico, la affermazione contenuta nella Relazione secondo cui assumerebbe "rilevanza determinante, in ordine all’obbligo contributivo, il passaggio dal personale addetto alla gestione del servizio dal regime pubblicistico a quello privatistico". Ciò in quanto è pacifico e non e mai stato contestato che da sempre (quanto meno dal 1925) il rapporto di lavoro dei dipendenti delle aziende municipalizzate aveva natura privatistica per cui, sotto il profilo del regime dei rapporti di lavoro del personale alle dipendenze di queste aziende, nulla è mutato tra il periodo precedente e quello successivo alla cd. privatizzazione della società; c) le peculiarità di carattere normativo delle società partecipate, segnalate nelle memorie finali relative ad alcuni dei contenziosi richiamati nella Relazione, hanno incontestabilmente ricadute dirette sui rapporti di lavoro e non possono ritenersi non pertinenti al tema del regime contributivo di queste società. Di tali norme, che si sono in particolare implementate enormemente negli ultimi anni (2012/2014), si è prodotto un elenco in tutte le memorie finali dei giudizi in cui sono parte società del Gruppo AE l’elenco di dette norme non è stato preso in considerazione da alcuna delle decisioni richiamate nella Relazione; d) non è vero che, come affermato nella Relazione, non sono stati offerti da parte ricorrente argomenti diversi ed ulteriori rispetto a quelli esaminati e disattesi dal giudice di legittimità, in quanto "quelli evidenziati " si possono definire argomenti diversi ed ulteriori rispetto agli argomenti esaminati nelle pronunce richiamate; e) ulteriore elemento, non oggetto di valutazione da parte della giurisprudenza di legittimità, si rintraccia in alcuni passaggi del "programma di razionalizzazione delle partecipate locali", in data 7.8.2014, del Commissario Straordinario per la revisione della spesa; f) le sentenze richiamate nella Relazione, di fatto non hanno mai esaminata la questione, dedotta in via subordinata, relativa al diritto all’esonero dall’obbligo contributivo per il periodo anteriore all’anno 2005, in connessione alla violazione da parte dell’UNJPS delle norme di legge sui nuovi inquadramenti previdenziali delle aziende, ed in conformità delle indicazioni formulate dal Consiglio di Stato nel parere del febbraio 2006; g) in ordine ai contributi per assegni familiari si segnala il contrasto tra l’orientamento richiamato nella Relazione e la sentenza della S.C. n. 10119/2014, nonché il rilievo dell’argomento cd. cronologico, mai considerato ed esaminato nelle pronunce di cui dà atto la Relazione; queste si fondano, infatti, su una pretesa valenza estensiva delle prescrizioni di cui al d.m. 21.2.1996 il quale, al contrario, non poteva riferirsi che all’incremento per la contribuzione cd. maggiore già intervenuto a quella data e, quindi, non anche all’incremento per la contribuzione dovuta all’INPDAP, intervenuto in epoca successiva; h) riguardo alla contribuzione per disoccupazione la tesi della Relazione si pone in contrasto con Cass. n. 10119/2014 e con il consolidato orientamento della S.C. (Cass. n. 1492/1982) secondo il quale la esistenza della stabilità di impiego si può desumere anche da norme di fonte collettiva; vi è inoltre contraddizione tra l’assunto della Relazione, che esclude ogni rilievo alla fonte collettiva, e altra affermazione in cui si conferma, sia pure indirettamente, l’assoluto rilievo delle norme contenute nella contrattazione collettiva al fine di stabilire o meno la esistenza di un regime di stabilità idoneo a giustificare la esenzione dalla contribuzione DS senza bisogno di apposita domanda.

In merito al punto a) il Collegio rileva la assoluta genericità del riferimento, alla contraddittorietà intrinseca dell'orientamento richiamato dal Relatore; la deduzione non è corredata infatti da alcuna indicazione degli estremi delle singole pronunce e, tanto meno, dei relativi passaggi motivazionali rivelatori, in tesi, della denunziata contraddittorietà, attinente al rilievo o meno da attribuire al quantum di partecipazione pubblica al fine dell’esonero dalla contribuzione per CIGS,. CIGO e mobilità. In tale contesto, ricordato che dalle stesse allegazioni della società ricorrente (v. pag 9 e sgg. del ricorso), si evince che la A.E. s.p.a. è società a capitale misto, non può che confermarsi l’orientamento assolutamente consolidato del giudice di legittimità che, valorizzando l’adozione dello strumento societario per la gestione del servizio pubblico, afferma, in difetto di norma derogatoria ed in una prospettiva di tutela del principio comunitario di libera concorrenza, l’assoggettamento a contribuzione della società partecipata, avente natura essenzialmente privata. In merito al punto b) della memoria si segnala che l’errore ascritto alla Relazione, di avere ritenuto dirimente, ai fini dell’obbligo contributivo, la "trasformazione" in senso privatistico del rapporto di lavoro alle dipendenze della società partecipata esercente un pubblico servizio, è frutto della non esatta interpretazione del significato dell'espressione utilizzata nella Relazione la quale, nel riconoscere di " rilevanza determinante, il passaggio del personale addetto alla gestione del servizio dal regime pubblicistico a quello privatistico", ha solo inteso ribadire che proprio il passaggio della gestione dei servizi pubblici locali da soggetti pubblici (quali le aziende municipalizzate) a soggetti privati, anche se partecipati, comporta il venir meno delle condizioni a cui il legislatore ha connesso l'esonero dal pagamento della contribuzione in questione.

Con l’affermazione sopra riprodotta non si è, pertanto, in alcun modo inteso connettere la disciplina del regime contributivo ad una pretesa "trasformazione" da pubblicistico in privatistico del rapporto di lavoro dei dipendenti in conseguenza del passaggio della gestione del servizio ad un soggetto pubblico ( azienda municipalizzata ) ad un soggetto privato (società partecipata).

I rilievi formulati al punto c) si limitano a evocare, in termini anch’essi generici e riassuntivi, peculiarità della disciplina delle società partecipate, per inferirne, in maniera peraltro non argomentata, che tali peculiarità dovrebbero necessariamente riverberarsi sul relativo regime contributivo. In questo contesto priva di concreto significato è l’ulteriore deduzione difensiva (unto sub d)) con la quale si contrasta l’affermazione del Relatore in ordine al fatto che il ricorso riproponeva deduzioni già scrutinate e disattese dai richiamati precedenti di legittimità. Tale affermazione non può che correlarsi a quanto risultante dal testo delle decisioni di legittimità richiamate nella Relazione e non può, come ovvio, estendersi a deduzioni difensive che, secondo quanto allegato dalla ricorrente medesima, non risultano in alcun modo prese in considerazione nelle dette pronunzie e, quindi, in alcun modo conoscibili. La deduzione svolta sub e) è priva di pregio essendo del tutto evidente che la materia de qua non potrebbe essere incisa da alcuni passaggi del Programma di razionalizzazione delle partecipate locali del Commissario Straordinario per la revisione della spesa, che non si colloca tra le fondi di diritto alle quali è affidata la regolamentazione dell’obbligo contributivo.

Infine, in ordine al punto f) sviluppato in memoria si rileva che lo stesso investe una questione il cui esame nel merito risulta precluso dalla tardività della relativa proposizione (avvenuta, come rilevato, con ricorso incidentale quando già si era consumato (mediante proposizione del ricorso principale) il potere di impugnazione della A.E. s.p.a.

In merito alle deduzioni svolte nella memoria in esame e attinenti all’obbligo contributivo per gli assegni familiari relativo ai dipendenti che avevano optato per il mantenimento dell’iscrizione all’INPDAP, ritiene il Collegio in primo luogo di ribadire che l’orientamento assolutamente consolidato dì questa Corte è nel senso che ai contributi per assegni familiari, in relazione ai dipendenti che avevano optato per il mantenimento dell’iscrizione presso l’INPDAP, non si applica la aliquota ridotta, come preteso dalla società. Invero alla sentenza n. 10119/2014 richiamata in memoria dalla società, a sostegno dell’assunto dell’assenza di un orientamento consolidato sulla questione, hanno fatto seguito le pronunce n. 13720/2014, n.13721/2014 e n.14098/2014, conformi all’indirizzo tradizionale alla base della proposta del Relatore. Quanto alla sentenza n. 10119/2014, che ha respinto il motivo di ricorso con il quale l’INPS aveva censurato la statuizione del giudice di appello che aveva ritenuto dovuti in misura ridotta i contributi per assegni familiari in relazione alla retribuzioni corrisposte ai dipendenti che avevano optato per il mantenimento della iscrizione presso l’INPDAP, la motivazione della decisione in oggetto non inficia le argomentazioni espresse nella pronunzie di segno opposto richiamate nella Relazione.

In primo luogo è da sottolineare che, per come si desume dalla ricostruzione operata nella decisione ora richiamata, il motivo di ricorso dell’INPS era incentrato sul fatto che l’esclusione dalla riduzione sulla contribuzione minore (versata alla "Gestione prestazioni temporanee per i lavoratori dipendenti" istituita presso l’INPS) sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori che avevano optato per il mantenimento dell’iscrizione presso l’INPDAP, era giustificata dal fatto che la contribuzione cd. maggiore dovuta a quest’ultimo ente non aveva subito il medesimo incremento percentuale stabilito dall’art. 3 comma 23 L. n. 335 del 1995 per la contribuzione versata al FPLD, incremento percentuale in relazione al quale il medesimo comma 23 aveva stabilito una riduzione della contribuzione per prestazioni temporanee. L’INPS aveva inoltre evidenziato che, comunque, la l. n. 662 del 1996, art. 1 comma 238, nel prevedere un aumento della contribuzione maggiore da versare all’INPDAP non aveva previsto una correlativa riduzione delle aliquote per la contribuzione minore.

La decisione n. 10119/2014 si sofferma sulla prima censura laddove, nel rilevare che l’incremento percentuale del carico contributivo da versare all’INPDAP, quale risultante, ai sensi dei commi 238 e 239 dell’art. 1 l. n. 662 del 1996, dalla somma della contribuzione a carico del datore di lavoro ed a carico del lavoratore, era pari al 32% e quindi identico a quella (da corrispondersi al FPLD) in relazione alla quale l’art 3 comma 23 l. n. 335 del 1995 aveva stabilito la correlativa diminuzione della contribuzioni cd. minore ritiene, in tale ottica, giustificata la riduzione della contribuzione per assegni familiari da versarsi alla Gestione prestazioni temporanee istituita presso l’INPS.

La decisione n. 10119/2014 non investe tuttavia il nodo della questione che viene in rilievo nel presente giudizio, rappresentato dalla assenza di specifica previsione normativa di riduzione della contribuzione cd. minore, per i dipendenti iscritti all’INPDAP. Tale previsione non è ravvisabile né nell’art 23 comma 3 l. n. 335 del 1995 che pone in relazione la riduzione della contribuzione cd. minore all’aumento della contribuzione per il FPLD gestito dall’INPS, né nei commi 238 e 239 art. 1 l. n. 662 del 1996 i quali, nello stabilire un analogo incremento retributivo della contribuzione dovuta all’lNPDAP, non hanno previsto una corrispondente riduzione della contribuzione minore versata alla Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti istituita presso l’INPS. La questione è stata invece espressamente affrontata - e risolta in senso negativo per la società - dalle pronunzie di legittimità richiamate nella Relazione, le quali hanno ripetutamente affermato che la previsione di incremento (della contribuzione maggiore) e della correlativa riduzione (della contribuzione minore) di cui all’art. 23 comma concerneva esclusivamente i lavoratori iscritti al FPLD gestito dall’INPS, e che tale opzione era legittima in quanto "l'obiettivo di armonizzazione degli ordinamenti pensionistici nel rispetto della pluralità degli organismi assicurativi, fatto proprio alla riforma previdenziale di cui alla legge n. 335/95, non implica che sia sottratta alla discrezionalità del legislatore la regolamentazione della disciplina contributiva in relazione alle peculiari necessità dei diversi enti previdenziali (Cass. n. 18455/2014).

Con riferimento alla deduzione formulata nella memoria depositata dalla società, deduzione attinente alla corretta individuazione dell’ambito temporale del d.m. 1.2.1996, emanato in attuazione dell’art. 3 comma 23 l. n. 335 del 1995 si rileva che, a prescindere dalla novità della argomentazione, la stessa risulta non dirimente atteso il difetto di specifica previsione normativa di riduzione delle aliquote relative alla contribuzione minore in presenza di incremento di quella maggiore versata all’INPDAP, per i lavoratori che avevano optato per il mantenimento della propria posizione assicurativa presso tale gestione.

Analogamente non persuasive nel senso preteso dalla società sono le argomentazioni di questa circa il diretto rilievo della fonte collettiva in merito all’accertamento della stabilità di impiego al fine dell’esonero dalla contribuzione per disoccupazione involontaria.

E’ da premettere che le pronunce di legittimità successive alla sentenza n. 10119/2014, evocata dalla società come a sé favorevole, hanno confermato l’orientamento tradizionale alla base della proposta del Relatore (Cass. n.13720/2014, n.13721/2014, n.25648/2014), per cui sotto questo profilo, non si ravvisano i presupposti per una rimessione della questione alle Sezioni Unite.

Quanto alla sentenza n. 10119/2014 si rileva che la conferma del diritto all’esonero dalla contribuzione per disoccupazione è conseguenza del rigetto del motivo di ricorso con il quale l’INPS aveva denunziato il vizio di motivazione a riguardo della decisione di appello. E’ quindi alla luce dello specifico vizio denunziato che deve essere interpretata la decisione di rigetto del ricorso dell’INPS nella quale non viene affrontata specificamente la questione delle modalità di accertamento della "stabilità di impiego" e della rilevanza diretta o indiretta delle fonti collettive.

Con la memoria depositata dalla società T. si deduce che la Relazione avrebbe omesso di prendere in esame alcune delle argomentazioni avanzate a sostegno della pretesa al versamento dei contributi CUAF in misura ridotta con riferimento ai dipendenti che avevano optato per il mantenimento dell’iscrizione presso l’INPDAP. In particolare ci si sofferma sulla non conformità agli artt 3 e 41 Cost. di una disciplina che consente ad imprese concorrenti di avere costi contributivi di personale irragionevolmente diversi; si evidenzia che nel caso dei contributi CUAF si sarebbe in presenza di contributi che affluiscono ad uno stesso Ente, ossia l’INPS Gestione Prestazioni Temporanee, il quale eroga per tutti le relative prestazioni, a prescindere dall’iscrizione a fini pensionistici a quest’ultimo ente o ad altri end consimili.

Ritiene il Collegio che le pur suggestive argomentazioni della società Terna non sono decisive in quanto i dedotti profili di incostituzionalità della disciplina differenziata relativa alla misura del contributo per assegni familiari dovuto in relazione ai lavoratori che avevano optato per il mantenimento dell’iscrizione presso l’INPDAP, sono stati espressamente presi in considerazione dal Relatore laddove ha richiamato le precedenti pronunce di questa Corte che hanno ritenuto manifestamente infondate le censure di incostituzionalità proprio in relazione agli artt. 3 e 41 Cost. ed evidenziato che il loro eventuale accoglimento avrebbe, semmai, condotto alla soppressione della disposta riduzione, non certo ad una sua estensione nel senso propugnato dalla società ricorrente.

Occorre infatti ricordare che il giudice costituzionale ha ripetutamente affermato il principio della incomparabilità dei sistemi previdenziali, che deriva dalla loro complessità inerente alla varietà delle prestazioni e delle condizioni per ottenerle, ed alle collegate diversità delle fonti di finanziamento (Corte cost. n. 202 del 2008, ord. n. 325 del 1993), chiarendo che la realizzazione definitiva della tendenziale attuazione dell’omogeneizzazione dei regimi previdenziali è affidata alla discrezionalità del legislatore trattandosi di scelte di politica sociale ed economica (Corte cost. n. 173 del 1986) e che tale discrezionalità concerne anche la conformazione dell’obbligo contributivo (Corte cost. n. 48 del 2010, ord. n. 896 del 1988).

Alla luce della richiamata giurisprudenza costituzionale il Collegio non può che confermare la valutazione di manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dedotte dalla società.

In conclusione, in base alle considerazioni che precedono, tutti i ricorsi devono essere respinti ad eccezione del ricorso incidentale di A.E. s.p.a che va dichiarato inammissibile per le ragioni di ordine processuale rappresentate nella Relazione. Le spese del giudizio di legittimità, nel rapporto processuale tra A.E. s.p.a e INPS e tra T. s.p.a. e INPS, sono compensate nella misura di un quarto tenuto conto della misura della soccombenza dell’ente previdenziale. Il residuo è posto a carico delle società e liquidato come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso incidentale di A.E. s.p.a e rigetta gli altri. Compensa nella misura di un quarto le spese nel rapporto processuale tra A.E. s.p.a e INPS Condanna A.E. s.p.a. alla rifusione del residuo che liquida in complessivi € 9.800,00 per compensi professionali, € 100,00 per esborsi, oltre spese forfetizzate nella misura del 15%, oltre accessori. Compensa nella misura di un quarto le spese nel rapporto processuale tra INPS e T. s.p.a.. Condanna quest’ultima società alla rifusione all’INPS del residuo che liquida in € 4.800,00 per compensi professionali, €100,00 per esborsi, oltre spese forfetizzate nella misura del 15%, oltre accessori.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e dei ricorrenti incidentali , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.