Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 maggio 2015, n. 9085

Tributi - IRPEG - Esenzione da prelievo fiscale - Associazioni senza scopo di lucro - Esclusione - Art. 111 D.p.r. 917/1986 - Applicabilità

 

Il processo

 

La Camera del lavoro territoriale di (...) Commissione Tributaria Regionale Toscana 28.5.2009 che, in accoglimento degli appelli dell’Ufficio e rigettando il proprio appello avverso le sentenze C.T.P. Massa Carrara n. 133/03/2006 e 132/03/2006 [secondo la correzione numerica di cui dà atto la sentenza], rese a seguito di ricorsi avverso gli avvisi di accertamento per IVA e rispettivamente IRPEG ed ILOR del periodo 1996-1998, emessi a seguito dell’unitario processo verbale di constatazione a cura della G.d.F. del 15.6.2000 (formato in esito ad attività investigativa penale) con ripresa di ricavi non dichiarati per Lit 655.296.451 corrispondenti ai contributi in danaro riscossi da soggetti terzi (in prevalenza iscritti ad associazioni sindacali aderenti alla Camera del lavoro) e correlati ai benefici economici conseguenti all’attività di assistenza giudiziale per vertenze patrocinate da legali facenti capo alla predetta associazione contribuente, costi non deducibili, oltre ad omessa tenuta della contabilità e fatturazione, confermò la correttezza del richiamo ai verbali di contestazione, nonché della notifica pervenuta alla sede della contribuente e ribadì la natura commerciale dell’attività rilevata.

Ritenne in particolare la C.T.R. che la qualificazione siccome non commerciale dell’attività assistenziale prestata dalla Camera del lavoro fosse compatibile con la sola erogazione del servizio reso ai propri iscritti ed in conformità alle finalità istituzionali, ma non per le circostanze in concreto accertate, nella specie, di assistenza giudiziaria con professionista esterno solo procurata dall’associazione ma non direttamente erogata (né erogabile) dalla stessa. La contribuente non aveva dunque assolto al proprio onere di dimostrare: a) la natura dei versamenti o il rapporto giuridico ad essi sottostante; b) la fruizione dei servizi dai propri aderenti iscritti, non bastando un’autodichiarazione tra l’altro limitata al 1998; c) la generazione complessiva di costi in capo all’Ufficio vertenze, con irrilevanza dell’auto dichiarazione resa per il solo 1999 e dunque anche la collocazione organizzativa di tale struttura; d) le finalità istituzionali della Camera del lavoro.

Il ricorso è articolato su cinque motivi ed è resistito con controricorso dall’Agenzia delle Entrate. Il ricorrente ha depositato memoria.

 

I fatti rilevanti della causa e le ragioni della decisione

 

Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto, in relazione all’art.360 co.l n.3 cod.proc.civ., la violazione di legge ai sensi dell’art. 2697 cod.civ., avendo erroneamente la C.T.R. contestato l’imponibilità dei contributi sindacali incassati dalla Camera del lavoro e costituenti invece corrispettivi esenti da tassazione, con onere di provare il contrario a cura dell’Ufficio.

Con il secondo motivo, si deduce il vizio di ultrapetizione, ex art.112 cod.proc.civ. ed ai sensi dell’art.360 co.l n.4 cod.proc.civ., avendo la C.T.R. reso una pronuncia su questioni non oggetto di contestazioni fra le parti, come l’appartenenza all’associazione sindacale degli autori dei contributi, i costi dichiarati e riconosciuti, la collocazione organizzativa dell’Ufficio vertenze.

Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto, in relazione all’art.360 co.1 n.3 cod.proc.civ., la violazione di legge ai sensi dell’art. 111 d.P.R. n.917/1986, avendo erroneamente la C.T.R. mancato di apprezzare la natura non commerciale dell’assistenza prestata ai propri iscritti, svolta in attuazione degli scopi istituzionali, già per il biennio 1996-1997, mentre per il 1998 veniva rispettato il nuovo requisito normativo della prestazione solo dietro corrispettivo non eccedente i costi interni se poi erogata, ancorché non prevalentemente, verso non iscritti.

Con il quarto motivo, il ricorrente ha dedotto, in relazione all’art.360 co.1 n. 4 cod.proc.civ., e per l’art.112 cod.proc.civ., il vizio di non corrispondenza tra chiesto e pronunciato avendo la C.T.R. pronunciato, per gli anni 1996 e 1997, su un presupposto — la mancata prova di prestazioni erogate solo dietro corrispettivo non eccedente i costi interni - estraneo alle riprese contestate per quelle annualità, perché ancora normativamente inapplicabile la modifica all’art. 111, TUIR.

Con il quinto motivo, il ricorrente ha dedotto, in relazione all’art.360 co.1 n.3 cod.proc.civ., la violazione di legge ai sensi dell’art. 4 d.P.R. n. 633/1972, avendo erroneamente la C.T.R. non applicato la detta previsione che eccettua dal campo di applicazione dell’IVA le prestazioni di servizi rivolte ad associati verso corrispettivi specifici semplicemente se resi in conformità alle finalità istituzionali del sindacato.

1. Il primo motivo è infondato vigendo in tema il principio per cui in tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG), gli enti di tipo associativo non godono di una generale esenzione da ogni prelievo fiscale, potendo anche le associazioni senza fini di lucro - come si evince dall’art.111, comma secondo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo applicabile nella specie, ratione temporis)  - svolgere, di fatto, attività a carattere commerciale; il citato art. 111, comma primo - in forza del quale le attività a favore degli associati non sono considerate commerciali e le quote associative non concorrono a formare il reddito complessivo - costituisce, d'altro canto, deroga alla disciplina generale, fissata dagli arti. 86 e 87 del medesimo d.P.R., secondo cui l’IRPEG si applica a tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche: con la conseguenza che l'onere di provare i presupposti di fatto che giustificano l'esenzione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall'art. 2697 cod. civ. (Cass. 3360/2013). Osserva inoltre il Collegio che la qualificazione siccome "contributi sindacali" degli emolumenti riscontrati come ricavi nell’accertamento proviene da unilaterale affermazione della ricorrente, che si è limitata, in questa sede e nel motivo, ad invocare una connessione meramente formale ed estrinseca alle singole prestazioni rese agli associati tra la veste di questi ultimi e la nozione giuridica dei versamenti effettuati al rispettivo sindacato.

2. I motivi secondo e quarto di ricorso, da trattare in modo unitario per l’omogeneità delle censure avanzate, sono inammissibili, trascurando con essi il ricorrente che la sentenza impugnata ha puntualmente riepilogato i limiti dell’iniziativa probatoria o di contrasto svolta, in sede di operazioni di verifica e poi giudiziale, dalla Camera del lavoro, volendo con tale menzione — che comunque non ha riguardo ad alcuna domanda od eccezione sensibili ad una potenziale violazione ex art. 112 cod.proc.civ. - circostanziare la più ampia e chiara questione della tassabilità dei corrispettivi comunque retrocessi dagli iscritti medesimi alla loro associazione ma non correttamente contabilizzati né dichiarati come ricavi e in generale l’esercizio di attività commerciale. La supposta errata questione, indiziante di un dedotto error in procedendo della pronuncia, appare allora equivocata quale nucleo essenziale della fattispecie, mentre essa risulta vicenda specificativa di un fatto controverso affrontato e considerato e consistente nella più generale contestazione di aver svolto, anche per gli anni 1996 e 1997 (oltre che 1998) attività commerciale, quale doveva considerarsi l’apprestamento di un apparato amministrativo di sostegno all’associato in occasione delle "vertenze legali" che tuttavia rimandava a prestazioni inevitabilmente autonome di legali appositamente incaricati, non potendo certo la Camera del lavoro di per sé esaurire la predetta assistenza fino all’attività giudiziale vera e propria, e nonostante ciò percependo corrispettivi da soggetti non puntualmente identificati come iscritti, fuoriuscenti dalla contribuzione ordinaria associativa, non legati a costi di organizzazione provati e dunque del tutto propri di un sinallagma estraneo ai meri "servizi sindacali" connotativi di marginalità rispetto alla tassazione, tanto più per il 1998, stante la nuova norma disciplinante il requisito dell’infraordinazione rispetto ai costi.

3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile, con esso da un lato non venendo puntualmente individuata la quaestio facti all’origine del convincimento espresso dalla C.T.R. sulla legittimità dell’accertamento, e cioè non tanto la natura dei corrispettivi versati dagli iscritti alla Camera del lavoro per i servizi legali da questa procurati, quanto lo svolgimento da parte dell’associazione contribuente, attraverso una propria articolazione organizzativa ("ufficio vertenze", secondo il tenore testuale dell’avviso di accertamento), di una vera e propria attività commerciale, della quale le modalità di erogazione dei corrispettivi sono indizio ricostruttivo. L'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 - si può ripetere con Cass. 21152/2014 - prevede l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione", come riferita ad "un fatto controverso e decisivo per il giudizio" ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a "questioni" o "argomentazioni" che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure  irritualmente formulate. Dall’altro lato, nemmeno può dirsi che la C.T.R. abbia offerto una motivazione non adeguata della predetta circostanza, integrativa di una qualità in fatto del quadro operazionale riferibile alla contribuente, con descrizione puntuale degli elementi di convincimento, divenendo allora il motivo, per tale parte, volto a sollecitare un giudizio in concreto insindacabile. Infatti la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese e alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest'ultimo, tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass. s.u. 24148/2013).

4. Il quinto motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. Il quesito di diritto del quinto motivo appare configurato come un mero interpello, mentre osta all'accoglimento nel merito l'errata supposizione ad opera della ricorrente, e come premesso, del fatto decisivo indiziante, anche secondo la C.T.R., del difetto di ricorrenza delle disposizioni agevolative quanto all’IRPEG ed all’IVA in capo all’associazione sindacale: l’avviso di accertamento prima e la sentenza impugnata poi hanno posto in luce, anche attraverso la valorizzazione dell’eccedenza dei corrispettivi versati dagli iscritti per i servizi di assistenza legale, che era quest’ultima a non potersi dire coerente — proprio e perché attività meramente commerciale ed estranea alle prerogative del sindacato - con lo statuto legale dell’associazione sindacale. Il beneficio impositivo quanto alle imposte dirette (ex art. 111 co.4 quater TUIR) e all’IVA (ex art.4 co.4 d.P.R. n.633/1972) non riguardava dunque e tanto i corrispettivi in sé (non contabilizzati e divenuti base imponibile ai fini delle citate imposte) ma il "servizio legale" nel suo complesso espletato, come accertato in fatto, mediante ingaggio di legali esterni (terzi professionisti), con pagamento da parte degli iscritti di prezzi a tariffa concordata ma pur sempre eccedenti le quote, destinate alla fruizione di meri servizi ordinari e diversi ("la parte stragiudiziale o prettamente sindacale"). In tal senso può dirsi che la C.T.R. abbia escluso "l'assistenza prestata prevalentemente agli iscritti, associati o partecipanti in materia di applicatone degli stessi contratti e di legislazione sul lavoro, effettuate verso pagamento di corrispettivi che in entrambi i casi non eccedano i costi di diretta imputazione" ai sensi dell’art. 111 co.4quater TUIR, perché si trattava ancor preliminarmente di "attività commerciali". La concretezza ed essenzialità dell’indagine svolta si correlano invero al principio, rispettato nella sentenza, per cui gli enti di tipo associativo possono godere del trattamento agevolato previsto dagli artt. 111 del d.P.R. n. 917 del 1986 (in materia di IRPEG) e 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 (in materia di IVA) - come modificati, con evidente finalità antielusiva, dall'art 5 del d.lgs. n. 460 del 1997 - a condizione non solo dell'inserimento, nei loro atti costitutivi e negli statuti, di tutte le clausole dettagliatamente indicate nell'art. 5 del d.lgs. n. 460 cit, ma anche dell'accertamento - effettuato dal giudice di merito con congrua motivazione - che la loro attività si svolga, in concreto, nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute nelle clausole stesse (Cass. 11456/2010).

Il conseguente rigetto del ricorso giustifica la condanna al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, a carico del ricorrente e nella misura di cui alla liquidazione, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in euro 7.500, oltre alle eventuali spese prenotate a debito.