Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 maggio 2015, n. 9075

Cessione di ramo d’azienda e registro - Determinare il valore aziendale corretto

 

Svolgimento del processo

 

Banca E. s.p.a., successivamente incorporata da Reti Bancarie s.p.a., a sua volta incorporata da Banca popolare italiana-Banca popolare di Lodi e in ultimo confluita in Banco popolare società cooperativa, cedette nel marzo 2004, al valore dichiarato di euro 501.423,00, alla Banca popolare di Lodi il ramo d'azienda relativo alle attività cd. di Global Custody, praticamente consistenti nella gestione e nell'amministrazione di risorse liquide e strumenti finanziari in fondi comuni di investimento e in conti individuali. L'agenzia delle entrate provvide a rettificare, ai sensi degli artt. 51 e 52 del d.p.r. n. 131 del 1986, il valore del ramo in oggetto, rideterminandolo in aumento in base al cd. metodo patrimoniale complesso, e dunque integrando le poste dell'attivo col valore dell'avviamento in misura pari a euro 114.746.442,00. Tale maggior valore l'ufficio riprese a tassazione ai fini dell'imposta di registro e irrogò l'afferente sanzione.

La banca, all'esito negativo di un'istanza di accertamento con adesione, propose ricorso al giudice tributario. L'adita commissione tributaria provinciale di Lodi, nel contraddittorio con l'ufficio, lo respinse e la sentenza, gravata da appello della banca, è stata confermata dalla commissione tributaria regionale della Lombardia.

La commissione tributaria regionale, considerando i metodi valutativi del ramo aziendale prospettati dalle parti - quello cd. patrimoniale semplice assunto dai contraenti e quello cd. patrimoniale complesso assunto dall'ufficio - ha ritenuto di dover dare priorità e rilevanza al secondo. Al riguardo la commissione ha osservato che il metodo patrimoniale semplice non poteva considerarsi appropriato al caso di specie in quanto destinato a comporre soltanto il "costo di ricostruzione degli elementi che costituiscono il patrimonio" a prescindere dal loro collegamento funzionale. Viceversa nel settore bancario il valore della raccolta rappresentava un elemento di gran peso nella determinazione del valore patrimoniale, e ciò comportava doversi seguire il metodo patrimoniale complesso di primo grado, volto a valorizzare, appunto, la raccolta; metodo tipico e comunemente accettato nella prassi corrente in quanto destinato a mettere in evidenza anche gli eventuali beni immateriali non contabilizzati (in pratica l'avviamento), dotati di valore di mercato. Né - ha aggiunto la commissione - poteva nella specie condividersi la tesi dell'appellante circa l'inesistenza di un valore di avviamento nella raccolta diretta e indiretta, frutto di un sistema tutto interno al gruppo bancario, in quanto proprio l'appartenenza al gruppo del ramo di attività in questione (Global Custody) consentiva all'azienda una notevole capacità operativa, anche attrattiva di clientela. Ad avviso della commissione tributaria regionale, corretti dovevano ritenersi anche gli indici presi a base per la stima di avviamento siccome non contestati nella loro entità, corrispondenti ai livelli minimi dei valori espressi dal mercato per avviamento riferito alla raccolta diretta e indiretta delle banche, e coerenti, infine, con la realtà specifica del ramo aziendale ceduto in base a un documento informativo della stessa Bipielle Investimenti. Infine la commissione ha ritenuto inammissibile per novità, e comunque infondata anche nel merito, la domanda della società di annullamento delle sanzioni per asserito errore di fatto.

Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione il Banco popolare società cooperativa. Ha articolato cinque motivi, cui l'amministrazione erariale ha resistito con controricorso. Infine la ricorrente ha depositato una memoria.

 

Motivi della decisione

 

1. - Col primo motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 51, 4° co., d.p.r. n. 131 del 1986, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. La ricorrente sostiene illegittima la sentenza nella parte in cui ha affermato che, ai fini della valorizzazione di un'azienda bancaria per la registrazione degli atti soggetti a imposta di registro, il metodo patrimoniale complesso applicato dall'ufficio è più rappresentativo del metodo patrimoniale semplice applicato dalla società. Di contro l'art. 51, 4° co., cit. non impone l'adozione di alcun metodo valutativo ai fini della determinazione del valore complessivo di un ramo d'azienda; valore complessivo che, quindi, deve essere determinato secondo uno dei criteri metodologici previsti e generalmente accettati nella prassi aziendalistica, tutti aventi in astratto pari dignità ai fini specifici.

Col secondo motivo di ricorso viene dedotta l'illegittimità della sentenza in relazione all'art. 360, n. 5 c.p.c., in quanto recante una motivazione insufficiente in ordine a un fatto controverso decisivo. Si censura la decisione per aver affermato la fondatezza della pretesa fiscale sulla base del fatto che la raccolta diretta e indiretta, contenuta nel ramo aziendale ceduto, sarebbe stata rappresentativa di una autonoma capacità reddituale e quindi di un avviamento del ramo stesso. In contrario la società, confortando la propria tesi mediante il deposito di una perizia di parte con allegata copiosa documentazione tecnica di eguale tenore, aveva eccepito: (a) con riferimento al settore della raccolta indiretta, di avere avuto, al tempo della cessione, il ruolo puramente ancillare e strumentale di depositaria delle risorse finanziarie direttamente acquisite dagli operatori del gruppo BPL e di essere stata sprovvista di qualsivoglia potere gestionale in merito alle stesse; (b) con riferimento alla raccolta diretta, che questa era stata essenzialmente composta da risorse provenienti da fondi comuni di investimento istituiti da società facenti parte del gruppo bancario e da rapporti intercorrenti con altri istituti del medesimo gruppo e con intermediari finanziari mandatari del gruppo. Sicché, in base alla dedotta prova documentale, nessuna autonoma capacità reddituale aveva caratterizzato il ramo ceduto e l'impugnata sentenza, in vista del giudizio che le era stato devoluto, aveva omesso del tutto di vagliare tale documentazione.

Col terzo motivo di ricorso viene dedotta l'insufficiente motivazione della sentenza, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., nella parte in cui era stata riconosciuta la correttezza degli indici di valorizzazione dell'avviamento adottati dall'ufficio. La ricorrente, premesso che nel corso del giudizio di merito aveva specificamente contestato il carattere apodittico e aprioristico degli indici di valorizzazione utilizzati dall'ufficio (id est: l'1% per la raccolta indiretta e il 2,5 % per la raccolta diretta), in quanto non sorretti da alcuna analisi relativa al ramo aziendale, ascrive alla commissione tributaria di non avere reso note le ragioni per le quali invece, in concreto, quegli indici dovevano ritenersi coerenti con la realtà specifica dell'attività ceduta.

Col quarto motivo di ricorso viene dedotta la violazione dell'art. 360, n. 4, c.p.c. per avere la commissione tributaria affermato l'inammissibilità del motivo di appello afferente l'illegittimità delle sanzioni per sussistenza di errore incolpevole sul fatto. Invero la società, rammentando di avere chiesto, nel ricorso per il giudice di primo grado, l'annullamento integrale dell'atto tributario, sostiene che le argomentazioni esposte in appello con riferimento al profilo sanzionatorio non potevano essere considerate domanda nuova, quanto piuttosto una semplice specificazione di quanto già fatto valere nella fase processuale pregressa.

Infine col quinto motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 6, 1° co., del d. lgs. n. 472-97 nella parte in cui l'impugnata sentenza ha comunque respinto la doglianza della società in ordine alla illegittimità delle sanzioni irrogate per Sussistenza dell'errore incolpevole sul fatto.

II. - I primi tre motivi vanno dalla corte esaminati in virtù di una comune premessa in ordine alle metodologie che vengono in rilievo allorché si discorra - come nella specie si discorre - di valutazioni di aziende.

In prospettiva giova dire che oggetto di causa è l'operatività del cd. metodo patrimoniale, il quale peraltro è soltanto uno dei metodi che nel tempo l'economia aziendale ha elaborato, accanto al cd. metodo reddituale, per stabilire il valore di un'azienda. La summa divisio - tra metodi patrimoniali e metodi reddituali - è da associare, come d'altronde ben si evince già dai termini, rispettivamente alla valorizzazione dei patrimonio dell'azienda ceduta ovvero alla valorizzazione dei flussi reddituali attesi: sicché in sostanza, nel primo caso, il valore dell'azienda viene assunto come funzione del patrimonio; nell'altro, come funzione del flusso di reddito.

All'interno della prima categoria, la distinzione tra metodo patrimoniale semplice e metodo patrimoniale complesso (al netto dell'eventuale ricorso anche a metodi misti) sta praticamente in ciò: che il metodo patrimoniale semplice considera l'azienda come un insieme mero di attività e di passività, di cui il patrimonio netto costituisce sul piano contabile, come consueto, la somma algebrica. Sicché il metodo patrimoniale semplice postula l'inesistenza dell'avviamento, per l'elementare ragione che l'avviamento, vuoi in termini civilistici, vuoi in termini aziendalistici, considera esistente un valore dell'azienda superiore alla somma algebrica delle attività e delle passività cedute. In definitiva, nel metodo patrimoniale semplice si impone di valutare ciascuna voce dello stato patrimoniale al cd. costo di sostituzione, previa ricerca degli scostamenti tra i valori di bilancio delle singole attività (o passività) e i valori di mercato, con la conseguenza che la determinazione di plusvalenze o di minusvalenze si aggiunge, semplicemente, al valore contabile del capitale o del patrimonio.

Di contro, il metodo patrimoniale complesso prende in considerazione l'eventualità di integrare il valore economico del capitale o del patrimonio dell'azienda, risultante dal metodo semplice, con la stima del plusvalore derivante da beni immateriali, movendo dal presupposto che una parte degli investimenti dell'impresa sia stata nel tempo destinata a conservare o ad accrescere la dotazione appunto di tali beni di medio-lungo periodo, come pure il know-how aziendale, la formazione del personale e via seguitando; in sostanza di quei fattori che, complessivamente considerati, vanno a rappresentare ciò che comunemente viene definito l'avviamento, il quale, costituendo una qualità dell'azienda, si atteggia quale bene di essa compreso nel trasferimento, e quindi va assoggettato all'imposta di registro ai sensi dell'art. 51, 4° co., d.p.r. 26 aprile 1986 n. 131. Per le aziende di credito operanti nel settore finanziario, il criterio patrimoniale complesso suppone di stimare l'avviamento in base a coefficienti moltiplicatori applicati alla consistenza della raccolta.

III. - Orbene, così come la ricorrente osserva, anche mercé richiamo alle premesse della perizia di parte riprodotta nel corpo del ricorso per cassazione, la stima del valore di un complesso aziendale che svolga attività di banca depositaria (tale era l'attività di E., sebbene nell'ambito del servizio finanziario di Global Custody) si fonda su paradigmi classici rispetto ai quali il criterio patrimoniale complesso, impiegato dall'amministrazione e condiviso dalla commissione tributaria, è in linea di principio idoneo ad apprezzare il congruo valore economico di scambio; così, sempre in linea di principio, lo è il metodo patrimoniale semplice.

La scelta tra i due metodi integra una questione di fatto, istituzionalmente riservata al giudice del merito. Invero questa corte ha ripetutamente affermato che, in presenza di metodi tecnici diversi per determinare il valore di un'azienda (ivi compreso il valore di avviamento), il detto valore costituisce oggetto di un giudizio di fatto rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito e immune da sindacato di legittimità se adeguatamente motivato (v. Sez. 5A, n. 2204-06, n. 2702- 2, n. 11354-01).

IV. - In base a simili premesse, il primo motivo dell'odierno ricorso è manifestamente infondato.

Il motivo traduce una lettura parziale e pretestuosa della statuizione al riguardo contenuta nell'impugnata sentenza, posto che, diversamente da ciò che afferma la ricorrente, la commissione tributaria regionale non ha considerato preferibile in sé il metodo patrimoniale complesso rispetto al metodo patrimoniale semplice, secondo un asserito ordine gerarchico delle possibili tecniche di valutazione dell'azienda ceduta. La commissione tributaria ha ritenuto che nel caso specifico, vale a dire con riguardo alla concreta realtà aziendale, il detto metodo complesso era più idoneo a rappresentare un'effettiva valorizzazione, in quanto - ha osservato - nella specie non poteva prescindersi dall'esistenza, per le ragioni che tra un momento verranno dette, del valore di avviamento.

In relazione a tanto, la decisione impugnata appare immune da errori giuridici, essendo incentrata giustappunto su una valutazione di fatto, come la materia imponeva.

V. - D'altro lato la sentenza non merita le critiche che le vengono ora mosse nel secondo e nel terzo motivo di ricorso, per avere correttamente motivato sia la scelta del criterio seguito sia la conferma del coefficiente moltiplicatore dei valori di raccolta, diretta e indiretta. In particolare il secondo e il terzo motivo di ricorso si palesano inammissibili, prima ancora che infondati, in quanto risolti in un sindacato di fatto.

L'argomento ampiamente sviluppato nel secondo motivo non scalfisce il ragionamento seguito dalla commissione in quanto la ricorrente obietta di essersi atteggiata quale mera esecutrice materiale degli ordini di investimento e disinvestimento emanati dai gestori dei fondi comuni o dei conti individuali gestiti. Sicché la raccolta diretta, a suo dire, era inesistente e la raccolta indiretta era irrilevante essendo stata correlata a una mera attività di supporto, avendo altri istituti - fondi comuni, banche o intermediari - semplicemente appoggiato le proprie liquidità sulla banca E. in una mera logica di gruppo.

In tal senso, dunque, la ricorrente nega ciò che invece il giudice del merito ha accertato, vale a dire che sussistessero entrambi i tipi di raccolta - conformemente d'altronde alla logica di una banca depositaria pur operante nel settore finanziario.

Viceversa, posto che l'accertamento dei fatti è istituzionalmente devoluto al giudice del merito, è sufficiente qui osservare che quanto in premessa stabilito dalla commissione tributaria legittimava una valorizzazione conforme al concetto di avviamento.

L'avviamento anche in termini civilistici si risolve nell'attitudine dell'azienda a produrre utili in misura superiore a quella ordinaria, per la concorrenza di fattori specifici rispetto all'entità delle poste dell'attivo - privi di valore autonomo e tuttavia concorrenti alla produzione del reddito in quanto formati nel tempo - e di incrementi valoriali che il complesso dei beni organizzati acquisisce rispetto alla somma dei valori dei singoli beni in virtù dell'organizzazione in un sistema efficiente e idoneo a produrre utili.

Tanto l'impugnata sentenza ha accertato nel caso di specie. E non può sostenersi che abbia omesso di motivare l'accertamento detto.

La commissione invero lo ha fatto prendendo in considerazione proprio l'attività bancaria di E., "con la sua specificità, la sua organizzazione, la sua peculiarità e il modo di porsi sia sul mercato sia all'interno del gruppo" di appartenenza. Ha evidenziato che tali elementi organizzativi costituivano "un punto di forza" dell'azienda tale da farle "acquisire una sua autonomia e una propria capacità di attrarre capitali e clientela sia sul mercato che nel gruppo di appartenenza". E ha sottolineato che l'appartenenza al gruppo costituiva un fondamento idoneo a "rafforza(re) tale capacità", la quale comunque era esistente indipendentemente da tale appartenenza, per le specifiche competenze e per le peculiarità rappresentate nei confronti di clienti terzi e di altri soggetti.

Allo specifico fine la commissione tributaria ha valutato la documentazione prodotta in giudizio (gli "atti ufficiali della stessa banca E.") e in particolare il bilancio (recte: la relazione al bilancio) al 31-12-2004, da cui ha tratto il convincimento esattamente opposto a quanto la ricorrente ancora oggi pretende; e cioè che il ramo Global Custody aveva "una autonoma capacità reddituale" incidente sull'andamento economico della banca e che, quindi, la "capacità reddituale insita nel ramo d'azienda ceduto esisteva e doveva essere presa in considerazione a prescindere dalla provenienza/genesi della stessa".

La motivazione è congrua e logicamente formulata.

Oggi la ricorrente eccepisce (nel secondo motivo) che non sarebbero state dalla commissione considerate le perizie giurate da essa società prodotte in giudizio in vista della tesi contraria.

Ma è agevole replicare che la perizia giurata ha in generale nel processo semplice valore di indizio al pari di ogni documento proveniente da un terzo (v. tra le tante Sez. 3A n. 9551-09), e tale valore mantiene anche nel processo tributario. Donde il relativo apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito. Per costante affermazione di questa corte, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell'esito e dell'avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica e adeguata dell'adottata decisione, con indicazione delle prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla. In altre parole il giudice del merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova, con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (v. Sez. un. n. 26018-08 cui adde Sez. 1A n. 6873-09 e Sez. 5A 9109-12), dovendo ritenersi implicitamente disattesi i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (v. ex aliis Sez. lav. n. 17097-10 e n. 4849-08, Sez. 3A 975-09 e 12362-06).

E' poi ovvio che in sede di legittimità non è consentito il riesame del merito della controversia. Sicché l'applicazione al caso dei riprodotti principi pone in luce che la ricorrente, con la sua doglianza, chiede in verità alla corte un giudizio di fatto sull'inesistenza del valore di avviamento dell'azienda ceduta; giudizio che appunto in questo senso dovrebbe esser diverso da quello, a essa (ricorrente) contrario, del giudice del merito, ma che manifestamente non rientra tra i compiti istituzionali della corte suprema.

VI. - Analogamente inammissibile, e comunque del tutto infondata, è la critica di cui al terzo motivo di ricorso.

Secondo la ricorrente, la sentenza d'appello sarebbe affetta da insufficiente motivazione per non avere effettuato "alcuna analisi specifica relativa al ramo d'azienda oggetto di cessione".

La censura è del tutto generica e non tiene conto di quanto in verità affermato dal giudice di merito.

Come già si è detto, il criterio patrimoniale complesso suppone di stimare l'avviamento, per le aziende di credito operanti nel settore finanziario, in base a coefficienti moltiplicatori applicati alla consistenza della raccolta.

E' pacifico, perché riferito dalla stessa ricorrente, che gli indici di valorizzazione utilizzati dall'ufficio erano stati rispettivamente pari all'1 % per la raccolta indiretta e al 2,5 % per la raccolta diretta; il che conferma, peraltro, che, quanto a banca E., esistevano (finanche in punto di fatto) valori di riferimento sia per l'una che per l'altra.

La commissione tributaria, nell'ambito del giudizio di fatto a essa istituzionalmente rimesso, ha confermato l'attendibilità di tali coefficienti osservando che essi erano stati fissati ai "livelli minimi dei valori espressi dal mercato", come desumibile dai "documenti prodotti", e che essi erano stati altresì coerenti con la specifica realtà dell'azienda ceduta. Ciò in quanto la stessa Bipielle Investimenti, nel documento informativo relativo alla fusione per incorporazione di altre società (Area s.p.a., Abitare s.r.l., ABC Service s.r.l. e via seguitando) aveva esposto coefficienti mediamente superiori a quelli dianzi detti, sia per la raccolta diretta (in depositi in conto corrente, in obbligazioni e certificati di deposito), sia per la raccolta indiretta (in forma di risparmio amministrato e in forma di risparmio gestito). Non è dunque vero che la commissione non abbia considerato la specifica situazione dell'azienda de qua. La commissione l'ha considerata al punto da determinarsi, così come l'ufficio, nel senso della minima indicizzazione desunta dai documenti informativi imputabili al gruppo bancario di appartenenza.

VII. - Il rigetto dei primi tre motivi impone di considerare le doglianze relative al profilo sanzionatorio; doglianze consegnate ai motivi superstiti quarto e quinto.

VIII. - Il quarto motivo è infondato.

La domanda afferente l'annullamento della sanzione per asserita esistenza di un errore incolpevole, come si evince dalla trascrizione del contenuto del ricorso introduttivo del giudizio tributario che la società ha operato in questa sede, non era stata formulata nel ricorso detto. Per cui correttamente la commissione tributaria ha ritenuto inammissibile per novità la doglianza medesima in quanto per la prima volta proposta in appello.

Secondo l'orientamento di questa corte non costituisce domanda nuova in appello "la mera precisazione quantitativa del petitum che si collega necessariamente all'evento iniziale di cui rappresenta il naturale sviluppo", fermo che il divieto di domande nuove in appello si riferisce a quelle che potevano essere proposte e non pure alle domande che traggono origine da una normativa o da un evento sopravvenuti (v. Sez. 5A n. 8 978— 03 e n. 15792-02). Nell'ottica dell'evento sopravvenuto si colloca la recente Sez. n. 11470-14, che ha ritenuto non costituire domanda nuova, quanto all'impugnazione di sanzioni tributarie, la richiesta dell'amministrazione finanziaria di riduzione della misura della sanzione tributaria in conseguenza di ius superveniens rappresentato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 144 del 2005.

Il caso di specie è del tutto diverso, giacché non risulta che la società abbia, nel ricorso al giudice tributario, formulato doglianze esplicitamente riferite alla sanzione applicata o al suo ammontare.

Non c'entra nulla la funzione di impugnazione-merito propria del processo tributario. Appurato che - come la stessa ricorrente assume - con la domanda iniziale era stato chiesto l'annullamento dell'atto tributario in ragione della sua asserita illegittimità, la pretesa formulata per la prima volta in appello relativamente alla disapplicazione della sanzione per sussistenza di errore incolpevole sul fatto richiedeva non già una semplice operazione aritmetica di sottrazione del petitum immediato da quanto già chiesto in primo grado, bensì una precisa rideterminazione dell'oggetto del processo, direttamente calibrato sulla ragione afferente mai prima prospettata.

IX. - Il quinto motivo è inammissibile per difetto di interesse.

La sentenza d'appello, in punto di regime sanzionatorio, consta di due concorrenti rationes decidendi: la prima - rivelatasi esatta - afferente l'inammissibilità della domanda di disapplicazione della sanzione perché nuova; la seconda afferente l'inesistenza, in ogni modo, del presupposto dell'errore incolpevole. Il consolidamento della prima ratio toglie rilevanza alla critica che attinge la seconda (v. per tutte Sez. un. n. 7913-13).

Di qui, per ogni verso, il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in euro 20.000,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito.