Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 maggio 2015, n. 19011

Reati fiscali - Sequestro - Incidente cautelare - Limiti alle valutazioni del Tribunale del Riesame

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con ordinanza emessa in data 16/06/2014, depositata in data 30/06/2014, il tribunale del riesame di Salerno rigettava l'appello cautelare presentato nell'interesse dei ricorrenti ed avente ad oggetto la richiesta di revoca del decreto di sequestro preventivo 8/05/2014 con cui il G.I.P. presso il tribunale di Nocera Inferiore aveva disposto il sequestro finalizzato alla confisca ex art. 12 sexies, legge n. 356 del 1992 (dichiarazione infedele dei redditi ex art. 4, d. Igs. n. 74 del 2000).

2. Hanno proposto separati ricorsi C.G. e C.C., in proprio ed a mezzo dei comuni difensori fiduciari - procuratori speciali cassazionisti Avv. M.S. ed Avv. A. B., impugnando la predetta ordinanza con cui deducono, con un primo ricorso, un unico motivo e, con il secondo ricorso, quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deducono, con l'unico motivo del primo ricorso, il vizio di cui all'art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., sotto il profilo dell'apparenza ed illogicità della motivazione e dell'erronea applicazione della legge penale in relazione alle doglianze difensive relative ai beni gravati dalla misura cautelare nonché sotto il profilo dell'erronea individuazione del profitto del reato conseguente all'erronea determinazione dell'importo sottoposto a sequestro per equivalente, cui consegue la violazione del principio di proporzionalità tra la misura applicata e l'integrale patrimonio su cui la stessa è ricaduta.

In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza per avere i giudici del riesame motivato in modo apparente ed illogico il provvedimento impugnato, appiattendosi sostanzialmente sull'ordinanza del GIP che ivi si era impugnata, ordinanza che in modo "pilatesco" avrebbe evitato di esaminare l'esattezza della ricostruzione contabile offerta dalla difesa, ritenendolo impossibile; il tribunale del riesame, sul punto, avrebbe a sua volta affermato che le esegesi contabili avrebbero dovuto essere svolte nella fase dibattimentale, così abdicando al suo ruolo di garanzia in quanto unico organo processualmente abilitato ad effettuare tutte le verifiche sull'adeguatezza o meno della permanenza del vincolo cautelare; l'inesatta individuazione del quantum equivalente ai fini della restrizione patrimoniale riverbera effetti di non poco conto rispetto al permanere dell'impugnata misura, dovendosi rilevare che il provvedimento genetico, come purtroppo non rilevato dal tribunale adito, si era estrinsecato di fatto nell'estensione integrale ed indiscriminata su tutto il patrimonio dei ricorrenti; i giudici, altresì, avrebbero erroneamente individuato il profitto del reato, così determinando in maniera errata la quota effettiva da sottoporre a sequestro; nessuna indicazione, infine, emergerebbe dal provvedimento impugnato quanto alla proporzionalità del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, in relazione alle ricostruzioni tecnico - contabili effettuate in sede di riesame.

3.1. Deducono, con il primo motivo del secondo ricorso, il vizio di cui all'art. 606, lett. b), cod. proc. pen., sotto il profilo dell'inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alle regole fissate negli artt. 310, 322 bis e 324 c.p.p.

In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza per avere i giudici del riesame negato ogni considerazione, affermandone l'inammissibilità, alle note di udienza con cui erano stati argomentati solo in via integrativa, i motivi di appello; dal mero confronto tra l'appello cautelare e le note integrative sarebbe evidente, secondo i ricorrenti, che già nell'appello cautelare era stata posta la questione dell'illegittimità del sequestro sia riguardo all'equivalenza che riguardo alla compatibilità reddituale e patrimoniale del sequestro ex art. 12 sexies, legge n. 356 del 1992 o del sequestro ex art. 3, legge n. 646 del 1982; non potrebbe invero omettersi ogni considerazione agli eventuali motivi nuovi introdotti all'esame del tribunale già prima dell'inizio della discussione, come desumibile dall'art. 324, comma 4, c.p.p.; l'aver fatto leva l'ordinanza impugnata sul fatto che l'unica norma evocata in appello fosse l'art. 12 sexies, legge n. 356 del 1992, nonostante il testo dell'appello cautelare fosse quasi esclusivamente riferito al tema dell'equivalenza e del sequestro per equivalente, renderebbe censurabile per violazione di legge l'ordinanza impugnata.

3.2. Deducono, con il secondo motivo del secondo ricorso, il vizio di cui all'art. 606, lett. b), cod. proc. pen., sotto il profilo dell'inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alle regole fissate negli artt. 322 ter, 12 sexies, legge n. 356 del 1992, 31 della legge n. 646 del 1982, 299, comma 2 e 324, comma 7, c.p.p.

In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza per avere i giudici del riesame omesso di pronunziarsi sulla domanda di revoca, anche solo parziale del sequestro per equivalente ex art. 322 ter c.p.p., così evitando il controllo di legittimità, adeguatezza e proporzionalità della misura cautelare reale; posto che, si osserva in ricorso, la corretta determinazione del valore delle cose sequestrate costituiva questione inerente all'adeguatezza e proporzionalità della misura, il tribunale avrebbe dovuto considerare i nuovi elementi emersi dopo l'adozione del provvedimento del GIP colà impugnato, elementi che avrebbero dovuto condurre ad una riforma o modifica del provvedimento cautelare; sul punto, nel ricorso vengono differenziate le posizioni dei ricorrenti, indicando, per ciascuno di essi gli elementi di novità che avrebbero dovuto essere considerati (v. pagg. 3 e 4), al fine di ridurre o revocare i sequestri disposti.

3.3. Deducono, con il terzo motivo del secondo ricorso, il vizio di cui all'art. 606, lett. b), cod. proc. pen., sotto il profilo dell'inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alle regole fissate negli artt. 299, comma 2 e 324, comma 7, c.p.p.

In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza per avere i giudici del riesame omesso di svolgere la sua funzione di garanzia, trincerandosi dietro un'oggettiva incapacità istruttoria, al fine di negare una congrua giustificazione alle deduzioni ed allegazioni dei ricorrenti; diversamente, la giurisprudenza di questa Corte (di cui i ricorrenti richiamano due decisioni) impone al tribunale del riesame l'esame della documentazione prodotta dalla difesa, documentazione che, se esaminata, avrebbe consentito di confutare le molteplici affermazioni contenute nell'originaria informativa di PG (in ricorso, v. pag. 6, si richiamano una serie di elementi non valutati, quali, oltre i documenti allegati alle istanze del 10 aprile 2014, anche tre relazioni di consulenza tecnica di parte che evidenziavano l'erroneità delle rilevazioni della GDF); i giudici del riesame, inoltre, non avrebbero determinato l'effettivo ammontare del profitto derivante dall'infedeltà dichiarativa, procedendo alla mera sommatoria dei volumi d'affari ricavati dall'accertamento tributario senza confrontarlo con i bilanci e con i volumi annuali effettivi ed ancora, si sarebbe affermata l'inesistenza soggettiva di tutte le operazioni, senza verificare se l'operazione commerciale si fosse realizzata effettivamente.

3.4. Deducono, con il quarto ed ultimo motivo del secondo ricorso, il vizio di cui all'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., sotto il profilo della mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione.

In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza per avere i giudici del riesame omesso di motivare in ordine alle ragioni per le quali non si ritenevano ammissibili gli argomenti svolti con le note di udienza nonché, ancora, sulla rilevanza del dato formale e sostanziale delle argomentazioni e deduzioni ricavabili dai documenti in atti, per confutare la proporzionalità ed adeguatezza della misura disposta, non solo con il sequestro per equivalente, ma con il sequestro disposto ex art. 12 sexies, legge n. 356 del 1992 e 31, legge n. 646 del 1982.

 

Considerato in diritto

 

4. I ricorsi sono inammissibili per manifesta infondatezza ed anche perché, alcuni dei profili di doglianza, riguardano censure non proponibili in questa sede.

5. Occorre premettere che, nel caso in esame, le censure avverso il provvedimento impugnato sono esperibili nei ristretti limiti indicati dall'art. 325 cod. proc. pen. che, com'è noto prevede che «Contro le ordinanze emesse a norma degli articoli 322-bis e 324, il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge».

L'art. 325, comma primo, cod. proc. pen., dunque, prevede che il ricorso in cassazione avvenga per violazione di legge. In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che nel concetto di violazione di legge non possono essere ricompresi la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione, separatamente previste dall'art. 606, lett. e), quali motivi di ricorso distinti e autonomi dalla inosservanza o erronea applicazione di legge (lett. e) o dalla inosservanza di norme processuali (lett. c) (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 - dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226710). Pertanto, nella nozione di violazione di legge per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma primo, cod. proc. pen., rientrano sia gli errores in iudicando o in procedendo sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 - dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692), ma non l'illogicità manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all'art. 606, 1° co., lett. e), cod. proc. pen. (v., tra le tante: Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009 - dep. 20/02/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916).

6. Il controllo della Corte di Cassazione è, dunque, limitato ai soli profili della violazione di legge. La verifica in ordine alle condizioni di legittimità della misura cautelare è necessariamente sommaria e non comporta un accertamento sulla fondatezza della pretesa punitiva e le eventuali difformità tra fattispecie legale e caso concreto possono assumere rilievo solo se rilevabili ictu oculi (per tutte: Sez. U, n. 6 del 27/03/1992 - dep. 07/11/1992, Midolini, Rv. 191327; Sez. U, n. 7 del 23/02/2000 - dep. 04/05/2000, Mariano, Rv. 215840). La delibazione non può estendersi neppure all'elemento psicologico del reato e alla ricostruzione in concreto delle possibili e prevedibili modalità con le quali la condotta contestata si sarebbe dovuta manifestare; in altri termini, quindi, non è possibile che il controllo di cassazione si traduca in un controllo che investe, sia pure in maniera incidentale, il merito dell'impugnazione.

Ciò, peraltro, non significa che il giudice debba acriticamente recepire esclusivamente la tesi accusatoria senza svolgere alcun'altra attività. Alla Corte di Cassazione è, infatti, attribuito, il potere-dovere di espletare il controllo di legalità, sia pure nell'ambito delle indicazioni di fatto offerte dal pubblico ministero. L'accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica. Pertanto, il tribunale non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro (per tutti: Sez. U, n. 23 del 20/11/1996 - dep. 29/01/1997, Bassi e altri, Rv. 206657).

E, in tale contesto, la più recente giurisprudenza di legittimità, ha precisato che in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, il giudice, benché gli sia precluso l'accertamento del merito dell'azione penale ed il sindacato sulla concreta fondatezza dell'accusa, deve operare il controllo, non meramente cartolare, sulla base fattuale nel singolo caso concreto, secondo il parametro del "fumus" del reato ipotizzato, con riferimento anche all'eventuale difetto deN'elemento soggettivo, purché di immediato rilievo (v. Corte cost., ord. n. 153 del 2007; Sez. 6, n. 16153 del 06/02/2014 - dep. 11/04/2014, Di Salvo, Rv. 259337).

7. Così definito il perimetro del sindacato di questa Corte in materia di provvedimenti di cautela reale, è dunque evidente come, nel caso in esame, non sia possibile da parte del Collegio esercitare il sindacato richiesto dai ricorrenti avverso l'impugnata ordinanza.

Ed infatti, le censure della difesa, più che prospettare un vizio di "violazione di legge" inteso nei limiti indicati dalla giurisprudenza di legittimità, si risolvono in una critica, pur se argomentata, al procedimento valutativo attraverso il quale il tribunale del riesame ha ritenuto come - rebus sic stantibus - non sussistessero elementi sufficienti per poter accogliere le doglianze difensive.

7.1. Ed invero, quanto al primo motivo, il provvedimento del tribunale del riesame esordisce con il chiarire i limiti della propria cognizione, puntualizzando che - alla luce della ''parte dispositiva" dell'appello cautelare, l'istanza ex art. 322 bis cod. proc. pen. aveva per oggetto solo la revoca del sequestro disposto ai sensi dell'art. 12 sexies della legge n. 356 del 1992 o la sua riduzione, tenuto conto delle risultanze tecnico - contabili depositate in allegato all'istanza di revoca. Il tribunale del riesame ha, altresì, dichiarato inammissibili le note di udienza con cui erano stati introdotti motivi nuovi, segnatamente quelli inerenti all'ipotesi di sequestro ex art. 322 ter cod. pen. e 30/31, della legge n. 646 del 1982, osservando, per il resto, come quanto espsoto nell'atto di appello originario si presentasse generico, con riferimento alla confisca per equivalente, non riguardante il sequestro ex art. 12 sexies della legge n. 356 del 1992, non comprendendosi se si riferisse alla previsione dell'art. 322 ter cod. pen. o agli artt. 30 e 31, legge n. 646 del 1982, essendone diversi i presupposti applicativi.

7.2. Deve, a tal proposito premettersi che il perimetro cognitivo del giudice del riesame, nell'appello cautelare ex art. 322 bis cod. proc. pen., è diverso rispetto a quello del riesame. Sul punto va ricordato che nel giudizio di appello in materia di misure cautelari reali opera il principio devolutivo, in virtù del quale al giudice è attribuita la cognizione del procedimento nei limiti segnati dai motivi posti a sostegno dell'impugnazione (v., tra le tante: Sez. 6, n. 15855 del 05/02/2004 - dep. 02/04/2004, Montalto, Rv. 228809): ciò significa che la "cognitio" del giudice del riesame, in sede di appello cautelare, trova i suoi connaturali limiti nei motivi dell'appello e nella natura del provvedimento impugnato che è autonomo rispetto a quello che ha disposto la misura. A ciò va aggiunto, inoltre, quanto al sindacato esercitabile dal giudice dell'appello cautelare, che il tribunale - chiamato a decidere sull'appello in materia di sequestro preventivo, caratterizzato, come quello ordinario, dall'effetto devolutivo -, ha l'obbligo di esaminare quella parte della decisione impugnata che, quantunque non attinta dai motivi di gravame, è così intimamente connessa con i punti oggetto di censura, da rendere logicamente impossibile una loro considerazione isolata (v., ad esempio: Sez. 6, n. 10846 del 16/01/2007 - dep. 14/03/2007, Caselli, Rv. 235918). Ciò che, in altri termini, equivale a dire che, in assenza di tale "intima connessione" - come nel caso di specie, rivolgendosi gli originari motivi di appello solo al provvedimento di sequestro ex art. 12 sexies della legge n. 356 del 1992 - nessun obbligo incombeva al tribunale del riesame di esaminare le doglianze successivamente sviluppate nelle note di udienza che concernevano il sequestro disposto ex art. 322 ter cod. pen. e ai sensi degli artt. 30 e 31, legge n. 646 del 1982.

Deve, sul punto, essere aggiunto che corretta appare la inammissibilità dichiarata dal giudice dell'appello cautelare quanto ai motivi nuovi contenuti nelle note di udienza, con cui gli indagati avevano introdotto motivi diversi rispetto a quanto inequivocabilmente indicato nella parte dispositiva dell'originario atto di appello cautelare. Ed invero, osserva questa Corte, il disposto dell'art. 324, comma quarto, cod. proc. pen. (secondo cui "con la richiesta di riesame possono essere enunciati anche i motivi. Chi ha proposto la richiesta ha, inoltre, facoltà di enunciare nuovi motivi davanti al giudice del riesame, facendone dare atto a verbale prima dell'inizio della discussione") trova esclusiva applicazione con riferimento al giudizio di riesame propriamente detto, instaurato ai sensi dell'art. 322, 257, 318 e 355, comma terzo, cod. proc. pen., non potendo invece estendersi la norma de qua al giudizio instaurato a seguito di appello cautelare ai sensi dell'art. 322 bis cod. proc. pen., sia per ragioni di collocazione sistematica della previsione (art. 324, comma quarto, cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente alla richiesta di riesame), sia per l'ontologica diversità esistente tra i due mezzi di impugnazione (in tal senso, v.: Sez. 6, n. 5016 del 26/10/2011 - dep. 09/02/2012, Grillo, Rv. 251783), sia, soprattutto, per la ratio sottesa al disposto dell'art. 324, comma quarto, cod. proc. pen., atteso che solo per il riesame non anche per l'appello ex art. 322 bis cod. proc. pen., il vigente codice di rito prevede un termine perentorio di presentazione (indicato in gg. 10), ciò che giustifica la presentazione dell'istanza di riesame con riserva di enunciazione dei motivi (v., in tal senso: Sez. 3, n. 2623 del 02/12/1993 - dep. 31/01/1994, Torres, Rv. 197063), laddove, per quanto invece concerne l'appello cautelare reale, v'è l'obbligo per la parte impugnante di enunciare contestualmente alla presentazione dell'appello anche i motivi posti a fondamento dell'impugnazione (principio, si noti, già affermato da Sez. 3, n. 1679 del 13/10/1992 - dep. 11/01/1993, Pentangelo, Rv. 192663, che deve, peraltro, essere specificato - in presenza di difforme orientamento: v., oltre la già richiamata Sez. 3, n. 2623 del 02/12/1993 - dep. 31/01/1994, Torres, Rv. 197063, anche Sez. 3, n. 3816 del 14/10/2008 - dep. 28/01/2009, Leone, Rv. 242821 - nel senso che l'inammissibilità concerne solo mancata, contestuale, enunciazione dei motivi a sostegno dell'appello cautelare).

Quanto sopra, dunque, consente di ritenere del tutto legittima la decisione del giudice dell'appello cautelare di dichiarare inammissibili i motivi indicati nelle note di udienza, esulando - come detto - dal perimetro cognitivo del tribunale del riesame, chiamato a decidere sull'appello cautelare ex art. 322 bis cod. proc. pen., l'analisi di questioni non tempestivamente dedotte nell'atto di appello originario (inammissibilità, si noti, da qualificarsi ex art. 581, lett. c), in relazione al disposto dell'art. 591, lett. c), cod. proc. pen.).

Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto:

«Il disposto dell'art. 324, comma quarto, cod. proc. pen. trova esclusiva applicazione con riferimento al giudizio di riesame propriamente detto, instaurato ai sensi degli artt. 322, 257, 318 e 355, comma terzo, cod. proc. pen., non potendo invece applicarsi al giudizio instaurato a seguito di appello cautelare reale ai sensi dell'art. 322 bis cod. proc. pen. (In motivazione la Corte ha precisato che tale conclusione si giustifica, in particolare, ove si consideri che solo per il riesame e non anche per l'appello ex art. 322 bis cod. proc. pen., il vigente codice di rito prevede un termine perentorio di presentazione, ciò che legittima la presentazione dell'istanza di riesame con riserva di enunciazione dei motivi, laddove, per quanto concerne l'appello cautelare reale, deve invece ritenersi sussistere l'obbligo per la parte impugnante di enunciare contestualmente alla presentazione dell'appello anche i motivi posti a fondamento dell'impugnazione)».

7.3. Alla stregua di quanto sopra esposto, pertanto, ne discende che tutte le questioni sollevate nel primo motivo di ricorso, così come quelle svolte nei quattro motivi del secondo ricorso in quanto le doglianze mosse - pur essendo in astratto tutte quante condivisibili nel richiamarsi a principi ormai consolidati nella giurisprudenza di questa Corte - non lo sono, in concreto, con riferimento ai motivi di censura mossi con l'originario atto di appello cautelare (osservandosi, a tacer d'altro, che quanto esposto nel quarto motivo è ex se inammissibile, deducendo esclusivamente vizio di motivazione, dunque un vizio diverso da quello proponibile ai sensi dell'art. 325 cod. proc. pen.), essendo relativi a pretese violazioni di legge afferenti l'omessa motivazione e/o valutazione da parte del giudice deN'appello cautelare con riferimento al sequestro disposto ex art. 322 ter cod. pen. od a quello disposto ai sensi degli artt. 30 e 31, legge n. 646 del 1982.

L'inammissibilità di tali motivi, come detto, si giustifica avendo i giudici del riesame dichiarato correttamente l'inammissibilità in quanto non tempestivamente dedotti nell'atto di appello cautelare, né essendo gli stessi ovviamente proponibili per la prima volta davanti a questa Corte.

7.4. Con riferimento, invece, al thema decidendum sottoposto all'esame dei giudici del riesame (ossia, la revoca del sequestro disposto ai sensi dell'art. 12 sexies, legge n. 356 del 1992 o la sua riduzione, come specificato nell'originario atto di appello cautelare), va rilevato come il tribunale del riesame - lungi dal trincerarsi dietro una "pilatesca" impossibilità (così si legge in ricorso) di valutare le deduzioni difensive - ha invece puntualmente analizzato, richiamando le deduzioni svolte dalla nota della G.d.F. depositata in data 20/03/2014, i singoli profili di doglianza svolti dalle difese degli indagati (v. pagg. 3 e 4 dell'impugnata ordinanza), così mostrando di aver correttamente assolto al ruolo di garanzia attribuitogli dal vigente codice di rito. Peraltro, come evidenziato alla pag. 4 deN'impugnata ordinanza in relazione a quanto richiesto nell'originario appello cautelare, la risoluzione delle questioni tecnico - contabili prospettate dalla difesa, attraverso la produzione anche di alcune relazioni di consulenza tecnica di parte, non consentivano al tribunale del riesame, nella fase incidentale e in considerazione della sua limitata "cognitio", di esprimere un giudizio sulla correttezza dei calcoli come operati dai consulenti della difesa dei ricorrenti, a fronte dell'insanabile contrasto tra i dati rappresentati dalla difesa e quelli emergenti dalla richiamata nota della Guardia di Finanza, non essendo possibile una sintesi tra le diverse prospettazioni, necessitando il giudice del riesame dell'ausilio di un perito, peraltro non nominabile nella procedura incidentale di cui alla fase cautelare reale (ed è pacifico che il giudice del riesame è privo di poteri istruttori in relazione ai fatti relativi all'imputazione, dovendo limitarsi, ai fini della decisione, alla valutazione delle risultanze processuali già acquisite nel procedimento di merito: Sez. 3, n. 21633 del 27/04/2011 - dep. 30/05/2011, P.M. in proc. Valentini, Rv. 250016, principio proprio affermato in una fattispecie di accertamento peritale disposto in sede di appello ex art. 322 bis cod. proc. pen.).

Deve, dunque, essere affermato l'ulteriore, seguente principio di diritto:

«Il tribunale del riesame, sia in sede di decisione a seguito di presentazione di istanza di riesame sia in sede di decisione a seguito di presentazione di appello cautelare, in caso di insanabile contrasto, non dirimibile con gli ordinari poteri di valutazione spettanti ad esso giudice in quella fase incidentale caratterizzata dalla necessaria sommarietà della delibazione, è legittimato a demandare alla fase del merito tutte le questioni di tipo tecnico e contabili non risolvibili in tale fase di "semipiena cognitio" tipica dell'incidente cautelare, ove necessitanti dell'apporto di un sapere tecnico - scientifico, estraneo alla cognizione giuridica dei giudice del riesame, questioni che presupporrebbero, ove proposte in sede di merito, il ricorso ad un accertamento peritale, trattandosi di mezzo istruttorio incompatibile con l'incidente cautelare».

Peraltro, e conclusivamente, il tribunale del riesame si fa carico anche di motivare circa l'estensibilità di tale argomentazione con riferimento al sequestro disposto ai sensi della legge n. 646 del 1982 e ai sensi dell'art. 322 ter cod. pen., ciò che denota l'assoluta coerenza del percorso argomentativo con i poteri spettanti al giudice del riesame in sede di appello cautelare, sicché corretta appare la conclusione finale espressa a pag. 5 dell'ordinanza impugnata, in cui si evidenzia che, in realtà, i motivi di appello si presentavano non come elementi nuovi, ma come rielaborazioni tecniche di emergenze processuali già valutate in sede di applicazione della cautela personale e reale dal tribunale del riesame.

8. I ricorsi devono essere, conclusivamente, dichiarati inammissibili. Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma che si stima equo fissare, in euro 1.000,00 (mille/00) ciascuno.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.