Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 maggio 2015, n. 9224

Rapporto di lavoro - Assistente - Veterinario - Attività svolte presso l'ambulatorio - Natura subordinata

Svolgimento del processo

Con sentenza del 20 ottobre 2011, la Corte d’Appello di Firenze, confermava, salva la riforma della sola statuizione sulle spese, la decisione con cui il Tribunale di Livorno aveva accolto la domanda proposta da L.L. nei confronti di B.C., veterinario, titolare di un ambulatorio per l’esercizio della professione, avente ad oggetto il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro che assumeva essere intercorso con la medesima per lo svolgimento di mansioni di assistente, condannando la C. al pagamento delle differenze retribuite maturate rispetto a quanto dalla stessa percepito in ragione della formalizzazione del rapporto come collaborazione continuativa e coordinata, oltre ai contributi previdenziali ed ai premi assicurativi, per il recupero dei quali tanto l’INPS che l’INAIL avevano emesso le relative cartelle esattoriali, poste in esecuzione dalla Equitalia Gerit ed opposte dalla C. innanzi allo stesso Tribunale di Livorno, che, riunite le cause di opposizione a quella radicata dalla L. su di esse si pronunziava per il rigetto.

La decisione resa dalla Corte territoriale, a definizione del gravame promosso dalla C. nei confronti tanto della L., che dell’INPS, dell’INAIL e dell’Equitalia Gerit, quest’ultima rimasta contumace, discende dall’aver questa ritenuto non assolto dalla C. l’onere della prova, alla stessa incombente, stante la presunzione di subordinazione operante con riferimento alla prestazione di attività lavorativa onerosa, all’interno dei locali dell’azienda, con materiali ed attrezzature proprie della stessa e con modalità tipologiche proprie di un lavoratore subordinato, in relazione alle caratteristiche delle mansioni svolte, né in ordine alla natura autonoma del rapporto, in relazione all’invocata qualificazione dello stesso come collaborazione continuativa e coordinata, né alla prestazione dell’attività a titolo di pura amicizia, né all’insussistenza del dedotto rapporto di lavoro per essere le stesse mansioni svolte da altra collaboratrice.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la C., affidando l’impugnazione a tre motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste, con controricorso, l’INAIL, essendosi l’INPS costituito con procura speciale mentre la L. e Equitalia Gerit sono rimasti intimati.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo, inteso a denunciare un vizio di motivazione unitamente alla violazione dell’art. 1362 c.c., la ricorrente lamenta come, in sede di accertamento della natura del rapporto implicante la prestazione di attività lavorativa intercorso con la L., la Corte territoriale abbia del tutto omesso la valutazione del contratto di collaborazione coordinata e continuativa in base al quale il rapporto sarebbe stato formalizzato tra le parti e del quale la L. mostrando consapevolezza della sua giuridica rilevanza, nel ricorso introduttivo aveva richiesto la declaratoria di nullità, evidenziando come, sebbene privo di data nonché di indicazione della data di inizio della collaborazione e del compenso mensile, il contratto stesso, ai sensi dell’art. 1362 c.c., doveva ritenersi rilevante ai fini dell'individuazione del rapporto voluto dalle parti all’atto della sua costituzione, anche sotto il profilo del nomen iuris dalle stesse attribuito ad esso, tanto più che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, l’indagine, da questa condotta con esclusivo riferimento ai dati fattuali, aveva evidenziato caratteristiche e modalità del rapporto del tutto compatibili con la qualificazione autonoma del rapporto emergente dal predetto contratto.

Con il secondo motivo, ancora inerente ad un vizio di motivazione, la ricorrente censura l’iter logico-giuridico seguito dalla Corte territoriale nell’addivenire al riconoscimento della natura subordinata del rapporto relativamente al periodo compreso tra il 1997 ed il 2000 e con riguardo ad una prestazione protrattasi quotidianamente per l’intero orario di apertura dell’ambulatorio, per aver maturato tale convincimento in relazione a dichiarazioni testimoniali ed altre risultanze istruttorie non riferibili all’arco temporale e alla durata oraria indicati dalla Corte medesima.

Con il terzo motivo genericamente rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione di norme di diritto, la ricorrente lamenta a carico della Corte territoriale la mancata rilevazione della tardività della costituzione nel giudizio d’appello della L. per essere questa intervenuta decorso "il termine minimo di dieci giorni liberi prescritto dall’art. 416 c.p.c."

Ebbene, nel procedere qui all’esame degli esposti motivi, deve rilevarsi l’inammissibilità tanto del primo quanto del secondo motivo per violazione del principio di autosufficienza del ricorso.

Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa che si afferma essere stato concluso tra le parti, non è qui riportato nel suo contenuto, non è allegato, non è individuato nella sua collocazione in atti, il che impedisce a questa Corte di verificarne l’impatto sull’iter valutativo seguito dalla Corte territoriale nel procedere alla qualificazione del rapporto, con particolare riferimento all’oggetto della prestazione dedotta, per quanto le risultanza istruttorie sotto tale profilo prese in considerazione dalla Corte di merito - che fanno riferimento alle mansioni le più varie, dall’apertura dell’ambulatorio, alla regolamentazione dell’afflusso della clientela, all’annotazione degli appuntamenti, all’assistenza infermieristica di supporto, alla risistemazione delle attrezzature sanitarie, alla cura degli animali anche presso il domicilio dei clienti, fino alla pulizia dei locali - danno conto della correttezza dell’opzione in merito accolta dalla Corte medesima a favore, piuttosto che di una collaborazione connotata dalla fornitura di uno specifico apporto che attenga ad attività professionalmente specializzate o meramente strumentali svolte in autonomia, di una prestazione caratterizzata dalla disponibilità della collaboratrice allo svolgimento di qualsiasi compito che gli fosse affidato secondo le esigenze di volta in volta rappresentate dalla titolare dello studio, così connotandola inequivocabilmente, sul piano fattuale, da ritenersi più rilevante rispetto a quello formale "poiché la tutela relativa al lavoro subordinato non può certo essere elusa per mezzo di una configurazione pattizia non rispondente alle concrete modalità di esecuzione del rapporto (vedi, ex multis, Cass. n. 16293/2010, Cass. n. 9151/2004, Cass. n. 17549/2003).

Analogamente, quanto al secondo motivo, manca la trascrizione, l’allegazione e la specificazione di quelle risultanze istruttorie che secondo la prospettazione della ricorrente sarebbero idonee ad attestare la sfasatura temporale e la non corrispondenza, quanto alla collocazione nel tempo del rapporto di lavoro subordinato all’estensione oraria della prestazione, tra la conclusione cui è pervenuta la Corte di merito e l’accertamento di fatto su cui la stessa si è basata per formulare quella conclusione.

Parimenti inammissibile si rivela il terzo motivo, questa volta per difetto di interesse, atteso che, dovendosi ritenere, nonostante il riferimento all’art. 416 c.p.c., che l’eccezione di tardività riguardi il deposito della memoria di costituzione nel giudizio di appello da parte della L., ammesso che la stessa sia fondata, il che non è dato sapere mancando qualsiasi precisazione concreta in ordine alla scadenza dei termini ed, altresì, considerata l’erronea indicazione del termine in dieci giorni liberi, trattandosi al contrario di termine da computarsi secondo la modalità ordinaria, non si vede, stante la preclusione della proposizione in sede di gravame dì allegazioni e mezzi di prova nuovi e non essendo stata formulata dalla L. alcuna domanda in via incidentale, quale effetto quella eccezione possa avere sull’esito del processo.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo nei confronti delle sole parti resistenti, nulla per gli intimati.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 2.500,00 nei confronti dell’INAIL ed euro 1200,00 nei confronti dell’INPS per compensi, oltre accessori di legge, per entrambi. Nulla spese per le parti intimate.