Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 maggio 2015, n. 19128

Sicurezza sul lavoro - Lavori in quota - Lavori di rifinitura - Responsabilità dell’imprenditore

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con l'impugnata sentenza resa in data 23 settembre 2013 la Corte d'Appello di Lecce, confermava la sentenza del Tribunale di Maglie del 27 marzo 2012, appellata dall' imputato C.V.R.

Questi era stato tratto a giudizio e condannato alla pena ritenuta di giustizia per rispondere nella sua qualità di legale rappresentante della C.C. S.r.l. e di datore di lavoro di aver cagionato al lavoratore R.S. lesioni personali gravi, riportate durante i lavori di ristrutturazione dell'ex municipio di Poggiardo. In particolare il R., salito su una scala a pioli collocata sul piano di calpestio del pianerottolo -largo circa 94 cm- posto al primo piano (pianerottolo al centro del quale vi era un pozzo luce delle dimensioni di m. 2,228X 3,10 protetto da ringhiera metallica alta metri 1,02) stava eseguendo lavori di rifinitura degli infissi, allorché, trovandosi sulla scala perdeva l'equilibrio e precipitava attraverso l'apertura del pozzo sul pavimento del piano terra, precipitazione che si sarebbe evitata se fosse stata rispettata da parte del datore di lavoro la prescrizione di cui all'art. 122 d.lgs,vo n. 81 del 2008 e cioè qualora, trattandosi di eseguire lavori ad altezza superiore ai due metri, fossero state predisposte idonee impalcature o ponteggi o altre opere provvisionali o comunque idonee precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta dall'alto di persone o cose e della relativa contravvenzione.

2. Avverso tale decisione ricorre a mezzo del difensore di fiducia il C. denunciando la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, sostenendosi che la assoluta impossibilità di ricostruzione dei fatti e degli accadimenti per come effettivamente avvenuti e verificatisi doveva indurre la Corte territoriale all'assoluzione del C. la mancata assunzione di prova decisiva in ordine alla posizione del corpo del R. dopo la caduta.

 

Considerato in diritto

 

3. Il ricorso è manifestamente infondato e come tale va dichiarato inammissibile.

Deve premettersi che, nella verifica della consistenza dei rilievi critici mossi dai ricorrenti, la sentenza della Corte territoriale non può essere valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti, di tal che - sulla base di un consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte - deve ritenersi che la motivazione della prima si saldi con quella della seconda fino a formare un solo complessivo corpo argomentativo e un tutto unico e inscindibile (Sez. U, n.6682 del 04/02/1992, P.M., Musumeci e altri, Rv. 191229). Esaminando il ricorso proposto dal C., dal raffronto con il testo della sentenza impugnata si evince l'analogia tra i motivi di appello e le censure formulate con il ricorso per cassazione. Contrariamente peraltro a quanto sostenuto dal ricorrente la corte territoriale ed ancor prima il giudice di primo grado hanno compiutamente ricostruito l'evento di cui è causa, pur in assenza di testimonianze dirette sull'accaduto, sulla base di alcuni elementi acquisiti con certezza all'esito dell'istruttoria ed avuto riguardo alle censure mosse dalla difesa. In particolare il provvedimento impugnato (cfr. pagg. 10, 11) ha così motivato : "In buona sostanza non è vero che non sia stata raggiunta la prova certa della dinamica dell'incidente, potendosi certamente l'evento dannoso ricondursi alla caduta accidentale del R. dalla scaletta di legno collocata sul ballatoio, caduta al suolo da un'altezza dal piano di calpestio del ballatoio di metri 5,50-6,00 (teste A.) che non è stata impedita dalla presenza di un ponteggio o di impalcature o di tra battelli da montare nei lati interessati, di volta in volta, ai lavori. La circostanza che i veri e propri lavori di ristrutturazione fossero stati completati e che fossero rimasti solo i lavori più semplici e di rifinitura non esclude né diminuisce la responsabilità del datore di lavoro in quanto l'obbligo, per il datore di lavoro che faccia eseguire lavori in quota, di approntare le misure di sicurezza oggi imposte dall'art. 122 del D.lgs.vo n. 81 del 2008, al fine di eliminare i pericoli di caduta di persone o cose, deve trovare applicazione anche quando il lavoro richieda un impegno di breve durata temporale". Quanto alla richiesta di rinnovazione dell'istruttoria, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha in più occasioni evidenziato la natura eccezionale dell'istituto della rinnovazione dibattimentale di cui all'art. 603 cod. proc. pen. ritenendo, conseguentemente, che ad esso possa farsi ricorso, su richiesta di parte o d'ufficio, solamente quando il giudice lo ritenga indispensabile ai fini del decidere, non potendolo fare allo stato degli atti (Sez.2, n.41808 del 27/09/2013, Mongiardo, Rv. 256968; Sez.2, n.3458 del 1/12/2005, dep. 2006, Di Gloria, Rv. 233391) precisando, altresì, che, considerata tale natura, una motivazione specifica è richiesta solo nel caso in cui il giudice disponga la rinnovazione, poiché in tal caso deve rendere conto del corretto uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, mentre in caso di rigetto è ammessa anche una motivazione implicita, ricavabile dalla stessa struttura argomentativa posta a sostegno della pronuncia di merito, nella quale sia evidenziata la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (Sez. 3, n.24294 del 07/04/2010, D.S.B., Rv. 247872).

Nella specie peraltro la sentenza impugnata ha chiaramente spiegato i motivi del rigetto dell'istanza, ritenendo di poter decidere sulla base degli elementi probatori già acquisiti.

4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (Corte Cost., sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in mille euro, in favore della cassa delle ammende.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.