Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 maggio 2015, n. 9119

Lavoro giornalistico - Demansionamento - Attività di articolista - Destinazione alla "cucina" redazionale

 

Svolgimento del processo

 

La Corte di appello di Napoli, accogliendo il gravame di E. s.p.a., rigettava la domanda proposta da S.M. giornalista redattore del quotidiano M. di Napoli, diretta all'accertamento della nullità del mutamento di mansioni disposto dalla società editrice con ordine di servizio del 24 gennaio 1995 con cui il ricorrente era stato trasferito, nell'ambito della stessa redazione centrale di Napoli, dal settore "X "a quello "X". Il ricorrente aveva sostenuto di essere stato privato delle mansioni di redattore articolista cronista per essere assegnato all’attività di redattore adibito al desk e che ciò aveva comportato, con il venir meno del rapporto diretto con le fonti informative ed il pubblico dei lettori, un’incidenza sul prestigio e sulla notorietà della firma, ed aveva chiesto che fosse accertato il suo diritto ad essere reintegrato nelle mansioni di redattore articolista cronista nel settore "Politica" e che la società convenuta fosse condannata a risarcirgli i danni derivati dalla subita dequalificazione professionale.

La domanda, accolta in primo grado, è stata respinta dalla Corte di appello sulla base dei seguenti argomenti:

- non vi è una figura di redattore articolista, ben potendo l'articolista, a norma dell’art. 9 CNLG, rivestire diverse qualifiche; tale disposizione tende unicamente a garantire che il giornalista non subisca modifiche arbitrarle ai suoi articoli (che non devono recare la sua firma qualora non via sia il suo assenso) e regola la cessione a terzi degli articoli redatti dal giornalista; pertanto, la norma tutela la "firma"' del giornalista quale "autore" e la possibile utilizzazione dei suoi articoli, ma non costituisce titolo per affermare l'inamovibilità del redattore articolista;

- non esiste il diritto ad una inamovibilità del redattore, stante lo ius variandi datoriale, da esercitare nei limiti di cui all'art. 2103 cod. civ., nell'ambito di quelle mansioni che le parti collettive fanno rientrare nella qualifica di redattore e che possano ritenersi equivalenti professionalmente a quelle di articolista;

- dalla prova testimoniale e in particolare dalla deposizione del teste P., l'unico in grado di descrivere le mansioni svolte dal ricorrente, era emerso che i compiti assegnati al S. - come ad ogni altro redattore, consistevano nel "proporre i pezzi" e nel "compilare pagine", nel senso di "comporre titoli e didascalie", "all'occorrenza tagliare o riscrivere il servizio o comunque aggiustarlo" e ciò al fine di "rendere migliore la qualità del servizio"; il teste aveva aggiunto che "per compiere tali compiti ci vuole una grossa professionalità"; avvenuta la compilazione della pagina, questa veniva proposta al responsabile del servizio, il quale ne autorizzava la stampa e poteva apportare, ove lo ritenesse necessario, modifiche ai titoli o ordinare al redattore di rifare tutti o alcuni titoli;

- alla stregua di tali risultanze, doveva escludersi che il ricorrente avesse subito un demansionamento, poiché la composizione di un titolo di un giornale, la scelta di una foto da accompagnare ad un articolo, la revisione dei pezzi scritti da altri "sono, all'evidenza, secondo una moderna visione del giornalismo, compiti altrettanto rilevanti di quelli di "scrivere i pezzi".

In altri termini - osservava la Corte di appello - "l'attività di cucina redazionale può essere rilevante al pari o più dell'attività di semplice articolista. Anzi, secondo una logica che superi il tema della "visibilità" personale attraverso la "firma" del giornalista e guardi più alla oggettiva funzione informativa del giornale quotidiano, può essere persino più rilevante di scrivere il pezzo, l’attività redazionale diretta a corredare un articolo con una foto che esprima in modo immediatamente tangibile, il senso della notizia per il pubblico dei lettori. Ancor più rilevante e destinato a rimanere fissato nella memoria del lettore è il titolo del pezzo attraverso il quale si esprime anche la linea politico-editoriale del giornale".

A ciò poteva aggiungersi che, secondo le allegazioni della società, il ricorrente, nella posizione assunta, ben poteva proporre articoli a sua firma e, se non lo aveva fatto, ciò era dipeso dall'immediato deteriorarsi dei rapporti a seguito dell'ordine di servizio del gennaio 1995, vissuto dal ricorrente con un sentimento di grande frustrazione professionale. Era dunque "evidente che l'unica strada per identificare una dequalificazione professionale" fosse quella seguita dal giudice di primo grado sulla scorta del resto delle stesse modalità con cui era stato redatto il ricorso introduttivo, ossia che "la 'firma' del giornalista sia in quale che modo un dato imprescindibile della qualifica e della professionalità del redattore addetto alla redazione dei "pezzi", tesi che però non poteva essere accolta, per quanto sopra osservato.

Doveva, infine, escludersi qualsiasi intento persecutorio o punitivo posto in essere nei confronti del S., atteso che l'ordine di servizio del gennaio 1995 aveva riguardato circa sessanta dipendenti del giornale.

La Corte di appello riteneva infondata anche l'ulteriore domanda proposta dal ricorrente, intesa al riconoscimento della qualifica di capo servizio per l'attività svolta presso la sede di Avellino dal 2.4.90 all'11.7.94. Osservava al riguardo che non era stato provato che il giornalista avesse la responsabilità diretta del coordinamento di due collaboratori fissi: il ricorrente non aveva dimostrato, con esattezza, la composizione della redazione decentrata, i compiti e i ruoli dei due (o più) pubblicisti, le relazioni con il redattore capo e con colui che aveva la delega della direzione aziendale presso la redazione, nonché la continuatività della responsabilità del servizio. Soggiungeva la Corte di appello che integrazioni istruttorie erano superflue, non essendovi dubbi sul l'accertamento dei fatti, mentre le ulteriori domande proposte dal ricorrente, relative all’accordo-sport per il periodo 1.10.91/marzo 1995, all'indennità pari a quattro giorni di permesso e ai permessi retribuiti, erano inammissibili in quanto formulate per la prima volta in appello.

Per la cassazione di tale sentenza S.M. propone ricorso affidato a dieci motivi ed illustrato con memoria ex art. 378 cod. proc. civ.. Resiste con controricorso la soc. M.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione di legge e di contratti collettivi, con specifico riferimento alla legge n. 69/63, art. 2 e al CNLG, art. 1, comma 2, art. 9, comma 2, e art. 7, comma 4, anche in relazione all'art. 2103 cod. civ. e all'art. 35 Cost., nonché difetto di motivazione, propone a questa Corte i quesiti di seguito sintetizzati: a) se sia incorsa nella violazione di tali norme la Corte di appello per avere ritenuto legittimo che un redattore articolista possa essere privato delle mansioni di redazione in proprio degli articoli, precedentemente svolte in modo esclusivo, per essere adibito esclusivamente al lavoro al "desk"; b) in particolare, se l'art. 9 CNLG, che al comma 2 prevede la figura del redattore articolista, possa essere interpretato come diretto ad escludere tale qualifica; c) se l'art. 7, comma 4, CNLG, che fa obbligo all'editore di adibire almeno una volta alla settimana in modo esclusivo alla redazione in proprio d: articoli anche i redattori occupati nella "cucina" al "desk" consenta di privare il cronista delle mansioni di articolista da sempre svolte in modo esclusivo; d) se l'avere espropriato il redattore cronista delle mansioni di articolista consistente nella redazione di articoli propri costituisca violazione dell'art. 35 Cost., 2060 e 2087 cod. civ. sui dovere datoriale di tutelare il lavoro anche intellettuale, l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.

1.1. Il motivo involge l'interpretazione del CNLG, segnatamente dell'art. 7, punto 4, e dell'art. 9 del contratto nazionale di lavoro giornalistico, dalla cui lettura sistematica dovrebbe argomentarsi - ad avviso de! ricorrente - l'esistenza della figura professionale del "redattore articolista" e l'obbligo datoriale di adibire, per un tempo minimo determinato, alla stesura di articoli originali i redattori articolisti addetti all'uso di videoterminali.

1.2. Con il secondo motivo il ricorrente, censurando la sentenza per violazione di legge e vizio di motivazione, chiede se l’avere il datore di lavoro espropriato il redattore articolista delle mansioni consistenti nella redazione in proprio di articoli costituisca violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 21 e 41, secondo comma, Cost. per vulnus del diritto del giornalista all’esplicazione della propria personalità e del diritto alla libertà di manifestare il proprio pensiero e il diritto-dovere di cronaca, con ripercussioni sulla propria dignità e professionalità nonché violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 cod. civ. e dell'art. 2 legge n. 69/63 e dell'art. 9 CNLG.

1.3. Con il terzo motivo, strettamente collegato al primo, viene censurata la motivazione della sentenza per non avere chiarito in quale modo le mansioni assegnate successivamente allo spostamento di settore non avesse leso il diritto del lavoratore ex art. 2103 cod. civ. a vedere salvaguardato e valorizzato il patrimonio professionale acquisito nella fase pregressa del rapporto. Si addebita alla Corte di appello di non aver chiarito in quale modo il ricorrente avrebbe arricchito la propria professionalità quale redattore articolista adibito al desk e quindi in quale modo tale assegnazione sarebbe confacente alle sue qualità nell'ottica di un costante loro affinamento e di una progressiva evoluzione delle stesse.

1.4. Con il quarto motivo si censura la sentenza per violazione di legge in relazione agli artt. 1453 cod. civ. e 2058 cod. civ. e per vizio di motivazione. Si chiede se, nel caso di dequalificazione, il diniego di reintegro nelle mansioni in precedenza svolte configuri violazione dell'art. 1453 cod. civ. e se, nel caso di dequalificazione, il mancato riconoscimento del risarcimento in forma specifica violi l'art. 2058 cod. civ.

1.5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia error in procedendo in relazione all'art. 112 cod. proc. civ. per omesso esame, da parte della Corte di appello, della descrizione delle mansioni svolte dalla parte nelle proprie difese e per omesso esame di eccezioni formulate circa la insussistenza di esigenze tecnico - professionali allo scopo di dimostrare la illegittimità di uno spostamento da un settore lavorativo ad un altro.

1.6. Il sesto motivo verte su vizio di motivazione in relazione alla valutazione delle risultanze del libero interrogatorio e della prova testimoniale.

1.7. Il settimo lamenta violazione del principio di ultra petizione e vizio di motivazione per avere la sentenza prospettato la carenza di indicazioni nell'atto introduttivo circa la descrizione delle modalità delle nuove mansioni, per poi rigettare il ricorso ritenuto nullo. Si chiede quindi se l'esame del merito non fosse precluso ai giudici di appello e se con tale esame essi non abbiano violato gli artt. 156, 413, 414 cod. proc. civ. e art. 24 Cost..

1.8. Con l'ottavo motivo, vertente sul mancato riconoscimento della qualifica di capo servizio, si denuncia violazione di legge in relazione all’art. 2103 cod. civ. e CNLG. Si chiede se possa essere ritenuta inattendibile una deposizione testimoniale perché non precisa su alcuni particolari rispetto ad un'altra deposizione, considerata attendibile, quando quest'ultima risulti comunque imprecisa su particolari analoghi. Si chiede inoltre se possa essere dimostrata l'attribuzione della superiore qualifica di capo servizio sulla base di una dichiarazione testimoniale ritenuta attendibile dalla Corte di appello al giornalista redattore che opera in piena autonomia secondo le direttive generali del suo diretto superiore. Se il mancato riconoscimento della superiore qualifica a causa del riconoscimento informale della responsabilità di un servizio da parte del redattore capo della redazione decentrata configuri violazione dell'art. 2103 cod. civ. e dell'art. 11, lett. d) e f) CNLG sulla qualifica di capo servizio.

1.9. Con il nono motivo, concernente il capo della sentenza avente ad oggetto il rigetto delle rivendicazioni retributive, si denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 414 e 434 cod. proc. civ. e difetto di motivazione. Si chiede se la mancata riproposizione nelle conclusioni del ricorso introduttivo di primo grado di alcuni capi della domanda, già illustrati nel ricorso medesimo, possa legittimare un loro mancato esame.

1.10. Con il decimo motivo si censura la sentenza per violazione di legge in relazione agli artt. 112, 329, 414 e 434 cod. proc. civ. e vizio di motivazione. Si chiede se configuri acquiescenza parziale alla sentenza di primo grado il non avere la società specificamente impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui questa aveva disposto la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro.

2. Prima di procedere all'esame del ricorso, deve rilevarsi che parte resistente ha eccepito l'inammissibilità della questione vertente sull’interpretazione dell'artt. 7 CNLG per essere il relativo thema decidendum stato introdotto solo in appello, e quindi tardivamente in giudizio.

2.1. Sull'eccezione preliminare di inammissibilità, pur dovendo darsi atto che il ricorso non riporta il preciso tenore della domanda originaria (art. 366 n. 3 cod. proc. civ.) e dunque non consente di ritenere che la questione oggetto dell'eccezione fosse stata introdotta sin dal primo grado (Cass. n. 23675 del 2013), deve tuttavia considerarsi che il ricorrente non ha agito per ottenere il riconoscimento del diritto che assume contemplato dall'art.7 CNLG, ma per trarre da tale previsione una conferma della propria tesi interpretativa. Pertanto, la questione, benché tardivamente introdotta, non comporta un'alterazione del thema decidendum; essa tende a prospettare soltanto un ulteriore argomento interpretativo, che si assume rafforzativo della tesi già svolta in primo grado, senza alcuna alterazione dell'oggetto sostanziale e dei termini della controversia (cfr. Cass. n. 2641 del 2013, n. 13253 del 2004; cfr. pure Cass. n. 26906 del 2014, 17957 del 2013).

3. I primi tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per involgere questioni di diritto tra loro connesse, sono infondati.

3.1. L'art. 7 CNLG reca la disciplina dell'orario di lavoro e regola le relative tutele, tra cui l'organizzazione dei turni degli addetti al videoterminali; esso prevede, al quarto comma, che "il direttore programma il lavoro dei giornalisti che svolgono esclusivamente attività di rielaborazione, adattamento e coordinamento dei testi con l'uso del videoterminali (compresi i p.c. redazionali collegati o meno al sistema), sulla base di periodi di turnazione che tengano conto delle esigenze specifiche delle redazioni. Tale turnazione deve consentire, in armonia con le richiamate esigenze specifiche delle redazioni, I'adibizione dei giornalisti per un giorno alla settimana (escluse le ferie) ad altre mansioni per servizi che comportino l'uso dei videoterminali (compresi i p.c. redazionali collegati o meno al sistema) esclusivamente per la stesura di articoli o altro materiale giornalistico di propria elaborazione. In relazione alle esigenze organizzative redazionali i suddetti giorni di turnazione potranno essere cumulati fino ad un massimo di otto giorni".

3.2. La norma disciplina i turni dei giornalisti addetti all'uso dei videoterminali per la rielaborazione di testi altrui e per la redazione di articoli propri, stabilendo che nella programmazione dei turni il direttore debba consentire al giornalista articolista di disporre di uno spazio per l'uso del videoterminale funzionale alla stesura di articoli di propria elaborazione, ma tale previsione non obbliga il datore di lavoro ad adibire il giornalista a mansioni di articolista per un giorno alla settimana.

3.3. L'art. 9 CNLG, riguardante "modifiche, cessione e pubblicazione di articoli", detta una serie di prescrizioni tese a tutelare l'opera del giornalista, in quanto rientrante tra quelli protetti dalle norme sul diritto d'autore (L. 22 aprile 1941, n. 633) stabilendo, tra l’altro, che le modifiche o integrazioni sostanziali ad un articolo o pezzo firmato devono essere apportate con il consenso dell'autore; che l'articolo non dovrà comparire firmato nel caso in cui le modifiche siano apportate senza l'assenso del giornalista; che "i redattori articolisti" non possono cedere prima di sei mesi ad altri giornali o periodici gli articoli non pubblicati dal giornale o periodico al quale sono addetti senza il previo consenso dell'editore, sentito il parere del direttore; che "l'articolista, sia esso redattore, corrispondente, inviato speciale o collaboratore, può pubblicare in volume gli articoli inviati, siano o non siano retribuiti, tre mesi dopo la consegna dell'ultimo della serie, anche se non pubblicati dai giornale al quale sono destinati"; seguono ulteriori previsioni che si tralasciano, in quanto non rilevanti ai fini interpretativi che qui interessano.

3.4.. La norma riconosce, innanzitutto, la tutelabilità dell'opera del giornalista e reca i criteri e i limiti entro i quali può essere modificato, ceduto a terzi o pubblicato in altro giornale o periodico, un determinato articolo. La norma non contempla una definizione del giornalista "articolista", prevedendo invece che tale possa essere il "redattore", il "corrispondente", l’ "inviato speciale" o il "collaboratore".

3.5. L'articolista non è una figura professionale autonoma; la previsione contrattuale esprime soltanto la definizione di un genere di mansioni svolte dal giornalista (sia esso un redattore o un'altra delle figure previste contrattualmente) cui si correlano alcune determinate tutele, specificamente previste dall'art. 9 CNLG.

3-6. Le richiamate disposizioni (artt. 7 e 9 CNLG) non si prestano ad una lettura sistematica, poiché dirette a disciplinare aspetti diversi dell'attività dei giornalista dipendente; comunque, da esse non si trae la conferma dell'esistenza della qualifica di "redattore articolista" quale figura professionale autonoma.

4. Quanto alla prospettata violazione dell’art. 2103 cod. civ., occorre premettere che, secondo la definizione che del redattore è stata fornita dalla giurisprudenza della Corte (cfr. Cass. n. 1073 del 1985; v. pure Cass. n. 7055/87), ai sensi della norma dell'art. 5 del contratto collettivo per i giornalisti (contratto avente efficacia erga omnes ai sensi del d.P.R. 16 gennaio 1961 n. 153), la qualifica di redattore compete ai corrispondenti ed agli inviati, i quali compilano articoli d'informazione e commenti di carattere politico oppure servizi riguardanti particolari avvenimenti, nonché ai giornalisti professionisti che prestano la loro attività quotidiana, con l'osservanza dell’orario di lavoro, nelle redazioni, anche succursali o distaccate, e nella direzione e che non sempre sono addetti alla compilazione di articoli di elaborazione delle notizie, provvedendo spesso alla scelta, revisione ed eventuale rielaborazione degli articoli pervenuti.

4.1. L'effettuazione dei c.d. compiti di cucina redazionale, ovvero di tutte quelle mansioni necessarie perché si possa giungere alla realizzazione dei giornale quale prodotto finale dell'opera collettiva redazionale, è posta - nella lettura interpretativa che della figura del redattore è stata fornita dalla giurisprudenza di legittimità - sullo stesso piano della redazione di articoli di informazione, commenti e servizi riguardanti particolari avvenimenti; anzi, tale partecipazione, con apporto di originalità creativa al prodotto collettivo redazionale, è il connotato indefettibile della qualifica di redattore. Questa Corte ha, difatti, escluso (cfr. Cass. n. 13945 del 2000) che potesse dare luogo all'attribuzione della qualifica di redattore il rapporto di lavoro di un giornalista che, pur avendo collaborato con una impresa giornalistica con numerosi articoli e rubriche di vario genere, non aveva tuttavia effettuato la suddetta attività, non essendo risultato che egli avesse collaborato con i redattori alla formazione della pagina giornalistica, interagendo con il corpo redazionale nei tempi e nei modi imposti dalle esigenze della produzione.

4.2. Dunque, deve escludersi che possa essere attribuita la qualifica di redattore a colui che si limiti a trasmettere notizie, sia pure di importanza e frutto di un'autonoma elaborazione, senza però prendere parte alla vita della redazione centrale o distaccata. Tratto peculiare del giornalista redattore è l'inserimento nei quadri organici che si realizza attraverso un collegamento con la redazione e che può assumere varie modalità, con la partecipazione effettiva ai diversi e più significativi momenti dell'attività di redazione.

4.3. Quanto all'apporto di originalità creativa, deve osservarsi che è sufficiente ad integrare tale requisito che il giornalista elabori dei dati di fatto trasformandoli, grazie alle proprie competenze e capacità, in informazioni fruibili dal pubblico dei lettori. Nel concetto di creatività giornalistica, sono comprese, accanto all'attività che si realizza con la stesura di pezzi ed articoli, tutte le altre attività che, afferendo alla elaborazione od al completamento delle notizie, anche in ragione del modo e del tempo per fornirle al pubblico, comporta creatività giornalistica, tra queste l'elaborazione di titoli, la scelta del materiale fotografico che accompagna la notizia, come pure l'attività di regolazione del flusso di notizie (cfr., riguardo a tale ultimo aspetto, Cass. n. 5009 del 1989).

5. Secondo la ricostruzione di fatto compiuta dai giudici di merito, alla stregua delle risultanze istruttorie (in particolare, la deposizione del teste P., ritenuto il solo, fra i testi escussi, in grado di fornire dettagli sulle mansioni svolte dal ricorrente;, deve escludersi che la partecipazione del S. alla vita della redazione si concretasse in attività prive del tratto distintivo della creatività giornalistica. Egli, come pure gli altri redattori addetti al medesimo servizio, proponeva i pezzi; compilava le pagine, cioè componeva titoli e didascalie; all'occorrenza, tagliava o riscriveva il servizio o lo aggiustava; poteva proporre prezzi propri (facoltà della quale ritenne di non avvalersi).

5.1. In relazione agli esiti dell'accertamento istruttorio compiuto dal giudice di merito, è logicamente coerente la soluzione di ritenere che le mansioni svolte dal ricorrente nel periodo di assegnazione presso il settore della redazione centrale X. integrassero il contenuto tipico dell'attività giornalistica del redattore, in esso rientrando le attività di elaborazione, trattazione e sistemazione (c.d. compiti del desk) del materiale proveniente dalle redazioni decentrate, come pure il taglio, la revisione del testo, la scelta e la collocazione in pagina dell’articolo, la titolazione dei pezzi e dei servizi, restando irrilevante che in tale periodo il ricorrente non avesse redatto articoli propri.

6. Né può ritenersi che esista un diritto alla firma nel senso prospettato dall'odierno ricorrente, ossia un diritto alla visibilità del redattore, tale per cui l'avere espropriato delle mansioni consistenti nella redazione in proprio di articoli il redattore articolista (ossia colui che ha maturato la propria professionalità essenzialmente attraverso la redazione di articoli) costituisca, in difetto di ulteriori elementi, un comportamento datoriale idoneo ad integrare di per sé un vulnus alla professionalità del redattore, il quale avrebbe pertanto diritto a vedere conservate dette mansioni In caso esercizio dello ius variandi datoriale. Il fattore "visibilità" può essere fonte di mere aspettative, ma non costituisce alcun diritto in capo al redattore e non condiziona il datore di lavoro nelle sue scelte organizzative, salvo il rispetto dei limiti di cui all'art. 2103 cod. civ., la cui disciplina, dettata a tutela della equivalenza professionale delle mansioni, nella specie non risulta essere stata violata (v. precedenti punti 4 e 5).

7. Il ricorrente si duole anche del fatto di essere stato assegnato ad un settore (cronaca locale) diverso da quello (politica e cronaca italiana) in cui si era svolta la pregressa fase del rapporto; a suo avviso, ciò si rifletterebbe sul diritto inderogabile del lavoratore a vedere conservata l’equivalenza non solo rispetto alle mansioni proprie della qualifica posseduta, ma anche rispetto alle "ultime effettivamente svolte", come letteralmente si esprime l’art. 2103 cod. civ.

7.1. Il principio or ora menzionato non può essere letto nel senso preteso dal ricorrente. Il riferimento alla equivalenza delle mansioni "ultime effettivamente svolte" contenuto nell’art. 2103 cod. civ. costituisce una parametro per valutare quali siano stati i compiti svolti con sufficiente stabilità e consentire un più agevole confronto con gli spostamenti adottati dal datore di lavoro, ma non costituisce titolo per una sostanziale inamovibilità di settore, ove le mansioni di nuova assegnazione siano coerenti con il bagaglio professionale già acquisito dal lavoratore.

7.2. Non è dunque il settore di precedente assegnazione a costituire il termine di raffronto, ma è il patrimonio professionale acquisito dal giornalista con tali esperienze a dovere essere tutelato, in una prospettiva dinamica di valorizzazione delle capacità e di arricchimento del proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze (cfr. Cass. n. 7351 del 2005, n. 14666 del 2004).

7.3. Il protrarsi nel tempo del!'assegnazione ad un determinato settore non costituisce, di per sé, titolo per il permanere futuro nella medesima posizione organizzativa, essendo la tutela apprestata dall'art. 2103 cod. civ. rivolta a garantire non già l'inamovibilità del dipendente o l'assegnazione al settore maggiormente gradito, ma la concreta possibilità che al lavoratore sia consentito di valorizzare, e possibilmente di affinare o arricchire, il livello di conoscenze culturali e di professionalità raggiunto in precedenza.

8. Nel caso in esame, in base alla ricostruzione della vicenda desumibile dalla sentenza impugnata, non risulta che l'attività redazionale svolta presso il settore di nuova assegnazione non fosse coerente, in senso oggettivo (e non secondo il soggettivo apprezzamento che di tale nesso possa avere avuto il S.), con il bagaglio professionale posseduto dal ricorrente, quale redattore, sì da integrare una dequalificazione suscettibile di risarcimento. Invero, l'intera costruzione sottesa alla domanda appare incentrarsi sulla rilevanza determinante che il ricorrente attribuisce alla visibilità all’esterno del suo prodotto intellettuale, circostanza che resta estranea - per tutto quanto già esposto - al contenuto intrinseco del diritto tutelato dall'art. 2103 cod. civ.

9. Il quarto motivo resta assorbito nel rigetto dei primi tre.

10. Le questioni di cui si lamenta l'omesso esame con il quinto motivo risultano essere state trattate nella sentenza impugnata.

11. Il sesto motivo, che censura la sentenza per presunto vizio di motivazione sulla valutazione delle risultanze istruttorie, è privo della enucleazione di un momento di sintesi e tende ad un riesame del merito. Le censure mosse al percorso argomentativo si risolvono, difatti, non nella individuazione di vizi logici, ma nella ricerca di un diverso apprezzamento degli elementi acquisiti ai giudizio, inammissibile in questa sede. La valutazione delle risultanze probatorie è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all'art. 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. n. 14267 del 2006; cfr. pure Cass. n. 2707 e n. 12912 del 2004).

12. Il settimo motivo è infondato. Nel rito del lavoro, la valutazione di nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, per mancata determinazione dell'oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto sulle quali questa si fonda, implica una interpretazione dell'atto introduttivo della lite riservata - salva la censurabilità in sede di legittimità per vizi della motivazione - al giudice del merito, il quale, in sede di appello, può trarre elementi di conforto del proprio convincimento positivo circa la sufficienza degli elementi contenuti nel ricorso dal rilievo che essi consentirono al giudice di primo grado di impostare e svolgere l'istruttoria ritenuta necessaria per la decisione della controversia (Cass. n. 7097 del 2012; v. pure Cass. n. 7843 del 2003, S.U. n. 6140 del 1993).

13. L'ottavo motivo è inconferente rispetto al decisum e comunque in tutte le sue articolazioni tende ad ottenere un riesame del merito sub specie violazione di legge, ma in realtà censurando la disamina e la valutazione delle prove, senza enucleazione di specifici vizi e senza individuazione di un momento di sintesi.

14. Il nono motivo è infondato, atteso che la mancata riproposizione della domanda (o eccezione) nella precisazione delle conclusioni comporta l'abbandono della stessa, assumendo rilievo solo la volontà espressa della parte, in ossequio al principio dispositivo che informa il processo civile, con conseguente irrilevanza della volontà rimasta inespressa (cfr. Cass. nn. 2093, 16840 e 20727 del 2013).

15. E' altresì infondato il decimo motivo, con il quale si assume che la mancata specifica impugnazione, da parte della società appellante, della disposta reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro configurerebbe acquiescenza parziale alla sentenza di primo grado. Deve osservarsi che trova applicazione il principio, desumibile dall'art. 336 cod. proc. civ., comma 1, secondo cui la riforma o la cassazione, anche parziale, della sentenza ha effetto sulle parti dipendenti dalla parte riformata o cassata (cd. "effetto espansivo interno") e determina, pertanto, la caducazione di tale capo della pronuncia, seppure non espressamente impugnato. Così nel caso di impugnazione parziale, l'acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata si verifica solo quando le parti della sentenza siano del tutto autonome l'una rispetto all’altra e non anche quando la parte non impugnata si ponga in nesso consequenziale con l'altra e trovi in essa il suo presupposto, perché in tal caso gli effetti dell'accoglimento dell'impugnazione si estendono ai capi dipendenti o che ne costituiscano un consequenziale sviluppo, pur se non espressamente e direttamente investiti dall'impugnazione e dalla pronuncia (Cass. n. 6494 del 1988, n. 438 del 1996, n. 2747 del 1998, n. 2062 del 2001, n. 9141 del 2007; v. pure Cass. n. 6101 del 2014).

16. In conclusione, il ricorso va respinto con compensazione delle spese, stante la complessità e parziale novità delle questioni sottoposte all'esame di questa Corte.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.