Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 maggio 2015, n. 9034

Tributi - IVA - Rimborso d’imposta - Acquisto di autoveicoli e telefoni mobili - Istanza di rimborso - Onere della prova a carico del contribuente

 

Svolgimento del processo

 

1. L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione avverso la sentenza 116/13/07 del 4.6.2008 con la quale la CTR Lombardia, in accoglimento dell’appello spiegato dalla contribuente, ha riformato la sentenza di primo grado che ne aveva respinto il ricorso nei confronti del silenzio rifiuto formatosi sull’istanza con cui la parte aveva chiesto a rimborso l’IVA corrisposta per gli anni 2000, 2001 e 2002 in relazione all'acquisto di autoveicoli e telefoni mobili, silenzio rifiuto che la CTP aveva ritenuto legittimo in quanto il ricorso era stato proposto oltre il termine di decadenza dell’art. 21 D.lg. 546/92.

La CTR ha motivato il proprio deliberato favorevole alla contribuente osservando, circa il profilo afferente al quantum del rimborso, che le somme richieste in restituzione non erano contestate e, quanto alla decadenza dichiarata dal primo giudice, sul rilievo che il termine biennale previsto dall’art. 21, secondo comma, ultima parte, Dlg. 546/92 possa decorrere dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione se posteriore al giorno del pagamento, che la sentenza della Corte di Giustizia CEE 14.9.2006 n. 228/05, che ha dichiarato il contrasto con l’art. 17, n. 7 , della sesta Dir. n. 77/388 dell'art. 19bis 1, D.P.R. 633/1972, lett. c) e d) nella parte in cui prevedono l’indetraibilità totale dell'lVA afferente l’acquisto e l’importazione dei mezzi di trasporto considerati "autoveicoli", nonché dell'lva sulle relative spese di impiego, manutenzione e riparazione, compresi i carburanti e lubrificanti, "ben si configura come quell’avvenimento posteriore previsto dallo stesso art. 21", in guisa del quale "il termine di decadenza va fatto decorrere pertanto dalla pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia Europea", di modo che, recando questa la data del 14 settembre 2006 l'istanza di rimborso presentata dalla parte il 17 marzo 2005 "è addirittura in anticipo su tale termine".

L’odierno ricorso è affidato a cinque motivi di gravame.

Non ha svolto attività difensiva la controparte.

 

Motivi della decisione

 

2.1. Nel corso dell'odierna discussione la difesa erariale ha rammentato che con ordinanza interlocutoria del 28.11.2012, n. 959 la sottosezione V della VI sezione di questa Corte ha investito le SS.UU. della questione afferente alla decorrenza del termine di cui all’art. 21, comma 2, D.lg. 546/92 nell’ipotesi di una norma impositiva, nell’osservanza della quale il contribuente abbia versato l’imposta richiesta in restituzione, contrastante con il diritto comunitario e su questo rilievo, ravvisando evidentemente l’analogia del caso qui in disamina con quello portato al vaglio delle S.U,, ha invitato il Collegio a valutare l’opportunità dì differire la decisione successivamente al pronunciamento delle S.U.

2.2. Il rilievo non è pertinente. Come si legge nella citata ordinanza interlocutoria la questione sulla quale le S.U. sono chiamate ad interloquire, ancorché effettivamente riguardi il termine dell’art. 21, comma 2, D.lg. 546/92 nel caso in cui l’obbligo impositivo sia dichiarato incompatibile con il diritto eurounitario, concerne, rispetto a quella qui in discussione, la diversa ipotesi del contrasto della nonna di diritto interno con le fonti comunitarie allorché queste ultime, tanto se trattasi di direttive della Commissione che di sentenze della Corte, "possano essere applicate dal giudice nazionale (con eventuale disapplicazione delle fonti interne con quelle contrastanti) in quanto risultino incondizionate e precise (c.d. self- executing)". Non c questo tuttavia il caso, come si è data premura di precisare l’ordinanza stessa, del rimborso dell’IVA pagata sugli acquisti e la gestione degli autoveicoli attinenti all’attività di impresa ritenuta non dovuta dalla sentenza della Corte di Giustizia CEE 14.9.2006 n. 228/05 - che è oggi la vicenda in discussione -, atteso che, come già si era rilevato in uno specifico precedente di questa Sezione (5411/12), peraltro significativamente confermato anche da pronunciamenti successivi all’ordinanza 959/13 (3024/13; 3259/13; 3260/13), in questa ipotesi, essendo stata fatta la materia oggetto di un intervento legislativo ad hoc, è parso evidente che "la sentenza della Corte Europea non possa essere immediatamente applicata, ma richieda una disciplina di attuazione".

Come i ricordati precedenti successivi alla remissione della questione alle SS.UU. attestano inconfutabilmente non vi è dunque ragione, sulle tracce della stessa ordinanza 959/13, di attenderne il pronunciamento differendo perciò la decisione.

3.1. Ciò detto con il primo motivo di gravame l’Agenzia ricorrente censura l’impugnata sentenza sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di legge rilevante ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 234 del Trattato CE in combinato disposto con l’art. 21, secondo comma, D.lg. 546/92 in quanto la CTR, nell’erronea convinzione, contraria alla giurisprudenza comunitaria e a quella di questa Corte, che la citata sentenza della Corte di Giustizia non abbia efficacia dichiarativa, ha ritenuto che l’insorgenza del diritto al rimborso "fosse da individuarsi nel momento in cui è stata depositata la sentenza, cosicché il termine biennale di decadenza sarebbe decorso da quella data e non dalla data in cui la contribuente avrebbe potuto far valere il diritto".

3.2. Il motivo è fondato, ma non è decisivo.

L’art. 21, comma 2, D.lg. 546/92 recita testualmente: "il ricorso avverso il rifiuto tacito della restituzione di cui all'articolo 19, comma 1, lettera g), può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d'imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto. La domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione".

La CTR con la sentenza qui impugnata, nella convinzione che la domanda di restituzione dell’lVA assolta su beni e servizi inizialmente non detraibili non fosse disciplinata da disposizioni di carattere specifico, ha applicato alla vicenda al suo esame l’ultima parte del citato articolo 21, comma 2 e, di fronte all’alternativa offerta dalla norma di far decorrere il termine per la presentazione della domanda "dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione", ha individuato nella sentenza della Corte di Giustizia CEE 14.9.2006 n. 228/05, con cui i giudici comunitari hanno dichiarato il contrasto con l'art. 17, n. 7 , della sesta Dir. n. 77/388 delle disposizioni di cui alle lettere c) e d) dell'art. 19 bis 1, D.P.R. 633/1972, che prevedono l’indetraibilità totale dell’IVA afferente l’acquisto e l’importazione dei mezzi di trasporto considerati "autoveicoli", nonché l'iva sulle relative spese di impiego, manutenzione e riparazione, compresi i carburanti e lubrificanti, "il presupposto per la restituzione" venuto ad esistenza successivamente all’epoca del pagamento, di modo che, decorrendo da essa il termine per la presentazione della domanda, ha conclusivamente ritenuto la domanda del 17.3.2005 non solo tempestiva, ma "addirittura in anticipo". In tal modo, però, la CTR, pur non facendone espressa menzione, ha mostrato di ritenere che i pronunciamenti della Corte di Giustizia siano provvisti di efficacia costitutiva ed operino  ex nunc, laddove è al contrario insegnamento stabilmente invalso nella giurisprudenza comunitaria ed in quella di questa Corte che l’interpretazione di una norma di diritto comunitario data dalla Corte nell’esercizio della competenza attribuitale dall'art. 234 CE chiarisce e precisa, quando ve ne sia bisogno, il significato e la portata di detta norma, quale deve o avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore (Corte giustizia comunità Europee Grande Sez., 12.2.2008, n. 2/06; 10.2.2000, n. 50/96; 27.3.1980, n. 61/79; 61/79; Cass. 22577/12; 4466/05; 14468/99).

Errano perciò i giudici di appello nel ritenere che la sentenza della Corte di Giustizia CEE 14.9.2006 n, 228/05 costituisca "il presupposto per la restituzione" avveratosi successivamente all’epoca del pagamento, poiché in ossequio al visto principio dell’efficacia dichiarativa delle sentenze del giudice europeo, in guisa del quale la norma interna dichiarata in contrasto va conseguentemente disapplicata (17966/11; 26285/10) l’obbligo impositivo a suo tempo previsto dall’art. 19-bis 1 lett. e) e d) è venuto meno sin dalla sua istituzione, di tal che l’indebito si è determinato all’atto del pagamento ed è da esso che conseguentemente decorre il dies a quo per la presentazione della domanda di rimborso.

3.3. Il motivo, come anticipato, non è però decisivo, poiché corre l’obbligo di osservare che, successivamente alla pronuncia della Corte di Giustizia, il legislatore nazionale, per non incorrere nelle più severe sanzioni previste per l’inosservanza degli obblighi nascenti dalla sua appartenenza alla Comunità, si è immediatamente affrettato a dare attuazione al comandamento ivi contenuto con il D.l. 15.9.2006, n. 258, convertito in l. 10.11.2006, n. 278, il cui art. 1, facendo espresso richiamo alla citata sentenza comunitaria, prevede testualmente che "i soggetti passivi che fino alla data del 13 settembre 2006 hanno effettuato nell'esercizio dell'impresa, arte o professione acquisti ed importazioni di beni e servizi indicati nell'articolo 19-bis 1, comma 1, lettere c) e d) del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, presentano in via telematica entro il 15 aprile 2007 apposita istanza di rimborso..." Da tale disposizione questa Corte ha tratto il convincimento "che il legislatore nazionale, dettando il D.L. 15 settembre 2006, n. 258, convertito, con modificazioni, dalla L. 10 novembre 2006, n. 278, recante "disposizioni urgenti di adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europea in data 14 settembre 2006 nella causa C-228/05, in materia dì detraibilità dell'Iva" - ha ritenuto che detta sentenza non sia self-executing, ma richieda "norme di adeguamento"; e quindi solo con l'emanazione di tali norme si è costituito in capo al contribuente il diritto a chiedere rimborso (e, perciò, iniziassero a decorrere i termini di decadenza). Del resto, dalla stessa dizione letterale del D.L. n. 258 del 2006 (come modificato dalla legge di conversione) emerge con chiarezza come il legislatore abbia inteso plasmare un "nuovo" diritto del contribuente con specifiche modalità di esercizio e cadenze temporali, che decorrono dalla entrata in vigore della nuova normativa, proprio perché le relative istanze debbono essere conformi a modelli indicati nelle norme dello stesso decreto legge; cosicché, in definitiva, deve concludersi che dal D.L. n. 258 de! 2006 emerge una disciplina completa ed innovativa che regola i diritti (o meglio le legittime aspettative) che nascono dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee nella causa C-228/05" (5411/13). Poiché, come condivisibilmente affermato anche in pronunciamenti successivi (3024/13; 3259/13; 3260/13), non vi è ragione di discostarsi da questo indirizzo e se dunque il d.l. 258/06 ha "plasmato" un nuovo diritto del contribuente ad ottenere il rimborso dell’imposta indebitamente assolta da cui far decorrere il termine di decadenza per la presentazione della relativa istanza, a nulla serve constatare che la CTR, pronunciandosi in parte qua erroneamente, abbia disatteso il principio dell’efficacia dichiarativa delle decisioni del giudice comunitario, posto che di fronte alla novità rappresentata dal d.l. 258/06, essa avrebbe dovuto più rettamente interrogarsi sugli effetti dello ius supervenies in relazione all’istanza presentata dalla parte, giacché se in forza del ricordato insegnamento la norma dichiarata in contrasto con il diritto comunitario rendeva inesorabilmente caduca l’istanza del contribuente perché tardiva, nondimeno il diritto di esso a ripetere l’imposta indebitamente assolta in ragione della previgente indetraibilità non poteva dirsi pure perento, in considerazione appunto della sua reviviscenza alla luce delle nuove disposizioni emanate dal legislatore.

4.1. Violazione e falsa applicazione di legge sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 21, secondo comma, D.lg. 546/92 in combinato disposto con gli arti. 1 e 2 Dl. 258/06 si deduce con il secondo motivo di ricorso, poiché pronunciandosi nei riferiti termini, la CTR ha erroneamente creduto che la normativa sopravvenuta al pronunciamento del giudice comunitario di cui alle citate disposizioni del D.l. 258/06, che pure faceva salvo il disposto dell’art. 21, comma 2, D.lg. 546/92 per coloro che non intendessero accedere alla procedura del rimborso forfetario, "abbia modificato il termine di decadenza per l'istanza di rimborso non presentata secondo il nuovo modello previsto dall’art. 1 del D.l. 258/2006, ma secondo la disciplina ordinaria previgente, e che la domanda di rimborso presentata nell’anno 2005 non fosse soggetta ai termini decadenziali già scaduti secondo la legge vigente in quel tempo".

4.2. Il motivo è fondato.

L’art. 1, comma 1, d.l. 258/06, dopo che negli incisi precedenti ha provveduto a disciplinare la procedura del rimborso forfetizzato per tutti coloro che avessero presentato l’istanza a seguito del pronunciamento della Corte di Giustizia, stabilisce al quarto inciso che "resta ferma, per i contribuenti che non aderiscono al suddetto rimborso forfetario, ovvero per coloro che non presentano l'istanza entro il predetto termine del 15 aprile 2007, apposita istanza ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, contenente i dati e gli elementi comprovanti la misura, nell’esercizio dell’impresa, arte o professione, dell'effettivo utilizzo in base a criteri di reale inerenza, stabiliti con il provvedimento di cui al presente comma".

E’ evidente, alla luce della salvezza decretata dalla norma e, segnatamente, della "possibilità di dimostrare il diritto ad una detrazione in misura superiore presentando apposita istanza ai sensi dell’art. 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546", l’intenzione del legislatore di salvaguardare comunque il diritto alla ripetizione del contribuente che non aderisca alla procedura del rimborso forfetizzato o che non presenti l’istanza entro il termini a questo fine previsto, veicolandone tuttavia l’esercizio nell’alveo previsionale dell’art. 21 D.lg. 546/92, di guisa che sarebbe occorso non solo che il contribuente, come richiesto da quest’ultimo, formalizzasse la richiesta di rimborso a mezzo di una "domanda di restituzione", ma pure che la presentazione della stessa, ove non vi siano disposizione specifiche per ciascuna legge di imposta, avvenisse entro il termine di "due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione".

Ma altrettanto evidente è perciò pure l’errore commesso dal giudice territoriale nell’accogliere il gravame della parte e nel riconoscere il diritto di essa al rimborso delle imposte indebitamente versate. Si è infatti in tal modo violato non solo, come dedotto con il primo motivo di ricorso, l’art. 21, comma 2, D.lg. 546/92, ma, senza neppure porsi l'interrogativo cui si è fatto cenno in chiusa di 3.3., anche il pedissequo dettato del D.l. 258/06, dal momento che come si è dianzi accennato, l’errore compiuto accordando efficacia costitutiva ai pronunciamenti del giudice europeo, in conseguenza del quale si è ritenuto che l’istanza di rimborso presentata dal contribuente fosse addirittura in anticipo, è premessa pure del successivo errore compiuto nell’obliterare completamente quanto previsto dal legislatore in via d’urgenza, ancorché il D.l. 258/06, lungi dal sancire un incondizionato diritto di rimborso, sottoponesse il medesimo o alla procedura forfetizata o alla domanda di restituzione dell’art. 21, comma 2, D.lg. 546/92, nell’uno e nell’altro caso stabilendo che l’istanza fosse comunque soggetta ad un termine di decadenza. Diversamente il giudice d’appello, errando, ne ha invece manifestamente disatteso il disposto, ritenendo che pure se la disposizione dell’art. 21 D.lg. 546/92 fosse stata fatta salva dal D.l. 258/06, fosse semplicemente bastevole il pronunciamento comunitario a rendere tempestiva la domanda di rimborso presentata dalla parte.

5.1. Il terzo motivo di ricorso denuncia errar in procedendo ex art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. per violazione del principio di non contestazione ex art. 23, comma terzo, D.lg. 546/92 nonché dell’art. 115 c.p.c. in relazione alla natura dispositiva e al sistema di preclusioni del processo tributario, in combinato disposto con l’art. 1, comma secondo, D.lg. 546/92 relativamente all’eccezione sollevata dalla ricorrente sull’esistenza dei costi in cui è incorsa l’impugnata sentenza affermando falsamente che "quanto alla prova del quantum del rimborso richiesto l’ufficio non ha mai contestato i prospetti allegati sia all’istanza di rimborso che al ricorso introduttivo".

5.2. Il motivo è fondato.

Premesso che in base all’art. 1, comma 2, D.lg.546/92 "i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili le norme del codice di procedura civile" e che l’art. 115, primo comma, c.p.c., ancorché nel testo risultante dall’art. 45, comma 14, L. 18.6.2009, n. 69, - ma il principio a livello sistematico era già a tempo presente nell’ordinamento del processo civile alla stregua del dettato di cui agli artt. 167 e 416 c.p.c. - stabilisce ora espressametne che "salvi i casi previsti dalla legge il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite", risponde inoppugnabilmente al vero che "anche al processo tributano sia applicabile il principio generale di non contestazione che informa il sistema processuale civile (con il relativo corollario del dovere del giudice di ritenere non abbisognevoli di prova i fatti non espressamente contestati)" (1540/07; 16345/13; 29613/11).

E’ però palesemente errato fame applicazione, come hanno fatto i giudici di appello, e dunque si viola il disposto di legge che ne legittima il richiamo e l’applicazione al contenzioso tributario, laddove l’istanza ricorrente, lungi dall’essere incontestata in punto di quantum, è stata fatta invece oggetto nei gradi di merito, di una puntuale disamina critica intesa a contestare, come qui si perita di rammentare la difesa erariale in ossequio al precetto dell’autosufficienza, a fronte dello scarno prospetto allegato dal contribuente all’istanza, "la tipicità dell’operazione d’acquisto effettuata, la tipologia dei beni acquistati, la tempistica di tali acquisti e l'entità dell’imposta registrata", in tal modo risultando controverso non solo il più limitato profilo dell’imposta richiesta in restituzione, a cui si riferisce la rivendicazione in tema di non contestazione operaia dalla CTR, ma sin'anco il fondamento dello stesso diritto alla restituzione azionato nella specie.

6.1. Con il quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 2697 c.c. in combinato disposto con gli artt. 2727 e 2729 c.c. e l’art. 21, comma secondo, D.lg. 546792 in quanto la CTR, ritenendo falsamente che il quantum non fosse contestato, ha disatteso il principio di diritto evincibile dalle norme anzidette, per cui è il contribuente che deve provare il diritto al rimborso, e ribaltato l’onere della prova suIl’amministrazione sul presupposto erroneo che "la prova del diritto al rimborso possa essere ottenuta per presunzione assumendo, come fatto noto da cui inferirla, il silenzio serbato dall’amministrazione nel corso del procedimento amministrativo e attribuendogli il significato di non contestazione del fatto allegato anche nel processo dalla contribuente".

6.2. Il motivo è fondato.

Come questa Corte ha di recente nuovamente ribadito "qualora la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo avanzata dal contribuente, è il contribuente ad assumere la qualità di attore in senso non solo formale - come nei giudizi di impugnazione di un atto impositivo -, ma anche sostanziale. Di qui la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e di provare i fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella domanda e che le argomentazioni con le quali l’ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salvo la formazione del giudicato interno o, qualora ne ricorrano i presupposti, l’applicazione del principio di non contestazione" (9792/14). Di conseguenza, presentandosi il giudizio nelle controversie ili materia di diniego di rimborso "a ruoli invertiti", tenuto a dare la prova della fondatezza della pretesa esercitata impugnando il relativo provvedimenti) o più semplicemente il silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di rimborso è coerentemente con la veste di attore anche in senso sostanziale, che in tale caso coincide con quella di attore in senso processuale è, non diversamente da quel che accade in ogni altro giudizio in cui si intenda esercitare un diritto, il titolare di esso che, in ottemperanza al principio generale dell’art. 2697 deve provare "i fatti che ne costituiscono il fondamento".

Né la prova in parola può ritenersi soddisfatta presuntivamente in forza del silenzio serbato dall’ufficio sull’istanza del contribuente perché come questa Corte ha nuovamente chiarito nel rapporto che si instaura tra Amministrazione e contribuente per effetto della domanda di rimborso da questi proposta, "l'Ufficio assume il molo passivo di colui che "resiste" alla pretesa creditoria del contribuente, e non è - pertanto - gravato dall'onere di motivare compiutamente le proprie ragioni " (8988/14).

7.1. Il quinto motivo investe l’impugnata sentenza della violazione di legge ex art.360, primo comma, n, 3 c.p.c. in relazione all’art. 1, comma primo, D.l. 258/06 in combinato disposto con gli artt. 19 e 19-bis D.P.R. 633/72 che, sebbene disciplinasse le modalità di rimborso a seguito del pronunciamento dei giudici comunitari per i contribuenti che avessero effettuato acquisti ed importazioni di beni e servizi indicati nell’art. 19- bis , comma primo, lett. e) e d) D.P.R. 633/72 fino al 13.9.2006, la CTR ha invece erroneamente disapplicato ritenendo "implicitamente che le disposizioni contenute nel d.l. 258/06 avessero efficacia solo per le fattispecie successive alla sua entrata in vigore", malgrado il dato testuale e la ratio della norma depongano "nel senso di individuare il suo ambito temporale a tutti i rapporti non esauriti".

7.2. Il motivo è doppiamente inammissibile.

Per un lato sì tratta invero di questione nuova non precedentemente prospettata nei precedenti gradi di giudizio e non sottoposta perciò al vaglio del giudice di appello. La sua introduzione per la prima volta in questa sede urta dunque contro il consolidato principio affermato da questa Corte secondo cui "non sono prospettabili, per la prima volta, in sede di legittimità le questioni non appartenenti al tema del decidere dei precedenti gradi del giudizio di merito, né rilevabili di ufficio" (17041/13; 19164/07; 7981/07), posto che il giudizio di cassazione "ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte" (4087/12). E poi appena il caso di aggiungere sempre sotto questo primo profilo che l’allegazione in parola si espone anche al rilievo della mancanza di autosufficienza del ricorso, non avendo il ricorrente proprio in ragionerei resto,della novità della questione) neppure indicato dove e quando essa sia stata prospettata nel corso dei pregressi gradi di giudizio, laddove al contrario è suo onere precipuo "di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione" (SS.UU. 2399/14; 6230/14; 5679/14).

Occorre poi ancora ricordare, evidenziando un ulteriore profilo di inammissibilità, che "il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall'ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (SS.UU. 7931/13) ed esso perciò "deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata" (4409/09). Nella specie si lamenta tuttavia, e su questo si chiede il pronunciamento di questa Corte, che il giudice d’appello avrebbe disapplicato le disposizioni del d.l 258/06 ritenendo implicitamente che esse avessero efficacia solo per le fattispecie successive alla sua entrata in vigore, ma come si è già avuto modo di osservare in accoglimento del secondo motivo di gravame, il dettato del d.l. 258 e, dunque, anche le disposizioni di esso che regolano il diritto alla ripetizione dell’indebito successivamente alla sentenza della Corte di Giustizia CEE 14.9.2006 n. 228/05, sono argomenti a cui la sentenza di appello, quantunque statuendo in spregio a quanto da essi si sarebbe potuto evincere, è rimasta per vero del tutto estranea, avendoli essa puramente e semplicemente ignorati, nella convinzione che la vicenda potesse essere convenientemente regolata alla stregua del deliberato comunitario. Ne consegue che la critica che ad essa si muove con il motivo in rassegna non ne coglie perciò la ratio ed è perciò anche sotto questo ulteriore profilo inammissibile.

8. In accoglimento perciò del primo, del secondo, del terzo e del quarto motivo di impugnazione, la sentenza va dunque cassata e la causa rimessa al giudice territoriale per il necessario riesame ai sensi dell’art. 383, primo comma, c.p.c.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, dichiara inammissibile il quinto, cassa l'impugnata sentenza e rinvia avanti alla CTR Lombardia che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.