Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 maggio 2015, n. 18667

Lavoro - Sicurezza - Interposizione fittizia di manodopera - Personale dell'appaltante - Indicazioni - Ausiliari dell'appaltatore - Configurabilità del reato

 

Ritenuto in fatto

 

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato - L'imputata, nella sua qualità di legale rappresentante della ditta R., è accusata di avere violato la normativa sul lavoro interponendosi abusivamente nella fornitura di manodopera per avere stipulato un contratto di appalto di opera e servizi , in assenza dei requisiti di cui all'art. 29 comma 1 d.lgs 276/03, e quindi, fornendo, in qualità di pseudo-appaltatore, alla società R. tecnico Ortopedico (in seguito R. i.t.o.), 3 lavoratori per lo svolgimento di prestazioni ai lavoro per 569 giornate di occupazione.

Con la sentenza impugnata, la ricorrente è stata condannata alla pena di 19.000 € di ammenda.

2. Motivi del ricorso - Avverso tale decisione, ella ha proposto ricorso, tramite difensore, deducendo:

1) mancanza d motivazione sulle deduzioni difensive. Si fa notare che, pur avendo premesso richiami giurisprudenziali circa i requisiti che danno luogo alla interposizione fittizia di manodopera, di fatto, la sentenza non vi si attiene.

In particolare, si ricorda che, anche in base alla sentenza n. 12201/11 della cassazione civile, al fini della sussistenza di un appalto fraudolento, non è significativa la circostanza che il personale dell'appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell'appaltatore perché va verificato se tali disposizioni attengano alle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa ovvero al solo risultato dì tali prestazioni il quale ultimo ben può essere oggetto di un genuino contratto di appalto. Orbene, sul punto, la sentenza impugnata nulla ha detto e, quindi, è palese il vizio di motivazione;

2) nullità della sentenza per mancanza e contraddittorietà, della motivazione rispetto agli accertamenti fattuali dibattimentali. Riportando brani delle deposizioni dei testi, C. e S. la ricorrente punta a sostenere che la decisione impugnata non ne ha tenuto conto per smentire la tesi difensiva di una autonomia organizzativa ed amministrativa della R. Per la ricorrente sarebbero, invece, evidenti i riscontri probatori in tal senso e si critica l'asserzione, opposta, secondo cui vi sarebbe stato un potere direttivo in capo alla R. I.T.O.. Il tutto, trascurando anche di dare il giusto peso alla chiara acredine che il teste B. nutriva nei confronti della società amministrata dalla ricorrente.

La ricorrente conclude invocando l'annullamento della sentenza impugnata.

 

Considerato in diritto

 

3. Motivi della decisione - Il ricorso è fondato.

3.1 Come bene lumeggiato dalla ricorrente nel primo motivo, la decisione di condanna è stata assunta facendo leva su una asserita "commistione" tra le due società che è stata desunta dalla proprietà dei locali e delle attrezzature (della R. i.t.o) e dalla esistenza di un potere direttivo sui tre dipendenti della R.

Il ragionamento del giudice si è, quindi, basato sul concetto secondo cui sussiste il reato quando l'appaltatore eserciti II potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto (sez. in, 6.11.12, Tonelli, n. 2334/13) come pare essere avvenuto nella specie visto che, stando alle dichiarazioni dell’ispettore del lavoro, i tre dipendenti erano stati assunti formalmente dalla cooperativa dell'imputata ma, di fatto, svolgevano (ed erano stati visti personalmente farlo) attività lavorativa presso la R. I.T.O., ricevevano direttive dalla R. I.T.O. ed era un dipendente della R I.T.O. che redigeva le buste paga.

Pur non negando tali evidenze, la ricorrente ha, tuttavia richiamato l'attenzione sul fatto che non è sufficiente a far configurare un appalto fraudolento la circostanza che il personale dell'appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell'appaltatore, dovendosi, piuttosto, verificare se tale direttive siano inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative oppure si riferiscano solo al risultato, di tali prestazioni, che in sé, può formare genuino oggetto del contratto di appalto.

3.1 L'assenza di una motivazione su tale aspetto nella sentenza impugnata, appare ancora più evidente alla luce del fatto che, come si evidenzia meglio nel secondo motivo, esso avrebbe dovuto essere approfondito stanti le dichiarazioni dei testi della difesa, S. e C. i quali - secondo brani delle deposizioni riportati nel ricorso - avrebbero illustrano il giudice la esistenza di una complessa e strutturata organizzazione in base alla quale la R. gestiva ed organizzava il lavoro di tutti gli altri soci distribuiti sul territorio nazionale ditalché, la sede di Empoli aveva una sorta di gestione logistica di tutta l'organizzazione.

Di qui l'esistenza di direttive impartite ai dipendenti sparsi per l'Italia da parte della R. e la conferma, per la tesi difensiva, di un potere direttivo della sede di Empoli - e non della R. I.T.O. - sì da doversi escludere la contestata intermediazione di manodopera.

Ciò che rende censurabile la decisione impugnata è l'assenza di argomentazioni a riguardo.

Una motivazione più specifica e puntuale a riguardo sarebbe stata auspicabile proprio perché ciò di cui si va contro vertendo è la violazione dell'art. 29 comma 1 d.lgs 276/03 in base al quale il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore e precisa che elementi distintivi di tale appalto possono risultare anche - in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto - «dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa».

Si tratta, all'evidenza, di aspetto nodale che, nello specifico, non è stato sviluppato dal giudice se non In modo parziale valorizzando solo le emergenze di accusa ma senza un'adeguata replica alle controdeduzioni difensive.

Muovendo da un principio giurisprudenziale indiscutibile (citato in precedenza), il Tribunale ha, infatti, operato una sorta di equazione alquanto affrettata perché, ad esempio, non ha neppure tenuto conto che, fra i dati emersi, vi è anche quello che i locali e le attrezzature erano stati concessi in comodato gratuito alla R. e che, in ogni caso, è stato detto che non è sufficiente ad integrare II ricorso alla somministrazione abusiva di manodopera, sanzionata dall’art. 18 D.Lgs, n. 276 del 2003 la circostanza che i dipendenti dell’appaltatore utilizzino per i lavori macchinari e attrezzature messe a disposizione dal committente, «essendo, per contro, necessario che l'appaltatore non eserciti il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto e non assuma II rischio d’impresa» (sez. 29.1.04, paganoni, Rv. 227912).

Si sarebbe, quindi, dovuto considerare che, in altra decisione di questa S.C. (sez. III, 25.11.04, servidei, rv. 230664) è stato detto che la distinzione tra contratto di appalto e quello dì somministrazione di manodopera va operata, non soltanto, con riferimento alla proprietà dei fattori di produzione «ma altresì alla verifica della reale organizzazione dei mezzi e dell'assunzione effettiva del rischio d'impresa, in assenza dei quali si configura una mera fornitura di prestazione lavorativa chef se effettuata da soggetti non autorizzati configura il reato di cui all'art. 18 del D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276».

In altri termini, per la ricorrenza del reato in discussione, devono contemporaneamente esservi, un rischio di impresa, dei mezzi necessari alla esecuzione dell'appalto ed un potere organizzativo e direttivo.

Il giudice ha, però, affrontato anche la disamina delle dichiarazioni dei due testimoni portati dalla difesa in modo alquanto sommario limitandosi a sostenere che esse non scalfivano le risultanze precedentemente esposte ma senza entrare nello specifico delle loro affermazioni con argomentazioni puntuali. Quest'ultimo, però, è apprezzamento delle prove che, di certo, non può essere effettuato in questa sede di legittimità cui compete solo verificare la congruità, e non manifesta illogicità, delle argomentazioni del giudice di merito.

Nella specie, esse, come detto, appaiono insufficienti e giustificano l'accoglimento della doglianza e l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Sondrio per nuovo giudizio alla luce dei rilievi appena formulati.

 

P.Q.M.

 

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Sondrio.