Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 marzo 2015, n. 5175

Lavoro - Licenziamento ingiustificato di dirigente - Risarcimento - Indennità supplementare contrattuale - Determinazione - Decisione del giudice di merito - Incensurabilità in cassazione

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso depositato il 22-2-2006 E.S. conveniva in giudizio dinanzi al Giudice del lavoro del Tribunale di Ascoli Piceno, il (...) soc. coop. p.a., (già C.A.P. soc. consortile a r.l.) (in seguito CAAP), e, esponendo di aver lavorato alle dipendenze dello stesso "con qualifica di Dirigente e mansione di Direttore", impugnava il licenziamento senza preavviso, intimatogli con raccomandata del 20-12-2003, chiedendone la declaratoria di nullità o inefficacia, con le pronunce consequenziali ex art. 18 l. n. 300/70 e con l’ulteriore condanna al risarcimento del danno per lesione all’immagine e alla dignità, e, in subordine, chiedendo, ex art. 31 e 33 del ccnl dirigenti del Terziario, il pagamento dell’importo corrispondente a 8 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto a titolo di indennità di mancato preavviso nonché dell'importo di 18 mensilità a titolo di indennità supplementare, oltre rivalutazione ed interessi.

A sostegno della domanda il ricorrente, premesso che già nella seduta del c.d.a. del CAAP del 12-12-2003 era stata posta la questione della sua incompatibilità, stante la contestuale carica da lui ricoperta di presidente della Banca BIESSE, assumeva che, nella seduta del 30-11-2044, il c.d.a. conferiva al Presidente dott. B. i più ampi poteri tra cui quelli di assumere e licenziare i dipendenti, e che il successivo 20 dicembre, nello stesso giorno in cui l’assemblea dei soci deliberava l’esautorazione dalla carica del presidente dott. B., costui trasmetteva lettera raccomandata di licenziamento in tronco, senza neppure procedere alla contestazione degli addebiti disciplinari, prospettando "un grave inadempimento nel rapporto di lavoro" che aveva fatto "venire meno definitivamente e radicalmente il rapporto fiduciario" per i motivi indicati.

Il ricorrente deduceva, quindi, la nullità del licenziamento per il suo carattere persecutorio e discriminatorio, per inosservanza dell’art. 7 l. n. 300/70 per mancata contestazione preventiva degli addebiti, per la violazione del principio di tempestività della sanzione rispetto all'accadimento dei fatti contestati, nonché per difetto di giusta causa.

Il convenuto CAAP si costituiva obiettando che il dirigente era licenziabile ad nutum, che mancavano i presupposti per la connotazione ritorsiva e discriminatoria del licenziamento, che l’art. 33 del ccnl prevedeva soltanto la necessità della motivazione del licenziamento e che la disciplina relativa alle garanzie procedimentali non si applicava al dirigente apicale.

Il Giudice adito con sentenza n. 553/2009, qualificato il licenziamento di natura disciplinare e ritenuto che l’eccezione di mancata contestazione degli addebiti era fondata, con conseguente assorbimento di ogni altra considerazione, in parziale accoglimento della domanda, dichiarava illegittimo il licenziamento e condannava il CAAP a reintegrare Io S. nel posto di lavoro e a corrispondergli le retribuzioni maturate dal momento del licenziamento nonché a rifondere le spese (con implicito rigetto della domanda di risarcimento dei danni).

Con ricorso del 23-2-2010 il CAAP proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con il rigetto della domanda in parte accolta in primo grado, stante la nullità del rapporto di lavoro e, comunque, la legittimità del licenziamento del dirigente apicale, ed, infine, evidenziando che, nelle more, lo S. aveva optato per l’indennità sostitutiva della reintegrazione percependo per le 15 mensilità della retribuzione globale di fatto la complessiva somma pari ad euro 122.625,96.

Lo S. si costituiva resistendo al gravame di controparte e proponendo appello incidentale condizionato, chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro in relazione alla nullità del licenziamento discriminatorio oppure, in ipotesi estrema, il riconoscimento sia dell’indennità sostitutiva del mancato preavviso nell’importo corrispondente a 8 mensilità sia dell’indennità supplementare corrispondente a 18 mensilità ex artt. 31 e 33 del ccnl.

Con sentenza depositata il 13-9-2011 la Corte d’Appello di Ancona in parziale accoglimento dell’appello principale, accertata la non giustificatezza del licenziamento e il diritto dello S. all’indennità sostitutiva del mancato preavviso pari a 8 mensilità, nonché alla indennità supplementare in misura di 8 mensilità, detratte in compensazione dalle maggiori somme percepite, condannava lo S. a restituire al CAAP la relativa differenza oltre interessi legali ovvero eventuale rivalutazione monetaria (se di importo superiore) dal pagamento al saldo. La Corte, inoltre, respingeva l’appello incidentale e compensava per intero le spese di entrambi i gradi.

In sintesi la Corte territoriale:

- rilevava la novità e inammissibilità del rilievo della nullità del contratto di lavoro in quanto concluso in contrasto con le norme regionali inderogabili regolanti la materia, basato su fatti prospettati per la prima volta in appello;

accertata la connotazione apicale della funzione dirigenziale dello S., rilevava che la mancata contestazione preventiva degli addebiti e la mancata concessione del termine a difesa non poteva comportare la nullità del licenziamento, bensì l’applicazione delle conseguenze fissate dalla contrattazione collettiva per il licenziamento privo di giustificazione;

- riteneva non ravvisabile nel caso in esame la fattispecie del licenziamento ritorsivo o discriminatorio per carenza di prova dell’intento vessatorio ovvero della ricorrenza del motivo illecito nella determinazione datoriale di procedere al licenziamento in tronco del dirigente, risultando insufficienti le circostanze di fatto poste dallo S. a fondamento della sua tesi, a fronte, invece, della accertata effettività di gran parte delle circostanze elencate nella lettera di licenziamento, tenuto conto della carenza della stabilità reale in favore del dirigente apicale e, di converso, della mancanza di vincoli per il datore nell’esercizio della opzione per il licenziamento del dirigente;

- rilevava che, in mancanza di prova (gravante sul datore di lavoro) della correlazione causale tra il mantenimento della carica di presidente della Banca BIESSE (ovvero di carica all’interno del Consorzio COMAIS) ed il licenziamento in tronco, non era possibile ravvisare, anche sotto ulteriore profilo, un connotato di giustificatezza del licenziamento, per cui, oltre all’indennità sostituiva del mancato preavviso andava riconosciuta anche l’indennità supplementare nella misura minima prevista dall’art. 29, comma 16, ccnl dirigenti Terziario, considerata la limitata anzianità di servizio del dirigente e la mancata allegazione di circostanze idonee a far lievitare la misura della detta indennità.

Per la cassazione di tale sentenza lo S. ha proposto ricorso con cinque motivi.

Il C.A.P. soc. cons. p.a., ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale con tre motivi.

Lo S., dal canto suo, ha resistito con controricorso al ricorso incidentale di controparte.

Infine entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Preliminarmente, riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c., va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale avanzata dal CAAP, secondo cui, poiché la sentenza n. 871/2011 del Tribunale di Ascoli Piceno ha revocato il decreto ingiuntivo inizialmente concesso allo S. per il pagamento di retribuzioni asseritamente maturate in forza della reintegra ex art. 18 St. lav., facendo proprio l’accertamento nel merito compiuto dalla sentenza n. 663/2011 della Corte d’Appello, che ha riconosciuto il diritto alla sola tutela indennitaria, deve ritenersi che anche detta sentenza del Tribunale rechi un accertamento nel merito della insussistenza del diritto alla reintegra e degli effetti di natura solo indennitaria del recesso, per cui lo S. avrebbe dovuto proporre appello avverso la statuizione nel merito, anche nei confronti della sentenza del Tribunale n. 871/2011, sulla quale è intervenuto il giudicato.

L’eccezione è infondata e va respinta.

Come è stato precisato da questa Corte (v. Cass. 6-9-2007 n. 18698), "il giudicato che consegue al decreto ingiuntivo concesso (erroneamente) al fine di ottenere l'esecuzione di una sentenza di appello è divenuto esecutivo per mancata opposizione attiene unicamente alla debenza della somma chiesta in ragione della provvisoria esecutorietà della sentenza di appello, non anche alla definitiva ed incontestabile debenza della somma stessa, sicché avverso la sentenza di appello rimane proponibile il ricorso per cassazione avente ad oggetto la sussistenza definitiva del credito portato dal decreto ingiuntivo."

Del resto, in generale, questa Corte ha più volte affermato che "con riferimento all'ipotesi in cui il creditore agisca separatamente, prima per l'accertamento "dell'an debeatur" e successivamente per la determinazione del quantum e la condanna del debitore, dando così vita a due distinti processi, la riforma o la cassazione della sentenza concernente l'accertamento del diritto pone nel nulla la sentenza che abbia deciso sul quantum, ancorché su quest'ultima si sia formato il giudicato formale per mancata tempestiva impugnazione, trattandosi di giudicato soltanto apparente, in quanto necessariamente condizionato alla mancata riforma o cassazione della sentenza "sull'an debeatur" che ne costituisce il presupposto." (v. Cass. 29-4-1997 n. 3724, Cass. 22-8-2003 n. 12364, Cass. 13-6-2014 n. 13492).

Pertanto, nella specie, il ricorso principale è ammissibile, giacché il Tribunale si è limitato a disporre la revoca del decreto ingiuntivo opposto sulla base dell’accertamento compiuto dalla sentenza della Corte d’Appello, accertamento che è stato impugnato nella sede propria (la presente).

In ordine logico va, poi, esaminato, il primo motivo del ricorso incidentale con il quale il CAAP lamenta il mancato accoglimento dell’eccezione di nullità del contratto di lavoro (ritenuta nuova ed inammissibile dalla Corte di merito), deducendo la rilevabilità d’ufficio di tale nullità, anche in appello, in base alle circostanze della insussistenza del concorso, dell’atto di nomina e dei requisiti di professionalità che sarebbero emerse dal ricorso di primo grado e dall’informativa della Guardia di finanza.

Il motivo è infondato in quanto (a parte la considerazione che il CAAP in primo grado non ha allegato alcunché da cui potesse evincersi la detta nullità, come evidenziato nel controricorso dello S.), la Corte di merito, con accertamento di fatto congruamente motivato, ha rilevato che nella specie la carenza in capo allo S. dei requisiti per l’attribuzione dell’incarico dirigenziale costituiva circostanza nuova, non menzionata nella memoria di costituzione di primo grado e prospettata per la prima volta in appello, con una nuova e diversa configurazione del rapporto di lavoro (come rapporto di fatto), dopo che, in primo grado, per il principio di non contestazione era rimasto fermo il punto della regolare costituzione di un rapporto di lavoro dirigenziale tra le parti.

Peraltro la Corte di merito ha altresì affermato la inammissibilità dell’eccezione "tanto più" in base, comunque, alla assenza nelle società consortili di "alcun connotato pubblicistico che valga a differenziarle da qualsiasi altra società o impresa" (richiamando Cass. S.U. 2-3-1999 n. 107) e tale affermazione non è stata affatto censurata dal ricorrente incidentale.

Passando, quindi all’esame del ricorso principale, con il primo motivo lo S., denunciando vizio di motivazione e violazione di legge, lamenta contraddittorietà tra la affermazione della ingiustificatezza del licenziamento sul presupposto della insussistenza delle circostanze nel contempo giudicate in gran parte "effettive" al fine di negare il motivo discriminatorio e ritorsivo. In sostanza il ricorrente principale rileva che "nella specie è la stessa sentenza impugnata a non ritenere plausibili le motivazioni addotte a fondamento del licenziamento e a negarne di conseguenza la giustificatezza, elemento questo che, insieme agli altri indizi acquisiti al giudizio di cui dà conto la stessa sentenza, avrebbe dovuto condurre i giudici di appello, quantomeno secondo un giudizio probabilistico, a riconoscere il motivo illecito denunciato dal ricorrente". La mancata valorizzazione di tali elementi, nel senso dettato dagli artt. 2727 e 2729 c.c., secondo lo S. avrebbe violato le dette disposizioni di legge, nonché l’art. 116 c.p.c. e gli artt. 4 della l. n. 604 del 1966, 15 della l. n. 300 del 1970, 3 della l. n. 108 del 1990, e 1324, 1345 e 1418 c.c.

Con il secondo motivo, poi, del ricorso principale lo S. ribadisce che la sentenza impugnata contraddittoriamente ha negato la giustificatezza del licenziamento per l’insussistenza dei motivi riconducibili al lamentato conflitto di interessi, omettendo altresì di motivare in ordine all'affermata effettività delle ulteriori ragioni poste a base del recesso che pure, ciononostante, essa stessa ha reputato privo di giustificazione.

Tali motivi, strettamente connessi ed in parte ripetitivi, possono essere esaminati congiuntamente anche con il terzo motivo del ricorso incidentale con il quale il CAAP lamenta insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla affermazione della rilevanza in termini di licenziamento non giustificato della mancata contestazione in relazione ai motivi del licenziamento (n.ri 5, 6 e 10) che richiamavano il conflitto di interessi tra la carica di direttore del Centro e quelle di presidente della Banca BIESSE e di amministratore del COMAIS, nonché vizio di motivazione e violazione degli artt. 30 e 35 del ccnl 27-5-2004.

- Dirigenti aziende terziario - con riferimento alla omessa valutazione della posizione complessivamente assunta da lavoratore a causa della carica di presidente della banca, alla esclusione della correlazione causale con il licenziamento dello specifico episodio riferito al motivo n. 5, alla affermazione della mancanza nella specie di un conflitto di interessi con riguardo ai motivi n. 6 e 10, ed infine alla violazione della specifica disciplina collettiva relativa al licenziamento dei dirigenti, nell’ipotesi di conflitto di interessi.

Tutti e tre i detti motivi, rivolti contro gli accertamenti di fatto operati dalla Corte di merito riguardo alla insussistenza nella specie del carattere discriminatorio del licenziamento e del conflitto di interessi e, nel contempo, alla ingiustificatezza del licenziamento, risultano in parte inammissibili e in parte infondati.

Come è stato affermato da questa Corte, "in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma n. 5), cod. proc. civ., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità" (v. fra le altre Cass. 20-6-2006 n. 14267).

Inoltre "il disposto dell’art. 360, primo coma, n. 5 cod. proc. civ., non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione data dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, senza che lo stesso giudice del merito incontri alcun limite al riguardo, salvo quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, non essendo peraltro tenuto a vagliare ogni singolo elemento, o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, risultino logicamente incompatibili con la decisione adottata." (v. Cass. 20-4-2006 n. 9234).

Del resto, come pure è stato chiarito, "il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 n. 5 c.p.c., non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Suprema Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso la autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa" (v., fra le altre, da ultimo Cass. 7-6-2005 n. 11789, Cass. 6-3-2006 n. 4766, Cass. 7-1-2014 n. 91).

Peraltro, infine, in particolare è stato anche precisato che "in tema di prova presuntiva, è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice di merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata appaia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni" (v. fra le altre Cass. 20-7-2006 n. 16728, Cass. 23-1-2006 n. 1216).

Orbene la Corte di merito ha affermato che, nel caso in esame, "non è ravvisabile la fattispecie del licenziamento discriminatorio, e ciò per carenza di prova dell’intento vessatorio ovvero della ricorrenza del motivo illecito nella determinazione datoriale di procedere al licenziamento in tronco del dirigente". Al riguardo in particolare la Corte territoriale, valutate attentamente le risultanze documentali e testimoniali relative alla seduta del c.d.a del 12-12- 2003, e alle precedenti missive del 22, 26 e 28 marzo 2003, ha ritenuto che "a fronte del licenziamento intimato in relazione ad una pluralità di fatti ben determinati addebitati alla posizione del dirigente S., non emerge tuttavia la prova sufficiente e convincente della connotazione ritorsiva (o comunque discriminatoria) del licenziamento poiché il contrasto di vedute manifestato dal neopresidente del c.d.a, dott. B., era dovuto dichiaratamente alla posizione dello S., considerata dal Presidente in conflitto di interessi con il consorzio" (con "posizione già resa pubblica e, per di più, al cospetto dei consiglieri di diversa area politica").

Nel contempo la Corte di merito ha rilevato che "il datore di lavoro si era determinato al licenziamento in tronco per una serie di inadempimenti, ritenuti gravi, e ciò nonostante non contestati preventivamente al dirigente in modo che costui potesse esercitare con pienezza il suo diritto di difesa" ed ha altresì accertato che "in carenza di prova (gravante sul datore di lavoro) della correlazione causale tra il mantenimento della carica di Presidente della Banca Biesse (ovvero di carica all’interno del Consorzio COMAIS) ed il licenziamento in tronco, non è possibile ravvisare - anche sotto ulteriore profilo - un connotato di "giustificatezza" del licenziamento". In particolare la Corte, dopo aver attentamente esaminato e valutato le risultanze concernenti gli addebiti relativi (in specie di cui ai n. ri 5, 6 e 10) ha in sostanza accertato che si trattava di posizioni risalenti nel tempo e ben conosciute dal CAAP, che giammai aveva al riguardo deliberato una situazione di conflitto di interessi e tantomeno aveva aperto una procedura dando modo allo S., eventualmente, di rimuovere l’asserito conflitto. La Corte, peraltro, ha poi aggiunto che una correlazione causale tra tale asserito conflitto e il licenziamento andava esclusa "tanto più che la rottura del vincolo fiduciario, nella missiva di - licenziamento, è ricondotta non tanto alla posizione del dirigente in conflitto di interessi ma, essenzialmente, al "grave inadempimento nel rapporto di lavoro".

Tali accertamenti di fatto risultano sorretti da motivazione congrua e per nulla contraddittoria, e resistono alle contrapposte censure delle parti, le quali, in definitiva ripropongono, ciascuna, una diversa lettura delle risultanze istruttorie e una revisione del "ragionamento decisorio" della Corte di merito.

Del resto, in particolare:

- sui primi due motivi del ricorso principale va rilevato che non sussiste alcuna logica contraddizione tra la affermazione della mancata dimostrazione del carattere discriminatorio del licenziamento e della correlazione causale dello stesso con l’asserito conflitto di interessi, da una parte, e la affermazione della ingiustificatezza del licenziamento medesimo "anche sotto" tale "ulteriore profilo", dall’altra, mentre non può essere sindacata in questa sede la valutazione di merito dei singoli elementi di fatto emersi ai fini della pretesa prova presuntiva;

- sul terzo motivo del ricorso incidentale va ribadito che in ordine alla mancata dimostrazione del nesso causale tra l’asserito conflitto di interessi e il licenziamento e in relazione alla ingiustificatezza di questo la Corte di merito ha fornito una adeguata motivazione priva di vizi logici, anche considerando la disciplina collettiva in materia.

Passando, quindi, all’esame del terzo motivo del ricorso principale va osservato che con lo stesso lo S. lamenta che erroneamente e contraddittoriamente la Corte di merito avrebbe dapprima ritenuto non applicabile nella specie il richiamato art. 7 St. lav. (richiamando Cass. S.U. 6041/1995 e Cass. 6606/2003) e poi fatto riferimento alla giurisprudenza successiva alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 7880/2007 (ed in specie a Cass. n. 897/2011).

Sullo stesso punto, dal canto, suo il ricorrente incidentale con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 7 St. lav., lamenta che la sentenza impugnata "inspiegabilmente" pur richiamando dapprima il precedente citato orientamento di legittimità, ha finito, poi, per riportarsi al recente "orientamento opposto", condannando la società al pagamento dell’indennità per licenziamento ingiustificato (orientamento ritenuto "non condivisibile" dal ricorrente incidentale).

Osserva il Collegio che, al di là dello sviluppo argomentativo non propriamente chiarissimo della motivazione dell’impugnata sentenza (che in ogni caso in parte qua sarebbe suscettibile di correzione ex art. 384 ult. comma c.p.c.) è evidente che la Corte di merito, in sostanza, nella fattispecie ha ritenuto applicabili le garanzie procedimentali, ritenendole rilevanti ai fini della ingiustificatezza del licenziamento e ne ha fatto scaturire la condanna al pagamento della indennità supplementare in favore dello S.

Tale decisione, in definitiva, risulta conforme a diritto e resiste alle censure di entrambe le parti.

Invero, a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite del 2007, è ormai consolidato l’indirizzo secondo cui "le garanzie procedimentali dettate dall'art. 7, secondo e terzo comma, legge n. 300 del 1970, devono trovare applicazione nell'ipotesi di licenziamento di un dirigente - a prescindere dalla specifica collocazione che lo stesso assume nell'impresa, ed anche nel caso in cui il dirigente sia stato dequalificato - sia se il datore di lavoro addebiti al dirigente stesso un comportamento negligente (o, in senso lato, colpevole), sia se a base del detto recesso ponga, comunque, condotte suscettibili di fame venir meno la fiducia. Dalla violazione di dette garanzie, che si traduce in una non valutabilità delle condotte causative del recesso, ne scaturisce l'applicazione delle conseguenze fissate dalla contrattazione collettiva di categoria per il licenziamento privo di giustificazione, non potendosi per motivi, oltre che giuridici, logico-sistematici assegnare all'inosservanza delle garanzie procedimentali effetti differenti da quelli che la stessa contrattazione fa scaturire dall'accertamento della sussistenza dell'illecito disciplinare o di fatti in altro modo giustificativi del recesso, dovendosi far riferimento, in mancanza di una specifica disciplina, ai criteri di cui all'art. 2099, secondo comma, cod. civ.. Ove, peraltro, il lavoratore, seppure nominativamente indicato quale dirigente (e con attribuzione di un omologo trattamento), non rivesta nell'organizzazione aziendale un ruolo di incisività e rilevanza analogo ai dirigenti convenzionali e, dunque, sia qualificabile come pseudo-dirigente, all'applicazione delle garanzie procedurali previste dall'art. 7 dello statuto dei lavoratori devono seguire le conseguenze previste, secondo le norme ordinarie, per qualsiasi lavoratore subordinato." (v. Cass. 17-1-2011 n. 897, Cass. S.U. 30-3-2007 n. 7880).

In tali sensi, quindi, intendendosi la decisione impugnata (che, seppure ha ritenuto la violazione dell’art. 7 "non sufficiente a determinare la illegittimità del licenziamento del dirigente apicale", ha comunque ritenuto la stessa "rilevante, in termini di licenziamento non giustificato" ed ha condannato il CAAP al pagamento dell'indennità supplementare) - ovvero, in ogni caso, in tali sensi correggendosi, in parte qua, la motivazione ex art. 384 ult. comma c.p.c. - vanno respinti il terzo motivo del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale.

Nello stesso quadro, poi, parimenti non merita accoglimento il quarto motivo del ricorso principale, con il quale lo S. censura la sentenza impugnata nella parte in cui è stato qualificato "dirigente apicale" sulla base del Regolamento di gestione del Centro, senza dare il giusto rilievo alla circostanza che egli era escluso dalle riunioni preliminari del c.d.a. e senza considerare che egli non aveva un autonomo potere di rappresentanza all’esterno e di impegno, anche di spesa, del CAAP.

La censura è infondata atteso che la Corte di merito ha accertato che lo S., quale direttore del Centro, ai sensi dell’art. 5 del Regolamento, era preposto allo stesso ed aveva la responsabilità di servizi, dirigeva il personale, sovrintendeva all’impiego dello stesso ed assegnava i compiti a ciascun dipendente, emanava ordini di servizio ed adottava i provvedimenti d’urgenza, rispondeva soltanto al c.d.a. ed al suo Presidente e, oltre a curare l’esecuzione e l’attuazione delle deliberazioni del c.d.a., partecipava quale consulente e segretario anche alle riunioni dello stesso c.d.a. ed esercitava il generale potere di gestione dell’apparato organizzativo dell’ente.

In ogni caso, poi, non può trascurarsi che la censura, alla luce dell’indirizzo sopra richiamato, a ben vedere, non assume rilevanza decisiva atteso che, quand’anche, in ipotesi, lo S. non fosse qualificabile come "apicale" è indubbio che lo stesso comunque certamente era un "dirigente" e non uno "pseudo-dirigente" nei sensi sopra richiamati.

Infine, ugualmente infondato risulta il quinto motivo del ricorso principale, con il quale lo S. censura l’impugnata sentenza nella parte in cui, ritenuta la ingiustificatezza del licenziamento, ha riconosciuto, oltre all’indennità sostitutiva del mancato preavviso, l'indennità supplementare prevista dal ccnl nella misura minima di 8 mensilità, senza "dare adeguata rilevanza", ai fini della valutazione della misura di tale indennità, "alla condotta datoriale nella risoluzione del rapporto di lavoro ed alla conseguente grave lesione della dignità e decoro personale del lavoratore".

Premesso che "il giudizio sulla misura dell’indennità supplementare spettante in base alla contrattazione collettiva in caso di licenziamento non giustificato di dirigenti è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito e non è censurabile se non per vizio di motivazione" (v. Cass. 17-1- 1998 n. 389), osserva il Collegio che nella specie la Corte di merito ha determinato l’indennità nella misura minima "considerata la limitata anzianità di servizio del dirigente e la mancata allegazione di circostanze idonee a far lievitare la misura dell'indennità" stessa. Tale decisione, congruamente motivata resiste alla censura dello S., che, del resto, da un lato non indica se ed in che modo abbia invocato davanti ai giudici di merito, al fine che qui interessa, la "grave lesione della dignità e del decoro del lavoratore" e dall’altro, in sostanza, si limita a sollecitare una revisione del ragionamento decisorio, inammissibile in questa sede.

Entrambi i ricorsi vanno, pertanto, rigettati, e, in ragione della soccombenza reciproca, le spese vanno compensate tra le parti.

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.