Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 31 marzo 2015, n. 6509

Tributi - IVA - Cessioni all'esportazione - Frode - Cessionario - Dichiarazione scritta - Art. 8, DPR n. 633 del 1972 - Destinazione del bene - Beni non esportati e dichiarazione falsa - Cedente - Responsabilità - Adozione di tutte le misure necessarie - Dimostrazione - Necessità - Sussistenza - Esclusione della responsabilità

 

Ritenuto in fatto

 

1.1. Con ricorso proposto dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli la società C.E. SPA, esercente il commercio all'ingrosso di elettrodomestici e telefonia mobile, impugnava l'avviso di accertamento ed irrogazione sanzioni n. RE 9030400848/2006, notificatole il 07.11.06 e relativo a IVA, IRAP ed IRES per l'anno di imposta 2004, emesso a seguito di p.v.c. dell'Agenzia delle entrate in data 01.06.2006.

1.2.1. In particolare i verbalizzanti avevano riscontrato che nel 2004 la contribuente aveva effettuato ingentissime cessioni all'esportazione di beni concentrate soprattutto a favore di alcune ditte (E. di A.M., I. di N.F., M.M.P. SAS, V. di V.V. e C.D.M. SRL) che, grazie alla presentazione di dichiarazioni di intento, ai sensi dell'art.8, comma 1 lett. c) del DPR n.633/1972, avevano acquistato le merci senza applicazione dell'IVA.

Avevano individuato, in merito, una serie di anomalie, che facevano presumere un concorso tra la venditrice e le acquirenti allo scopo di evadere l’IVA, mediante l'utilizzo di false dichiarazioni di intenti e cioè:

- la sistematica alternanza di società e ditte che, dopo avere effettuato acquisti di ingentissima quantità, svanivano nel nulla;

- la mancanza di corrispondenza commerciale tra le parti;

- la concessione a dette società acquirenti di rilevanti linee di credito senza alcuna garanzia, nonostante la mancanza di pregressi rapporti commerciali;

- la circostanza che, a differenza di quanto avveniva con clienti di piccole dimensioni, a questi clienti non era accordato alcun premio per il raggiungimento di particolari volumi di acquisto;

- gli accessi effettuati avevano dato sistematicamente esito negativo, non essendo state rinvenute né strutture di impresa, né uffici o magazzini, né dipendenti o titolari;

- le dichiarazioni di intento erano risultate false perché le ditte in esame non possedevano lo status di esportatore abituale e, in alcuni casi, erano state costituite da meno di un anno.

- la quasi totalità di queste ditte o società non aveva presentato le dichiarazioni annuali e non aveva effettuato alcun versamento d'imposta.

1.2.2. I verbalizzanti avevano quindi contestato alla contribuente l'utilizzazione di fatture emesse dalle medesime ditte per acquisti operati dalla C.E., ritenendo inesistenti le operazioni. In particolare, avevano ritenuto inverosimile dal punto di vista commerciale che le medesime ditte potessero svolgere contemporaneamente il ruolo di acquirenti e di fornitrici e che la società verificata si potesse interporre nelle ripetute operazioni di acquisto e di rivendita degli stessi beni intervenute tra la ditta E. e la ditta I. per prezzi di vendita inferiori a quelli di acquisto e prezzi di riacquisto superiori a quelli di vendita.

1.2.3. I verbalizzanti avevano, quindi, formulato alcuni rilievi di minor importo, ai fini IRES ed IVA, contestando indebite deduzioni e detrazioni per mancanza dei requisiti di competenza ed inerenza.

2. In adesione ai rilievi dei verbalizzanti l'Ufficio delle entrate, competente per Casoria, aveva rettificato la dichiarazione della C.E. per il 2004 considerando:

- L'infedele fatturazione di operazioni imponibili come cessioni all'esportazione, in quanto soggettivamente inesistenti (v. sub 1.2.1.), per un totale di €.12.959.765,85 con omessa applicazione deII'IVA (20%);

- L'indebita detrazione di IVA per un importo di cui €.2.195.500,39 per l'utilizzo di fatture non veritiere, per un imponibile pari ad €.10.977.498,17;

- L’indebita deduzione di costi per provvigioni non inerenti o non di competenza, con conseguente indetraibilità dell'IVA.

3. La società ricorrente, tra l'altro, contestava la fondatezza dell'avviso in merito alla presunta, infedele fatturazione di operazioni imponibili soggettivamente inesistenti/ tali ritenute perché relative a rapporti commerciali intrattenuti con società che non avevano i requisiti per agire in regime di esenzione IVA le sosteneva di avere correttamente gestito i rapporti con i fornitori.

4. La sentenza n. 455/41/07, con la quale la CTP accoglieva in parte il ricorso, veniva appellata dall'Agenzia in via principale e dalla parte privata in via incidentale.

Entrambi gli appelli erano respinti con la sentenza n. 37/17/09 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, depositata il 27.09.09 e non notificata.

5. Con tale decisione il giudice di secondo grado affermava, in merito all'appello presentato dall'Agenzia, che la società aveva dimostrato e documentato che la responsabilità relativa al possesso dei requisiti di esportatore abituale ricadeva unicamente sui soggetti che avevano reso la dichiarazione, e non sul soggetto che tale dichiarazione aveva ricevuto, obbligato esclusivamente a conservare tali dichiarazioni, come disposto dall'art.7 del DLGS n.471/1997, e che gli altri motivi non erano accompagnati dalla indicazione degli elementi di prova fomiti dall'Ufficio sui quali il giudice di primo grado non si sarebbe espresso. L'appello incidentale era respinto sulla considerazione che la società non aveva fornito validi elementi di valutazione diversi da quelli già valutati in primo grado.

6. L'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. La società contribuente resiste con controricorso e presenta ricorso incidentale fondato su un motivo.

 

Considerato in diritto

 

1.1. Con il primo motivo la Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art.112 cpc in relazione all'art.360, comma 1 n.4, cpc, ed all'art.62, comma 1, del DLGS n.546/1992.

A parere della ricorrente la CTR ha omesso di pronunciarsi sui motivi di gravame con i quali l'Ufficio, sulla scorta di specifiche ragioni di diritto ed elementi di prova, aveva sostenuto che le operazioni di cessione all'esportazione erano da ritenersi soggettivamente inesistenti, e quindi intercorse tra soggetti diversi da quelli risultanti dalle fatture, limitandosi a ribadire, in modo inconferente, l'esclusiva responsabilità del cessionario per l'erroneità dei dati indicati nella dichiarazione di intento ex art.7 del DLGS n.471/1997.

1.2. Il motivo è fondato e va accolto.

La decisione impugnata non ha in alcun modo considerato la censura dell'Agenzia, diretta ad evidenziare i molteplici elementi segnalati nell'atto di appello a sostegno della prospettata inesistenza soggettiva delle cessioni all'esportazione, né ha riferito o valorizzato alcuna difesa della società volta a documentare sufficientemente la effettività delle operazioni nei confronti di tali clienti.

Va pertanto ravvisata la nullità della sentenza per omessa pronuncia sul punto in esame.

2.1. Con il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, dell'art.112 cpc, in relazione all'art.360, comma 1 n.4, cpc, ed all'art.62, comma 1, del DLGS n.546/1992.

A parere della ricorrente la CTR ha omesso di pronunciarsi sui motivi di gravame relativi alla indebita deduzione di costi e detrazione IVA sulle operazioni di acquisto apparentemente intercorse con la ditta E. di M.A., la ditta I. di N.F., la società M. SAS e la ditta V. di V.V., ritenute oggettivamente inesistenti per il complessivo imponibile di €.10.977.498,17, che appare ignorato nella parte motivazionale della sentenza.

2.2. Il motivo è inammissibile in quanto formulato in modo astratto poiché riporta inoltre gli specifici passaggi dell'atto di appello, con il quale la questioni delle operazioni "oggettivamente" inesistenti sarebbe stata introdotta nei termini esposti. Sul punto la questione sembra addirittura nuova, giacché nella sentenza non se ne fa menzione e la ricorrente non ha adempiuto ai suoi doveri di autosufficienza sul punto.

3.1. Con il terzo motivo l'Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art.8, comma 1 lett. c, del DPR n.633/1972, e dell'art.7, comma 4, del DLGS n.471/1997, in relazione all'art.360, comma 1 n.3, cpc, ed all’art.62, comma 1, del DLGS n.546/1992.

Sostiene la ricorrente che la CTR ha fornito una interpretazione riduttiva ed erronea dell'art. 7, comma 4, del DLGS n. 471/1997, ritenendo che debba essere sempre esclusa qualsiasi responsabilità del cedente per la fatturazione di cessione di beni in esenzione di imposta.

A parere della Agenzia la norma in esame va interpretata nel senso che la responsabilità del cedente va esclusa quando l'erroneità delle attestazioni contenute nella dichiarazione di intenti non sia percepito o non sia percepibile dal soggetto che opera la cessione; al contrario la responsabilità dovrebbe essere estesa anche al cendente quando egli conoscesse o fosse in grado di conoscere con la ordinaria diligenza l'insussistenza delle condizioni di esenzione, o ancora, quando lo stesso risulta compartecipe del disegno illecito finalizzato ad evadere l'IVA e richiama la giurisprudenza comunitaria in tema di lotta alla frode, evasione ed abuso.

Sostiene in conclusione che la decisione impugnata sul punto statuisce con assolutezza, mentre sarebbe stata richiesta la necessaria specificazione.

3.2. Con il quarto motivo la Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art.2697 e ss cc, in relazione all'art. 39 del DPR n.600/1973 ed all'art.19 del DPR n.633/1972 (art.360, comma 1 n.3, cpc) e rappresenta che la CTR nell'ignorare i recuperi a tassazione eseguiti dall'Ufficio per indebita deduzione di costi e detrazione di IVA, ha disconosciuto che incombeva alla contribuente l'onere di dimostrare l'effettiva sussistenza delle condizioni per operare le deduzioni e detrazioni contestate.

3.3. Con il quinto motivo la Agenzia lamenta la omessa motivazione su fatti decisivi e controversi della causa (360, comma 1 n.5, cpc), sostiene che nella sentenza è omesso l'esame di tutti gli elementi di prova addotti dall'Ufficio sulla affermazione, non rispondente a verità, che l'Ufficio non avrebbe indicato gli elementi di prova.

A parere della ricorrente i giudici di merito avrebbero omesso di fornire giustificazioni alla singolare circostanza che gran parte del volume d'affari della società verificata si era realizzato con falsi esportatori abituali, costituiti e scomparsi in un breve volgere di tempo e sistematicamente inadempienti ai propri obblighi fiscali, circostanza che, collegata con altri elementi indiziari emersi dall'indagine (sistematica mancanza di qualunque corrispondenza commerciale, nonostante la rilevanza economica delle operazioni e la rilevante sussistenza di anomalie in alcuni pagamenti; immediate aperture di credito per rilevanti importi, incertezze nell'individuazione dei soggetti con i quali sono stati intrattenuti i rapporti, inverosimiglianza delle intermediazioni della società C.E. nelle plurime operazioni di acquisto e vendita formalmente intercorse tra la ditta E. e la ditta I., con prezzi di riacquisto superiori a quelli delle precorse vendite e prezzi di vendita inferiori a quelli di acquisto, ecc,), era astrattamente idonea a far presumere il coinvolgimento della società verificata nell'illecito disegno evasivo rilevato dai verbalizzanti.

3.4. I motivi terzo, quarto e quinto possono essere esaminati in stretta connessione e vanno accolti.

3.5.1. Quanto al terzo motivo, risulta opportuno ricordare che l'art. 8 del DPR n.633/1972 nel disciplinare il regime IVA applicabile alle cessioni all'esportazione, per quanto interessa il presente giudizio e nel testo vigente ratione temporis, prevede: "Costituiscono cessioni all'esportazione: (...) c) le cessioni, anche tramite commissionari, di beni diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili, e le prestazioni di servizi rese a soggetti che, avendo effettuato cessioni all'esportazione od operazioni intracomunitarie, si avvalgono della facoltà di acquistare, anche tramite commissionario importare beni e servizi senza pagamento dell'imposta. Le cessioni e le prestazioni di cui alla lettera c) sono effettuate senza pagamento dell'imposta ai soggetti indicati nella lettera a), se residenti ed ai soggetti che effettuano le cessioni di cui alla lettera b) del precedente comma su loro dichiarazione scritta e sotto la foro responsabilità, nei limiti dell'ammontare complessivo dei corrispettivi delle cessioni di cui alle stesse lettere dai medesimi fatte nel corso dell'anno solare precedente. (...) I soggetti che intendono avvalersi della facoltà di acquistare beni e servizi senza pagamento dell'imposta devono darne comunicazione scritta al competente ufficio dell'I.V.A. entro il 31 gennaio ovvero oltre tale data, ma anteriormente al momento di effettuazione della prima operazione, indicando l’ammontare dei corrispettivi delle esportazioni fatte nell'anno solare precedente. (...) I soggetti che iniziano l'attività o non hanno comunque effettuato esportazioni nell'anno solare precedente possono avvalersi per la durata di un triennio solare della facoltà di acquistare beni e servizi senza pagamento dell'imposta, dandone preventiva comunicazione all'ufficio, assumendo come ammontare di riferimento, in ciascun mese, l'ammontare dei corrispettivi delle esportazioni fatte nei dodici mesi precedenti."

Dalla lettura della norma si evince chiaramente che il suo contenuto precettivo, afferente in modo ampio le "cessioni all'esportazione" non è rivolto al solo cessionario, anche se a quest'ultimo è dedicato più spazio, giacché vi sono stabiliti i rigorosi presupposti e gli obblighi dichiarativi per accedere a tale regime, ma anche al cedente, che in regime ordinario dovrebbe agire come sostituto d'imposta per l'Erario e che, nel caso di "cessione all'esportazione", è invece esonerato dall'applicazione delle disposizioni in tema di esigibilità dell'imposta (art.6 del DPR n.633/1972) e di versamento (artt.17 e ss del DPR n.633/1972).

3.5.2. Tale conclusione trova riscontro nel dettato dell'art. 7 del DLGS n.471/1997, che è rivolto sia al cedente che al cessionario. Ed infatti ai commi 3 e 4 è previsto: "-3. Chi effettua operazioni senza addebito d'imposta, in mancanza della dichiarazione d'intento di cui all'articolo 1, primo comma, lettera c), del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17, è punito con la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento dell'imposta, fermo l'obbligo del pagamento del tributo. Qualora la dichiarazione sia stata rilasciata in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, dell'omesso pagamento del tributo rispondono esclusivamente i cessionari, i committenti e gli importatori che hanno rilasciato fa dichiarazione stessa. - 4. E' punito con la sanzione prevista nel comma 3 chi, in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, dichiara all’altro contraente o in dogana di volersi avvalere della facoltà di acquistare o di importare merci e servizi senza pagamento dell’imposta, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, della legge 18 febbraio 1997, n. 28; ovvero ne beneficia oltre il limite consentito. (...)"

Anche in questo caso la lettura della disposizione, che individua il soggetto destinatario della sanzione amministrativa con il pronome "chi", ne evidenzia una portata ampia, estensibile sia al cedente che ai cessionario anche in via di concorso: tale conclusione è confermata a contrario dalla contestuale previsione di responsabilità esclusiva del cessionario (o committente o importatore) solo per l'omesso pagamento del tributo, qualora la dichiarazione sia stata rilasciata in mancanza dei presupposti richiesti.

3.5.3. Orbene, in relazione a questo quadro normativo, la Corte ha inizialmente affermato che, in tema di IVA, la non imponibilità delle cessioni all'esportazione effettuate nei confronti degli esportatori abituali (c.d. esportazioni indirette), prevista dall'art. 8, comma 1, lett. c) del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, è subordinata, nella disciplina del d.l. 29 dicembre 1983, n. 746, convertito in legge 27 febbraio 1984, n. 17, all'emissione di apposita "dichiarazione d'intento" da parte dell'esportatore (art. 1, comma 1, lett. c) ed il soggetto cedente, una volta riscontratane la conformità alle disposizioni di legge, non è tenuto ad eseguire alcun altro controllo, rimanendo totalmente a carico di chi emette tale dichiarazione la responsabilità, anche penale, derivante da un'eventuale falsità. Ne consegue che, quando la dichiarazione stessa esista e non sia ideologicamente falsa o, comunque, il cedente non sia consapevole di tale falsità (cioè non abbia la consapevolezza che l'operazione non è destinata all'esportazione, ma ha una destinazione nazionale), per quest'ultimo l'operazione deve ritenersi non imponibile, a prescindere dalla prova dell'effettiva avvenuta esportazione della merce (Cass. Sent. n. 21956/2010). Altrimenti, viene meno la fattispecie delineata dall'art. 8 del DPR n.633/1972 per mancanza originaria dell'elemento che caratterizza quel modello legale; ciò comporta che l'operazione commerciale posta in essere, non potendosi considerare in regime di esenzione, obblighi il cedente, ai sensi dell'art. 17 del DPR n.633/1972 a versare egli stesso l'imposta (cfr. anche C. 16819/2008).

3.5.4. Più di recente la Corte ha puntualizzato che "In tema di Iva, la non imponibilità delle cessioni di beni asseritamente destinati all'esportazione, subordinata dall'art. 8, comma 1, lett. c) del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 alla dichiarazione scritta di responsabilità del cessionario in ordine alla destinazione del bene fuori del territorio della Comunità economica europea ed al possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla norma, viene meno qualora si accerti che i beni non sono stati effettivamente esportati e che tale dichiarazione è ideologicamente falsa, nel quale caso l'obbligo del cedente di assolvere successivamente l’IVA su tali beni può essere escluso solo nella misura in cui risulti provato che egli abbia adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere, al fine di assicurarsi che la cessione effettuata non lo conducesse a partecipare alla frode." (Cass. sent. n. 12751/2011 arg. ex Corte Giust. CE, 27 settembre 2007, C-409/04, 68 e 72, in tema cessione e acquisto intracomunitari, n.7389/2012).

3.5.6. Questi ultimi principi sono stati completamente trascurati dal giudice d'appello, che si è limitato ad affermare in modo erroneo, con una formula estremamente sintetica, assertiva e priva di riferimenti ad elementi concreti del giudizio, che la cedente non aveva alcun obbligo, oltre quello di conservare le dichiarazioni di intenti - senza quindi verificare l'effettiva adozione di tutte le misure ragionevoli in suo potere al fine di assicurarsi che la cessione effettuata non la conducesse a partecipare ad una frode- , e che l’Ufficio non aveva indicato quali erano gli elementi di prova non presi in considerazione dai primi giudici.

3.6.1. Anche il quarto motivo è fondato.

In tema di onere probatorio con riferimento alle operazioni inesistenti, va ricordato che la Corte così si è espressa "In tema di IVA, il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune europeo - come ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea (sentenze 6 luglio 2006, in C-439/04 e C- 440/04, 6 dicembre 2012, in C-285/11, 31 gennaio 2013, in C-642/11) - e non è suscettibile, in linea di principio, di limitazioni. Ne consegue che l’Amministrazione finanziaria, ove ritenga che il diritto debba essere negato attenendo la fatturazione ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ha l'onere di provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, nella seconda ipotesi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell'ordinaria diligenza, che l'operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore, fermo restando che, nelle ipotesi più semplici (operazioni soggettivamente inesistente di tipo triangolare), detto onere può esaurirsi, attesa l’immediatezza dei rapporti, nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale, mentre in quelle più complesse di ’’frode carosello" (contraddistinta da una catena di passaggi, in cui sono riscontrabili fatturazioni per operazioni sia oggettivamente che soggettivamente inesistenti, con strumentali interposizioni anche di società "filtro") occorre dimostrare gli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente." (Cass. sent. n. 24426/2013).

3.6.2. Nel caso in esame l'Amministrazione finanziaria, nel contestare il diritto della contribuente a portare in detrazione l'IVA, ha assunto l’esistenza di una fatturazione relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti ed ha portato una molteplicità di elementi indiziari (improvvisa istituzione e cessazione di rapporti commerciali; mancanza o scarsità di corrispondenza commerciale, nonostante rilevato ammontare degli acquisti, omessa esecuzione di versamenti di imposta da parte delle presunte venditrici, inverosimiglianza della contestuale qualità di fornitrici e di acquirenti delle ditte e società coinvolte ed altro) sui quali la CTR non si è soffermata affermando, immotivatamente ed apoditticamente, che nel caso non si ricadeva in tema di indebita detrazione di IVA per prestazioni inesistenti.

Orbene, confermato il principio secondo il quale l’onere di provare, anche mediante presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, che il contribuente, al momento in cui ha acquistato il bene o il servizio, sapeva, o avrebbe dovuto sapere, secondo l’ordinaria diligenza, di partecipare ad una operazione fraudolenta posta in essere da altri soggetti, va rilevato che nel caso in esame la CTR non ha dato corretta applicazione di tale principio in quanto ha ignorato i plurimi elementi offerti dall’Amministrazione ed ha trascurato di considerare che incombeva sul contribuente, a fronte di siffatte dimostrazioni, la prova contraria (cfr. Cass. sent. n. 25778/2014).

3.7. Sulla scorta delle considerazioni svolte risulta evidente anche la fondatezza del quinto motivo. Nel caso di specie, a fronte della prospettazione in appello di specifiche circostanze, addotte per ottenere un diverso apprezzamento, sul piano logico e circostanziale, circa la falsità ideologica della dichiarazione d'intento delle plurime cessionarie, la inesistenza delle operazioni di acquisto e la ragionevole consapevolezza di ciò in capo alla cedente (v. sopra sub 3.3. e 3.6.2.), la CTR ha affermato, lapidariamente e senza ricostruire il percorso logico - giuridico seguito, che non erano stati indicati gli elementi di prova forniti dall'Ufficio e non valutati dal giudice di primo grado. La cesura proposta va, quindi, accolta.

4.1. Si deve passare all’esame dell’unico motivo di ricorso incidentale proposto dalla società contribuente.

Con tale motivo la società lamenta la omessa motivazione su fatti decisivi e controversi della causa (art. 360, comma 1 n.5, cpc): a parere della ricorrente in via incidentale, sulla questione del disconoscimento della deducibilità dei costi per provvigioni, la CTR si è limitata a convalidare la decisione di primo grado, che a sua volta aveva trascurato, senza darne motivazione, la documentazione esibita dalla società, consistente nei contratti.

4.2. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza in guanto non riproduce l'atto di appello e i contratti, almeno per stralcio, è ciò non consente di valutare il tenore ed il contenuto della censura, oltre che gli elementi di prova che, assume, non sarebbero stati vaIutati nonché la loro decisività.

5. In conclusione, il ricorso va accolto, fondati i motivi primo, terzo, quarto e quinto, inammissibile il secondo, ed il ricorso incidentale va rigettato per inammissibilità del motivo; conseguentemente va disposta la cassazione della sentenza impugnata sui motivi accolti, con rinvio, anche per le spese, alla CTR della Campania che, in diversa composizione, dovrà decidere la vertenza attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati e riesaminando, alla luce di essi, i rilievi fattuali sopra ricordati sub 3.3. e sub 3.6.3.

 

P.Q.M.

 

- accoglie il ricorso principale, fondati i motivi primo, terzo, quarto e quinto, inammissibile il secondo;

- rigetta il ricorso incidentale per inammissibilità del motivo;

- cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla CTR della Campania in altra composizione per il riesame e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.