Giurisprudenza - TRIBUNALE DI TERAMO - Ordinanza 15 dicembre 2014

Reati e pene - Reato di omesso versamento di ritenute certificate - Mancata previsione, con riferimento ai fatti commessi fino al 17 settembre 2011, di una soglia di punibilità di euro 103.291,38 - Disparità di trattamento rispetto a quanto previsto per il reato di omesso versamento IVA, a seguito della sentenza n. 80 del 2014 della Corte costituzionale - Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-bis, inserito dall'art. 1, comma 414, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 - Costituzione, art. 3

 

Osserva

 

Rilevanza della questione

La difesa dubita della legittimità costituzionale dell'art. 10-bis, d.lgs. n. 74/2000 per contrasto con l'art. 3 Cost. per il trattamento ingiustificatamente deteriore riservato alle condotte ivi punite rispetto a quello previsto, fino al 17 settembre 2011, per i più gravi reati di cui agli artt. 4 e 5, d.lgs. cit. e rispetto a quello previsto, sempre nel medesimo periodo temporale, per il reato di cui all'art. 10-ter, d.lgs. n. 74/2000 (così come risultante a seguito della sentenza della Corte cost. n. 80 del 2014).

Ritiene dunque che l'art. 10-bis, decreto legislativo citato deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi fino al 17 settembre 2011, punisce l'omesso versamento da parte del sostituto d'imposta delle ritenute certificate rilasciate ai sostituiti, per importi superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38.

La questione è rilevante perché nel presente processo l'imputato è stato citato in giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 10-bis, d.lgs. n. 74/2000 «per aver omesso di versare entro il termine previsto per la dichiarazione annuale di sostituto d'imposta le ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti per l'anno 2010 per un ammontare di euro 60.108,00. In Bonavigo (VR) il 22 agosto 2011». 

Dunque se la questione di costituzionalità, che di seguito verrà illustrata, venisse accolta l'imputato dovrebbe essere assolto perché il fatto contestatogli non costituirebbe più reato. Non sussistono del resto ragioni per un proscioglimento immediato ex art. 129 c.p.p.

Non manifesta infondatezza della questione.

Per illustrare la non manifesta infondatezza della questione occorre prendere le mosse della sentenza della Corte costituzionale n. 80 dell'8 aprile 2014, che ha dichiarato, per violazione dell'art. 3 Cost., l'illegittimità costituzionale dell'art. 10-ter del d.lgs. n. 74/2000, nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l'omesso versamento dell'IVA, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo d'imposta, ad 103.291,38. 

Nella sentenza la Corte evidenzia innanzitutto che la previsione punitiva di cui all'art 10-ter cit. «protegge l'interesse del fisco alla riscossione dell'imposta così come autoliquidata dallo stesso contribuente», in quanto presupposto della sua applicazione è che il soggetto di imposta abbia presentato la dichiarazione annuale IVA, dalla quale risulti un saldo debitorio superiore a 50.000 euro, senza che sia seguito il pagamento, entro il termine previsto, della somma ivi indicata come dovuta. 

A fronte di ciò la Corte rileva un evidente «difetto di coordinamento» tra la soglia di punibilità del reato de quo e quelle relative ai reati di cui agli artt. 4 e 5, d.lgs. cit. (prima delle modifiche legislative intervenute nel settembre 2011), «foriero di sperequazioni sanzionatorie che, per la loro manifesta irragionevolezza, rendono censurabile l'esercizio della discrezionalità pure spettante al legislatore in materia di configurazione delle fattispecie astratte di reato».

Ed invero l'art. 5, d.lgs. cit. inizialmente puniva con la reclusione da 1 a 3 anni l'omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi o IVA, al fine di evadere dette imposte, quando l'imposta evasa fosse superiore, con riferimento a talune delle singole imposte, ad € 77.468,53.

L'art. 4, d.lgs. cit. a sua volta puniva, sempre ab origine, con la medesima pena dell'art. 5, la presentazione di una dichiarazione dei redditi o IVA infedele, al fine di evasione fiscale, quando l'imposta evasa fosse superiore ad € 103.291,38. 

Ciò comportava, secondo il giudizio della Corte, una conseguenza palesemente illogica, nel caso in cui l'IVA dovuta dal contribuente si situasse nell'intervallo tra la soglia di punibilità dell'art. 10-ter da un lato e quelle degli artt. 4 e 5 dall'altro, poiché ne conseguiva un trattamento deteriore per chi aveva regolarmente presentato una fedele dichiarazione IVA senza versare l'imposta dovuta e autoliquidata, rispetto a chi non aveva neanche presentato la dichiarazione o l'aveva presentata inveritiera, senza comunque versare l'imposta.

Ed infatti, con riguardo all'art. 5 cit., nel caso in cui l'IVA  dovuta dal contribuente eccedesse i 50.000 euro ma non i 77.468,53, «veniva trattato in modo deteriore chi avesse presentato regolarmente la dichiarazione IVA, senza versare l'imposta dovuta, rispetto a chi non avesse presentato la dichiarazione, evadendo del pari l'imposta. Nel primo caso il contribuente avrebbe dovuto rispondere del reato di omesso versamento IVA, stante il superamento della soglia, mentre nel secondo sarebbe rimasto esente da pena, non risultando superata la soglia».

E parimenti, nel confronto con l'art. 4 cit., nel caso in cui l'IVA da versare si collocasse tra i 50.000 e i 103.291,38 euro, «fruiva di un miglior trattamento il contribuente che presentasse una dichiarazione inveritiera (non punibile per mancato superamento della soglia), rispetto al contribuente che esponesse invece fedelmente la propria situazione in dichiarazione, salvo poi a non versare l'imposta di cui si era riconosciuto debitore».

La Corte osservava quindi che «la lesione del principio di uguaglianza ... è resa manifesta dal fatto che l'omessa dichiarazione e la dichiarazione infedele costituiscono illeciti incontestabilmente più gravi, sul piano dell'attitudine lesiva degli interessi del fisco, rispetto all'omesso versamento dell'IVA: e ciò nella stessa considerazione del legislatore, come emerge dal raffronto delle rispettive pene edittali». 

Il sistema sopra delineato rivelava dunque un'irragionevole disparità di trattamento, stabilendo un trattamento sanzionatorio meno favorevole per condotte «trasparenti», in cui l'inadempienza tributaria è resa palese dallo stesso contribuente ed immediatamente percepibile per il Fisco, quindi meno lesive degli interessi del fisco stesso rispetto a condotte più insidiose (come quelle di cui agli artt. 4 e 5 cit.) poiché idonee ad ostacolare l'accertamento dell'evasione.

Ed invero, plausibilmente proprio per far venire meno tale incongruenza, con d.l. n. 138/2011 (conv. in legge 14 settembre 2011, n. 148) il legislatore è intervenuto riducendo la soglia di punibilità dei reati di omessa dichiarazione e di dichiarazione infedele, rispettivamente ad 30.000 (importo inferiore a quello dell'art. 10-ter) e ad e 50.000 (importo uguale a quello dell'art. 10-ter). «In tal modo», osserva la Corte «la distonia è venuta meno».

Tali modifiche tuttavia, essendo di segno sfavorevole al reo (all'abbassamento delle soglie corrisponde, infatti, un ampliamento dell'area di rilevanza penale), risultano applicabili ai soli fatti successivi alla data di entrata in vigore della relativa legge di conversione (17 settembre 2011). 

Ne conseguiva che per i fatti precedenti, la lesione del principio di uguaglianza continuava a sussistere. Da qui la pronuncia di incostituzionalità dell'art. 10-ter, d.lgs. cit., che, per rimuovere la suddetta disuguaglianza, con riferimento ai fatti anteriori al 17 settembre 2011, ha elevato la soglia di punibilità del reato de qua, allineandola alla più alta fra le soglie di punibilità delle violazioni in rapporto alle quali si manifestava l'irragionevole disparità di trattamento, ossia quella relativa alla dichiarazione infedele.

Premesso tutto ciò si ritiene che, per ragioni del tutto analoghe, la lesione del principio di uguaglianza, sancito dall'art. 3 Cost., sussista anche con riguardo alla fattispecie di cui all'art. 10-bis, d.lgs. cit., sia nel raffronto con i reati di cui agli artt. 4 e 5, d.lgs. cit. nella formulazione previgente, sia nel raffronto col reato di cui all'art. 10-ter, d.lgs. cit., così come risultante a seguito della citata sentenza della Corte cost. n. 80 del 2014.

L'art. 10-bis, d.lgs. n. 74/00 (introdotto dall'art. 1, comma 414, legge 30 dicembre 2004, n. 311) punisce con la reclusione da 6 mesi a 2 anni, l'omesso versamento di ritenute effettuate e certificate, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta, per un ammontare superiore ad € 50.000 per ciascun periodo d'imposta. L'art. 10-ter, d.lgs. n. 74/00 (inserito nel medesimo decreto dall'art. 35, comma 7, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. nella legge 4 agosto 2006, n. 248), in relazione al reato tributario di omesso versamento IVA, richiama testualmente la disposizione dell'art. 10-bis applicando la stessa soglia di punibilità (50.000 euro) ed uguale trattamento sanzionatorio al contribuente che non versi il debito IVA, dovuto in base alla dichiarazione annuale regolarmente presentata, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo.

Come evidenziato anche dalla S. C, a sezioni unite, «la fattispecie di cui all'art. 10-ter è modellata esattamente su quella di cui all'art. 10-bis,  prevedendo la stessa pena, la stessa soglia di punibilità e un momento consumativo del reato collegato ad un termine di adempimento ben determinato» e quindi il comportamento del soggetto che non versa l'IVA è del tutto «assimilato dal legislatore, sotto il profilo sanzionatorio, a quello del sostituto d'imposta che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti» (v. Cass. pen., sez. un., 28 marzo 2013, n. 37424).

Le due fattispecie hanno eguale struttura. Entrambi sono reati omissivi propri, istantanei e di mera condotta, con uguale bene giuridico - l'interesse dell'Erario alla corretta e tempestiva riscossione delle somme dovute dal contribuente, così come autoliquidate o certificate dal medesimo - ed entrambi richiedono l'elemento soggettivo del dolo generico, diversamente dalle altre fattispecie criminose considerate nel d.lgs. n. 74/2000, tra cui l'omessa dichiarazione ex art. 5 e la dichiarazione infedele ex art. 4 che richiedono il dolo specifico del fine di evadere le imposte. 

Non pare dubbio dunque che i reati di omessa dichiarazione (art. 5) e di dichiarazione infedele (art. 4) costituiscono illeciti incontestabilmente più gravi, sul piano dell'attitudine lesiva degli interessi del fisco, non solo rispetto all'omesso versamento dell'IVA ma anche rispetto all'omesso versamento delle ritenute certificate dei sostituti d'imposta, e ciò anche «nella stessa considerazione del legislatore, come emerge dal raffronto delle rispettive pene edittali».

Anche nell'ipotesi dell'aart. 10-bis, d.lgs. cit. la condotta del contribuente è in qualche modo trasparente (qui la somma dovuta all'Ereario non è autoliquidata in dichiarazione, come nel caso dell'IVA, ma comunque è certificata, e quindi dichiarata, dal sostituto d'imposta ai soggetti sostituiti e dunque facilmente accertabile dal fisco) e di certo meno lesiva degli interessi del fisco rispetto alle condotte più insidiose (perché fraudolente o occulte) previste negli artt. 4 e 5, d.lgs cit., per cui è irragionevole che, per i fatti commessi fino al 17 settembre 2011, sia operante per il reato ex art. 10-bis, d.lgs. cit. una soglia di punibilità più bassa rispetto agli altri due reati. 

Dunque, le stesse ragioni di disuguaglianza che la Corte cost. ha rilevato per le condotte punite ex art. 10-ter, d.lgs. cit. si ritiene che valgano parimenti per le condotte punite ai sensi dell'art. 10-bis, d.lgs. cit., non essendo sufficiente a giustificare la disparità di trattamento la circostanza che si tratta di debiti fiscali di natura diversa (in un caso l'IVA e nell'altro le ritenute effettuate dai sostituti d'imposta), posto che in entrambi i casi l'intresse tutelato è quello dell'Erario di ricevere nei termini previsti dalla legge gli importi dovuti dal soggetto d'imposta. 

Ma profili di disuguaglianza e di disparità di trattamento si rilevano anche ponendo a confronto direttamente l'art. 10-bis, d.lgs. cit. con l'art. 10-ter, d.lgs. cit. così come modificato dalla Corte costituzionale.

Per quanto già detto sopra, il legislatore ha chiaramente considerato sullo stesso piano di gravità le due fattispecie di reato e ha inteso punirle nello stesso modo, tanto che, oltre ad avere una stessa struttura, i due reati sono puniti con la stessa pena e hanno (o meglio avevano in origine) la medesima soglia di punibilità. L'intervento della Corte cost., che, per i fatti commessi fino al 17 settembre 2011, ha innalzato la soglia di punibilità del reato ex art. 10-ter (per eliminare la disparità di trattamento rispetto ai reati ex artt. 4 e 5, d.lgs. cit.), ha dunque comportato un evidente disallineamento tra i due reati, perché - sempre limitatamente ai fatti commessi entro il suddetto limite temporale - l'omesso versamento delle ritenute certificate è punito già se si supera la soglia di 50.000 curo, mentre l'omesso versamento dell'IVA dichiarata è punita solo se si supera la soglia, ben più rilevante, di 103.291,38 euro. 

Vi è dunque una irragionevole disparità di trattamento, sebbene temporalmente limitata, rispetto a condotte di reato che sono state considerate invece dal legislatore del tutto assimilabili sul piano della lesività degli interessi del fisco e che pertanto erano state parificate in tutti gli elementi, compreso il trattamento sanzionatorio.

L'irragionevolezza dell'attuale assetto normativo si coglie ulteriormente nel rilievo che, per le condotte successive al 17 settembre 2011, i due reati - ex art. 10-bis e 10-ter, d.lgs. n. 74/00 - tornano ad essere nuovamente perfettamente equivalenti e allineati (con la medesima soglia di punibilità di 50.000 euro). Il che significa che il trattamento per chi commette fatti rientranti nelle due norme incriminatrici è del tutto identico se le condotte vengono realizzate successivamente al 17 settembre 2011, mentre il trattamento di chi commette un fatto ex art. 10-bis e chi un fatto ex art. 10-ter è significativamente diverso se le condotte sono state commesse fino al 17 settembre 2011. Ed è evidente che non vi sono ragioni che giustifichino tale anomala e diseguale disciplina. 

Solo un ulteriore intervento della Corte costituzionale - che dichiari l'illegittimità costituzionale anche dell'art. 10-bis, d.lgs. cit. nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi fino al 17 settembre 2011, punisce l'omesso versamento delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti anche per importi non superiori ad euro 103.291,38 - può dunque ricondurre ad equità il complessivo sistema dei reati tributari delineato dal d.lgs. n. 74/2000.

 

P.Q.M.

 

Visti gli artt. 1, legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, 159 c.p. 

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3 Cost., della norma di cui all'art. 10-bis, d.lgs. n. 74/2000 nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi fino al 17 settembre 2011, punisce l'omesso versamento delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38.

 Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sospendendo il giudizio in corso.

 Ordina che a cura della cancelleria l'ordinanza, letta in pubblica udienza alla presenza delle parti, sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica.

 Manda alla cancelleria per gli adempimenti.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costituzionale 29 aprile 2015, n. 17.