Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 aprile 2015, n. 8655

Imposta di registro - Conferimento ramo aziendale corrispettivo in azioni di nuova emissione della conferitaria - Qualificazione - Art. 20 del Dpr 131/86 - Fattispecie

 

Svolgimento del processo

 

Con atto stipulato il 9 dicembre 2003 la Banca X. s.p.a. (poi divenuta X s.p.a., incorporata in Banca X e infine fusa nel Banco X.) conferiva a B.R. s.p.a, un ramo d'azienda costituito dal complesso dei propri immobili (strumentali e non), dei contratti di locazione e dei rapporti di outsourcing organizzati per la gestione degli immobili, nonché dalle passività relative al personale trasferito. Quale corrispettivo del conferimento riceveva azioni di nuova emissione di B.R. previo corrispondente aumento del capitale sociale di questa. Il 30 giugno 2004 la Banca X. cedeva a B.l. s.p.a. controllante la B.R., la partecipazione ricevuta in corrispettivo del conferimento, al prezzo di euro 127.000.000,00 identico alla stima del valore corrente del ramo d'azienda al lordo della fiscalità latente.

Sulla base di questi fatti, l'agenzia delle entrate notificava un avviso di liquidazione dell'imposta proporzionale di registro (con interessi e sanzioni) riqualificando l'operazione nel suo complesso come finalizzata alla cessione dell'azienda, ai sensi dell'art. 20 del d.p.r. n. 131 del 1986.

Le parti - Banca X. e B.R. insorgevano contro l'avviso formulando eccezioni di nullità per violazione dell'art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973 e per carenza di motivazione, e comunque contestando la pretesa per ragioni di merito.

Radicatosi in contraddittorio, l'adita commissione tributaria provinciale di Milano respingeva i primi due rilievi e accoglieva il ricorso nel merito.

La statuizione è stata confermata dalla commissione tributaria regionale della Lombardia giusta sentenza depositata il 14 dicembre 2010, avverso la quale l'amministrazione erariale propone ora ricorso per cassazione sorretto da tre motivi. Replicano con controricorso il Banco X. (in qualità di società derivante dalla fusione di Banca X. E X. e di Banca X.) e B.R. s.p.a., i quali propongono a loro volta ricorso incidentale affidato a due motivi e illustrato da memoria.

 

Motivi della decisione

 

I. - L'impugnata sentenza risulta motivata nel modo che segue. Premesso che l'operazione posta in essere dalle parti aveva portato, attraverso le richiamate operazioni intermedie, alla cessione del ramo aziendale, la quale, effettuata direttamente, avrebbe comportato l'assoggettamento alla più gravosa imposta di registro, l'art. 20 del d.p.r. n. 131 del 1986 non consentiva all'ufficio "di andare al di là degli effetti giuridici desumibili da un'interpretazione complessiva dell'atto" e dunque "di negare gli effetti del comportamento delle parti che pongono in essere uno o più negozi per raggiungere, oltre agli effetti tipici di essi, altri effetti indiretti". La norma, secondo la commissione, ove altrimenti interpretata si sarebbe risolta in una indebita compressione dell'autonomia negoziale e, quindi, delle libertà individuali in campo economico, costituzionalmente tutelate. Inoltre, non rilevando il conferimento d'azienda, ex art. 176 del Tuir (testo pro tempore), ai fini dell'art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973 quanto alle imposte dirette, dovevasi ritenere difficilmente sostenibile la configurazione di un abuso dei contraenti al distinto fine dell'imposta di registro; che, in quanto imposta d'atto, comunque precludeva all'ufficio l'utilizzo di elementi extratestuali nell'attività di interpretazione dell'atto soggetto a registrazione.

II. - Simile ratio decidendi, in forza della quale è stato confermato l'annullamento dell'atto impositivo, viene censurata dall'amministrazione finanziaria a mezzo di tre motivi coi quali, rispettivamente, essa denunzia:

(i) la violazione e la falsa applicazione dell'art. 20 del d.p.r. n. 131 del 1986;

(ii) la violazione e falsa applicazione degli artt. 17 6, 3° co., del Tuir e dell'art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973, non essendosi affatto considerato il peculiare ambito di applicazione di tali norme rispetto a quella ex art. 20 del d.p.r. n. 131 del 1986 che sola rilevava in causa;

(iii) l'omessa o insufficiente motivazione della sentenza su punti decisivi della controversia.

III. - I motivi, tra loro strettamente connessi, sono fondati nei termini di seguito esposti.

L'art. 20 del d.p.r. n. 131 del 1986, secondo cui "l'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente" impone il prevalere, ai fini dell'imposta di registro, della causa reale dell'operazione sull'assetto cartolare impresso dalle parti. Invero più volte questa corte ha affermato (anche in controversie coinvolgenti il riassetto societario del Banco X.) che la scelta compiuta dal legislatore con l'art. 20 è stata appunto quella di privilegiare la intrinseca natura e gli effetti giuridici al titolo o alla forma apparente degli atti sottoposti a registrazione.

Ne consegue che, contrariamente a quanto ritenuto dalla commissione tributaria regionale, l'autonomia contrattuale nella scelta degli strumenti ritenuti più idonei per il conseguimento dello scopo perseguito e la rilevanza degli effetti giuridici dei singoli negozi a esso preordinati restano circoscritte sul piano della regolamentazione formale degli interessi delle parti, e non si estendono alla loro rilevanza fiscale (cfr. tra le tante Sez. 5A n. 10273-07; n. 3584-12; n. 14150-13; n. 17965-13; n. 6405-14; n. 12775-14). In questo specifico senso l’art. 20 del d.p.r. n. 131 del 1986 introduce un criterio di qualificazione autonomo rispetto alle ordinarie ipotesi interpretative civilistiche, che impone di tener conto, nella qualificazione - del negozio, della sua causa reale e degli interessi effettivamente perseguiti dai contraenti, anche qualora siano stati stipulati, pur in tempi diversi, più atti (v. difatti, in operazione del tutto analoga a quella che qui rileva, Sez. n. 28265-13 e n. 28259-13). E la prova di un intento elusivo dei contraenti, quanto all'imposta di registro, non rileva affatto.

L'impugnata sentenza si è chiaramente discostata dai suddetti principi, donde va cassata. Non è necessario affrontare, in tale prospettiva e per le ragioni di cui infra, la questione posta dall'amministrazione ricorrente circa il nesso tra la norma citata e l'art. 176 del Tuir.

IV. - Coi due motivi del ricorso incidentale le società a loro volta denunziano;

(i) la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973 e 53-bis del d.p.r. n. 131 del 1986, nonché del principio del contraddittorio anticipato, quanto alla statuizione con la quale l'impugnata sentenza ha rigettato la doglianza relativa alla nullità dell'avviso di liquidazione per violazione delle garanzia procedimentali previste da dette norme;

(ii) la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c., attesa l'omessa pronuncia sul motivo di appello riguardante la nullità o l'illegittimità dell'avviso di liquidazione per difetto di motivazione; motivo dì appello specificamente riferito al fatto di non avere l'avviso recato l'indicazione chiara e inequivocabile (a) dell'ammontare delle imposte accertate, (b) della eventuale irrogazione di sanzioni e (c) della natura dell'imposta accertata.

Infine le società ripropongono nel controricorso gli ulteriori motivi di doglianza prospettati nel giudizio di merito e non analizzati dalla commissione tributaria perché rimasti assorbiti.

V. - Osserva la corte che il primo motivo del ricorso incidentale è manifestamente infondato giacché l'art. 20 del d.p.r. n. 131 del 1986 non involge la tematica dell'abuso codificato nell'art. 37-bis del d.p.r. n. 600 del 1973 (v. da ultimo Sez. 5A n. 12775-14 e n. 15319-13).

L'art. 20 del d.p.r. n. 131 del 1986 è norma che, par quanto ispirata pure a finalità genericamente antielusive, non configura una "disposizione antielusiva", Donde il richiamo all'art. 37-bis, operato dalle società, e parimenti il riferimento dell'impugnata sentenza all'art. 176 del Tuir, non è pertinente. Non solo di fatti la formulazione dell'art. 20, mutuata da altra ancora previgente, è storicamente ben anteriore al diffondersi del dibattito sull‘elusione e/o sull'abuso. Ma soprattutto essa interviene a delineare positivamente l'ambito oggettivo del rapporto giuridico tributarie di riferimento con specifica opzione per i contenuti sostanziali degli atti registrati rispetto ai relativi profili meramente cartolari (v. già Sez. 5^ n. 10273-07 e n. 2713-02). Non pone, quindi, come invece fa (in relazione a situazioni specifiche) l'art. 37-bis del d.p.r. n. 600-73, una clausola antielusiva "di chiusura" tesa a rendere comunque inopponibili all'amministrazione finanziaria atti, fatti e negozi che siano risultati privi di valide ragioni economiche (o diretti solo ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario). La prospettiva dell'art. 20 del d.p.r. n. 131 del 1986 è tutt'altra e postula soltanto che si proceda alla ricostruzione dell'obiettiva portata dell'attività negoziale sul piano degli effetti giuridici, quale che sia la scelta operata dalle parti del contratto sul piano della forma.

Pertanto, non essendo essenziale l’intento elusivo, non possono rilevare, ai fini dell’applicazione della previsione citata, le condizioni procedimentali prescritte nell'ambito della disciplina dell' art. 37-bis e in particolare quella attinente all’obbligatorietà del contraddittorio preventivo.

VI. - Il secondo motivo del ricorso incidentale è egualmente infondato in quanto a integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza dell'espressa statuizione richiesta dalla parte, ma è necessario che sia stato omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto.

In senso proprio va sottolineate che ricorre la figura dell'assorbimento, e non l'omessa pronuncia., quando la decisione sulla domanda diviene superflua per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente abbia conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno. Per tale ragione comunemente si sostiene che l'assorbimento non comporta un'omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di non luogo a provvedere o di rigetto per difetto di interesse) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprie quella dell'assorbimento (v. ex aliis Sez. n. 7663-12 nonché Sez. 1^ n. 28663-13).

Nel caso di specie la commissione tributaria regionale non ha esaminato la doglianza delle società avente a oggetto il presunto difetto di motivazione dell'avviso di liquidazione semplicemente perché ha deciso di annullare l'avviso medesimo per altra concorrente ragione di merito, considerata più liquida. In simile situazione la eccepita omissione di pronuncia è solo apparente (è, appunto, formale) e il vizio ex art. 112 c.p.c. non sussiste affatto, essendo stato invocato in presenza di una decisione (d'appello) assorbente, favorevole alle società, che aveva coinvolto tutte le questioni ulteriormente da queste sollevate avverso l'atto impositivo.

VII. - infine é inammissibile la riproposizione in questa sede delle questioni ulteriormente assorbite dall'impugnata sentenza. Le questioni invero potranno essere riproposte dinanzi al giudica del rinvio. Alla cassazione dell'impugnata sentenza in relazione ai motivi dei ricorso principale, accolti, deve far seguito il rinvio alla medesima commissione tributaria regionale, diversa sezione, per nuovo esame anche delle questioni assorbite, fermo restando che la commissione si uniformerà ai principi di diritto esposti, provvedendo anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso principale, rigetta l'incidentale, cassa l'impugnata sentenza in relazione ai profili accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale della Lombardia.