Giurisprudenza - TRIBUNALE DI CATANIA - Ordinanza 27 novembre 2014

Fallimento delle società - Fallimento originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali (in specie, s.r.l.) - Possibilità di estensione alla società di fatto tra la stessa società di capitali ed altri soci di fatto (persone fisiche o società) - Esclusione - Disparità di trattamento rispetto alla ammissibilità (ex art. 147, primo comma, della legge fallimentare) del fallimento originario della società di fatto cui partecipino società di capitali nonché rispetto alla possibilità di estensione alla società di fatto del fallimento dell'imprenditore individuale - Ingiustificata compressione del diritto di difesa dei creditori della società di fatto non assoggettabile a fallimento in estensione - Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, art. 147, comma quinto - Costituzione, artt. 3, primo comma, e 24, primo comma

 

Visto il ricorso per estensione di fallimento ex art. 147, comma 5, l. proposto in data nell'interesse della Curatela del Fallimento L.C. s.r.l. nei confronti di L.C. Sas di L.C. G. & C;

Viste le memorie difensive nell'interesse di L.C. S.a.s.;

Rilevato che la parte istante ha chiesto il fallimento in estensione ex art. 147, comma 4 e 5 l.f. della resistente deducendo l'esistenza di una società di fatto fra questa e la fallita evidenziando l'esistenza di diversi indici atti a rivelare l'esistenza di un rapporto societario di fatto;

Rilevato, in particolare, che a tal fine è stata dedotta:

a) la denominazione del tutto similare;

b) l'identità del settore merceologico in cui veniva espletata l'attività;

c) l'identità della sede legale;

d) la riferibilità ad un unico soggetto (L.C. G.) dell'amministrazione e della rappresentanza sociale;

e) l'avvenuta concessione di ipoteca da parte della resistente in favore della fallita in occasione della concessione di mutuo da parte della Unicredit S.p.a.;

Rilevato che, costituendosi in giudizio, la resistente ha contestato: da un lato, la rilevanza degli elementi indicati dalla ricorrente quale sintomo dell'esistenza di un rapporto societario di fatto; dall'altro, l'inammissibilità dell'istanza di estensione «del fallimento tanto ai sensi dell'art. 147, comma 1, l.f. (in considerazione dell'elenco di società specificamente indicate in detto comma), quanto ai sensi dell'art. 147, comma 5, l.f. (in considerazione del riferimento all'imprenditore individuale contenuta in detto comma);

Rilevato che, ancora, parte resistente ha dedotto come non sia ammissibile contemplare la partecipazione di una società di capitali a una società di fatto per la quale sia illimitatamente responsabile (e ciò in considerazione di quanto disposto dall'art. 2361, comma 2, cc e dall'art. 111-duodecies disp. att. c.c., mancando una delibera assembleare), né estendere la nozione di: «imprenditore individuale» (di cui all'art. 147, comma 5, l.f.) alla società di capitali;

Ritenuto che nel presente procedimento appare necessario sollevare d'ufficio (ex: art. 23, comma 3, l. 11 marzo 1953, n. 87), la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, comma 5, l.f. trattandosi di questione rilevante e non manifestamente infondata;

Rilevato sotto il profilo della rilevanza che è stato chiesto il fallimento di una s.d.f. fra una S.r.l. (già dichiarata fallita) e altra società (costituita nella forma di S.a.s.);

Ritenuto che una simile dichiarazione di fallimento è, allo stato, preclusa dal tenore dell'art. 147, comma 5, l.f., posto che tale disposizione prevede l'estensione del fallimento alla società di fatto costituita dall'imprenditore individuale e non anche dall'imprenditore collettivo;

Ritenuto che, sul punto, appaiono condivisibili le considerazioni già espresse dal Tribunale di Bari nell'ordinanza del 13/11/2013 (reperibile al http://www.cortecostituzionale.it/schedaOrdinanze.do?anno=2014/ & numero=66 & numero_parte=1) con cui è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, comma 5, l.f. per contrasto con gli art. 3, comma 1, e 24, comma 1, Cost.: «nella parte in cui, nell'ipotesi di fallimento originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali, non consente l'estensione del fallimento ad una società di fatto tra la società originariamente dichiarata fallita ed altri soci di fatto, siano essi persone fisiche o società»;

Ritenute condivisibili le considerazioni espresse in tale ordinanza secondo cui: «A seguito della riforma del diritto societario di cui al decreto legislativo del 17 gennaio 2003, n. 6, infatti, sono stati dissipati i dubbi in ordine alla possibilità, per le società di capitali, di partecipare a società di persone. Ed invero, ai sensi dell'art. 2361, comma 2, c.c., in tema di «partecipazioni» delle società per azioni, «l'assunzione di partecipazioni in altre imprese comportante una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle medesime deve essere deliberata dall'assemblea; di tali partecipazioni gli amministratori danno specifica informazione nella nota integrativa di bilancio». Tale regola, ancorché dettata nell'ambito della disciplina delle società per azioni, deve ritenersi applicabile anche alla società a responsabilità limitata, in virtù del testuale riferimento contenuto dell'art. 111-duodecies disp att. c.p.c., aggiunto con l'art. 9, comma 1, lettera f), del decreto legislativo del 17 gennaio 2003, n. 6 («Qualora tutti i loro soci illimitatamente responsabili di cui all'art. 2361, comma 2, siano società per azioni o società a responsabilità limitata, le società in nome collettivo o in accomandita semplice devono redigere il bilancio secondo le norme previste/per la società per azioni. Esse devono inoltre redigere e pubblicare il bilancio consolidato come disciplinato dall'art. 26 del decreto legislativo 9 aprile 1991, n. 127, ed in presenza dei presupposti ivi previsti»). 

Peraltro, lo stesso art. 147, comma 1, l. fall., come modificato dall'art. 131 del decreto legislativo del 9 gennaio 2006, n. 5, prevede che la sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro V c.c., produce anche il fallimento dei soci, «pur se non persone fisiche», illimitatamente responsabili.

Da tale sistema legislativo si evince, dunque, da un lato l'ammissibilità, nel nostro ordinamento, di società di persone cui partecipino (anche o soltanto) società di capitali, e, dall'altro, la fallibilità di tali società di capitali, ove siano socie di società di persone, e quindi socie con responsabilità illimitata.

Appare quindi ingiustificata l'esclusione dell'assoggettabilità a fallimento della società di fatto cui partecipino società di capitali, quando tale fallimento debba essere dichiarato in estensione rispetto ad un fallimento che originariamente riguardi una società di capitali.

Si crea, in tal modo, innanzitutto, una disparità di trattamento - rilevante ex art. 3, comma l, Cost. - tra società di fatto, posto che, ove il fallimento venga richiesto immediatamente nei confronti della stessa società di fatto, esso sarebbe ammissibile ex art. 147, comma 1, l. fall., mentre non sarebbe possibile ove venga richiesto in estensione, quando il fallimento originariamente dichiarato riguardi una società di capitali. Inoltre, dal momento che è certamente possibile l'estensione del fallimento di un imprenditore individuale (persona fisica) ad una s.d.f. con altre persone fisiche (o anche con società di capitali), non si vede perché tale estensione debba essere esclusa, quando il fallimento originario riguardi una società di capitali, posto che è pacifico che quest'ultima possa essere socia di una società di persone con soci illimitatamente responsabili.

Si realizza, inoltre - con riferimento all'art. 24, comma 1, Cost. - una ingiustificata compressione del diritto di difesa dei creditori, i quali sarebbero maggiormente tutelati nelle ipotesi di fallimento originariamente richiesto nei confronti della s.d.f. con partecipazione (anche o esclusivamente) di società di capitali, rispetto all'ipotesi. - identica dal punto di vista sostanziale - di estensione del fallimento da una società di capitali ad una s.d.f. della quale la società fallita, era socia illimitatamente responsabile. Allo stesso modo, avrebbero una maggiore tutela i creditori di società di fatto composte esclusivamente da persone fisiche, o comunque di società di fatto dichiarate fallite in estensione rispetto ad un imprenditore individuale, rispetto ai creditori di società di fatto pur esistenti, ma il cui fallimento non potrebbe essere dichiarato in estensione allorquando l'originario fallimento riguardi società di capitali che siano socie di società di fatto. Il che potrebbe portare anche a situazioni di abuso dello schermo societario, in relazione a società imprenditoriali svolte insieme a soggetti che non figurano direttamente come soci della società originariamente fallita;

Ritenuto che non appare possibile accedere a un'interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione in commento tramite un'interpretazione analogica dell'art. 147 l.f., come ritenuto da parte della giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Vibo Valentia 10 giugno 2011, in Banca, borsa e tit. credito, 2013, 457 e ss.; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 8 luglio 2008, in Il Fallimento, 2009, 89 e ss; Trib. Forlì 9 febbraio 2008, in Il Fallimento, 2008, 1328 e ss.);

Ritenuto, infatti, che la possibilità di dichiarare il fallimento della società di fatto costituisce eccezione alla generale regola dell'imputazione connessa alla spendita del nome (cfr. sull'eccezionalità della disposizione in commento anche: Appello Bologna 11 giugno 2008, in Il Fallimento; 2008, 1293);

Ritenuto che la disposizione eccezionale non è suscettibile di interpretazione analogica, secondo quanto disposto dall'art. 14 disp. prel. c.c., bensì unicamente di interpretazione estensiva atta a ricomprendere le ipotesi solo apparentemente escluse: a causa della non espressa menzione;

Rilevato che nella: «Relazione Ministeriale Illustrativa Riforma Procedure, Concorsuali» si legge, quanto all'art. 147, che: «Nel quarto e nel quinto commi viene recepito il noto orientamento giurisprudenziale in tema di socio e di società occulta»; 

Rilevato che l'orientamento giurisprudenziale citato nella relazione ministeriale è andato consolidandosi prima della riforma del diritto societario attuata nel 2003, in un periodo in cui era generalmente esclusa la possibilità per le società di capitali di assumere partecipazioni in società di persone; 

Ritenuto che la menzionata interpretazione estensiva appare preclusa, in primo luogo, dal fatto che il legislatore del 2007 è intervenuto dopo quattro anni dalla riforma del diritto societario e avrebbe quindi potuto nel recepire un indirizzo giurisprudenziale ipotizzare anche il fallimento in estensione della s.d.f. costituita da una società di capitali alla luce del mutato assetto normativo; 

Ritenuto, in secondo luogo, che tale interpretazione estensiva necessiterebbe anche dell'ammissione di un ulteriore passaggio logico, ossia l'ammissione dell'estensibilità del fallimento alla società di capitali (a cagione della sua partecipazione in maniera illimitata a una società di persone) anche in difetto di una delibera che ex art. 2361, comma 1, c.c.; 

Ritenuto, inoltre, che anche la giurisprudenza di legittimità ritiene che: «L'art. 147 l. fall. si riferisce esclusivamente alle società di persone, nelle quali la responsabilità illimitata e solidale del socio è conseguenza della natura del modello societario.

L'estensione del fallimento della società ai soci illimitatamente responsabili, prevista dalla norma in esame, non può applicarsi, invece, alle società di capitali, atteso che in tali società la responsabilità illimitata rappresenta un evento eccezionale: cioè, un'eventualità collegata all'assunzione da parte del socio, nel corso della vita sociale e con riferimento ad uno specifico periodo, di una responsabilità personale e solidale esclude» (Cassazione civile, sez. I 14/04/2010, n. 8964);

Ritenuto, in conclusione, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, comma 5, l. fall., nella parte in cui, nell'ipotesi di fallimento originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali, non consente l'estensione del fallimento ad una società di fatto tra la società originariamente dichiarata fallita ed altri soci di fatto, siano essi persone fisiche o altre società, per contrasto con gli articoli 3, comma l, e 24, comma 1, Cost.;

Ritenuto che va conseguentemente disposta la sospensione del presente giudizio, e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per le necessarie valutazioni;

 

P.Q.M.

 

 Visti gli articoli 134 e 137 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, comma 5, l. fall., nella parte in cui, nell'ipotesi di fallimento originariamente dichiarato  nei confronti di una società di capitali, non consente l'estensione del fallimento ad una società di fatto tra la società originariamente dichiarata fallita ed altri soci di fatto, siano essi persone fisiche o altre società, per contrasto con gli articoli 3, comma l, e 24, comma 1, Cost. 

Ordina che la presente ordinanza, a cura della cancelleria, sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri nonché comunicata al Presidente del Senato e al Presidente della Camera dei Deputati e all'esito sia trasmessa alla Corte costituzionale insieme al fascicolo processuale e con la prova delle avvenute regolari predette notificazioni e comunicazioni. 

Sospende il presente giudizio.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costituzionale 29 aprile 2015, n. 17.