Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 aprile 2015, n. 8517

Rapporto di lavoro - Contratto di lavoro interinale - Illegittimità - Sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato

 

Svolgimento del processo

 

1. Con ricorso depositato il 28.3.2011 (...) proponeva appello avverso la sentenza emessa in data 30.3.2010, con cui il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, aveva rigettato la domanda diretta alla dichiarazione di illegittimità del contratto di lavoro interinale, di nullità del termine e di riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato direttamente con la (...) con condanna al pagamento delle retribuzioni maturate dal 1.10.2003 fino al ripristino del rapporto.

Il Tribunale ha rigettato il ricorso, ritenendo il rapporto cessato per mutuo consenso, in base al rilievo che erano passati oltre quattro anni di inerzia e che l'appellante aveva svolto altri lavori.

L'appellante contestava le argomentazioni del primo giudice e chiedeva quindi la riforma della sentenza con l’accoglimento delle domande. Deduceva che il Tribunale aveva erroneamente posto a carico del lavoratore l’onere di giustificare l'inerzia, che non vi era stato l'incontro di volontà risolutoria tra le parti, ma la volontà unilaterale della società di risolvere il rapporto, che il periodo di inerzia era stato limitato e che non erano sufficienti gli ulteriori elementi indicati.

L'appellata si costituiva, contestando l'appello e chiedendone il rigetto.

2. La Corte d'appello di Roma con sentenza del 12.3.2013 - 8-4-2013 in riforma dell'impugnata sentenza, ha dichiarato l'illegittimità del contratto di lavoro temporaneo intercorsi tra le parti e l'esistenza di un rapporto a tempo indeterminato tra le parti dall'8.7.2002, con condanna della società al ripristino del rapporto e al risarcimento del danno pari alle retribuzioni perdute dalla messa in mora del 23.1.2009, oltre rivalutazione e interessi; ha condannato la società a rifondere all'appellante le spese di lite del doppio grado, liquidate in € 2.500 per il primo grado e in € 3.000,00 per l'appello, da distrarsi a favore dei procuratori dell'appellante antistatari.

3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione T. con cinque motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata.

La società ha depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

1. Il ricorso è articolato in cinque motivi.

Con i primi tre motivi la società deduce che il rapporto di lavoro si era risolto per mutuo consenso; tanto più perché - oltre all'inerzia protrattasi a lungo - il lavoratore comunque aveva trovato altro impiego. Inoltre sussistevano le ragioni di carattere temporaneo idonee a consentire l'instaurazione del rapporto di lavoro interinale. Lamenta poi la violazione del regime sanzionatorio previsto dall’art. 10 della legge n. 196 del 1997: la conversione del rapporto del interinale in rapporto a tempo indeterminato si ha soltanto nel caso di mancanza di forma scritta (secondo comma dell'art. 10 l. cit.) ma non anche in caso di violazione del primo comma del medesimo art. 10.

Con il quarto motivo la società ricorrente ha dedotto l'applicazione anche al lavoro temporaneo dell'art. 32, commi 5, 6 c. 7, della legge n. 183 del 2010.

Con il quinto motivo la ricorrente lamenta che la corte d'appello non ha tenuto conto della retribuzione percepita dal dipendente che, dopo la cessazione del rapporto di lavoro interinale, aveva trovato altro impiego retribuito.

2. II primo motivo di ricorso è inammissibile.

La Corte d'appello con valutazione di merito, sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria, ha escluso che il comportamento inizialmente di inerzia tenuto dal lavoratore potesse avere il significato tacito di adesione alla risoluzione del rapporto di lavoro.

Trattandosi di valutazione di merito, adeguatamente motivata, essa non è censurabile nel giudizio di legittimità.

2. Il secondo ed il terzo motivo del ricorso sono infondati come già ritenuto da questa Corte in vicenda analoga (Cass., sez. lav., 17 gennaio 2013, n. 1148).

La norma di riferimento è la L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 2, che consente il contratto di fornitura di lavoro temporaneo solo nelle seguenti ipotesi: "a) nei casi previsti dai ccnl della categoria di appartenenza della impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi; b) nei casi di temporanea utilizzazione di qualifiche non previste dai normali assetti produttivi aziendali; c) nei casi di sostituzione dei lavoratori assenti, fatte salve le ipotesi di cui al comma 4" (che prevede le situazioni in cui è vietata la fornitura di lavoro temporaneo).

Nella specie il contratto contratto di lavoro temporaneo non specifica la causale all’interno delle categorie consentite dalla legge. La genericità della causale rende il contratto illegittimo, per violazione della L. n. 196 del 1997, art. 1, commi 1 e 2, che consente la stipulazione solo per le esigenze di carattere temporaneo rientranti nelle categorie specificate nel comma 2, esigenze che il contratto di fornitura non può quindi omettere di indicare, ne' può indicare in maniera generica e non esplicativa, limitandosi a riprodurre il contenuto della previsione normativa.

L'illegittimità del contratto di lavoro temporaneo comporta le conseguenze previste dalla legge sul divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro, e quindi l'instaurazione del rapporto di lavoro con il fruitore della prestazione, cioè con il datore di lavoro effettivo. Infatti, l'art. 10, comma 1, collega alle violazioni delle disposizioni di cui all'art. 1, commi 2, 3,4 e 5 (cioè violazioni di legge concernenti proprio il contratto commerciale di fornitura), le conseguenze previste dalla L. n. 1369 del 1960, consistenti nel fatto che "i prestatori di lavoro sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell'imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni" (cfr. Cass. 23 novembre 2010 n. 23684; Cass. 24 giugno 2011 n. 13960; Cass. 5 luglio 2011 n. 14714).

Quando il contratto di lavoro che accompagna il contratto di fornitura è a tempo determinato, alla conversione soggettiva del rapporto, si aggiunge la conversione dello stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato, per intrinseca carenza dei requisiti richiesti dal D.Lgs. n. 368 del 2001, o dalle discipline previgenti, a cominciare dalla forma scritta, che ineluttabilmente in tale contesto manca con riferimento al rapporto tra impresa utilizzatrice e lavoratore (sul punto, v. anche: Cass. n. 1148 del 2013, cit.). L'effetto finale in questi casi è la conversione del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo in un ordinario contratto di lavoro a tempo indeterminato tra l'utilizzatore della prestazione, datore di lavoro effettivo, e il lavoratore.

3. Il quarto motivo è, invece, fondato, dovendosi dare continuità all'indirizzo giurisprudenziale, espresso da Cass. n. 1148/13 cit. e da Cass., sez. lav., 29 maggio 2013, n. 13404, che ha ritenuto applicabile l'indennità prevista dall'art. 32 co. 5° legge n. 183/10 (nei significato chiarito dal comma 13° dell'art. 1 legge n. 92/12) a qualsiasi ipotesi di ricostituzione del rapporto di lavoro avente in origine un termine illegittimo e, dunque, anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa della nullità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi della lett. a) del co. 1 o dell'art. 3 legge n. 196/97, contratto convertito in uno a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione.

A tal fine rileva, in primo luogo, l'evidente analogia tra il lavoro temporaneo di cui alla legge n. 196/97 e la somministrazione di lavoro ex artt. 20 e ss. del d.lgs n. 276/03.

In secondo, deve tenersi presente che, trattandosi di negozi collegati, la nullità del contratto fra somministratore ed utilizzatore travolge anche quello fra lavoratore e somministratore, con l'effetto finale di produrre una duplice conversione, sul piano soggettivo (ex art. 21 ult. co. d.lgs. n. 276/03 il lavoratore è considerato a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore e non più del somministratore) e su quello oggettivo (atteso che quello che con il somministratore era sorto come contratto di lavoro a tempo determinato diventa un contratto di lavoro a tempo indeterminato con l'utilizzatore).

Ma fino a quando la sentenza non accerti tale conversione, il rapporto fra utilizzatore e lavoratore finché si è protratto de facto ha avuto caratteristiche analoghe a quelle d'un rapporto a termine, di guisa che nulla preclude il ricorso alla sanzione meramente indennitaria prevista dall'art. 32 co. so cit. anche perché essa è destinata - grazie all'ampia formula adoperata dal legislatore - ai "casi di conversione del contratto a tempo determinato".

4. Il quinto motivo è conseguentemente assorbito dall'accoglimento del quarto motivo.

5. In conclusione, vanno rigettati i primi tre motivi di ricorso mentre, assorbito il quinto motivo, va accolto il quarto, con cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione che farà applicazione del seguente principio di diritto: "L'indennità prevista dall'art. 32 legge n. 183/2010 trova applicazione ogni qual volta vi sia un contratto di lavoro a tempo determinato per il quale operi la conversione in contratto a tempo indeterminato e, dunque, anche in caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore che abbia chiesto ed ottenuto dal giudice l'accertamento della nullità di un contratto di lavoro temporaneo convertito in un contratto a tempo indeterminato".

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso quanto al quarto motivo, rigettati i primi tre ed assorbito il quinto; cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.