Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 aprile 2015, n. 17711

Tributi - Reati fiscali - Omesso versamento Iva e ritenute certificate - Crisi di liquidità - Fallimento - Irrilevanza ai fini della condanna

 

Ritenuto in fatto

 

1. C.L. ha proposto ricorso avverso la sentenza delta Corte d'appello di TORINO emessa in data 26/03/2014, depositata in data 11/04/2014, con cui veniva confermata la sentenza emessa in data 7/11/2012 dal Tribunale di NOVARA, che lo aveva condannato alla pena di 1 anno di reclusione, per il reato di omesso versamento IVA per un importo pari ad € 281.049,00 relativamente alla dichiarazione annuale IVA 2006 (art. 10 ter, d. Igs. n. 74 del 2000) nonché per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate relativamente ai periodi di imposta 2006 (per un importo di € 149.181,00) e 2007 (per un importo di € 352.224,00).

2. Con il ricorso per cassazione, proposto dal difensore fiduciario cassazionista del ricorrente, vengono dedotti tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. Att. Cod. Proc. Pen.

2.1. Deduce il ricorrente, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), Cod. Proc. Pen., in particolare per inosservanza e/o errata applicazione degli artt. 42 e 43 cod. pen., 10 bis e 10 ter, d. Igs. n. 74 del 2000, difettando il dolo richiesto per la punibilità del ricorrente.

In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza per aver ritenuto il ricorrente responsabile dei reati ascritti nonostante difettasse il dolo normativamente richiesto per la punibilità dell'agente; in particolare, i giudici di appello avrebbero ritenuto irrilevanti sla la situazione di difficoltà finanziaria che la mancanza id liquidità della società di cui il ricorrente era legale rappresentante, così però violando le norme richiamate; ed invero, si sostiene, l'omesso versamento sarebbe imputabile a comportamento non voluto, in quanto in data 7/11/2008 era intervenuto il fallimento della società, risalendo dunque l'omesso versamento ad un anno prima del fatto; non poteva quindi dirsi voluta la condotta contestata, alla luce della disastrosa situazione debitoria aziendale che aveva impedito l'adempimento dell'obbligazione tributaria; difettava, pertanto, il dolo.

2.2. Deduce il ricorrente, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e) Cod. Proc. Pen., in particolare sotto il profilo della mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata per travisamento dei fatti, laddove ritiene sussistere la responsabilità del ricorrente anche sotto il profilo dell'elemento soggettivo.

In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza per aver contraddittoriamente ed illogicamente confermato la responsabilità penale del ricorrente, nonostante, da un lato, abbia ritenuto che la società versasse in situazione di difficoltà economica (ciò che, sul piano logico, rappresentava prova dell'oggettiva impossibilità di adempiere alle obbligazioni tributarie) e, dall'altro, abbia però ritenuto sussistere il dolo generico richiesto per la punibilità del reo, escludendo qualsiasi rilevanza sia alla situazione di difficoltà finanziaria che alla mancanza di liquidità, non costituenti causa di forza maggiore; la condotta del ricorrente sarebbe stata quindi necessitata, donde l'assoluto difetto di dolo.

2.3. Deduce il ricorrente, con II terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) Cod. Proc. Pen., in particolare per inosservanza ed errata applicazione dell'art. 133 cod. pen.

In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza per aver determinato in misura eccessiva il trattamento sanzionatorio; in particolare, pur avendo riconosciuto le attenuanti generiche, la pena base era stata determinata in anni 1 e mesi 6 di reclusione, senza considerare che ì fatti erano accaduti solo per le straordinarie difficoltà economiche dell'azienda e, in ogni caso, avrebbe dovuto valutare la modesta intensità del dolo.

 

Considerato in diritto

 

3. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

4. Seguendo l'ordine imposto dalla struttura dell'impugnazione proposta in sede di legittimità, devono essere esaminati il primo ed il secondo motivo che, attesa l'omogeneità dei profili do doglianza, possono essere trattati congiuntamente.

Come anticipato, con detti motivi il ricorrente censura la mancata valutazione da parte dei giudici di appello della situazione di difficoltà economica e della mancanza di liquidità aziendale che avrebbero impedito di adempiere alle obbligazioni tributarie poste alla base delle contestazioni penali mosse; la circostanza che la società fosse stata dichiarata fallita a distanza di poco più di un anno dalla scadenza dell'adempimento delle obbligazioni tributarie, era sostanzialmente dimostrativa dell'assenza di dolo.

I motivi sono manifestamente infondati ed, oltremodo, anche generici, in quanto ripropongono, senza alcuna valutazione critica degna di novità, le doglianze già sollevate con il primo motivo di appello e adeguatamente disattese dai giudici piemontesi. Ed invero, la Corte d'appello, nel valutare i profili di censura mossi, ha correttamente fatto applicazione della ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, da un lato, con riferimento al reato di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis D.Lgs. n. 74, del 2000), l'imputato può invocare la assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l'azienda, sta l'aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto (Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014 - dep. 15/05/2014, P.G. in proc. Zanchi, Rv. 259190); dall'altro, quanto al reato di omesso versamento di Iva (art. 10-ter D.Lgs. n. 74 del 2000), si è parimenti affermato che, ai fini dell'esclusione della colpevolezza, è irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo (Sez. 3, n. 2614 del 06/11/2013 - dep. 21/01/2014, Saibene, Rv. 258595).

Orbene, nel caso in esame, come si evince dalla motivazione dell'impugnata sentenza, l'allegata condizione di impossibilità per il ricorrente si far fronte alle obbligazioni assunte atteso II proprio stato di insolvenza, non risulta essere stata neppure provata sul piano processuale, essendo stato unicamente prospettato, in termini dì elevata probabilità, che detta insolenza sussistesse anche all'epoca di commissione dei reati, senza alcuna documentazione sul punto.

Quanto sopra è sufficiente per ritenere, dunque, del tutto privo di pregio quanto sostenuto dal ricorrente con i primi due motivi dì ricorso.

5. Non miglior sorte merita, infine, il terzo motivo, con cui il ricorrente si duole dell'eccessività del trattamento sanzionatorio.

Ed invero, la Corte d'appello, nell'escludere la sussistenza delle condizioni per una riduzione della pena, richiama sia l'entità rilevante degli importi non versati sia la personalità dell'imputato, gravato da precedenti penali specifici, oltre che per falsità ideologica e ricettazione, pervenendo alla conclusione che l'irrogata sanzione apparisse congrua e proporzionata all'entità degli addebiti alla luce dei parametri di cui all'art. 133 cod. pen.

La soluzione dei giudici territoriali non merita censura, atteso che gli stessi danno conto delle ragioni che hanno condotto al diniego dell'invocata rivisitazione del trattamento sanzionatorio, valorizzando in chiave ostativa sia i precedenti penali che l'entità rilevante degli importi non versati. Anche in questo caso, la Corte territoriale mostra di fare buongoverno dei principi più volte affermati da questa Corte secondo cui, com'è noto, il giudice di merito, nel valutare la concedibilità della sospensione condizionale detta pena, non ha l'obbligo di prendere in esame tutti gli elementi indicati nell'art. 133 cod. pen., ma può limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti (v., ex multis: Sez. 3, n. 6641 del 17/11/2009 - dep. 18/02/2010, Miranda, Rv. 246184; nella specie la Corte aveva ritenuto esaustiva la motivazione della esclusione del benefìcio fondata sul riferimento ai precedenti penali dell’imputato, come nel caso in esame).

6. Il ricorso dev'essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrente al pagamento dette spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria., di somma che si stima equo fissare, in euro 1.000,00 (mille/00).

7. Solo per completezza, si osserva, ì reati non sono ancora prescritti. Ed infatti, il termine ordinario di prescrizione massima, avuto riguardato alla data di consumazione dei reati, maturerà solo in data 18/09/2015; ed invero, al termine ordinario di prescrizione (7 anni e mesi 6), che comunque maturerebbe in data successiva alla presente decisione (1/04/2015), devono esser aggiunti due periodi di sospensione rilevanti ex art. 159 cod. pen. (dal 4/05/2011 al 14/12/2011 e dal 14/12/2011 al 21/10/2012). In ogni caso, l'inammissibilità originaria del ricorso, sarebbe ostativa a qualsiasi declaratoria ex art. 129 cod. proc. pen., essendo intervenuta la sentenza d'appello in data 26/03/2014 (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 - dep. 21/12/2000, De Luca, Rv. 217266).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ci ricorrente at pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.