Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 marzo 2016, n. 4783
Tributi - Accertamento induttivo - Applicazione dei parametri presuntivi D.P.C.M. 29 gennaio 1996 - Legittimazione - Sussiste - Mancata risposta all’invito al contraddittorio - Configurazione di presunzione grave di non attendibilità delle scritture
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 31 gennaio 2007 (n. 169-2005-36) la commissione tributaria regionale del Lazio ha rigettato l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate contro la decisione della commissione tributaria provinciale di Rieti (sent. 228-2002-01) che ha annullato l'avviso (n. 8801004049) col quale il fisco, stante l'omessa dichiarazione fiscale per l'anno d'imposta 1996, ha accertato presuntivamente i ricavi e il reddito imponibile nei confronti A.M..
Il giudice d'appello "...rileva, anzitutto, che l'impugnata sentenza ha giustamente ritenuto disapplicabile il decreto del presidente consiglio dei ministri del 29/1/1996 concernente i parametri presuntivi, in quanto mai approvato in palese violazione del 4° comma dell'art. 17 I. 400/1988, non essendo stato mai acquisito (né richiesto) sullo stesso il parere del consiglio di stato, come, invece, impone la norma".
Osserva, riguardo all'onere della prova, "che se le presunzioni scaturenti dai parametri sono utilizzabili ai fini dell'emissione dell'avviso di accertamento, è pur vero che, in ogni caso di contestazione, incombe all'ufficio l'onere di provare gli ulteriori elementi che giustificano la pretesa tributaria".
Precisa che, nel caso in esame, "è agevole rilevare che l'ufficio ha basato la sua pretesa esclusivamente sulla base delle presunzioni scaturenti dall'applicazione automatica dei parametri senza, però, tenere conto delle reali condizioni economiche dell'impresa".
Conclude affermando che "il contribuente ha, invece, allegato - senza alcuna contestazione da parte dell'ufficio - che la sua impresa aveva natura artigiana svolgente attività di movimento di terra e tutte le altre lavorazioni ad essa collegate, che non generavano grosse movimentazioni di merci".
Per la cassazione di tale decisione l'amministrazione propone ricorso che, inoltrato per la notifica lunedì 17 marzo 2008, risulta consegnato solo al domicilio personale del contribuente. Stante la mancata costituzione di quest'ultimo, la Corte, ritiene nulla la notifica e ne dispone la rinnovazione presso il difensore costituito entro il termine di novanta giorni, giusta ordinanza comunicata il 16 marzo 2015. Indi, l'avvocatura erariale - avvalendosi del disposto degli articoli 6 e 9 I. 53/1994, 23 d.lgs. 53/2005, 55 I. 69/2009 - nei testi vigenti e applicabili "ratione temporis", adempie con notificazione a mezzo di PEC, perfezionatasi con spedizione e consegna telematiche, avvenute il giorno 9 giugno 2015. Nel contempo provvede a tempestiva notifica a mezzo del servizio postale, regolarmente perfezionatasi per compiuta giacenza accompagnata da raccomandata informativa. Ciononostante il contribuente non spiega alcuna difesa.
Considerato in diritto
Con il primo motivo la ricorrente censura l'insufficiente motivazione della sentenza d'appello laddove ritiene che "l'ufficio avesse determinato il maggior reddito in base ai pareri presuntivi, anziché soffermarsi a verificare se l'ufficio fosse legittimato ad avvalersi dell'accertamento in via sintetica [...] su cui si era bastato l'atto impositivo".
Il motivo è fondato.
Le righe finali del motivo, sopra virgolettate, costituiscono la prescritta conclusione mediante apposito momento di sintesi (Cass. 24255/2011) e prospettano un quesito su fatto controverso e decisivo in senso storico e normativo (Cass. 16655/2011, Rv. 619467). Trascura, infatti, il giudice d'appello che il fisco ha fatto ricorso al ragionamento induttivo unicamente per estrapolare dai dati disponibili il cd. "principio di rotazione" cioè l'indice che esprime la frequenza del rinnovo delle scorte dei beni destinati all'attività. Sul punto è chiaro il riferimento contenuto nell'atto impositivo nella parte saliente trascritto a pag. 9 del ricorso erariale e trascurato dalla C.t.r..
Con il secondo e il terzo motivo la ricorrente censura la sentenza d'appello laddove ritiene illegittimo il procedimento di approvazione dei cd. parametri e denuncia la violazione della L. 400/1988 (art. 17), del D.P.C.M. 29 gennaio 1996, della L. 549/1995 (art. 3, co. 181-183-184-186), del D.P.R. 195/1999 (art. 4).
Il motivi sono fondati, poiché la procedura speciale di approvazione dei parametri previsti dall'art. 3, co. 181, L. 549/1995, in quanto derogatoria rispetto a quella statuita dall’art. 17 L. 400/1988, non necessita del preventivo parere del Consiglio di Stato (Cass. 27656/2008).
In particolare, il D.P.C.M. 29 gennaio 1996 (sulla Elaborazione dei parametri per la determinazione di ricavi, compensi e volume d'affari sulla base delle caratteristiche e delle condizioni di esercizio sull’attività svolta, determinati ai sensi dell’art. 3, co. 181, cit.) non è un atto di natura regolamentare - né attuativo di legge, né delegificante -, non essendo espressione di una potestà normativa, secondaria rispetto a quella legislativa, attribuita all'ammistrazione, e non disciplina in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge. Esso è solo un provvedimento amministrativo a carattere generale, in quanto espressione di una semplice potestà amministrativa, essendo rivolto alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili. (Cass. 16055/2010).
Si tratta di principi di diritto ampiamente consolidati ai quali va data ulteriore continuità non essendovi ragione per discostarsene.
Con il quarto motivo la ricorrente censura la sentenza d'appello laddove afferma che incombe all'ufficio provare gli ulteriori elementi che giustificano la pretesa tributaria mentre omette di considerare che il contribuente si è sottratto a ogni invito al contraddittorio e non ha depositato la documentazione contabile richiesta, così violando sia l'art. 39, co. 2, D.P.R. 600/1973, in materia di accertamento induttivo, sia l'art. 2696 cod. civ., riguardo all'onere della prova.
Il motivo è fondato bene potendo l'ufficio basare il proprio accertamento sugli standards parametrici in caso d'invito al contraddittorio inutilmente rivolto al contribuente (Cass. 11633/2013) rendendo così grave la presunzione di non attendibilità delle sue scritture (Cass. 17968/2013). Si tratta di principi di diritto ampiamente consolidati ai quali va data ulteriore continuità non essendovi ragione per discostarsene.
Con il quinto motivo la ricorrente censura sul piano dell'omissione motivazionale la sentenza d'appello laddove trascura totalmente i dati offerti dall'amministrazione (e trascritti in ricorso) mentre dà credito alle tesi del contribuente semplicemente affermando "che la sua impresa aveva natura artigiana svolgente attività di movimento di terra e tutte le altre lavorazioni ad essa collegate, che non generavano grosse movimentazioni di merci".
Il motivo è fondato perché l'argomentazione non è coerente sul piano logico e giuridico. Così facendo la C.t.r. elude completamente i rilievi principali del fisco quali ad esempio: a) la sconnessione economica tra l'ammontare degli acquisti e i volumi d'affari significativamente inferiori, questi ultimi peraltro inspiegabilmente ridottisi nel tempo da 250 milioni di lire circa nel 1993 a 74 milioni di lire circa del 1996; b) la sconnessione economica tra i 697 milioni di lire circa di crediti verso clienti e gli 864 milioni di lire circa di debiti verso fornitori; c) l'ingiustificato e progressivo aumento delle rimanenze passate da 230 milioni di lire nel 1994, a 290 milioni di lire nel 1995, a 337 milioni di lire nel 1996; d) l'ingiustificata espansione dei beni strumentali da 38 milioni di lire circa nel 1993 a 329 milioni di lire circa nel 1996; d) le ingiustificate omissioni riguardo ai prospetti degli estremi contrattuali e alle schede di lavorazione dei cantieri, il tutto prescritto per i lavori di durata superiore all'anno dall'art. 60 TUIR.
Accolti tutti i motivi di ricorso, la sentenza d'appello deve essere cassata con rinvio alla C.t.r. competente che, in diversa composizione, procederà a nuovo e motivato esame della vertenza,secondo principi giuridici e regolativi sopra enunciati, e liquiderà anche delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza d'appello e rinvia la causa, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione.