Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 settembre 2025, n. 26170

Licenziamento collettivo - Intermediazione illegittima di manodopera - Codatorialità - Integrazione societaria - Obbligazioni solidali - Accoglimento

 

Fatti di causa

 

1. L. B., dipendente di G. C. dal 2003 con inquadramento nella 3a cat. CCNL Industria e mansioni, dapprima, di gestione e lavorazione dei reclami, e, successivamente, di team leader presso il call center S./P.I. di Roma, licenziata con lettera 2.8.2016 nell'ambito di procedura collettiva per riduzione del personale degli addetti alla commessa S./P., ricorreva al Tribunale di Roma per l’accertamento di intermediazione illegittima di manodopera effettuata da G. C. in favore di S. E. C., ovvero, in subordine, di illegittimo e fraudolento frazionamento societario tra S. E. C., U. e G. C., facente capo a S. E. C., in quanto società controllante ed effettivo datore di lavoro, e per la declaratoria, per l’effetto, della sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata a tempo indeterminato con S. E. C. e la condanna di questa società al ripristino del rapporto, con corresponsione delle retribuzioni arretrate e regolarizzazione previdenziale, oltre domande ulteriormente subordinate nei confronti di U. e P.I..

2. Il Tribunale accoglieva l’eccezione di giudicato esterno rispetto all'ordinanza 15.6.2017 non opposta, con cui il licenziamento collettivo intimato anche alla ricorrente era stato dichiarato illegittimo con conseguente reintegrazione alle dipendenze di G. C..

3. La Corte d’Appello di Roma, per quanto qui rileva, rigettava l’appello con diversa motivazione, ritenendo non dimostrate l’unitarietà del centro di interesse sulla base di operazione fraudolenta, l'integrazione societaria in forme che effettivamente riflettessero un’ingerenza tanto pervasiva da annullare l'autonomia organizzativa delle singole società operative, l’utilizzazione promiscua della forza lavoro da parte delle diverse società del gruppo.

4. Sul piano sistematico, la Corte di Roma valutava non sussistente un interesse di gruppo, alla cui soddisfazione dovrebbe tendere la prestazione del lavoro in codatorialità (esprimeva perplessità su tale nozione, comunque non potendosi ravvisare tale elemento in un mero collegamento tra società, seppure qualificato), pur evidenziando “la sussistenza di precedenti di segno contrario anche di questa Corte su analoghe controversie”.

5. Avverso tale sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi; hanno resistito S. E. C. e P.I.; Fallimento n.640/2017 G. C. s.p.a. e U. in liquidazione s.p.a. non hanno svolto attività difensiva; tutte le parti costituite hanno depositato memoria.

6. Il PG ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

7. All’odierna pubblica udienza la causa è stata discussa dalle parti e trattenuta in decisione.

 

Ragioni della decisone

 

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., che erroneamente la Corte territoriale non ha ravvisato, nella struttura dei rapporti tra P., S., G. ed U., i caratteri distintivi del gruppo d’imprese e del centro unitario di interessi, sia come operazione di carattere fraudolento sia di carattere genuino, con omessa valutazione, a tale fine, del verbale di assemblea della società U. del 16.3.2016.

2. Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia, ex art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1294, 1344, 2094, 2359, 2497, 2697 c.c., 9 legge n. 192/1998, 27, 29 d. lgs. n. 276/2003, 115, 116 c.p.c., per non avere la Corte d’Appello ravvisato l’esistenza di un gruppo di imprese, di un centro unitario di interessi tra P., S., G. e U., laddove ha richiesto come requisito della codatorialità lo svolgimento della prestazione per entrambi i datori, piuttosto che valorizzare la totale integrazione fra le attività di S., G. e U., che non consentiva di distinguere nell'ambito dell'attività prestata dalla lavoratrice quanto riferibile all'una o all'altra società con prestazione da ritenersi effettuata in favore dell'unico soggetto datoriale risultante dall'integrazione della struttura organizzativa e amministrativa.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce, ex art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. per aver la Corte territoriale ritenuto che l’ordinanza ex legge n. 92/2012, passata in giudicato, ottenuta dalla lavoratrice nei confronti del datore di lavoro formale (G. C.) avrebbe esteso i suoi effetti anche a parti diverse da quelle coinvolte in quel giudizio e all’accertamento, oltre che dell’illegittimità del licenziamento, anche alla sussistenza del sottostante e presupposto rapporto di lavoro, così precludendo la possibilità di avanzare domanda giudiziale finalizzata all’accertamento della intermediazione di manodopera.

4. È preliminare l’esame del secondo motivo (come rilevato dal PG), che è fondato.

5. Questa Corte ha evidenziato, in controversia analoga (Cass n. 17736/2024; ma v. anche le successive pronunce n. 22509/2024, n. 16839/2025, 16840/2025) che:

- il collegamento economico-funzionale tra imprese, ai fini dell’individuazione di un centro unitario di imputazione dei rapporti di lavoro, è stato ritenuto sussistente in presenza dei seguenti requisiti:

a) unicità della struttura organizzativa e produttiva;

b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune;

c) coordinamento tecnico e amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune;

d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori (v., ad.es, Cass. n. 19023/2017, n. 26346/2016, n. 3482/2013, n. 25763/2009, n. 11107/2006);

- tali caratteristiche fattuali sono state, dalla giurisprudenza più recente con nuova sistemazione dogmatica, sganciate dalla necessità di prova dell’abusiva frammentazione societaria, nel senso dell’ammissione di una codatorialità in riferimento anche a gruppi genuini, anche sulla scia della nozione di "direzione e coordinamento" di società, introdotta nell'art. 2497 c.c., in coerenza col peso attribuito dall'ordinamento europeo alla nozione di gruppo di imprese;

- il fenomeno dell'integrazione societaria può evolversi in forme molteplici, non necessariamente di strumentalizzazione della struttura di gruppo, ma anche di fisiologica integrazione;

- in presenza di gruppi genuini, ma fortemente integrati, può esistere un rapporto di lavoro che veda nella posizione del lavoratore un'unica persona e nella posizione del datore di lavoro più persone giuridiche, rendendo così solidale l'obbligazione del datore di lavoro;

- valorizzando proprio gli indici di integrazione tra società collegate economicamente e funzionalmente, quali tratti caratteristici della fattispecie della direzione e del coordinamento di società, nel momento in cui venga accertata (con specifico riguardo al rapporto di lavoro e dall’angolazione del lavoratore) l’utilizzazione promiscua della forza lavoro da  parte delle diverse società del gruppo, queste possono essere considerate codatrici del medesimo lavoratore, secondo lo schema dell’obbligazione soggettivamente complessa, in base al principio di effettività.

6. In sintesi, si è affermato che la codatorialità nell'impresa di gruppo presuppone l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione economica complessiva a cui appartiene il datore di lavoro formale, nonché la condivisione della prestazione del medesimo, al fine di soddisfare l'interesse di gruppo, da parte delle diverse società, che esercitano i tipici poteri datoriali e diventano datori sostanziali, secondo le regole generali di imputazione del rapporto all'effettivo utilizzatore della prestazione, ovvero agli effettivi utilizzatori promiscui secondo i principi delle obbligazioni solidali.

7. In questo senso l’emersione della nozione di codatorialità (tipica e atipica) nel rapporto di lavoro, presuppone, per la sua configurazione, l’accertamento delle due concorrenti condizioni dell’esercizio contemporaneo dei poteri datoriali da parte di più soggetti, e dello svolgimento della prestazione lavorativa nell’interesse condiviso di soggetti tra di loro formalmente distinti; al di là della verifica di frammentazioni fraudolente fra più società al fine di elusione di norme imperative anche in materia di rapporti di lavoro, caratterizzati da un punto di vista sostanziale i tratti dell’unitario centro di imputazione (anche genuino dal punto di vista del gruppo societario), la nozione di codatorialità utilizzata nella più recente giurisprudenza identifica ipotesi di contitolarità del contratto di lavoro, cui consegue il riconoscimento della responsabilità solidale tra tutti i datori di lavoro.

8. Lo schema plurisoggettivo estende la tutela del lavoratore-creditore nei confronti di tutti i soggetti giuridici coinvolti per parte datoriale-debitrice, in termini di responsabilità solidale con riguardo alle obbligazioni discendenti per quest’ultima dal rapporto di lavoro, ossia, in principalità, il credito-debito retributivo (alla retribuzione unitaria conforme alla qualità e quantità del lavoro prestato) e la protezione da licenziamento illegittimo.

9. Caratteristica delle obbligazioni solidali in generale è, infatti, la tutela dell'interesse all'esatto adempimento della medesima prestazione principale (cfr. Cass. n. 8874/2021, n. 28356/2019, n. 7704/2018); in presenza di un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro ovvero di codatorialità, tutti i fruitori dell'attività lavorativa devono essere considerati responsabili delle obbligazioni che scaturiscono da quel rapporto, in virtù della presunzione di solidarietà prevista dall'art. 1294 c.c.

10. Detto orientamento della giurisprudenza di questa Corte è stato espresso, in particolare, a partire da Cass. n. 267/2019, e sviluppato, tra le altre, da Cass n. 3899/2019, n. 6664/2019, n. 16566/2020, n. 3899/2019, n. 31519/2019, n. 13207/2022, n. 16975/2022, n. 17736/2024, n. 22509/2024, n. 16839/2025, 16840/2025.

11. La Corte di Roma, con la sentenza gravata, non ha valorizzato gli indici di integrazione tra società collegate economicamente e funzionalmente, in rapporto all’utilizzazione promiscua della forza lavoro (e specificamente della lavoratrice odierna ricorrente) da parte delle diverse società del gruppo, ossia l'inserimento della lavoratrice nell'organizzazione economica complessiva a cui appartiene il datore di lavoro formale, con ciò incorrendo in errore di sussunzione, essendo, come detto, configurabile, in presenza di significativi elementi di collegamento, una condizione di codatorialità, in base al principio di effettività, nel caso di domanda del lavoratore intesa ad accertare un rapporto plurisoggettivo.

12. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata in relazione al motivo in esame, che assorbe il primo.

13. Risulta, invece, inammissibile, il terzo motivo, perché, in realtà, la sentenza impugnata, a differenza di quella di primo grado, ha escluso la rilevanza nella presente controversia del giudicato relativo all’impugnazione del licenziamento collettivo, ed è pertanto conforme alla pronuncia di questa Corte n. 32412/2023), cui il Collegio intende dare continuità, secondo cui, a fronte del recesso del formale datore di lavoro, era interesse del lavoratore salvaguardare la permanenza del rapporto di lavoro e la retribuzione, facendo valere l'invalidità del recesso intimato dall'apparente datore di lavoro; tuttavia, ciò non significa rinunciare all'accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro nei confronti di quello che si ritiene essere l'effettivo datore di lavoro, come nel caso di specie; pertanto, non sussiste preclusione rispetto alla possibilità di agire in giudizio per l'accertamento della sussistenza di codatorialità, in quanto le vicende relative al rapporto di lavoro formalmente in essere non incidono sul rapporto di lavoro sostanziale intercorrente con diverso (o plurimo) datore di lavoro.

14. Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere cassata in accoglimento del primo motivo, con rinvio alla medesima Corte d'Appello, in diversa composizione, per  procedere a un nuovo esame della fattispecie alla luce dei principi in materia di codatorialità sopra indicati (§§ 5- 10), nonché per procedere alla regolazione delle spese, incluse quelle del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, inammissibile il terzo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.