Prassi - CONSIGLIO NAZIONALE DOTT COMM E ESP CON - Comunicato 21 settembre 2020

Stp poco utilizzabili, migliorare la normativa - Un documento Cndcec - Fnc ne esamina gli aspetti civilistici, tributari e previdenziali e avanza proposte per il loro potenziamento

 

Rendere le Società tra professionisti (STP) un modello più e meglio utilizzabile, superandone gli evidenti limiti emersi sin dal momento della loro istituzione. E’ questo l’obiettivo delle proposte migliorative della normativa contenute nel documento "La disciplina delle società tra professionisti: aspetti civilistici, tributari e previdenziali" messo a punto dal Consiglio e dalla Fondazione nazionale dei commercialisti. Muovendo dal principio per cui la STP svolge un’attività professionale e non attività di impresa, i commercialisti propongono di intervenire prevedendo una gestione della società riservata unicamente a soci professionisti e un riconoscimento ai soci professionisti di STP del privilegio per i crediti professionali. Tra le proposte della categoria anche l’esclusione della STP dall’ambito applicativo della legge fallimentare e l’attrazione alla disciplina delle crisi da sovraindebitamento. In ambito fiscale la principale richiesta è quella di mettere a punto una norma di interpretazione autentica sulla neutralità fiscale delle operazioni di conferimento, apporto, trasformazione e fusione di studi individuali, associati e società semplici in STP e delle operazioni inverse.

"Le STP - afferma il presidente della categoria, Massimo Miani - sono potenzialmente uno strumento virtuoso per l’esercizio in comune della professione, alternativo allo studio individuale o associato, che si è però finora rivelato poco utilizzabile e che va quindi decisamente riformato. Il nostro documento, muovendo dalle indicazioni fornite dal Consiglio Nazionale e dalle prassi registrate in ambito locale, esamina la disciplina della STP evidenziandone gli aspetti controversi e le problematiche emerse in sede di applicazione, e tenta di fornire alcune soluzioni interpretative che possano facilitare l’utilizzabilità del modello, ma soprattutto orientare possibili interventi di modifica de jure condendo".

"Il modello STP - aggiunge Miani - ha evidenziato negli 8 anni di vigenza molte contraddizioni. La norma è apparsa da subito quanto mai incoerente con le esigenze dei professionisti. Gli interventi migliorativi dovrebbero partire da una configurazione ad hoc di un modello societario, soggetto di diritto, capace di aggregare l’attività intellettuale di molti professionisti regolandone le modalità e le obbligazioni a garanzia della pubblica fede. Come emerge chiaramente dall’esame di questo documento, troppo poco le STP offrono ai professionisti per renderli davvero competitivi. Un modello societario che troppo mutua dal modello commerciale, a partire dal cardine organizzativo che è il capitale conferito, mentre i professionisti sono molto più inclini a riconoscere quale cardine della aggregazione l’integrazione del sapere professionale e della attività che ne deriva".

Secondo il consigliere nazionale delegato al diritto societario, Massimo Scotton "se il legislatore vorrà emendare, correggere, integrare la normativa dovrebbe far si che le STP, oltre alla condivisione di spese e costi, possano realizzare un’integrazione di competenze e conoscenze specialistiche differenti, ponendosi sul mercato in maniera competitiva e accedendo, anche grazie a una maggiore patrimonializzazione, più facilmente al mercato del credito. La nostra analisi ha messo in luce come la normativa attuale disincentivi il ricorso massivo a questo strumento. Ripetute sono stati le proposte in materia avanzate dal nostro Consiglio nazionale anche nel documento recentemente depositato nel corso dell’audizione in commissione Finanze alla Camera. Il nostro auspicio è che vengano accolte in sede di conversione dei numerosi decreti emergenziali emanati in questo periodo.

"Nell’era post-covid - conclude Scotton - la domanda di servizi muterà. Per rispondere al nuovo contesto la professione dovrà poter contare su strumenti operativi e dimensionali che le consentano di competere ed espandersi con efficaci modalità quali-quantitative che permettano adeguate marginalità creando altresì una prospettiva per l’inquadramento nelle STP dei giovani neo abilitati portatori di risorse, anche specialistiche, e quindi contributori alla realizzazione di una dimensione corporate delle attività professionali".

 

Allegato

La disciplina delle società tra professionisti

Aspetti civilistici, fiscali e previdenziali

 

SOMMARIO

INTRODUZIONE

PARTE PRIMA - ASPETTI CIVILISTICI

1. Premessa

2. I tipi societari

3. La sede

4. La denominazione o la ragione sociale

5. I soci

5.1. La partecipazione dei soci professionisti al capitale della società e sulle maggioranze

5.2. La prestazione professionale dei soci

6. Il conferimento dello studio

7. L’amministrazione della STP

8. L’oggetto sociale

9. Il conferimento dell’incarico e l’esecuzione dell’incarico

10. Le responsabilità

11. L’iscrizione nel registro delle imprese e nella sezione speciale dell’Albo. Cancellazione dall’Albo

12. L’incompatibilità

13. Il regime disciplinare

14. La trasformazione dello studio associato

15. Il privilegio del credito professionale

16. La STP e l’assoggettabilità alle procedure concorsuali

PARTE SECONDA - ASPETTI FISCALI

1. LA QUALIFICAZIONE FISCALE DEL REDDITO DELLE SOCIETÀ TRA PROFESSIONISTI

2. IL TRATTAMENTO FISCALE DELLE SOMME PERCEPITE DAI SOCI

3. I PRINCIPI GENERALI DI DETERMINAZIONE DEL REDDITO

3.1. Le società tra professionisti costituite in forma di società semplice

3.2. Le società tra professionisti costituite in forma di società di persone commerciali

3.2.1. Le società tra professionisti in contabilità semplificata

3.2.2. Le società tra professionisti in contabilità ordinaria

3.3. Le società tra professionisti costituite in forma di società di capitali o cooperativa

4. ASPETTI PECULIARI RELATIVI ALLA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DELLE SOCIETÀ TRA PROFESSIONISTI

COSTITUITE IN FORMA DI SOCIETÀ DI CAPITALI O COOPERATIVA

5. LE SOCIETÀ TRA PROFESSIONISTI E GLI INDICI SINTETICI DI AFFIDABILITÀ FISCALE

6. L’EVOLUZIONE DELLO STUDIO INDIVIDUALE O ASSOCIATO: CESSIONE, CONFERIMENTO E TRASFORMAZIONE

6.1 Il conferimento dello studio professionale in STP

6.1.1. Conferimento di beni strumentali

6.1.2. Conferimento di beni diversi da quelli strumentali

6.2 La trasformazione dello studio professionale in STP

PARTE TERZA - TRATTAMENTO PREVIDENZIALE

CONCLUSIONI

 

INTRODUZIONE

 

Il documento "La disciplina delle società tra professionisti: aspetti civilistici, tributari e previdenziali" fettua un accurato esame della normativa e delle prassi in uso in relazione alla disciplina della STP ex lege n. 183/2011.

Le recenti novità introdotte con il d.l. n. 23/2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 40/2020, tramite le quali viene riconosciuta alla STP e alle associazioni professionali la possibilità di accedere alla garanzia concessa dalla SACE per far fronte alla situazione emergenziale causata dalla Pandemia, hanno stimolato l’attuale riflessione per tentare di comprendere quali siano le future prospettive di diffusione del modello STP per l’esercizio della professione, alternativo allo studio  individuale o associato, che risulti in linea con le attuali esigenze di mercato richiedenti, nei settori professionali, competenze diversificate, ma al contempo specializzate.

Il documento, muovendo dalle indicazioni fornite dal Consiglio Nazionale e dalle prassi registrate in ambito locale, esamina la disciplina della STP ex lege n. 183/2011 evidenziandone gli aspetti controversi e le problematiche emerse in sede di applicazione, e tenta di fornire alcune soluzioni interpretative che possano facilitare l’utilizzabilità del modello, ma soprattutto orientare possibili interventi di modifica de jure condendo.

In verità, il modello STP ha evidenziato in questi 8 anni di vigenza tutte le contraddizioni che del resto erano già state evidenziate dal CNDCEC immediatamente dopo la loro (imprevedibile) emanazione, che ricordiamo avvenne con un emendamento apportato in extremis alla legge di bilancio 2012, ultimo atto del Governo allora in carica, sotto la pressione della crisi finanziaria che ne decretò la fine. Da subito, la norma apparve quanto mai incoerente con le esigenze dei Professionisti che pure, unitariamente, avevano promosso nei mesi antecedenti la legiferazione di un modello societario ad hoc, le Società di Lavoro Professionale, sulla scia delle esperienze di altri Paesi europei che alle Professioni intellettuali avevano dedicato un modello societario il cui elemento fondante fosse la condivisione dell’attività intellettuale, prima e piuttosto che del capitale utile all’esercizio della stessa.

Proprio da questa configurazione ad hoc, di un modello societario, soggetto di diritto, capace di aggregare l’attività intellettuale di molti Professionisti regolandone le modalità e le obbligazioni a garanzia della pubblica fede, si dovrebbe ripartire per revisionare e correggere la esistente normativa delle STP. Le STP, in effetti e per quanto emerge anche dall’esame accurato di questo documento, troppo poco hanno mostrato di offrire ai Professionisti per renderli davvero competitivi su un mercato, sempre meno locale, che richiede a più voci competenze specialistiche ed integrazioni delle stesse. Un modello societario che troppo mutua dal modello commerciale, a partire dal cardine organizzativo che è il capitale conferito, mentre i Professionisti molto più inclini sono a riconoscere quale cardine della aggregazione l’integrazione e la congiunzione del sapere professionale e della attività che ne deriva. Se il Legislatore vorrà emendare, correggere, integrare la normativa delle STP dovrebbe partire da questo assunto di base così che le STP, oltre alla condivisione di spese e costi, possono realizzare tale integrazione di competenze e conoscenze specialistiche differenti, ponendosi sul mercato in maniera competitiva e accedendo, anche grazie a una maggiore patrimonializzazione, più facilmente al mercato del credito.

Si tratta dunque di un documento che, tramite la ricognizione dei vari problemi emersi nella pur modesta numerosità delle esperienze, è già in grado di indicare i correttivi alla attuale normativa per addivenire al modello societario che i Commercialisti individuano quale strumento di effettivo sviluppo e che già in passato avevano promosso per essere come sempre Utili al Paese prima ancora che a sé stessi.

 

PARTE PRIMA - ASPETTI CIVILISTICI

 

1. Premessa

La situazione emergenziale provocata dalla pandemia da Covid-19 e le rilevanti ricadute che l’emergenza avrà sul tessuto economico e, in particolare sull’organizzazione dell’attività dei liberi professionisti, nonché le recenti novità contenute nella decretazione d’urgenza emanata durante la pandemia (1), offrono l’occasione per spendere alcune riflessioni in ordine alla diffusione delle società tra professionisti come modello per l’esercizio della professione e alternativa allo studio  individuale o associato. La società tra professionisti (di seguito STP), infatti, oltre alla condivisione di spese e costi, può contribuire alla realizzazione della piena integrazione di competenze e conoscenze specialistiche differenti, ponendosi sul mercato in maniera competitiva e accedendo, anche grazie a una maggiore patrimonializzazione, più facilmente al mercato del credito.

Può risultare utile, pertanto, riprendere e sviluppare le riflessioni già condotte sulla disciplina delle STP, costituite ai sensi della legge 12 novembre 2011, n. 183 (di seguito legge n. 183/2011), evidenziando le problematiche emerse nell’applicazione della farraginosa normativa di riferimento, tentando di fornire alcune soluzioni interpretative che possano facilitare la diffusione del modello, ma soprattutto orientare possibili interventi di modifica con l’intento di migliorarne la disciplina.

Dalla data di pubblicazione del Decreto Ministeriale 8 febbraio 2013, n. 34 (di seguito, D.M. n. 34/2013), recante il regolamento attuativo dell’art. 10, commi 4, lett. c), 6 e 7 della legge n. 183/2011, ad oggi, non poche sono state le richieste di chiarimenti pervenute al Consiglio Nazionale da parte degli Ordini locali circa la corretta interpretazione della normativa sulle società tra professionisti e non rare sono state le interlocuzioni avute con il mondo politico e con le istituzioni, al fine di fornire chiarimenti o al fine di sollecitare interventi di modifica della vigente disciplina.

Costretti a muoversi nell’ambito di una cornice normativa foriera di non rare incertezze, un ruolo decisivo è stato affidato agli statuti e alle istruzioni diffuse dagli Ordini professionali chiamati, questi ultimi, a esercitare, oltre alle funzioni istituzionali declinate nelle rispettive leggi professionali, gli importanti adempimenti prescritti nella legge n. 183/2011 e nel D.M. n. 34/2013.

Il formante giurisprudenziale non ha fornito un valido aiuto agli interpreti, considerata la scarsezza delle pronunce che si sono occupate della materia. Anche sul fronte delle prassi amministrative l’istituto è pressoché sconosciuto.

Solo recentemente è stata accordata alla STP la possibilità di costituire reti di esercenti la professione a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 81/2018 (2). In argomento, la Nota del MISE del 28 gennaio 2020, n. 23331, richiamando la circostanza per cui la pubblicità del contratto di rete deve essere assolta tramite iscrizione (effettuata a margine di ciascuna posizione nel registro delle imprese di ogni imprenditore) nel registro delle imprese, ha concluso che qualora si tratti di reti costituite tra singoli professionisti, pur essendo validamente concluso, il contratto di rete non potrà essere iscritto come richiede la normativa, perché il professionista non risulta iscritto nel registro delle imprese.

Diversamente è a dirsi quando il retista sia una STP, considerato che la società è tenuta ex lege all’obbligo di iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese.

Per quanto attiene all’impianto normativo, inoltre, la disciplina delle STP ex lege n. 183/2011 è stata affiancata dalla nuova regolamentazione delle società tra avvocati. Come è noto, l’art. 1, comma 141, della legge 4 agosto 2017, n. 124, ha modificato le previsioni della legge n. 247/2012 (Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense) inserendo l’art. 4-bis, recante la disciplina di riferimento per l’esercizio della professione forense in forma societaria (STA). Di talché, con l’intento di garantire maggiore concorrenzialità nell'ambito della professione forense, si è, per un verso, consentita la  partecipazione al socio non professionista e, per altro verso, disciplinata anche la STA multidisciplinare costituita da avvocati e professionisti iscritti in diversi Albi professionali. Trattandosi di lex specialis, la nuova disciplina della STA di cui all’art. 4-bis della legge n. 247/2012, prevale sulle generali previsioni contenute nell’art. 10 della legge n. 183 del 2011 e sulla parimenti speciale, ma anteriore, disciplina contenuta nel D.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96.

Essendo precluso agli avvocati partecipare a società tra professionisti che non siano STA (3), si è reputato opportuno, dunque, procedere con un ragionato raffronto tra la disciplina di riferimento per la STP costituita ex lege n. 183/2011 e la disciplina della STA ex art. 4-bis della legge n. 247/2012, anche al fine di orientare i professionisti iscritti all’Albo dei Commercialisti che intendano costituire STA multidisciplinari con avvocati iscritti all’Albo degli esercenti la professione forense.

 In tale ultimo caso, difatti, considerata la specialità della normativa di riferimento per la costituzione della STA, la legge generale n. 183/2011 non trova applicazione e la STA, sebbene multidisciplinare, è assoggetta allo "statuto" della società tra avvocati (4). Resta da considerare, peraltro, se possa essere utile colmare eventuali vuoti normativi della disciplina della STA tramite l’applicazione analogica delle disposizioni della legge n. 183/2011.

In conclusione, con l’intenzione di effettuare una ricognizione completa degli aspetti di maggiore criticità, si è tentato di fornire soluzioni circa alcune problematiche ancora aperte, quali sono, a titolo d’esempio, quelle del riconoscimento del privilegio per i crediti professionali e della eventuale non assoggettabilità delle STP al fallimento (liquidazione giudiziale, de futuro).

 

2. I tipi societari

Per quanto concerne le STP costituite, costituite ai sensi della legge n. 183/2011, dai professionisti iscritti all’Albo dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, anche in società con altri professionisti ordinistici, l’art. 10, comma 3, della citata legge continua a rappresentare la norma di riferimento relativa ai tipi societari concretamente fruibili dai soci.

Come è noto, la disposizione consente "la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V, VI del libro V del codice civile. Le società cooperative di professionisti sono costituite da un numero di soci non inferiori a tre".

Ferme restando le discipline di settore specificatamente indirizzate ad alcune professioni, un primo generale corollario che si evince con chiarezza dalla disposizione, e che occorre qui ribadire, concerne l’ambito applicativo della legge n. 183/2011, destinata a disciplinare unicamente l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico in forma societaria. Di talché non possono essere costituite STP per l’esercizio di attività professionali differenti da quelle regolamentate, svincolate dalla vigilanza degli Ordini professionali e dei Ministeri preposti nonché dall’osservanza delle previsioni degli Ordinamenti professionali e dei codici deontologici di riferimento.

Di poi, la richiamata disposizione chiarisce che le STP possono essere costituite ricorrendo, sia ai tipi societari delle società di persone che a quelli delle società di capitali, ovvero anche al tipo della società cooperativa, stabilendo, con riferimento a quest’ultima, che i soci devono essere almeno tre.

Non rappresentando la società tra professionisti un genere autonomo con causa propria (come invece avrebbe dovuto, con il necessario corollario di una normativa che cogliesse più e meglio le esigenze aggregative dei professionisti come invece il CNDCEC aveva promosso con il progetto di legge sulle Società di Lavoro Professionale), tutti i tipi societari ricompresi nella elencazione fornita dal legislatore possano essere impiegati per l’esercizio dell’attività professionale, anche quelli delle società di capitali.

Controversa la questione se il generico rinvio effettuato ai modelli societari del titolo V dall’art. 10, comma 3, della legge n. 183/2011, consenta di includere anche le società a responsabilità semplificata di cui all’art. 2463-bis c.c., seppur con gli accorgimenti che si rendano necessari in ragione della peculiare disciplina che la contraddistingue.

Ciò posto, si ribadisce che, prescelto il modello, lo statuto della STP sarà dettato dalle disposizioni relative al tipo societario per come descritte nel codice civile, disposizioni che dovranno essere necessariamente coordinate con la disciplina contenuta nella legge n. 183/2011 e nel D.M. n. 34/2013: è doveroso precisare, sin da subito, che tramite la STP non si esercita attività di impresa bensì un’attività professionale regolamentata, tanto che l’atto costitutivo deve prevedere l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci.

Preme già qui evidenziare che per "attività professionale" non devono intendersi le sole attività riservate, bensì tutte le attività tipiche di una professione, dunque certamente quelle elencate nella legge di ordinamento professionale, così da evitare tra l’altro che sia sottratta alla vigilanza deontologica l’attività non riservata che si pensasse di svolgere per tramite di una STP.

La possibilità di fruire dei tipi societari contemplati nel titolo V consente di concludere che la STP possa assumere la forma di s.r.l. o s.p.a. unipersonale di cui unico socio sia un professionista iscritto in ordini o collegi. Del resto, la normativa vigente non contiene indicazioni in ordine al numero dei soci, ad eccezione di quanto esplicitato per i soci di STP cooperativa: un minimo di soci (tre), come accennato, è unicamente previsto per le società cooperative.

Per quanto concerne le STA, anche costituite con iscritti all’Albo dei Commercialisti, l’art. 4-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247 è tornato a precisare che "l’esercizio della professione forense in forma societaria è consentito a società di persone, a società di capitali o a società cooperative".

L’ordinamento forese non precisa il numero minimo dei soci professionisti qualora si utilizzi il modello della società cooperativa.

 

3. La sede

L’atto costitutivo della STP dovrà dare evidenza della sede sociale della società e, conformemente a quanto previsto nell’ambito della disciplina dei differenti tipi societari, anche di eventuali sedi secondarie.

La sede legale rileva, tra l’altro, ai fini di iscrizione nella sezione speciale dell’Albo, dal momento che l’art. 9 del D.M. n. 34/2013 precisa che la domanda di iscrizione all’Albo è rivolta al Consiglio dell’Ordine nella cui circoscrizione è posta la sede legale.

Alla luce di tale ultima previsione, è stato chiesto al Consiglio Nazionale quale sia l’Ordine territoriale presso cui una STP debba presentare istanza di iscrizione nella sezione speciale dell’Albo, qualora la società abbia la propria sede legale in una circoscrizione diversa da quella dell’Odine di appartenenza dell’unico socio professionista (5).

Il procedimento di iscrizione nell’Albo professionale della STP è disciplinato negli artt. 8-10 del D.M. n. 34/2013.

L’art. 8 del D.M. n. 34/2013 impone alla STP di iscriversi in una sezione speciale tenuta dall’Albo professionale a cui appartengano i soci professionisti, precisando, al contempo, che la STP multidisciplinare è iscritta nella sezione speciale dell’Albo professionale relativo all’attività individuata nello statuto della società come prevalente. Questa disposizione sembra finalizzata a precisare il regime disciplinare a cui la STP, una volta iscritta, risulterà assoggettata. In proposito, si rammenta  che l’art. 10, comma 4, della legge n. 183/2011, precisa che la STP è soggetta al regime disciplinare (determinato in base alla professione dei soci professionisti) dell’Ordine al quale risulti iscritta.

Per quanto attiene al procedimento di iscrizione, come chiarisce l’art. 9 del D.M. n. 34/2013, a seguito della presentazione della domanda corredata dalla documentazione di cui ai commi 1 e 2, la STP si iscrive presso l’Ordine territoriale nella cui circoscrizione è posta la sede legale della società e al quale è demandata la cura dell’Albo a cui appartiene l’unico socio professionista.

Effettuata la pubblicità presso la sezione speciale del registro delle imprese, infatti, l’ordinamento demanda all’Ordine di effettuare le verifiche in ordine alla ricorrenza delle condizioni richieste dalla legge e dal regolamento anche per validare la regolarità della STP in relazione alla legge professionale di riferimento.

In definitiva, la domanda di iscrizione della STP va presentata presso l’Ordine in cui la società ha posto la propria sede legale. Al termine della attività di verifica espletata dal Consiglio dell’Ordine, ai sensi dell’art. 9, comma 3, del D.M. n. 34 /2013, la STP verrà iscritta nella sezione speciale dell’Albo la cui tenuta è curata dal Consiglio dell’Ordine che riceve la domanda e che è tenuto a esprimersi circa la ricorrenza delle condizioni prescritte dalla normativa.

Anche nel caso in cui l’unico socio professionista della società risulti iscritto nell’Albo tenuto da un Ordine territoriale differente, la domanda di iscrizione della STP dovrà essere presentata presso l’Ordine nella cui circoscrizione risulta posta la sede legale della società. Iscritta la STP nella sezione speciale dell’Albo, il socio professionista provvederà a comunicare all’Ordine di appartenenza la partecipazione nella STP.

 

4. La denominazione o la ragione sociale

Come precisa l’art. 10, comma 5, della legge n. 183/2001, la denominazione sociale della STP, in qualunque modo formata, deve contenere l’indicazione di società tra professionisti.

L’art. 9, comma 3, del D.M. n. 34/2013, colmando una lacuna della legge n. 183/2011, in occasione del procedimento di iscrizione della STP nella sezione speciale dell’Albo, accenna alla ragione sociale della società costituita e svolgente l’attività professionale con la forma di società di persone (6). Ne consegue che la STP, a seconda dei casi, indicherà nell’atto costitutivo la propria ragione sociale o la propria denominazione sociale formata secondo i criteri indicati nel codice civile per il tipo societario effettivamente utilizzato, con la necessaria e ulteriore precisazione che si tratta di società tra professionisti.

Di qui, possono trarsi alcune conclusioni.

Nel caso di società semplice, mancando previsioni codicistiche che disciplinano la formazione della ragione sociale per dare evidenza del rapporto sociale, dovrebbe essere consentito l’utilizzo della semplice espressione "società tra professionisti" senza ulteriori inserimenti. Laddove la STP sia costituita nella forma di s.n.c., ovvero secondo il tipo societario della s.a.s., nella ragione sociale andranno doverosamente inseriti il nome di uno o più soci illimitatamente responsabili.

Fermo restando quanto sopra, non sembra necessario inserire nella ragione sociale o nella denominazione sociale della STP i nomi dei soci professionisti o l’indicazione della professione o delle professioni, quando si tratti di una STP multidisciplinare, esercitate dai soci professionisti.

Del pari, non si rinvengono nella normativa di riferimento divieti circa la possibilità di utilizzare formule di fantasia. Trattandosi di società costituite non per l’esercizio di un’attività di impresa, bensì esclusivamente per l’esercizio di una o più attività professionali e come tali tenute all’osservanza delle regole deontologiche e del necessario decoro che caratterizza l’esercizio delle professioni ordinistiche (7), un necessario supplemento di attenzione si imporrà quando si intenda utilizzare formule di fantasia. Tali considerazioni sono spendibili anche per le STP costituite per lo svolgimento di più attività professionali.

Alcune precisazioni si impongono con riguardo ai criteri da impiegare per la formazione della denominazione o della ragione sociale della STA. Per quanto di diretto interesse, anche nei casi in cui partecipino soci professionisti iscritti all’Albo dei Commercialisti, l’art.4-bis, comma 6-bis, della legge n. 247/2012 precisa che le STA, in qualunque forma costituite, sono tenute a prevedere e inserire nella rispettiva denominazione (o ragione) l'indicazione "società tra avvocati".

 

5. I soci

L’art. 10, comma 4, lett. b), della legge n. 183/2011, precisa che l’atto costitutivo della STP può prevedere l’ammissione in qualità di soci:

i) dei soli professionisti iscritti ad ordini o collegi, anche in differenti sezioni, nonché dei cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea, purché in possesso del titolo di studio abilitante;

ii) di soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche o per finalità di investimento.

Con riferimento alla categoria sub i), come chiarito in diverse occasioni dai documenti di prassi elaborati dalle professioni regolamentate, unicamente gli iscritti in Albi o in Elenchi, ai sensi dell’art. 2229 c.c., che siano tenuti da Ordini o Collegi professionali possono essere soci professionisti della STP. Per fare maggior chiarezza sull’ambito applicativo delle previsioni, è d’obbligo richiamare l’art. 1, lett. a) del D.P.R. n. 137/2012, secondo il quale per professione regolamentata si intende l’attività o l’insieme di attività il cui esercizio è consentito solo a seguito di iscrizione in ordini o collegi subordinatamente al possesso di qualifiche professionali o all’accertamento delle specifiche professionalità. Stando alla medesima disposizione, inoltre, per professionista si intende colui che esercita la professione per come descritta nella menzionata lett. a) (art. 1, lett. b) D.P.R. n. 137/2012).

Si può concludere, dunque, che soci professionisti della STP possono essere unicamente gli iscritti in Albi o Elenchi di professioni c.d. regolamentate, od ordinistiche.

Soggetti appartenenti alle c. d professioni non ordinistiche, ovvero soggetti abilitati a svolgere attività di prestazione di servizi o di opere iscritti in registri tenuti da enti differenti da Ordini o Collegi, possono partecipare alla STP meramente in qualità di soci di investimento o di soci per prestazioni tecniche.

Allo stesso modo, possono partecipare a STP multidisciplinari unicamente professionisti iscritti in Albi o Elenchi tenuti da Ordini o Collegi professionali, anche se differenti. In tale ipotesi, la compagine sociale della STP deve essere composta da soci professionisti abilitati per l’esercizio di ciascuna attività professionale dedotta nell’oggetto sociale della STP (8).

Stando alla lettera a) dell’art. 10, comma 4, della legge n. 183/2011, i soci professionisti possono essere iscritti anche in differenti sezioni dell’Albo.

La precisazione effettuata dal legislatore è stata foriera di non poche incertezze. In particolare, da più parti è stato chiesto se un socio iscritto nell’Elenco speciale dell’Albo tenuto dall’Ordine professionale possa partecipare come socio professionista.

Anche in tale ipotesi, occorre coordinare le previsioni dettate dalla legge n. 183/2011, con quelle previste dal diritto comune per l’esercizio di professioni regolamentate e con quelle speciali contenute nei singoli ordinamenti professionali.

Abbiamo già messo nella dovuta evidenza, che la lett. b) del succitato art. 1, del D.P.R. n. 137/2012 qualifica come "professionista" chi esercita una professione regolamentata come sopra qualificata. Per i Commercialisti, in base alle disposizioni di cui all’art. 34, comma 8, del D.lgs. n. 139/2005, l’iscrizione nell’elenco speciale è riservata a coloro che non possono esercitare la professione. L’iscritto nell’Elenco speciale, in altri termini, non può esercitare, neanche occasionalmente, la professione di Commercialista.

La combinazione delle disposizioni del D.lgs. n. 139/2005 e di quelle dell’art. 10 della legge n. 183/2011 consente di concludere che il soggetto iscritto nell’Elenco speciale, di cui all’art. 34 del D.lgs. n. 139/2005, può partecipare ad una STP in qualità di socio di investimento ovvero di socio che fornisca mere prestazioni tecniche, ma non come socio professionista. Con l’ulteriore corollario che l’iscritto nell’elenco speciale non può essere computato ai fini del raggiungimento delle maggioranze richieste per la partecipazione dei soci professionisti alla STP (9). Soffermiamoci, a questo punto, sulle categorie di soci ricompresi sub ii), e, segnatamente, sul socio per prestazioni tecniche.

Costui non è un socio professionista e non può svolgere le prestazioni professionali che in base alle risultanze dell’atto costitutivo e in base alle competenze previste negli ordinamenti professionali di appartenenza sono riservate solo ai soci professionisti. Si tratta, piuttosto, di un socio che fornisce mansioni ancillari, rispetto all’attività della STP, quali ad esempio la gestione delle risorse umane o la gestione dei sistemi informatici. Il conferimento della prestazione tecnica sarà possibile solo nei tipi societari in cui la prestazione d’opera è consentita. Nelle STP s.p.a., pertanto, il socio può eseguire la prestazione tecnica ai sensi dell’art. 2345 c.c., vale a dire come prestazione accessoria e aggiuntiva rispetto al conferimento.

Quanto al socio per finalità di investimento, si tratta di un soggetto che apporta capitale, che non svolge attività professionale ma che deve essere in possesso di specifici requisiti di onorabilità, come stabilisce l’art. 6 del D.M. n. 34/2013 (10).

Occorre mettere nella dovuta evidenza che, nella disciplina delle STA, l’art. 4-bis, comma 2, legge 31 dicembre 2012, n. 247, pur stabilendo che i soci, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, devono essere avvocati iscritti all'Albo, ovvero avvocati iscritti all'Albo e professionisti iscritti in Albi di altre professioni, non contiene riferimenti alle categorie del socio con finalità di investimento e del socio per prestazioni tecniche.

L’ordinamento forense enfatizza, inoltre, la necessità che il socio partecipi direttamente alla STA. Gli ultimi periodi del summenzionato comma 4-bis, infatti, precisano che "È vietata la partecipazione societaria tramite società fiduciarie, trust o per interposta persona".

Nell’ottica di suggerire possibili modifiche della legge n. 183/2011, pertanto, la riproposizione del divieto anche per le STP sarebbe opportuna.

L’aspetto della partecipazione indiretta ad una STP è stato oggetto di alcuni chiarimenti da parte del CNDCEC., a cui gli Ordini potrebbero comunque ispirarsi.

Al riguardo, è stato oggetto di quesito se una STP s.r.l. costituita nel pieno rispetto delle disposizioni di cui all’art. 10, comma 4, lett. b) della legge n. 183/2011 e in ossequio alle indicazioni fornite dallo stesso CNDCEC, possa essere partecipata con quota minoritaria da una persona fisica nella sua qualità di trustee che interviene nella sottoscrizione del capitale in nome e conto di un trust (11). Come accennato, l’aspetto della partecipazione alla STP per mezzo di società fiduciaria ovvero per mezzo di trust o per interposta persona non è espressamente considerato nella legge n. 183/2011 né nel D.M. n. 34/2013; nella stessa legge n. 183/2011 e nello stesso D.M. n. 34/2013, invero, non esistono divieti espressi in tal senso.

Occorre sottolineare, peraltro, che il corredo normativo vigente contempla l’ipotesi che socio di una STP possa essere un soggetto differente dalla persona fisica, restringendo l’ambito applicativo esclusivamente alla partecipazione di altre società che non siano a loro volta STP.

Depone espressamente in tal senso l’art. 6, comma 5, del D.M. n. 34/2013 quando precisa che la verifica dei requisiti di onorabilità richiesti in capo al socio per finalità di investimento persona fisica dallo stesso art. 6, commi 3 e 4, vada effettuata rispetto ai legali rappresentanti e agli amministratori della società che intenda partecipare alla STP.

È del pari evidente che il legislatore si sia premurato di consentire la partecipazione nella STP solo ed esclusivamente a soggetti che possano distinguersi agevolmente dai propri amministratori, che siano dotati di una certa soggettività e autonomia giuridica e che possano essere adeguatamente e agevolmente individuati nell’ambito della compagine della società tra professionisti.

Il trust, come è noto, non ha autonomia né soggettività giuridica. In senso conforme si è già espressa la giurisprudenza secondo la quale il trust non è un soggetto giuridico dotato di propria personalità, mentre il trustee è la persona di riferimento nei rapporti con i terzi che agisce non in funzione di "legale rappresentante" di un inesistente soggetto distinto, ma come soggetto che dispone del diritto (12). Il raffronto con le disposizioni di cui all’art. 4-bis della legge n. 247/2012, e una lettura delle disposizioni secondo criteri di ragionevolezza, orientano l’interpretazione in senso negativo.

Di importante rilievo, per le ricadute che la disposizione reca in relazione anche ai poteri di vigilanza attribuiti agli Ordini professionali, è la previsione di cui alla lett. b) dell’art. 10, comma 4, della legge n. 3/2012 che annovera tra coloro che possono essere soci professionisti i " ... cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea, purché in possesso del titolo di studio abilitante". Con tale formulazione, il legislatore non ha preteso, come invece avrebbe dovuto quantomeno per non creare ingiustificate disparità di trattamento con i soci professionisti cittadini italiani, che il cittadino UE abbia conseguito il riconoscimento del titolo professionale attraverso le procedure esistenti per i Commercialisti come per tutte le altre Professioni.

Una lettura della disposizioni aderente al testo, sembra astrattamente consentire che un cittadino UE  possa essere socio professionista di STP esibendo il possesso di un semplice titolo di studio che, nel suo Paese, lo abilita allo svolgimento di una attività professionale, anche se per l’esercizio della stessa professione viene richiesto in Italia, un adeguato periodo di tirocinio, il superamento dell’esame di Stato, costituzionalmente riconosciuto quale requisito e condizione di validità per l’esercizio della professione, e la successiva iscrizione all’Ordine. La problematicità della previsione poc’anzi menzionata, nel senso da noi indicato, inoltre, si coglie appieno considerando che, per tramite della normativa sulla STP, si rende possibile aggirare le rigorose regole con cui, da anni, si tengono gli esami compensativi per riconoscere in Italia i titoli abilitanti di altri Paesi.

Anche tale disposizione, pertanto, necessiterebbe di un intervento correttivo che subordini la partecipazione alla STP da parte di cittadini degli Stati membri, al riconoscimento del titolo professionale conseguito all’estero, secondo la normativa vigente.

 

5.1. La partecipazione dei soci professionisti al capitale della società e sulle maggioranze

L’art. 10, comma 4, lett. b) dispone che il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci. La medesima disposizione chiarisce altresì che il venir meno della condizione costituisce causa di scioglimento della società e il Consiglio dell’Ordine presso il quale risulta iscritta è tenuto a procedere alla cancellazione della stessa dall’Albo, salvo che la STP non abbia provveduto a ristabilire la prevalenza dei soci professionisti nel termine perentorio di sei mesi.

Circa l’interpretazione delle accennate previsioni, il Tribunale di Treviso con Ordinanza n. 3438 del 20 settembre 2018, unico precedente rinvenibile, ha chiarito che " ...Il requisito della prevalenza dei soci professionisti sia nella partecipazione al capitale sociale che nel numero dei soci è prescritto dalla legge in via cumulativa senza possibilità di eccezione alcuna, stante la lettera della norma laddove statuisce che "in ogni caso" i soci professionisti devono sia possedere la maggioranza del capitale sociale che essere in numero tale da garantire la maggioranza dei due terzi nelle deliberazioni, a prescindere, quindi, dal metodo di voto (per quote o per teste)".

La questione è tuttora aperta. Considerati gli auspici dell’Antitrust rivolti al legislatore in occasione della relazione annuale sul funzionamento dell’autorità (13) e finalizzati all’ elaborazione di un testo di modifica legislativa di immediata comprensione e generalizzata condivisione che possa essere finalmente risolutivo delle differenti interpretazioni emerse su tutto il territorio nazionale da parte dei professionisti e degli Ordini interessati in ordine all’applicazione del disposto normativo, il CNDCEC ha ritenuto opportuno suggerire ai propri iscritti e agli Ordini di assumere un atteggiamento prudenziale, consentendo l’iscrizione alla sezione speciale dell’Albo alle STP nelle quali ai soci professionisti sia assicurata la maggioranza di due terzi nelle decisioni dei soci, pur possedendo questi ultimi una quota di partecipazione inferiore ai due terzi dell’intero capitale sociale o essendo numericamente inferiori ai due terzi dei soci.

Mette conto rilevare, al riguardo, che la soluzione tratteggiata non è del tutto soddisfacente per "arginare" eventuali intromissioni dei soci non professionisti nell’assunzione delle decisioni della STP.

Eventuali previsioni statutarie, impiegate per garantire ai professionisti maggiore incisività nell’assunzione delle decisioni rispetto ai soci non professionisti, che prescindano dalle quote di partecipazione al capitale possedute, non escludono la possibilità che il voto del socio non professionista possa divenire determinante per l’assunzione delle decisioni. Degna di nota, al riguardo, è l’ulteriore riflessione da spendere circa la possibilità che lo statuto, prevedendo quorum deliberativi superiori ai 2/3, possa consentire ai soci non professionisti di acquisire un peso determinante nelle decisioni.

Sembra utile, dunque, raffrontare la disciplina della legge n. 183/2011 con quella dell’art. 4-bis, comma 2, lett. a), della legge n. 247/2012.

Nella STA i soci, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, devono essere avvocati iscritti all'Albo, ovvero avvocati iscritti all'albo e professionisti iscritti in Albi di differenti professioni. Tale disposizione, prevedendo che i soci professionisti prevalgono sia per voto che per quote di partecipazione al capitale sociale della STA, è finalizzata a delimitare l’ambito di influenza dei soci non professionisti, pur rimanendo valide le considerazioni sopra esposte con riferimento alla possibilità che lo statuto possa richiedere per l’assunzione delle decisioni o delle deliberazioni quorum più elevati rispetto ai due terzi. In ogni caso, la regola declinata nella lett. a) del comma 2 si collega a quella affermata nella lettera b), in forza della quale la maggioranza dei membri dell’organo di gestione deve essere composta da soci avvocati (14). L’intento del legislatore, in questo caso, è di garantire ai soci avvocati un ruolo preponderante nella governance della STA.

Nella prospettiva de jure condendo cui accennava l’Antitrust e con l’obiettivo di rafforzare la posizione dei soci professionisti nelle STP aperte all’investimento, sarebbe auspicabile proporre modifiche delle disposizioni relative alle partecipazioni dei soci della STP che, al contempo, garantiscano che la gestione della STP sia riservata, almeno per la maggioranza, ai soci professionisti.

 

5.2. La prestazione professionale dei soci

La legge n. 183/2011 tace circa le modalità degli apporti e dei conferimenti dei soci professionisti; la lacuna può essere colmata con una previsione di statuto sulla base, ovviamente, della disciplina relativa al tipo societario prescelto in sede di costituzione.

Innanzitutto, la prestazione professionale può essere effettuata a titolo di conferimento a cui è correlata l’assunzione della qualifica di socio e l’acquisto delle partecipazioni nella STP, nei limiti di compatibilità con l’ordinamento societario. Il conferimento d’opera, infatti, se è consentito nelle società di persone e nella s.r.l., incontra nelle s.p.a. il divieto di cui all’art. 2342, comma quinto, c.c.(15).

Nella s.p.a. si può ricorrere all’istituto della prestazione accessoria che, oltre al particolare regime di trasferibilità delle azioni a cui è connesso l’obbligo della prestazione, consente di determinare particolari sanzioni in caso di inadempimento del titolare; inoltre, a fronte dell’apporto professionale da parte del socio professionista, la STP s.p.a. può emettere strumenti finanziari partecipativi di cui all’art. 2346, sesto comma, c.c.

Come accennato, nel silenzio della legge, il professionista può non essere un socio d’opera, conferendo denaro o altri beni e obbligandosi di volta in volta, in base a specifici accordi con la STP, ad effettuare la propria prestazione; il professionista può essere anche un dipendente dalla società e, in tale ultimo caso, il rapporto di lavoro con la STP sarà disciplinato dalla normativa vigente.

Al riguardo va segnalata la differente impostazione adottata nel vecchio progetto della SLP presentato dal CNDCEC nel 2010 che, di seguito, si riporta in sintesi.

In quel progetto, l’obbligo di conferimento da parte dei soci professionisti aveva ad oggetto la prestazione di lavoro intellettuale del socio. Salvo diversa pattuizione, il valore del conferimento dell’opera intellettuale era determinato dai soci concordemente e ad esso è commisurata la partecipazione agli utili. L’aspetto della "retribuzione" dei soci era oggetto di attenzione specifica attenzione da parte del progetto di legge sulla SLP. Sul punto, il progetto di legge prevedeva che gli amministratori valutavano il conferimento dell’opera dei soci al termine dell’esercizio sociale e propongono ai soci la percentuale di partecipazione agli utili ai fini della relativa approvazione da parte degli stessi. I compensi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale dei soci, resa contestualmente sia ai clienti in esecuzione dell’incarico ricevuto, che alla società in esecuzione dell’obbligo di conferimento della loro opera intellettuale, costituivano crediti della società, mentre, al termine dell’esercizio sociale i conferimenti di opera intellettuale, che non avevano fatto ancora sorgere crediti a favore della società costituivano prestazioni professionali in corso di esecuzione e venivano valutati dagli amministratori. Oltre all’obbligo del conferimento dell’opera intellettuale, il contratto sociale poteva stabilire l’obbligo dei soci, o di alcuni di essi, di effettuare conferimenti accessori in denaro, crediti, beni in natura o prestazioni di servizi, mentre ai soci non professionisti era imposto il conferimento di denaro società, di crediti o beni in natura oppure di prestazioni tecniche. In ogni caso, il progetto di legge prevedeva che la quota di partecipazione agli utili connessa ai conferimenti accessori effettuati dai soci professionisti e dai soci non professionisti non può essere superiore al 25%.

Con riferimento a tale aspetto, veniva precisato che qualora ricorrevano conferimenti di mezzi e particolarmente laddove questi fossero effettuati, se consentito, anche da soci non professionisti, la remunerazione, in termini di distribuzione dell’utile, del lavoro intellettuale doveva essere tenuta distinta da quella dei conferimenti di mezzi, con decisa prevalenza della remunerazione a favore del primo, e con modalità distinte da definire nello statuto, nel quale ricorreranno gli ordinari canoni societari per i conferimenti di mezzi.

In sede di prima applicazione della legge n. 3/2012, alcune incertezze si sono riscontrate proprio in ordine alle modalità di effettiva retribuzione dei soci.

Nella s.p.a., come è noto, vige la regola generale del divieto di pagamento dei dividendi se non per utili realmente conseguiti e risultanti da un bilancio regolarmente approvato e sempre che, qualora si sia verificata una perdita, il capitale sociale sia stato reintegrato o ridotto in misura equivalente. La distribuzione dell’utile, inoltre, è subordinata all’assunzione da parte dei soci di una deliberazione dei soci.

La distribuzione di acconti sui dividendi, poi, è limitata al ricorrere delle condizioni fissate nell’art. 2433-bis c.c. e peraltro limitata, secondo il testo di tale disposizione, alle società il cui bilancio è assoggettato per legge a revisione legale, secondo il regime previsto dalle leggi speciali per gli enti di interesse pubblico.

Nelle STP che adottino la forma della s.p.a., l’utilizzo dell’istituto della prestazione accessoria può agevolare la retribuzione in corso d’esercizio dei professionisti, anche i più giovani, incentivandone la partecipazione alla STP. Al riguardo, la disciplina riveniente dall’art. 2345 c.c. precisa che le azioni a cui è connesso l’obbligo delle prestazioni accessorie devono essere nominative e non possono essere trasferite se non con il consenso degli amministratori. Le prestazioni accessorie, poi, danno diritto al riconoscimento di un compenso per la cui determinazione, sempre per espressa previsione dell’art. 2345, primo comma, c.c., devono essere osservate le norme applicabili ai rapporti aventi per oggetto le stesse prestazioni. Riconosciuto allora il diritto al compenso del professionista che si obbliga verso la STP con la prestazione accessoria a fornire la propria attività professionale, tale ultima precisazione è un importante monito rivolto ai soci della STP ad indicare nell’atto costitutivo criteri che possano garantire un compenso equo e adeguato all’importanza dell’opera e al decoro della professione, come impone l’art. 2333, secondo comma, c.c.

Nelle s.r.l. le previsioni degli artt. 2478-bis c.c. e 2479 c.c. replicano i contenuti di quelle dettate per le s.p.a., fissando il principio per cui gli utili possono essere distribuiti se i soci approvino il bilancio e decidano sulla relativa distribuzione.

In tali società, peraltro, una clausola dell’atto costitutivo potrebbe attribuire ai soci un diritto particolare ex art. 2468 c.c. alla percezione degli utili conseguiti indipendentemente dalla decisione dei soci relativa alla distribuzione, in diretta continuità con quanto avviene nelle società di persone.

Purtuttavia, va precisato che secondo un autorevole orientamento, nonostante l’obbligo di prestazioni accessorie faccia parte della disciplina della s.p.a., non sarebbe precluso all’autonomia negoziale dei soci inserirlo anche negli statuti delle s.r.l.

Nella disciplina delle società di persone, il socio, salvo patto contrario, vanta un diritto soggettivo all’utile ma tale diritto è in ogni caso subordinato all’approvazione del rendiconto o del bilancio, come prevede l’art. 2262 c.c.

La possibilità di derogare alla regola suesposta con specifiche previsioni di statuto, consente ai soci delle società di persone di poter conseguire acconti sugli utili prima dell’approvazione del rendiconto, come, peraltro, è diffuso nelle prassi. È stata ritenuta pertanto legittima la prassi di corrispondere una somma con cadenza mensile al socio d’opera a titolo di acconto sugli utili (16). Resta inteso che nelle s.n.c. e nelle s.a.s. troverà applicazione il principio in base al quale la ripartizione degli utili è vietata in presenza di una perdita sul capitale fino a che il capitale medesimo non sia stato reintegrato o ridotto in misura corrispondente.

Nelle STP costituite come società personali il socio professionista conferente la propria opera professionale potrà essere periodicamente remunerato con una somma versata come acconto sugli utili.

 

6. Il conferimento dello studio

Occorre comprendere se nella STP possa essere conferito lo studio professionale. A fronte del conferimento dello studio, il professionista acquista partecipazioni della STP di cui diventa socio professionista (17). La liceità dell’operazione dipende dalla possibilità di conferire la clientela dello studio.

Ciò che oggi è sicuramente lecito, è unicamente il conferimento della prestazione d’opera, ovvero l’apporto d’opera od anche la prestazione accessoria dell’opera professionale del singolo professionista, secondo la disciplina del tipo societario prescelto in sede di costituzione per la STP. La questione, come è intuibile, è di una certa importanza e implica l’emersione, almeno sotto un profilo meramente economico, del concetto di avviamento professionale ogni qualvolta l’oggetto del conferimento non sia la prestazione intellettuale del professionista bensì lo studio inteso come complesso di beni materiali e immateriali organizzati al fine dell’esercizio dell’attività professionale (18). Letta in questi termini, le problematiche correlate al trasferimento dell’avviamento e della clientela, sono state ampiamente dibattute in relazione alla cessione dello studio professionale e affrontate dal documento della FNC "Evoluzione dello studio professionale in STP" del 15 gennaio 2015.

Il formante giurisprudenziale formatosi anni addietro che escludeva la possibilità di concludere un valido contratto di cessione dello studio professionale, è stato più recentemente superato dalla giurisprudenza di legittimità che ha riconosciuto pienamente lecito il contratto di cessione dello studio e della clientela dietro versamento di un corrispettivo (19).

La giurisprudenza è approdata ad una nuova concezione di avviamento professionale in linea con il concetto dell’organizzazione dell’attività professionale.

Dopo l’epoca di importanti pronunce delle Sezioni Unite in cui si chiarisce che il professionista non è un imprenditore e che lo studio professionale non è un’azienda poiché in esso primeggiano l’attività e la capacità del professionista rispetto all’organizzazione dei beni che connotano lo studio e in cui si pone il luce come il concetto di clientela sia influenzato dal nome, dalla professionalità e dalla capacità del professionista e dalla fiducia che egli esprime (20) e dunque non sia autonomamente valutabile, la Corte mette in evidenzia, già in epoca anteriore all’emanazione del d.l. n. 223/2006 (21), come in alcuni casi la netta demarcazione studio/azienda tenda ad attenuarsi, rendendo opportuna, pertanto, una valutazione caso per caso con riferimento alla liceità del contratto di cessione dello studio e di cessione della clientela.

In questo orientamento si inquadrano le pronunce della Cassazione secondo le quali anche gli studi professionali possono essere organizzati in forma di azienda ogni qualvolta al profilo personale dell’attività concretamente svolta si affianchino un’organizzazione di mezzi e strutture, un numero di titolari e di dipendenti e un’ampiezza dei locali adibiti per l’esercizio dell’attività tali che il fattore organizzativo e l’entità dei mezzi impiegati sovrastino l’attività professionale del titolare o, quantomeno, si pongano rispetto ad essa come un’entità giuridica dotata di una propria autonomia strutturale e funzionale che è suscettibile di una propria valutazione economica nell’ambito del contratto posto in essere dalle parti secondo quanto disposto dagli artt. 2238, 2112, 2255 c.c. (22).

Rispetto a tali realtà il contratto di cessione dello studio condivide la disciplina applicabile al trasferimento d’azienda, emergendo, a livello interpretativo, la fattispecie della cessione della c.d. azienda professionale.

Nei contesti maggiormente organizzati, pertanto, la cessione dello studio comprensivo della cessione della clientela e dell’avviamento viene definitivamente ammessa.

Il principio esposto con riferimento a tali tipologie di studi o associazioni professionali (23) è stato rielaborato dalla Cassazione in occasione di giudizi vertenti su cessioni di studi professionali di piccole dimensioni (24).

In questa occasione la Corte, oltre ad affermare che il professionista non è un imprenditore (25), che lo studio non è un’azienda e che la clientela fondata sulla fiducia personale non si ricollega ad un substrato oggettivo, si sofferma sull’evoluzione legislativa degli ultimi anni che ha inciso in modo significativo la stessa concezione dell’attività professionale, svincolandola dallo stereotipo dell’esercizio in forma individuale e consentendone l’esercizio in forma societaria (26).

Nei casi in cui l’aspetto organizzativo prevalga su quello personale dell’attività professionale, la Cassazione, in linea con i precedenti, riafferma che la vicinanza tra studio professionale e azienda tende ad accentuarsi con le accennate ricadute sotto il profilo della qualificazione del contratto in termini di cessione di azienda (professionale) (27).

Nei casi in cui tale prevalenza non si realizzi e la persona del professionista resti elemento fondamentale all’interno dell’organizzazione dello studio, la Corte ritiene comunque lecito e validamente stipulato in base al principio dell’autonomia negoziale declinato nell’art. 1322 c.c. (28) il trasferimento a titolo oneroso dell’attività comprensivo di arredi, di beni strumentali, di rapporti contrattuali di fornitura e della clientela (29).

In particolare, con riferimento alla clientela, non è possibile ipotizzare una cessione in senso stretto: l’insormontabile principio dell’intuitus personae su cui si fonda il rapporto tra cliente e professionista e, per quanto sopra detto con riferimento al concetto stesso di clientela, l’indeterminatezza dell’oggetto renderebbero nullo il contratto di cessione.

Si tratta, allora, di approdare ad una differente soluzione della questione privilegiando l’interpretazione che implica l’insorgere di un rapporto obbligatorio tra i professionisti interessati.

In altri termini, secondo i giudici di legittimità, il contratto risulterà validamente stipulato ex art. 1322 c.c. in quanto diretto a realizzare un interesse meritevole di tutela, ogni volta in cui il professionista cedente si sia impegnato a favorire la prosecuzione del rapporto professionale tra i propri clienti e il professionista che subentra e abbia in concreto assunto obblighi positivi di fare (quali l’attività promozionale di presentazione e di canalizzazione) (30) e obblighi negativi di non fare (quale l’astensione dall’esercizio della stessa attività nello steso luogo) che possono essere autonomamente valutati ai fini della determinazione del corrispettivo.

Alla luce di quanto sopra detto in ordine alla cessione a titolo oneroso, l’emersione del concetto della c.d. azienda professionale relativamente agli studi di grandi dimensioni consentirebbe di ritenere valido il conferimento dello studio professionale nella STP, a fronte del quale il professionista previa valutazione anche dell’avviamento e della clientela, riceverebbe quote di partecipazione nella società conferitaria, con applicazione dei criteri declinati per i conferimenti in natura e delle disposizioni dettate in tema di trasferimento di azienda, nei limiti di compatibilità (31). Nel caso in cui il professionista si obblighi rispetto alla conferitaria ad adempiere quegli obblighi di fare o di non fare così come enunciati dalla Suprema Corte, si sarebbe in presenza di un conferimento di servizio o d’opera o di una prestazione accessoria con particolari ricadute sul piano delle modalità dell’impegno secondo la disciplina del tipo societario utilizzato.

 

7. L’amministrazione della STP

Nell’art. 10 della legge n. 183/2011 non esistono disposizioni che affidano l’amministrazione della società ai soci professionisti. In assenza di specifiche previsioni di legge, lo statuto potrà determinare la composizione numerica e personale dell’organo di amministrazione. L’organo di amministrazione potrebbe dunque astrattamente essere composto - anche esclusivamente - da soggetti estranei alla compagine societaria. Una simile prospettiva che potrebbe comportare ricadute sul piano della disciplina generalmente applicabile, come avremo modo di chiarire nel prosieguo.

Al riguardo, si segnala l’orientamento di quanti ritengano maggiormente appropriato, trattandosi di società costituite per l’esercizio di attività professionali e non per l’esercizio di un’attività di impresa, che lo statuto affidi l’amministrazione della STP esclusivamente ai soci e, segnatamente, ai soci professionisti, anche ricorrendo, dove consentito dalla disciplina di riferimento del tipo societario, al confezionamento di clausole che attribuiscano ai soci professionisti particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società, ovvero ad accorgimenti che possano "sterilizzare" l’influenza dei soci non professionisti in occasione della nomina dell’organo di amministrazione.

L’opzione interpretativa di riservare l’amministrazione della STP solo ai soci professionisti si lascia preferire, vuoi per quanto prevede l’art. 2238, comma primo, c.c., come si avrà modo di precisare nel prosieguo (32), vuoi perché l’esecuzione dell’incarico conferito alla STP è lasciata alla discrezionalità del professionista in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento della prestazione professionale.

Sarebbe opportuno, dunque, che quest’ultimo svolga la propria attività libero da condizionamenti e svincolato da logiche ispirate non tanto dall’interesse del cliente, quanto dall’ interesse economico dei soci investitori. Sul punto, occorre mettere nella dovuta evidenza che l’attuale corredo normativo non garantisce i soci professionisti da possibili ingerenze da parte del socio investitore.

I criteri ideati rispetto alla partecipazione dei soci professionisti e la previsione per cui il socio professionista può opporre agli altri soci il segreto concernente le attività professionali a lui affidate (33),  infatti, non sembrano assolutamente adeguati per ridimensionare il ruolo assunto dal socio non professionista all’interno della società (34).

Diversa la questione circa l’attribuzione dell’amministrazione a soggetti esterni quando la disciplina del tipo societario lo consenta. Nelle STP maggiormente strutturate e di più ampie dimensioni, infatti, i soci potrebbero valutare positivamente l’opportunità di affidare l’amministrazione della società anche a soggetti che possano vantare particolari competenze nella gestione. Tale valutazione, però, deve essere assunta con la consapevolezza che la gestione da parte di soggetti che non apportano la propria attività professionale ma si limitano ad organizzare quella di altri potrebbe realizzare la fattispecie di cui all’art. 2238, comma primo, c.c., in cui, come è noto l’attività professionale costituisce elemento di un’attività organizzata in forma di impresa. In buona sostanza. parrebbe coerente con l’impostazione legislativa un organo amministrativo a trazione professionale, così da confermare anche a livello esecutivo che le decisioni dei soci siano prevalentemente di origine professionale, pur apprezzando la possibilità di fruire delle competenze di soggetti non professionisti che ben possono contribuire alla amministrazione della società che è la formula organizzativa prescelta dai soci professionisti per lo svolgimento congiunto dell’attività.

In proposito, occorre mettere nella dovuta evidenza, peraltro, che l’ordinamento forense effettua una scelta di fondo circa l’amministrazione della STA.

L’art. 4-bis, comma 2, della legge n. 247/2012 stabilisce che:

- la maggioranza dei membri dell'organo di gestione deve essere composta da soci avvocati;

- i componenti dell'organo di gestione non possono essere estranei alla compagine sociale;

- i soci professionisti possono rivestire la carica di amministratori.

Da quanto sopra, deriva il corollario che, stando alla legge forense, nelle STA non è consentito affidare  l’amministrazione a soggetti estranei alla compagine; i componenti dell’organo di gestione, inoltre, anche in presenza di professionisti iscritti in Albi differenti o di soci non professionisti, devono essere per la maggioranza avvocati.

 

8. L’oggetto sociale

L’art. 10 della legge n. 183/2011 precisa che:

- la costituzione di STP è consentita per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico (35);

- l’atto costitutivo della STP deve prevedere l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci (36).

Come evidenziato, tale esercizio è consentito solo ai soci che siano iscritti negli Albi e negli Elenchi delle c.d. delle professioni regolamentate (art. 10, comma 4, lett. b).

L’art. 1, comma primo, lett. a) del D.M. n. 34/2013, chiarisce ulteriormente che la STP ha come oggetto l’esercizio di una o più attività professionali per le quali sia prevista l’iscrizione in appositi albi o elenchi regolamentati nel sistema ordinistico (art. 1, comma primo, lett. a). In particolare, la STP multidisciplinare come si evince dall’art. 8, comma 2, del D.M. n. 34/2013, può indicare come prevalente una delle attività professionali dedotte nell’oggetto sociale.

La combinazione delle disposizioni consente di addivenire alla conclusione in base alla quale l’oggetto sociale della STP coincide con l’attività professionale regolamentata esercitata in via esclusiva.

Da quanto sopra, l’oggetto sociale della STP non può includere attività che non siano professionali ma imprenditoriali (fatta eccezione di quelle attività puramente strumentali, o complementari rispetto all’esercizio della professione o la fornitura di beni strumentali e servizi accessori che consentano o facilitano l’esercizio della professione medesima) e, logicamente, delle attività relative ad ambiti di lavoro autonomo non riconducibili alle attività esercitabili dai professionisti appartenenti alle c.d. professioni regolamentate.

Alla luce di quanto sopra, occorre rimarcare, pertanto che, per "attività professionali" non devono intendersi le sole attività riservate (o quelle svolte in esclusiva), bensì tutte le attività tipiche di una professione, tra cui sono da annoverare senza dubbio quelle elencate nell’ordinamento professionale di riferimento professionale, così da evitare che possano sfuggire alla vigilanza deontologica le attività non riservate esercitate dai soci della STP.

Con riferimento alle STP multidisciplinari, le considerazioni sopra esposte mantengono valenza.

Quanto previso dall’art 10, comma 3, lett. a), va coordinato con le previsioni di cui alla successiva lett. c). Tale ultima disposizione stabilisce che l’incarico professionale può essere svolto solo dai soci in possesso dei requisiti per l’esercizio della prestazione professionale richiesta dal cliente, prestazione professionale che può essere esercitata in esclusiva dai soci professionisti. Con ciò si intende dire che alle attività dedotte nell’oggetto sociale della STP multidisciplinare deve corrispondere la correlata esperienza professionale di almeno un socio professionista appartenente a ogni professione regolamentata menzionata nell’oggetto sociale, con l’ulteriore corollario che la costituzione di società multidisciplinari è consentita solo tra iscritti ad albi professionali in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento delle differenti attività indicate nell’atto costitutivo.

Per quanto attiene, invece, alle STA, l’art. 4-bis, comma 1, della legge n. 247/2012 non replica le previsioni di cui all’art. 10, comma 3, lett. a), circa l’esclusività.

L’oggetto sociale della STA, stando al tenore letterale della disposizione, dovrebbe coincidere con l’esercizio della professione forense. Essendo ammesse STA multidisciplinari, nelle STA composte anche da professionisti iscritti in Albi differenti da quello forense, l’oggetto sociale dovrebbe includere  le rispettive attività professionali, dal momento che ai sensi dell’art. 4-bis, comma 3, l'incarico conferito alla STA può essere svolto soltanto da soci professionisti in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento della specifica prestazione professionale richiesta dal cliente. Effettuando un parallelismo con la disciplina della STP multidisciplinare ex lege n. 183/2011, potrebbe concludersi che l’attività forense è per la STA l’attività prevalente a cui accenna l’art. 8, comma 2, del D.M. n. 34/2013 con riferimento alle altre STP multidisciplinari.

 

9. Il conferimento dell’incarico e l’esecuzione dell’incarico.

L’atto costitutivo deve prevedere che l’incarico conferito alla STP venga materialmente eseguito dal socio professionista, secondo criteri e modalità stabiliti nel D.M. n. 34/2013 (art. 10, comma 4, lett. c), legge n. 183/2011).

L’atto costitutivo deve altresì prevedere che la società abbia stipulato una polizza assicurativa per la copertura dei rischi derivanti da responsabilità civile per i danni eventualmente provocati alla clientela dai soci professionisti (art. 10, comma 4, lett. c-bis), legge n. 183/2011).

Come accennato, l’ambito di intervento del D.M. n. 34/2013 è stato circoscritto dalla legge n. 183/2011 a fornire indicazioni circa "criteri e modalità affinché l’esecuzione dell’incarico professionale conferito alla società sia eseguito solo dai soci in possesso dei requisiti per l’esercizio della prestazione professionale richiesta; la designazione del socio professionista sia compiuta dall’utente e, in mancanza di tale designazione, il nominativo debba essere previamente comunicato per iscritto all’utente" (art. 10, comma 4, lett. c)).

Al capo II del D.M. n. 34/2013 occorre far rifermento per quanto attiene alle modalità di conferimento e all’esecuzione dell’incarico professionale.

Nell’art.3 viene esplicitato che tutte le prestazioni richieste dalla clientela siano eseguite dai soci in possesso dei requisiti necessari per l’esercizio della professione, ribadendo in tal modo il principio della personalità dell’esecuzione dell’incarico affidato dal cliente e declinato nella legge n. 183/2011 (art. 10, comma 4, lett. c).

Per consentire una scelta informata da parte del cliente, la STP è tenuta a fornirgli, sin dal momento del primo contatto (e dunque sin dalle trattative), anche tramite il socio professionista, informazioni relative:

(i) al diritto del cliente di chiedere che l’esecuzione dell’incarico conferito alla società sia affidato a professionisti della società dallo stesso individuati. A tal fine il regolamento impone la consegna al cliente di un elenco scritto dei singoli professionisti con l’indicazione dei titoli o delle qualifiche professionali possedute nonché l’elenco dei soci con finalità di investimento;

(ii) alla possibilità che l’incarico sia eseguito da ciascun socio in possesso dei requisiti necessari per l’esercizio dell’attività professionale;

(iii) all’esistenza di situazioni di conflitto di interesse tra cliente e società, che siano anche determinate dalla presenza di soci con finalità di investimento. A tal fine, viene consegnato al cliente un elenco dei soci investitori.

Il D.M. n. 34/2013 precisa, infine, che la prova degli adempimenti sopra descritti, a carico della STP, e il nominativo del professionista o dei professionisti eventualmente scelti dal cliente devono risultare da atto scritto.

Rispetto ai criteri indicati, emerge con chiarezza la volontà di rimarcare la netta  distinzione tra conferimento dell’incarico ed esecuzione dell’incarico, l’uno diretto alla società, l’altra lasciata alla determinazione del singolo professionista, in ossequio al generale principio di cui all’art. 2232 c.c., nonché di indicare chiare modalità affinché il cliente sia messo in condizione di effettuare consapevolmente la scelta delle professionalità maggiormente idonee per espletare l’attività professionale richiesta.

Ne deriva, pertanto, un sistema in cui il cliente vanta nei confronti della STP sia un diritto di informazione, sia un diritto di scelta, assunte le necessarie informazioni.

A conferma di ciò, depone la previsione che, in mancanza di scelta da parte del cliente, la STP può procedere direttamente a designare il professionista - o i professionisti - purché si tratti sempre di soggetti in possesso dei requisiti per l’esercizio della prestazione richiesta in considerazione delle competenze tecniche contemplate negli ordinamenti professionali. Al ricorrere di questa ipotesi, come impone la legge n. 183/2011, il nominativo del socio scelto dalla STP deve essere comunicato per iscritto al cliente previamente, vale a dire prima che sia data esecuzione all’incarico. La tutela della clientela trova ulteriore supporto nell’art. 5 del D.M. n. 34/2013, rubricato "Esecuzione dell’incarico". La previsione consente al professionista individuato di avvalersi, sotto la propria direzione e sotto la propria responsabilità, della collaborazione di ausiliari e, solo in relazione a particolari attività caratterizzate da sopravvenute esigenze non prevedibili, di sostituti. Al  verificarsi di simili ipotesi, la STP è tenuta a comunicare al cliente i nominativi degli ausiliari e dei sostituti con le stesse modalità impiegate per la comunicazione dei nominativi dei soci professionisti al momento del primo contatto: la STP, allora, deve consegnare al cliente un elenco scritto con puntuale indicazione di titoli e qualifiche professionali dei collaboratori. Entro tre giorni dalla comunicazione, il cliente può comunicare il proprio dissenso in presenza del quale, pur nel silenzio del D.M. n. 34/2013, dovrebbe essere riconosciuta al cliente la facoltà di scelta del sostituto, con le modalità sopra indicate (37). Rinviando alla circolare 32/IR per quanto concerne la predisposizione del preventivo, occorre in questa sede ribadire come la determinazione del compenso, oltre ad essere adeguata all’importanza dell’opera e proporzionato alla qualità e alla quantità del lavoro svolto e dell’impegno profuso, non potrà discostarsi dal precetto di cui all’art. 2233 c.c. che impone, altresì, il rispetto del decoro della professione.

 

10. Le responsabilità

La legge istitutiva e il D.M. n. 34/2013 non prendono posizione circa il regime di responsabilità della società.

Diversamente, come esaminato, la normativa disciplina le modalità di conferimento dell’incarico, ed è imposto alla STP l’obbligo di copertura assicurativa.

Potrebbe allora concludersi nel senso che sulla STP ricada la responsabilità contrattuale nei confronti della clientela per l’inadempimento del socio professionista, il ruolo del quale sarebbe equiparabile a quello svolto dal sostituto incaricato dal professionista individuale.

Ad ogni buon conto, ferma restando la possibilità di prevedere con apposita clausola statuaria una differente ripartizione delle responsabilità contrattuali anche in capo al socio professionista che ha eseguito l’incarico professionale, quest’ultimo è in ogni caso responsabile, sia nei confronti della società per inesatta esecuzione della prestazione, sia nei confronti del cliente, ma, in tale caso a titolo di responsabilità da contatto, ovvero a titolo di responsabilità extracontrattuale.

Differentemente dalla legge n. 183/2011, l’art. 4-bis, comma 4, della legge n. 247/2012 delinea il regime della responsabilità della società forense. Tale disposizione precisa che la responsabilità della STA e quella dei soci - illimitatamente responsabili secondo la disciplina del tipo societario concretamente utilizzato per l’esercizio dell’attività professionale in forma societaria - non esclude la responsabilità del professionista che ha eseguito la specifica prestazione, in dipendenza di un obbligo di protezione assunto verso la clientela.

Anche la STA è tenuta a stipulare una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile derivante dall'esercizio della professione (38).

 

11. L’iscrizione nel registro delle imprese e nella sezione speciale dell’Albo. Cancellazione dall’Albo

Come chiarito nella circolare n. 33/IR, a cui si rinvia per ulteriori approfondimenti, il procedimento di iscrizione della STP presso il registro delle imprese e presso l’Albo professionale è disciplinato non nella legge n. 183/2011, bensì nel D.M. n. 34/2013.

Con finalità meramente ricognitive di tali aspetti, si rammenta che l’art. 7 del D.M. n. 34/2013 stabilisce che la STP è iscritta nella sezione speciale del registro delle imprese istituita ai sensi dell’art. 16, comma secondo, secondo periodo, del D.lgs. n. 96/2001, secondo le modalità declinate nel D.P.R. n. 581/1995 (39), nel D.P.R. n. 558/1999 (40) e nell’art. 31 della l. n. 340/2000 (41). Viene altresì previsto che la certificazione relativa all’iscrizione nella sezione speciale attesti la qualifica di società tra professionisti (42)

L’iscrizione è effettuata nella sezione speciale già istituita presso il registro delle imprese ai sensi dell’art. 16, comma secondo, del D.lgs. n. 96/2001, espressamente destinata alle società tra professionisti e non solo alle società tra avvocati. Tale iscrizione ha funzione di certificazione anagrafica e pubblicità-notizia (43) e viene effettuata, come chiarisce lo stesso art. 7 del D.M. n. 34/2013, ai fini della verifica dell’esistenza di cause di incompatibilità della partecipazione a più società tra professionisti (44) di cui all’art. 6 del D.M. n. 34/2013.

Come accennato, la STP deve iscriversi anche nell’apposita sezione dell’Albo istituito presso l’Ordine di appartenenza dei soci professionisti. L’adempimento dell’ulteriore iscrizione nella sezione dell’Albo professionale è indirettamente sancito dall’art. 10, comma 7, della legge n. 183/2011, ove si chiarisce che la STP è soggetta al regime disciplinare dell’Ordine al quale risulti iscritta.

All’aspetto dell’iscrizione della STP nell’Albo, in aggiunta a quanto già esaminato (45), occorre dedicare alcune ulteriori riflessioni.

In primo luogo, è da mettere nella dovuta evidenza che la STP multidisciplinare è iscritta presso l’Albo dell’Ordine professionale relativo all’attività individuata come prevalente nell’atto costitutivo, e ciò determinerà l’assoggettamento della STP alle regole deontologiche proprie dell’attività professionale "prevalente" (46). Nel caso in cui la STP multidisciplinare non abbia individuato nell’oggetto sociale un’attività prevalente, essa si iscrive presso gli Albi o gli Elenchi a cui appartengono  tutti i soci professionisti.

In secondo luogo, con riferimento alle verifiche demandate agli Ordini, è il caso di rammentare che il Consiglio dell’Ordine che riceve la domanda di iscrizione - che per disposizione normativa coincide con quello in cui è posta la sede legale della STP47 - è tenuto a deliberare sull’iscrizione nella sezione speciale dell’Albo, previa verifica dell’osservanza delle disposizioni contenute nel D.M. n. 34/2013.

Ne consegue che il Consiglio dell’Ordine, oltre a verificare la completezza della documentazione presentata a corredo della richiesta di iscrizione e sopra menzionata, deve effettuare un controllo circa la ricorrenza delle condizioni previste dall’art. 10 della legge n. 183/2011 in quanto direttamente richiamate dagli artt. 1 e 2 del regolamento, nonché circa l’osservanza dei precetti declinati con la normativa secondaria.

Come in altra sede chiarito (48), non può essere trascurato il dato letterale contenuto nell’art. 1 del D. M. n. 34/2013.Tale disposizione, infatti, qualifica come STP, ai fini del regolamento medesimo, la società costituita secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI e alle condizioni previste dall’art. 10, commi 3-11, della legge n. 183/2011, avente ad oggetto l’esercizio di una o più attività professionali per le quali sia richiesta l’iscrizione in albi od elenchi. Il principio appena richiamato viene ribadito nell’art. 2, comma primo, del D.M. n. 34/2013 a mente del quale le disposizioni del regolamento si applicano alle società costituite ai sensi dell’art. 10, commi 3-11, della legge n. 183/2011.

Si può ritenere, pertanto, che le verifiche del Consiglio dell’Ordine possano incentrarsi sul rispetto delle condizioni descritte nell’art. 10, quali ad esempio, il ricorso ad uno dei tipi societari richiamati dalla norma, la formazione della denominazione o della ragione sociale secondo le modalità ivi indicate, la formazione delle maggioranze secondo i criteri che garantiscano la prevalenza dei soci professionisti nelle deliberazioni o nelle decisioni dei soci, l’esclusività dell’oggetto sociale (49), la copertura assicurativa (50), oltre all’esistenza delle condizioni di validità espressamente indicate nel D.M. n. 34/2013, tra cui è ricompresa l’assenza di cause di incompatibilità dei soci della STP.

Sul procedimento di iscrizione della STP il Consiglio Nazionale è tornato ad esprimersi in diverse occasioni. Più partitamente, alcuni dei quesiti sono stati posti per ottenere chiarimenti in ordine alle questioni di seguito elencate:

- se l’insussistenza di provvedimenti disciplinari a carico di un iscritto rappresenti la condizione per l’iscrizione nell’Albo della STP di cui è socio il professionista medesimo;

- se l’apertura di un procedimento disciplinare per crediti formativi insufficienti possa rappresentare motivo ostativo all’iscrizione nell’Albo della STP di cui tale iscritto è socio (51).

Si è altresì richiesto se alla STP possa partecipare un professionista nei cui confronti sia stato aperto un procedimento disciplinare per crediti formativi insufficienti.

L’art. 10 della legge n. 183/2011 si occupa dei profili disciplinari dei soci e della STP nei commi 4, lett. d), e 7.

Nell’art. 10, comma 4, lett. d), la legge n. 183/2011 demanda ad una clausola dell’atto costitutivo della STP l’individuazione delle modalità di esclusione dalla STP del socio che sia stato cancellato dall’albo con provvedimento definitivo. Nell’art. 10, comma 7, la legge n. 183/2011 stabilisce che i soci professionisti e la STP sono tenuti all’osservanza del codice deontologico dell’ordine di appartenenza e al relativo regime disciplinare. Come corollario di tale ultima previsione, l’art. 12 del D.M. n. 34/ 2013 fissa il regime di responsabilità della STP che, a seconda dei casi, può essere autonoma o concorrente con quella del socio professionista.

Tali ultime disposizioni disciplinano situazioni in cui la compagine societaria già è formata e la STP regolarmente iscritta (al registro e alla sezione speciale dell’Albo) e in attività. La sanzione disciplinare rilevante ai fini dell’esclusione di un socio professionista da una STP è unicamente la radiazione, dal momento che con l’irrogazione di tale sanzione il professionista è cancellato definitivamente dall’Albo, gli è precluso l’esercizio della professione e, conseguentemente, gli è impedita la partecipazione alla STP in veste di socio professionista alla STP (cfr. art. 10, comma 4, lett. b) della legge n. 183/2011).

Coordinando le previsioni della legge n. 183/2011 con la disciplina dei tipi societari in cui l’esclusione del socio può essere prevista nell’atto costitutivo, la radiazione dall’Albo, per un verso può rappresentare una giusta causa di esclusione, per altro verso può coincidere con la sopraggiunta inidoneità a prestare l’opera (52). Nel caso di una STP costituita ricorrendo ai modelli della s.p.a. o della s.a.p.a., non contemplando la disciplina codicistica l’esclusione del socio, tramite una previsione statutaria si potrebbe prevedere l’obbligo di cessione ovvero il diritto di riscatto da parte della società delle azioni del socio professionista cancellato dall’Albo.

Alla luce di tanto, sia nel caso in cui venga aperto un procedimento disciplinare nei confronti del socio professionista, sia nel caso in cui il socio professionista venga sanzionato con la censura, la sua esclusione non potrà essere deliberata dai restanti soci e la società continuerà ad annoverarlo tra i suoi professionisti e a interessarlo della esecuzione degli incarichi ricevuti.

Anche nel caso in cui dovesse essere sanzionato con la sospensione dall’esercizio della professione, il socio professionista non potrà essere escluso dalla STP, ma l’esecuzione degli incarichi conferiti dai clienti non gli potrà essere affidata dalla STP per tutta la durata della sanzione. La sospensione dall’esercizio professionale del socio Commercialista assunta ai sensi dell’art. 54 del D.lgs. n. 139/2005, infatti, genera una situazione transitoria che, mentre incide sull’attività del singolo professionista, è priva di effetti rispetto alla STP. Come accennato, la STP è cancellata dalla sezione speciale dell’Albo unicamente al ricorrere delle ipotesi descritte nell’art. 10, comma 4, della legge n. 183/2011 e nell’art. 11 del D.M. n. 34/2013, tra cui non compare la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione irrogata al socio professionista.

Diversamente, l’esclusione del socio dalla STP a seguito della intervenuta radiazione dall’Albo, non sarà priva di ricadute per la società, obbligata, per un verso, a rimuoverne il nominativo dall’elenco dei professionisti da esibire alla clientela al momento del primo contatto per il conferimento dell’incarico (53) e, per altro verso, a ripristinare, se venute meno, le condizioni di prevalenza, individuate nell’art. 10, comma 4, lett. b) della legge n. 183/2011, dei soci professionisti sui soci per finalità di investimento e sui soci per prestazioni tecniche: tale adempimento, infatti, si renderà necessario per evitare lo scioglimento e la definitiva cancellazione dall’Albo.

Laddove la radiazione dall’Albo dovesse riguardare l’unico socio della STP unipersonale, ferma restando l’opzione di procedere con una modifica dell’atto costitutivo così che, pur cancellata dall’Albo professionale, la società possa continuare ad operare con un diverso oggetto sociale e dunque non come Società tra professionisti, nei sei mesi utili per regolarizzare la situazione, la STP potrà praticare tutte le soluzioni opportune e consentite dall’ordinamento per mantenere l’iscrizione nella sezione speciale dell’Albo e continuare ad operare nel rispetto delle disposizioni di cui alla legge n. 183/2011.

Occorre in questa sede sottolineare che le conseguenze della radiazione sono definitive, nel senso che, il socio professionista Commercialista di una STP, già radiato e che non sia stato riammesso ai sensi dell’art. 57 del D.lgs. n. 139/2005, non potrà assumere la qualifica di socio professionista di differente STP, né la qualifica di socio di investimento. È quanto si evince dalle previsioni sulle incompatibilità di cui all’art. 6 del D.M. n. 34/2013. Ai sensi del comma 3, lett. c), infatti, il socio per finalità d'investimento può far parte di una STP solo quando non sia stato cancellato da un Albo professionale per motivi disciplinari.

Di tal guisa, vietando che il socio radiato rientri nella STP nella mutata veste di socio di investimento, il regolamento attuativo scongiura il pericolo che il divieto, espresso nella norma primaria e in base al quale il socio radiato dall’Albo deve essere escluso dalla società, possa essere facilmente eluso con la semplice variazione della "categoria" con cui tale soggetto intenda partecipare alla STP.

Da quanto sopra, discende l’ulteriore corollario per cui, ai fini dell’acquisto e del mantenimento della qualifica di socio professionista di STP, il professionista deve risultare regolarmente iscritto all’Albo di appartenenza e deve effettivamente esercitare l’attività professionale dedotta nell’oggetto sociale della società.

L’apertura di un procedimento disciplinare a carico dell’iscritto - anche per insufficienza di crediti formativi - non rappresenta condizione ostativa per l’iscrizione della STP a cui costui partecipi, rilevando in tal senso, come accennato, unicamente la radiazione dall’Albo.

L’analisi comparativa con la società forense mette in luce come la disciplina di cui all’art. 4-bis della legge 247/2012 si distingua da quella dettata per la STP e sopra esaminata.

Il comma 5 dell’art. 4-bis della legge n. 247/2012, infatti, declina il principio per cui anche la sospensione, oltre alla cancellazione e alla radiazione del socio dall’Albo in cui è iscritto, rappresenta una causa di esclusione dalla società. È doveroso precisare che il venir meno delle maggioranze previste dall’art. 4-bis, comma 2, della legge n. 247/2012 con riferimento ai soci professionisti (avvocati e non avvocati, nel caso di STA multidisciplinari) espone la STA alla sanzione della cancellazione dall’Albo se, nel termine di sei mesi, non abbia ripristinato la prevalenza dei soci professionisti.

 

12. L’incompatibilità

Quanto sostenuto in relazione alle verifiche dei Consigli dell’Ordine fa emergere la necessità di spendere alcuni cenni sulle "Incompatibilità".

In un’ottica meramente ricognitiva, va messo in luce come la legge n. 183/2011 abbia declinato il principio in base al quale la partecipazione ad una STP è incompatibile con la partecipazione ad altra società tra professionisti, demandando al regolamento attuativo la disciplina di dettaglio.

Il primo comma dell’art. 6 del D.M. 34/2013 precisa che l’incompatibilità considerata nell’art. 10, comma 6, della l. n. 183/2011, conseguente alla contemporanea partecipazione del socio a differenti società professionali, si determina anche in presenza di STP multidisciplinare e si applica per tutta la durata della iscrizione della società nella sezione speciale dell’albo.

Alla luce della richiamata normativa, si è concluso, pertanto, che il socio professionista può esercitare contemporaneamente la professione in forma individuale, ovvero in forma associata.

L’incompatibilità dei soci professionisti di STP multidisciplinari è stata oggetto di alcuni chiarimenti da parte dell’Ordine.

In differenti occasioni (54), il CNDCEC si è trovato a precisare che la partecipazione del socio sembra essere consentita solo ed esclusivamente ad ua STP, anche multidisciplinare, a prescindere dalle abilitazioni possedute e dalle scrizioni agli Albi vantate dal socio e a prescindere dall’attività individuata come prevalente nello statuto o nell’atto costitutivo dalla società multidisciplinare, essendo questa una condizione imposta dall’ordinamento a tutela dell’organizzazione societaria.

Si osserva al riguardo che l’art. 6, comma 2, D.M. n. 34/2013, rafforzando i divieti espressi nel primo comma, prevede espressamente che l’incompatibilità viene meno alla data in cui il recesso del socio (da una STP), l’esclusione del socio (da una STP), ovvero il trasferimento dell’intera partecipazione (in una STP) producono i loro effetti per quanto attiene al rapporto sociale.

In altri termini, la partecipazione a una differente STP, anche multidisciplinare, sarà consentita solo a partire dal momento in cui lo scioglimento del rapporto societario rispetto al socio acquisterà efficacia secondo le regole della pubblicità effettuata presso il registro delle imprese.

Considerata la tipicità dei rimedi descritti in relazione a ciascun tipo societario, sarà opportuno, sin dalla costituzione, coordinare il regime dell’incompatibilità dei soci della STP con le stringenti regole dettate dal diritto societario55.

La questione del divieto di contemporanea partecipazione a differenti STP torna ad assumere centralità a seguito della riforma della STA di cui all’art. 4-bis della legge n. 247/2012.

Occorre precisare, in via preliminare, che la disciplina della STA non contiene regole espresse in punto di incompatibilità. L’art. 4-bis, comma 3, della legge n. 247/2012 vi accenna in maniera del tutto generica quando impone ai professionisti soci, tenuti a eseguire l’incarico che il cliente conferisce alla STA e in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento della specifica prestazione richiesta dal cliente, di assicurare piena indipendenza e imparzialità, dichiarando possibili conflitti di  interesse o incompatibilità iniziali o sopravvenuti.

Più nello specifico, mentre per via del criterio generale enunciato nel primo comma dell’art. 4-bis, e a seguito della pronuncia n. 19282/2018 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, l’esercizio della professione forense può essere esercitato solo attraverso la STA, la legge n. 247/2012 non chiarisce se il socio avvocato possa partecipare ad altra STA. La stessa legge forense non chiarisce, inoltre, se il socio professionista di una STA multidisciplinare che non sia avvocato possa essere al contempo socio di altra STP costituita ex lege n. 183/2011. In maniera simmetrica occorre comprendere se il socio professionista di una STP costituita ex lege n. 183/2011 possa partecipare anche ad una STA costituita ex art. 4-bis della legge forense.

All’ultimo interrogativo sembrerebbe potersi fornire risposta negativa, considerando che i divieti espressi nella legge 183/2011 e nel D.M. n. 34/2013 hanno portata generale e si riferiscono alla contemporanea partecipazione del socio a più società tra professionisti, nel novero delle quali rientra

 

anche la STA. Trattandosi di divieti generalmente espressi senza individuazione di un criterio temporale che possa consentire di individuare il periodo della contemporanea e plurima partecipazione a differenti società tra professionisti, sembrerebbe parimenti consentito concludere che il professionista non avvocato, già socio di una STA costituita ex art. 4-bis della legge forense, non possa partecipare successivamente ad una STP costituita ex lege n. 183/2011.

Come accennato, l’art. 4-bis della legge 247/2012 non contiene previsioni che precludano al socio (professionista o meno) di partecipare a differenti STA. Sempre che la lacuna non sia indice di una scelta di fondo effettuata per non ostacolare l’emersione del fenomeno del gruppo professionale di avvocati, è da valutare con attenzione la possibilità di invocare l’applicazione in via analogica anche alle STA delle previsioni di cui all’art. 10, comma 6, della legge n. 183/2011, che regola, per l’appunto, un caso simile, così da evitare l’emersione di ingiustificate disparità di trattamento.

Sempre per quanto attiene al regime delle incompatibilità, anche con riguardo ai soci della STP non iscritti negli Albi professionali, trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 10, comma 6, della legge n. 183/2022 e quelle dell’art. 6 D.M. n. 34/2013.

Oltre alla impossibilità di partecipare ad altra STP, il socio non professionista è destinatario di ulteriori precetti, dal momento che l’art. 6 del D.M. n. 34/2013, in particolare, subordina la partecipazione del socio per finalità di investimento a:

i) il possesso dei requisiti di onorabilità previsti per l’iscrizione all’Albo professionale in cui la società è iscritta (andranno tenuti in considerazione, in caso di società multidisciplinare, i requisiti di onorabilità stabiliti dall’ordinamento professionale della c.d. attività prevalente, ovvero quelli degli ordinamenti professionali a cui soggiacciono i differenti professionisti). V’è da dire, in proposito, che il regolamento si premura di precisare che costituisce requisito di onorabilità (anche) la mancata applicazione, anche in primo grado, di misure di prevenzione personali o reali; ii) non aver riportato condanne definitive per una pena pari o superiore a due anni di reclusione per la commissione di un reato non colposo e salvo che non sia intervenuta riabilitazione; iii) non essere stato cancellato da un albo professionale per motivi disciplinare. I requisiti di onorabilità previsti per il socio investitore persona fisica vengono riproposti con riferimento all’organo di amministrazione e ai legali rappresentanti del socio investitore persona giuridica o comunque società.

Dalla ricognizione della normativa, pertanto, emergono alcuni dati significativi.

In primo luogo, degna di nota è la previsione dell’incompatibilità assoluta del professionista cancellato dall’Albo professionale per motivi disciplinari: costui, come precedentemente chiarito, non può partecipare alla STP né in qualità di socio professionista, né in qualità di socio per finalità di investimento.

Tale disposizione va messa in relazione con quella contenuta nell’art. 10, comma 4, lett. d) che impone di determinare con apposita clausola statutaria le modalità di esclusione dalla società del socio che stato cancellato dall’albo con provvedimento definitivo e, presumibilmente interpretata alla luce delle regole che caratterizzano il c.d. ordinamento delle professioni regolamentate, fondate sul decoro e sulla dignità della professione. Trattandosi di società costituite per l’esercizio di attività professionali per le quali è necessaria l’iscrizione in albi, dall’osservanza dei generali canoni descritti nell’art. 2232 c.c. non si potrà prescindere.

In secondo luogo, la previsione contenuta nell’art 6 del D.M. n. 34/2013, sembra risolvere il dubbio circa la possibilità di consentire ad un soggetto differente dalla persona fisica la partecipazione ad una  STP. In tal caso, la verifica dei requisiti di onorabilità, ancorché in alcune circostanze possa rivelarsi non esaustiva, deve essere necessariamente effettuata solo nei confronti degli amministratori e dei rappresentanti legali.

Ancora poco chiara, infine, la motivazione per cui il D.M. n. 34/2013 ometta qualsiasi riferimento alla onorabilità del socio per prestazioni tecniche e non contempli, anche per quest’ultimo e al pari di quanto prevede per il socio per finalità di investimento, il divieto di partecipare alla STP nei casi in cui, da professionista, sia stato cancellato per motivi disciplinari (56).

Rinviando alla Circolare 33/IR per ulteriori approfondimenti, è il caso di mettere in evidenza che, come prevede l’art. 6, comma 6, del D.M. n.34/2013, la violazione dell’obbligo di rimozione della irregolarità, potrà comportare, previa apertura del procedimento, l’irrogazione di una sanzione disciplinare, della quale risulteranno essere destinatari:

i) la STP e i soci professionisti nel caso in cui si tratti di incompatibilità di uno di questi;

ii) la STP qualora trattasi di incompatibilità di soci investitori.

 

13. Il regime disciplinare

Trattandosi di società che esercitano un’attività professionale e che sono iscritte all’Albo professionale come ogni professionista ordinistico, la legge n. 183/2011 e il relativo regolamento di attuazione si soffermano sul regime disciplinare della STP.

L’art. 10, comma 7, della legge n. 183/2011, stabilisce al riguardo che i professionisti sono tenuti all’osservanza del codice deontologico del proprio Ordine, così come la società è soggetta al regime disciplinare dell’Ordine al quale risulta iscritta.

L’art. 12 del D.M. n. 34/2013 prevede che, pur restando ferma la responsabilità del socio professionista secondo le regole deontologiche dell’Ordine di appartenenza, la società risponde disciplinarmente delle violazioni delle norme deontologiche dell’Ordine al quale risulti iscritta (art. 12, comma 1).

Tale ultima disposizione aggiunge che, nei casi in cui l’illecito compiuto dal professionista sia ricollegabile a direttive impartite dalla STP, la responsabilità disciplinare del socio professionista concorre con quella della società, anche se il primo risulta iscritto in un ordine diverso da quello in cui risulta iscritta la società (art. 12, comma 2).

Ne discende un regime disciplinare, per certi versi eccentrico in quanto può coinvolgere una società, che interessa socio e STP a seconda della tipologia dell’illecito posto in essere e che conferma l’individuazione della STP come soggetto professionista autonomo dai soci professionisti che la partecipano.

Oltre alla responsabilità del professionista, infatti, viene sancita la responsabilità disciplinare della STP che essendo autonoma rispetto a quella dei soci professionisti sarà evitata rispettando i principi informatori della professione e le regole deontologiche dell’Ordine a cui la STP viene iscritta (57). Per converso, l’eventuale irrogazione della sanzione disciplinare alla STP non produrrà  necessariamente effetti nei confronti dei soci professionisti i quali, pur in presenza di sanzioni disciplinari che possano inibire alla società di esercitare, resteranno legittimati a continuare la propria attività professionale a titolo individuale o associato. Allo stesso modo, la sanzione disciplinare irrogata a carico del socio professionista per illecito compiuto in maniera del tutto autonoma da qualsiasi ingerenza dell’organo di amministrazione o delle decisioni dei soci della STP, non avrà incidenza sulla medesima STP, fatta eccezione per quelle particolari ipotesi che determineranno la  cancellazione della STP dall’Albo.

Nelle ipotesi in cui l’illecito disciplinare compiuto dal socio sia ricollegabile a direttive impartite dalla STP, il regolamento contempla il concorso di responsabilità (art. 12, comma 2).

Le generali regole relative al regime disciplinare della STP non soffrono eccezioni laddove si tratti di STP multidisciplinare, dal momento che, stante quanto sopra, i professionisti iscritti e la STP rispondono disciplinarmente secondo le regole deontologiche dell’ordine a cui siano iscritti. Con il corollario che, laddove nell’atto costitutivo di una STP multidisciplinare sia stata individuata l’attività prevalente della STP, quest’ultima sarà tenuta all’osservanza delle regole  deontologiche dell’ordine professionale a cui appartengono i soci professionisti che esercitano l’attività indicata come prevalente, mentre i singoli professionisti continueranno a rispettare i propri codici deontologici, anche se differenti da quelli della c.d. attività professionale prevalente.

Come chiarito nella circolare 33/IR, infatti, la normativa sule STP non elude né deroga ai generali principi a cui sono informati gli ordinamenti delle professioni regolamentate e in base ai quali, come è noto, il professionista è tenuto a rispettare la legge professionale e il codice deontologico adottato dall’Ordine professionale a cui risulti iscritto e l’azione disciplinare nei suoi confronti è esercitata dal Consiglio dell’Ordine nel cui Albo risulta iscritto (58).

Nei casi in cui la STP multidisciplinare non abbia individuato nell’atto costitutivo l’attività prevalente, essa verrà iscritta in tutti gli Ordini professionali di appartenenza dei soci professionisti, con conseguente e inevitabile assoggettamento della STP al rispetto degli ordinamenti professionali e delle relative regole deontologiche di ciascun socio professionista e con possibile ampliamento degli illeciti ad essa contestabili.

Laddove la multidisciplinarietà si riferisca ad una STA, le questioni appena esaminate non hanno motivo di porsi.

Come prevede l’art. 4-bis, comma 1, della legge n. 247/2012, infatti, la STA è tenuta a iscriversi un'apposita sezione speciale dell'Albo tenuto dall'Ordine territoriale forense nella cui circoscrizione ha sede la stessa società (59).

La STA, in ogni caso, anche quando multidisciplinare - e con ciò dirimendo qualsiasi dubbio circa la possibilità di inserire un’attività differente da quella forense come attività prevalente - è tenuta al rispetto del codice deontologico forense ed è soggetta alla competenza disciplinare dell'Ordine di appartenenza (cfr. art. 4-bis, comma 6).

 

14. La trasformazione dello studio associato

La trasformazione dello studio associato in STP è stata oggetto di disamina nel documento FNC "Evoluzione dello studio professionale in stp" del 15 gennaio 2015 e le conclusioni a cui si perveniva in quella sede sono tutt’oggi valide e, trovano conferma in alcune più recenti massime del Comitato interregionale del Triveneto.

La soluzione della questione circa la trasformazione dello studio associato in STP è strettamente correlata alla soluzione della questione relativa alla qualificazione giuridica del fenomeno "associazione professionale".

Passando in rassegna le teorie formulate circa la natura giuridica dell’associazione professionale, emergono in sintesi tre orientamenti.

Il primo: l’associazione professionale è associazione atipica, riconducibile al fenomeno delle associazioni non riconosciute di cui all’art. 36 c.c., priva di rilevanza esterna e caratterizzata da un fascio di rapporti obbligatori interni. Nel solco di tale orientamento, effettuando un’ulteriore precisazione, l’associazione professionale è stata anche qualificata come contratto associativo atipico con rilevanza meramente interna.

Il secondo: l’associazione professionale è una società semplice, rappresentandone una delle più rilevanti e concrete manifestazioni.

Il terzo: ancorché privo di personalità giuridica lo studio associato rientra a pieno titolo nel novero di quei fenomeni di aggregazioni di interesse cui la legge conferisce capacità di porsi come centri autonomi di imputazione di rapporti giuridici, muniti di legale rappresentanza pur sempre in conformità alla disciplina di cui all’art. 36 e ss. c.c.

Lo studio risulta così dotato di una certa soggettività giuridica, in quanto nei rapporti con i terzi si presenta come centro unitario di imputazione ancorché, nei rapporti con la clientela non può sostituirsi ai singoli professionisti ove si tratti di prestazioni per l’espletamento delle quali la legge richiede particolari titoli di abilitazione di cui soltanto il singolo può essere in possesso.

In definitiva, la qualificazione giuridica dello studio associato appare ancora incerta. Ciò che emerge con una certa insistenza è la tendenza di farne un centro autonomo di interessi, con rilevanza metaindividuale ed esterna.

Ciò posto e passando alla tematica della trasformazione, va segnalato un interessante precedente della Cassazione (Corte di Cassazione, sez. lav., 21 agosto 2004, n. 16500) dove il Giudice dichiarava legittima l’operazione di trasformazione di uno studio associato in società (nel caso di specie si trattava di trasformazione in s.a.s.) ricorrendo la stessa denominazione, lo stesso oggetto, i medesimi soci e trattandosi, in altri termini, di vicenda connotata dalla continuità dei rapporti giuridici in essere, come la trasformazione presuppone. Più precisamente, secondo i giudici di legittimità, si trattava   della trasformazione di una società di fatto (come è qualificata l’associazione professionale) in società in accomandita semplice.

Lo studio associato, dunque, viene qualificato in tale contesto come società di fatto e in quanto non esercente attività di impresa, attratto sotto l’ambito applicativo della disciplina della società semplice.

Muovendo da tale assunto, l’operazione di trasformazione di studio associato in STP potrà ricadere sotto l’ambito di applicazione dell’art. 2500-ter c.c. (trasformazione di società di persone in società di capitali) ovvero essere attratta nella disciplina della trasformazione in altra società di persone (trasformazione da società di persone in società di persone) e trovare disciplina nei principi generali della trasformazione (art. 2498 e ss. c.c.). La trasformazione in società di persone si realizzerà, ovviamente, con l’evoluzione dell’organizzazione dello studio in una società in nome collettivo ovvero in una società in accomandita semplice.

Nello statuto della STP "di arrivo" le regole proprie del tipo societario prescelto dovranno essere opportunamente "adeguate" con la disciplina prevista per l’esercizio della professione in forma societaria dalla legge n. 183/2011.

Laddove si aderisca alla tesi che nega all’associazione professionale la natura di società semplice l’operazione esulerà dall’ambito della trasformazione omogenea, per approdare a una possibile connotazione in termini di trasformazione eterogenea.

L’applicabilità delle regole previste per la trasformazione eterogenea, oltre a imporre una scelta interpretativa circa la qualificazione giuridica del fenomeno associazione professionale, costringe l’interprete a delimitarne l’ambito di operatività. In base al dato letterale delle disposizioni che dovrebbero trovare applicazione, la trasformazione eterogenea appare limitata ai casi declinati negli artt. 2500-octies c.c., vale a dire alle ipotesi di trasformazione, in società di capitali, di consorzi, società consortili, comunioni d’azienda, associazioni riconosciute e fondazioni.

Emerge con chiarezza, allora, che i tipi societari d’arrivo sono unicamente quelli delle società di capitali, mentre gli enti di partenza sono esclusivamente le associazioni riconosciute, oltre ai consorzi, alle società consortili, alle comunioni d’azienda e alle fondazioni. Con riferimento al primo degli aspetti considerati, vale a dire il tipo societario di arrivo, da quanto si evince dalla lettera della norma, sembrerebbe preclusa la trasformazione in società di persone. Tale compressione dell’ambito applicativo, non appare del tutto convincente, considerato che legislatore delegato della riforma del diritto societario, dovette necessariamente trascurare la disciplina delle società di persone, pena l’eccesso di delega.

Con riferimento al secondo aspetto, vale a dire l’identificazione degli enti di partenza, secondo l’opinione maggioritaria, le ipotesi tratteggiate nelle disposizioni di cui agli artt. 2500-septies e ss. c.c. sono unicamente quelle maggiormente significative: non si tratterebbe di elencazione tassativa e la trasformazione degli enti in generale sembrerebbe consentita a prescindere dai riferimenti testuali dell’art. 2500-septies c.c., quantomeno in presenza di tipicità causale.

Aderendo a questa ricostruzione, si può concludere che la trasformazione eterogenea c.d. atipica da studio associato in STP sia consentita in via diretta, vale a dire senza necessità di effettuare alcun passaggio intermedio con cui l’associazione tra professionisti richieda ed ottenga il riconoscimento, e per l’effetto pienamente lecita ai sensi dell’art. 1322 c.c.

Anche in relazione al delicato aspetto della trasformazione, sarebbe auspicabile un intervento del legislatore che avalli gli esiti a cui si è giunti, in sede di prima interpretazione, con disposizioni integrative e di dettaglio della disciplina della legge n. 3/2012.

 

15. Il privilegio del credito professionale

Si dibatte sul riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c. ai soci di STP. Occorre dedicare alcuni cenni alla questione che sembra mantenere una certa attualità in recenti pronunce dei Giudici dove, al credito professionale vantato dai soci della STP, non è stato riconosciuto il privilegio di cui all’art. 2751-bis, n. 2, c.c., fatto di per sé assolutamente censurabile attesa la natura del credito e la prescrizione circa la personalità della prestazione. E’ infatti di tutta evidenza la discriminazione ingiustificata tra il credito per la medesima prestazione.

In linea generale, equiparando la STP all’associazione professionale, si registra una certa ritrosia a considerare la STP come il professionista intellettuale che fornisce la prestazione professionale oggetto del mandato conferito dalla clientela. Un diffuso orientamento della giurisprudenza risulta ancorato, per un verso, all’opinione tradizionale che riconosce il privilegio ex art. 2751-bis n. 2 c.c. solo al professionista persona fisica, in quanto personalmente impegnato nell’esecuzione della prestazione professionale di cui resta responsabile a pieno titolo, e non all’associazione professionale di cui questi faccia parte, e per altro verso, propenso a enfatizzare la circostanza che nelle associazioni professionali, il credito professionale si confonde con la remunerazione dell’attività organizzata dai professionisti e diventa credito d’impresa, conseguentemente mutando la causa del credito, con ciò delineando una interpretazione fuorviante e discriminatoria del lavoro del professionista.

V’è da dire che tali interpretazioni sono state disattese da altra giurisprudenza che, sempre con riferimento ai crediti vantati da associazioni professionali, ha posto in evidenza come la causa del credito resti collegata all’attività riferibile direttamente al professionista. In quest’ottica, si è pervenuti a riconoscere il privilegio al credito dell’associazione, laddove si fornisca rigorosa prova che tale credito sia sostanzialmente correlato all’attività professionale svolta in via esclusiva o prevalente dal singolo professionista associato (60).

La questione merita di essere esaminata effettuando alcune considerazioni d’insieme.

Con riferimento ai soci di STP non può essere sottaciuto che, differentemente dalle associazioni professionali, non dovrebbe essere necessaria la ricerca, ovvero, la rigorosa prova della personalità della prestazione resa, perché tutto l’impianto normativo, che abbiamo esaminato nei paragrafi che precedono e su cui si basa la disciplina, enfatizza il rapporto personalistico con il cliente in modo più accentuato di quanto accade nelle associazioni professionali. Sia l’art 10, comma 4, lett. c), sia gli artt. 3, 4 e 5 del D.M. n. 34 /2013, consentono di concludere che pur socio della STP, il professionista svolge la prestazione professionale, che è dedotta nell’oggetto sociale quale attività esclusiva della STP, in ossequio ai canoni declinati nell’art. 2232 c.c.. Peraltro, anche nella lettera di incarico alla associazione professionale deve pur sempre essere indicato il professionista incaricato, diversamente ritenendo che tutti i singoli professionisti che compongono la associazione siano congiuntamente incaricati. Il professionista, inoltre, deve attenersi alle stringenti regole previste dall’art. 5 del D.M. n. 34/2013 allorché intenda avvalersi, sotto la propria direzione e responsabilità, della collaborazione di ausiliari: in tali casi, infatti, il professionista deve comunicare i nominativi dei propri collaboratori al cliente per consentirgli di esprimere il proprio dissenso entro tre giorni.

Il silenzio del cliente non prova la mancata accettazione delle condizioni proposte, bensì l’inverso, ovverosia che il cliente ha accettato che il professionista si faccia coadiuvare nell’esecuzione dell’incarico. Del resto, lo svolgimento dell’attività professionale in team non è una facoltà che l’ordinamento riconosce unicamente alla STP, né, per il sol motivo di essere stata attuata, è indice di un’attività professionale svolta secondo logiche imprenditoriali: al riguardo, non può sottacersi che lo stesso professionista individuale può valersi, sempre sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti o ausiliari, qualora la prestazione di altri sia consentita dal contratto, dagli usi e non sia incompatibile con l’oggetto della prestazione (61) e non essere, per tal motivo, necessariamente considerato alla stregua di un imprenditore. In tale prospettiva, il mancato riconoscimento del privilegio per il credito professionale del socio professionista che svolga la propria attività per la STP dà vita ad un’irragionevole disparità di trattamento con il professionista che svolge la propria attività a titolo individuale.

In conclusione, laddove si fornisca rigorosa prova che il credito per la prestazione professionale sia sostanzialmente correlato all’attività professionale svolta in via esclusiva dal professionista socio, così come da più di uno congiuntamente incaricati all’esecuzione della prestazione, in ossequio alle disposizioni di legge e di regolamento dettate per il conferimento e l’esecuzione dell’incarico, il riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c. non dovrebbe essere negato.

Ad ogni buon conto, nella prospettiva de jure condendo, dovrebbe proporsi una modifica del testo della legge n. 183/2011 espressamente finalizzata a riconoscere ai soci della STP il privilegio per i crediti professionali ex art. 2751-bis, n. 2 c.c. e, del pari, ai professionisti associati in associazione professionale.

 

16. La STP e l’assoggettabilità alle procedure concorsuali

La legge n. 183/2011 non contiene alcuna previsione sulla crisi della STP, né esclude espressamente la STP dal fallimento.

Facendo leva sulle clausole dell’atto costitutivo relative all’esclusività dell’oggetto sociale che, come accennato, mai può ricomprendere attività economiche di natura imprenditoriale (62), si è esclusa in via interpretativa la soggezione della STP alla legge fallimentare.

L’unico precedente della giurisprudenza reso sull’argomento si conforma a tale orientamento, escludendo dall’ambito applicativo della lege fallimentare la STP. IL Tribunale di Forlì, con decreto del 25 maggio 2017, ha rigettato il ricorso per la dichiarazione di fallimento presentato dai creditori di una STP costituita in forma di s.r.l. e messa in liquidazione volontaria dai soci ai sensi dell’art. 2484, primo comma, n. 3, c.c. e ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. b) della legge n. 183/2011. Il giudice rammenta che, ai sensi dell’art. 1 l.f., sono soggetti al fallimento gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale e che abbiano superato le soglie di cui all’art. 1, comma 2, l.f.

Nel caso in rassegna, pur sussistendo il superamento dei parametri previsti nel secondo comma dell’art. 1 l.f., il Tribunale precisa che "... non né possibile ritenere sussistente per la società la qualità di imprenditore e l’esercizio di un’attività commerciale, necessari ai fini dell’assoggettabilità al fallimento".

Per maggior precisione, si trattava di una STP costituita ricorrendo al tipo societario della s.r.l., ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 10 legge n. 183/2011, che svolgeva statutariamente in via esclusiva l’attività professionale del Commercialista e, come tale, era iscritta nella sezione speciale dell’Albo. Essendo venuti a mancare la prevalenza dei soci professionisti rispetto ai soci per prestazioni tecniche che pure detenevano una percentuale minoritaria delle quote della STP - s.r.l. ed essendosi verificata l’ipotesi descritta nell’art. 10, comma 4, lett. b), della legge n. 183/2011 - in base alla quale, venendo meno la pluralità dei soci professionisti nella misura richiesta dalla legge stessa, la società si scioglie se nel termine di sei mesi non è ristabilita la prevalenza dei soci professionisti con le stesse maggioranze - la società cessava l’attività professionale e veniva messa in liquidazione secondo le ordinarie regole previste per le società di capitali. Non sussistevano, dunque, presupposti per contestare la deliberazione di messa in liquidazione, né per poter invocare che l’assenza del socio-professionista avesse contribuito a far "evolvere" la STP in una s.r.l. ordinaria.

Chiariti tali aspetti, il Tribunale afferma che, anche in assenza di specifiche previsioni in relazione alla assoggettabilità alle procedure concorsuali e al fallimento di una STP da parte della legge n. 183/2011, conformemente all’orientamento della più autorevole dottrina, la STP costituita per l’esercizio in via esclusiva di una o più attività professionali e che abbia effettivamente svolto - sempre in via esclusiva - tale attività non può essere assimilata alle altre società commerciali, non esercitando un’attività commerciale e non rivestendo la qualità di imprenditore. La STP, pertanto, non è assoggettabile a fallimento.

La ricostruzione effettuata dal Tribunale di Forlì, dal momento che evidenzia la natura ontologicamente differente tra attività professionale, anche svolta per tramite dell’organizzazione societaria, e attività di impresa commerciale, sembrerebbe avallare la validità della differente impostazione della problematica che, alla luce della vigente normativa, reputa assoggettabile la STP agli istituti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio di cui alla legge n. 3 del 27 gennaio 2012. Si richiama, a tal proposito, il disposto dell’art. 6 della predetta legge n. 3/2012, ove si precisa che le menzionate procedure sono state previste per far fronte a situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili alle vigenti procedure concorsuali (63). In questa prospettiva, stesse conclusioni possono spendersi circa il sovraindebitamento della STA, considerato che nell’art. 4-bis della legge n. 247/2012 risultano assenti, sia espressi richiami ad altre procedure concorsuali, sia l’espressa esclusione dalla fallibilità.

Uno sguardo al prossimo futuro si impone.

Soffermandosi sulle disposizioni di cui al D.lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019 (Codice della crisi), mette conto rilevare che l’attuale formulazione dell’art. 65 (64) stabilisce che possono proporre soluzioni della crisi da sovraindebitamento i debitori di cui all’art. 2, comma 1, lett. c). Questi ultimi ricomprendono, inter alia, il consumatore, il professionista, l’imprenditore agricolo, l’imprenditore minore, le start-up innovative e ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale.

Essendo la liquidazione giudiziale riservata agli imprenditori commerciali, che non siano imprese minori, e che si trovino in stato di insolvenza (65), in forza delle considerazioni effettuate con riferimento alla natura non imprenditoriale dell’attività della società, le STP anche in futuro dovrebbero esplicitamente aver accesso alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (66) o, previo deposito della relativa domanda, alla liquidazione controllata di cui all’art. 268 del Codice della crisi.

Vero è che la configurazione che la stessa legge n. 183/2011 consente di dare alla STP, con l’eventuale apertura al capitale e all’investimento da parte di soci non professionisti, costringe l’interprete a spendere qualche ulteriore riflessione sull’argomento della fallibilità (o liquidabilità giudiziale) - o meno - della società.

Come più volte rimarcato, per scongiurare la eventualità che la STP venga attratta nell’ambito applicativo dello statuto dell’imprenditore commerciale, occorre evitare che l’attività professionale costituisca elemento di un’attività organizzata da altri secondo logiche di impresa - stante il disposto dell’art. 2238 c.c. - o che si svolgano attività economiche di natura imprenditoriale accanto a quella professionale.

In tale duplice prospettiva, oltre alla perspicua limitazione dell’oggetto sociale all’esercizio dell’attività professionale per cui la STP è stata costituita, sarebbe quanto meno opportuno, ancorché non risolutivo della problematica, riservare la gestione della STP ai soci professionisti.

In conclusione, de jure condendo, dovrebbe proporsi una modifica del testo della legge n. 183/2011 espressamente finalizzata ad escludere la STP dalla soggezione al fallimento e alla liquidazione giudiziale come disciplinata nel Codice della crisi, esplicitando, al contempo, la sua attrazione alla disciplina degli istituti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio di cui alla legge n. 3 del 27 gennaio 2012.

 

PARTE SECONDA - ASPETTI FISCALI

 

1. La qualificazione fiscale del reddito delle società tra professionisti

La norma istitutiva delle società tra professionisti (di seguito, "STP"), nonché il relativo regolamento attuativo, non individuano la natura del reddito prodotto dalla società, né il conseguente trattamento delle somme percepite dai soci. La mancanza di una qualificazione fiscale a livello normativo, impone di individuare i modelli impositivi applicabili alla fattispecie attraverso il procedimento esegetico che, tuttavia, conduce a risultati contrapposti a seconda che si scelga di privilegiare il presupposto soggettivo (vale a dire la natura del soggetto che produce il reddito), ovvero quello oggettivo (soffermandosi esclusivamente sulla natura dell’attività esercitata).

La discrasia tra natura commerciale del tipo societario eventualmente utilizzato e la natura eminentemente professionale dell’attività svolta determina una situazione antinomica difficilmente risolvibile in via interpretativa. Le incertezze operative generate da siffatta situazione hanno trovato risposta in un intervento della prassi amministrativa sul quale si tornerà fra breve, non prima di aver succintamente riepilogato i diversi indirizzi interpretativi manifestati in materia.

 Con la nostra circolare 19 settembre 2013, n. 34/IR, pubblicata all’indomani dall’adozione della disciplina attuativa della STP, è stato evidenziato che, privilegiando il presupposto soggettivo, il reddito delle STP andrebbe qualificato come reddito di impresa (67). Tale società, infatti, deve essere costituita secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile. Sotto il profilo fiscale, le società in nome collettivo e in accomandita semplice (art. 6, comma 3, del testo unico delle imposte sui redditi - di seguito, "Tuir" - approvato con D.P.R. n. 917/1986) generano redditi di impresa a prescindere dalla fonte reddituale e dall’oggetto sociale, così come il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali di cui alle lett. a) e b) del comma 1 dell’art. 73 del Tuir è sempre considerato reddito di impresa (art. 81, comma 1, del Tuir) e determinato secondo le rispettive disposizioni.

Ponendo l’accento sulla veste giuridica del soggetto, dunque, le STP costituite in uno dei predetti tipi societari dovrebbero produrre unicamente reddito di iimpresa.

A conclusioni diverse si giunge, invece, se si ha riguardo all’oggetto dell’attività svolta. Considerato che le STP possono esercitare esclusivamente attività professionali, il medesimo reddito andrebbe più correttamente qualificato come reddito di lavoro autonomo. Infatti, ai sensi dell’art. 10, comma 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183, le STP sono espressamente costituite per l’esercizio di attività professionali regolamentate all’interno del sistema ordinistico. Inoltre, la qualifica di STP può essere assunta unicamente da società il cui atto costitutivo preveda l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci. Tale attività, ai sensi di quanto disposto dall’art. 53 del Tuir, genera redditi di lavoro autonomo.

Analoghe incertezze interpretative si erano peraltro già presentate in passato con riferimento sia alle società di ingegneria (di cui all’art. 46, comma 1, lett. c), del D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (68), sia alle società tra avvocati (di cui agli articoli 16 e ss. del D.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96). In entrambe le occasioni, il dibattito interpretativo aveva trovato soluzione in un intervento della prassi amministrativa che, peraltro, era giunta a conclusioni contrapposte per le due diverse fattispecie.

Per le società di ingegneria, la risoluzione 4 maggio 2006, n. 56/E (69) ha in primo luogo ricordato che le medesime si costituiscono in forma di società di capitali e hanno come oggetto sociale l’esecuzione di studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni dei lavori, valutazioni di congruità tecnico-economica o studi di impatto ambientale. Secondo l’Agenzia delle entrate, nella qualificazione del reddito prodotto da dette società non assume alcuna rilevanza il presupposto oggettivo, essendo viceversa determinante il presupposto soggettivo. È stato infatti ritenuto che la natura del reddito prodotto da dette società, sulla base del richiamato art. 81 del Tuir, rientra nella categoria del reddito di impresa per il solo fatto di essere realizzato da un soggetto costituito sotto forma di società di capitali.

Provando a trasporre siffatte conclusioni alle STP che qui ci occupano, va osservato che le due fattispecie non sono perfettamente sovrapponibili. Infatti, sebbene entrambe svolgano un’attività professionale, nella STP detta attività deve essere svolta in via esclusiva. Inoltre, le STP possono essere costituite non solo come società di capitali ma anche sotto forma di società di persone e, infine, le STP sono soggette al regime disciplinare dell’ordine al quale risultano iscritte (70). La presenza di queste caratteristiche peculiari non assicura l’immediata applicazione alle società fra professionisti delle  conclusioni raggiunte dalla prassi amministrativa con riferimento alle società di ingegneria.

Viceversa, per le società tra avvocati di cui agli articoli 16 e ss. del D.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96 - le quali, ove non diversamente disposto, sono disciplinate dalle norme che regolano la società in nome collettivo - l’Agenzia delle entrate ha ritenuto di qualificare il reddito dalle stesse prodotto come reddito di lavoro autonomo.

La risoluzione 28 maggio 2003, n. 118/E ha tratto spunto dalla relazione governativa al decreto legislativo, la quale, dopo aver sottolineato in più occasioni il carattere professionale della società, afferma altresì che il richiamo alle norme sulla società in nome collettivo "non implica la qualificazione della società tra avvocati come società commerciale..." e che l’esclusione della società in oggetto dal fallimento "conferma la specificità del tipo e la natura non commerciale dell’attività svolta".

Impostazione che risulta coerente con le disposizioni dell’art. 2238 del codice civile il quale nega, anche se in modo indiretto, la natura commerciale delle attività dei professionisti intellettuali e degli artisti. Peraltro, anche il parere espresso in materia dalla Sezione consultiva degli atti normativi del Consiglio di Stato nell’adunanza dell’11 maggio 1998 sottolinea che lo "strumento societario non può comunque vanificare i requisiti della personalità e della professionalità del soggetto esercente", indicando, con tale affermazione, che l’attività di assistenza legale svolta nella forma societaria mantiene lo stesso contenuto che ne caratterizza l’esercizio in forma individuale. Il rinvio alle disposizioni in materia di società in nome collettivo opera pertanto, secondo il documento di prassi in rassegna, ai soli fini civilistici, in quanto consente di determinare le regole di funzionamento del modello organizzativo, mentre ai fini fiscali, per ragioni di coerenza del sistema impositivo, occorre dare risalto al reale contenuto professionale dell’attività svolta.

In base a queste considerazioni, la risoluzione n. 118/E ha concluso che i redditi prodotti dalla società tra avvocati costituiscono redditi di lavoro autonomo in quanto ad essi si applica la disciplina dettata per le associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma comune di arti e professioni di cui all’art. 5, comma 3, lettera c) del Tuir.

Tale conclusione, peraltro, non è stata ribadita con riferimento alle società tra avvocati costituite ai sensi della legge 31 dicembre 2012, n. 247, come modificata dalla legge 4 agosto 2017, n. 124, che consente l’esercizio della professione forense in forma societaria a società di persone, di capitali o cooperative iscritte in apposita sezione dell’albo tenuto dall’ordine territoriale di riferimento. Per tali società, la risoluzione 7 maggio 2018, n. 35/E ha precisato che, in questo caso, risulta prevalente la veste giuridica assunta secondo le forme tipiche del codice civile, piuttosto che lo svolgimento di un’attività professionale, con conseguente riconducibilità del reddito prodotto nella categoria dei redditi di impresa. La diversa soluzione adottata nella risoluzione n. 118 del 2003 per le società tra avvocati di cui al D.lgs. n. 96 del 2001 rimane valida, ad avviso dell’Agenzia, considerata l’autonoma disciplina di queste ultime società.

Come si legge nella risoluzione n. 35/E del 2018, tale interpretazione è stata confermata anche dalla Direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale del Dipartimento delle finanze che, a seguito di una richiesta di parere della stessa Agenzia, ha fornito risposta con nota del 19 dicembre 2017, n. 43619, in cui ha evidenziato che per tali società, in mancanza di deroghe normative espresse, "sembra difficile valorizzare l’elemento oggettivo della professione forense esercitata a discapito dell’elemento soggettivo dello schermo societario".

Tornando alla tematica connessa alla controversa natura del reddito prodotto dalle STP, è utile ricordare che il disegno di legge governativo recante "misure di semplificazione degli adempimenti per i cittadini e le imprese e di riordino normativo", presentato al Senato il 23 luglio 2013 (A.S. 958), aveva tentato di introdurre una specifica disciplina sul punto.

In particolare, l’art. 27, comma 4, del citato disegno di legge prevedeva che "alle società costituite ai sensi dell’articolo 10 della legge 12 novembre 2011, n. 183, indipendentemente dalla forma giuridica, si applica, anche ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, il regime fiscale delle associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni di cui all’articolo 5, comma 3, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917".

Riconoscendo alle STP il medesimo trattamento fiscale riservato alle associazioni professionali, il reddito da queste prodotto veniva pertanto qualificato come reddito di lavoro autonomo e attribuito per trasparenza ai soci; con l’unica eccezione dei soci non professionisti che, avendo assunto - per altro verso - la qualifica di imprenditori, avessero considerato la partecipazione detenuta nella STP tra i beni relativi all’impresa esercitata. In quest’ultimo caso, l’utile attribuito per trasparenza dalla società si sarebbe configurato infatti come un provento che, rinvenendo da un bene relativo all’impresa, restava irrimediabilmente attratto alla formazione del reddito di impresa, unitamente agli altri componenti positivi e negativi afferenti ai beni e alle attività relative all’impresa stessa.

Tale disciplina non ha tuttavia trovato codificazione normativa, avendo il Governo successivamente rinunciato alla sua approvazione, su richiesta formulata in sede di parere delle Commissioni parlamentari, in quanto la medesima avrebbe reso "estremamente difficile" la possibilità di adottare questa tipologia di società. Secondo il citato parere, siffatto intervento non avrebbe costituito, infatti, una semplificazione per le STP costituite come società di capitali o società cooperative, le quali avrebbero dovuto tenere una duplice contabilità e redigere un doppio bilancio: uno civilistico, basato sul principio di competenza economica e uno fiscale, ispirato al criterio di cassa.

Come anticipato, a sciogliere le incertezze interpretative manifestate a margine della corretta qualificazione del reddito prodotto dalle STP è da ultimo intervenuta l’Agenzia delle entrate con due  risposte a interpelli: la risposta del 12 dicembre 2018, n. 107 e quella del 27 dicembre 2018, n. 12871.

Nella prima risposta, l’Agenzia delle entrate, richiamando espressamente la soluzione interpretativa adottata per le società tra avvocati con la risoluzione 7 maggio 2018, n. 35/E, ha affermato che le STP c ostituite nelle forme di società commerciali producono un reddito che, ai sensi di quanto disposto dagli articoli 6, comma 3 e 81 del Tuir, va qualificato come reddito d’impresa. Inoltre, "va da sé che per le prestazioni effettuate dalla S.a.s. nell’esercizio d’impresa non deve essere operata alcuna ritenuta sulla base di quanto disposto dall’articolo 25, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973". A tal proposito, la risposta ad interpello in esame ha ulteriormente specificato che per evitare salti o  duplicazioni d’imposta eventualmente derivanti dal passaggio da un regime per cassa ad un regime per competenza (a seguito di trasformazione dell’associazione professionale in STP costituita in forma di s.a.s. [n.d.r.: in regime di contabilità ordinaria]), se un componente reddituale, per il quale sia mutato il criterio di imputazione temporale, ha già concorso alla determinazione del reddito in applicazione delle regole previste dal regime "di provenienza", lo stesso non concorrerà alla formazione del reddito dei periodi di imposta successivi, ancorché se ne siano verificati i presupposti previsti dal regime "di destinazione".

Analoghe conclusioni sono state rassegnate nella risposta a interpello del 27 dicembre 2018, n. 128, nella quale l’Agenzia delle entrate ha ulteriormente specificato che "Sul piano fiscale, le STP, costituite per l’esercizio di attività professionali per le quali è prevista l’iscrizione in appositi albi o elenchi regolamentati nel sistema ordinistico, producono reddito d’impresa in quanto non costituiscono un genere autonomo, appartenendo alle società tipiche disciplinate dal codice civile e, conseguentemente, sono soggette alla disciplina legale del modello societario prescelto, salvo deroghe o integrazioni espressamente previste".

In sostanza, stando agli orientamenti della prassi amministrativa, ai fini della qualificazione del reddito prodotto dalle STP, non assume alcuna rilevanza l’elemento oggettivo dello svolgimento di un’attività professionale; risultando viceversa predominante l’elemento soggettivo inerente il fatto di operare in una veste giuridica societaria tipica del codice civile. Di conseguenza, a dette società si applicano le previsioni di cui agli articoli 6, comma 3, e 81 del Tuir, per effetto delle quali il reddito delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché delle società e degli enti commerciali di cui alle lett. a) e b) del comma 1 dell’art. 73 del Tuir, è considerato reddito d’impresa da qualsiasi fonte provenga il reddito dalle stesse prodotto.

La qualificazione del reddito delle STP come reddito d’impresa comporta una serie di effetti, con inevitabili riflessi nella valutazione circa l’opportunità di costituire una STP per l’esercizio dell’attività professionale, che saranno esaminate nei paragrafi successivi.

 

2. Il trattamento fiscale delle somme percepite dai soci

Per quanto concerne la fiscalità degli utili distribuiti ai soci, essa sconta regimi fiscali diversi a seconda che la STP sia costituita in forma di società di persone, società di capitali che hanno optato per il regime di trasparenza (ex articoli 115 e 116 del Tuir) ovvero società di capitali che non hanno esercitato detta opzione. Nelle prime due ipotesi, l’utile sconta l’IRPEF direttamente in capo ai soci; mentre, nel caso di società di capitali non trasparente, l’utile sconta l’IRES in capo alla società e i dividendi attribuiti ai soci sono assoggettati alla ritenuta a titolo di imposta del 26%. A tale ultimo proposito, vanno evidenziati due importanti interventi della prassi amministrativa, a mezzo dei quali sono state fornite indicazioni in merito alla qualificazione fiscale delle somme a diverso titolo erogate ai soci da parte delle STP costituite sotto forma di società di capitali.

Il primo dei suddetti interventi di prassi è la risposta della Direzione Regionale della Lombardia dell’Agenzia delle entrate all’interpello n. 904-1126/2017 del 4 agosto 2017 a mezzo del quale la società contribuente chiedeva indicazioni in merito alla qualificazione, ai fini fiscali, dei compensi che intendeva erogare a due nuovi soci (che avrebbero cessato la loro posizione IVA individuale) a titolo, rispettivamente, di corrispettivo per l’attività professionale svolta per la STP e di compenso per l’attività svolta come consigliere d’amministrazione della medesima società.

Al riguardo, la DRE Lombardia, dopo aver ricordato che il reddito prodotto dalla STP è considerato reddito di impresa, ha affermato che i compensi erogati a fronte dell’attività professionale svolta per la STP non possono essere considerati redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (ex art. 50, comma 1, lett. c-bis), del Tuir). Infatti, nel caso di STP costituita in forma di società di capitali, il reddito dalla medesima prodotto è tassato in capo alla stessa come reddito di impresa e, in capo ai soci,   solo in caso di successiva distribuzione degli utili, come reddito di capitale (ex art. 44, comma 1, lett. e), del Tuir), fatta salva, ove ammessa, la facoltà di esercizio del regime di tassazione per trasparenza, di cui all’art. 116 del Tuir.

Diversa, secondo la DRE Lombardia, la situazione del socio che svolge il ruolo di consigliere di amministrazione della società. Infatti, l’art. 50, comma 1, lett. c-bis), del Tuir prevede che sono tassati come redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, tra gli altri, "le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società, associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica". Unica eccezione a tale principio si verifica quando il ruolo di amministratore svolto rientra nei compiti istituzionali oggetto della professione esercitata dal soggetto. Solo in questo caso, i relativi proventi devono essere ricondotti nel reddito di lavoro autonomo derivante dall’attività professionale abitualmente svolta (tematica ampiamente affrontata dalla circolare 12 dicembre 2001, n. 105/E).

Come anticipato, il tema della qualificazione fiscale delle somme erogate dalla STP ai propri soci è stato nuovamente affrontato nella risposta a interpello dell’Agenzia delle entrate n. 128 del 27 dicembre 2018. In questa seconda fattispecie, la STP era stata costituita nella forma di società a responsabilità limitata ed aveva per oggetto l’esercizio dell’attività di dottore commercialista e la consulenza aziendale. La società intendeva conoscere il trattamento fiscale di somme che sarebbero state erogate ad alcuni soci (titolari di propria partita IVA) a fronte di contratti di prestazione d’opera intellettuale (ex artt. 2230 e ss. c.c.), ripartite in dodici mensilità e commisurate unicamente alle ore lavorative svolte per la STP (quindi, in modo completamente svincolato sia dal risultato economico della STP, sia dalla quota di partecipazione al capitale posseduta dal singolo socio).

Nel caso di specie, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto che le somme erogate ai soci professionisti costituivano un corrispettivo per l’attività lavorativa svolta in favore della società dovendosi, viceversa, escludere in base allo statuto della STP che detta prestazione d’opera potesse integrare un conferimento in natura (ex art. 2464 c.c.). Sotto il profilo fiscale, l’Agenzia delle entrate ha quindi ritenuto che i suddetti corrispettivi vadano qualificati come redditi di lavoro autonomo (ex art. 53 del Tuir), con conseguente necessità di effettuazione, da parte della STP, della ritenuta d’acconto di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 600 del 1973.

Il tema della qualificazione fiscale delle somme percepite dai soci della STP viene quindi risolto, in tali documenti di prassi, facendo di volta in volta attento riferimento ai singoli elementi che caratterizzano la fattispecie concreta e che consentono di verificare se trattasi di distribuzione di utili o di pagamento di corrispettivi per l’attività professionale svolta.

 

3. I principi generali di determinazione del reddito

Come già ricordato, l’art. 10, comma 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183 prevede che la STP possa essere costituita secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile. Pertanto, le STP possono essere costituite ricorrendo sia ai tipi societari delle società di persone che a quelli delle società di capitali ovvero anche al tipo della società cooperativa. Con riferimento a quest’ultima, la disposizione da ultimo richiamata ne circoscrive l’applicabilità a società con non meno di tre soci, derogando alla regola generale declinata nel primo comma dell’art. 2522 del c.c. che fissa il numero minimo dei soci a nove

 

3.1. Le società tra professionisti costituite in forma di società semplice

La STP costituita nella forma della società semplice, ossia secondo un modello a cui è precluso l’esercizio di attività commerciali, determina il reddito con le regole proprie del reddito di lavoro autonomo di cui agli articoli 53 e 54 del Tuir.

 

3.2. Le società tra professionisti costituite in forma di società di persone commerciali

Le STP costituite in forma di società di persone di tipo commerciale (vale a dire in forma di società in nome collettivo o in accomandita semplice) assolvono le imposte dirette in applicazione del principio di tassazione per trasparenza ai sensi dell’art. 5 del Tuir, a prescindere dal regime contabile (semplificato o ordinario) adottato.

Pertanto, il reddito della STP, che si qualifica comunque come reddito di impresa, viene assoggettato ad IRPEF direttamente in capo ai soci e a prescindere dall’avvenuta (o meno) distribuzione dell’utile prodotto dalla società.

 

3.2.1. Le società tra professionisti in contabilità semplificata

Con riferimento ai soggetti in regime di contabilità semplificata è utile ricordare che, dal 1° gennaio 2017, i medesimi adottano un regime di determinazione del reddito improntato al criterio di cassa, che nei fatti diventa poi un regime misto cassa-competenza (circ. 11/E/2017).

Tale regime si applica, ovviamente, anche alle STP costituite in forma di s.n.c. e di s.a.s. in contabilità semplificata.

Anche per queste ultime STP sono tre le soluzioni praticabili per la tenuta della contabilità.

La prima è quella prevista dal comma 2 dell’articolo 18 D.P.R. n. 600/73 che prevede l’istituzione di due registri distinti (incassi/pagamenti) nei quali annotare cronologicamente ricavi percepiti e spese sostenute con riferimento alla data di incasso/pagamento.

In questi registri sarà necessario individuare:

- l’importo del ricavo/spesa percepito o pagato,

- le generalità, l’indirizzo e il comune di residenza anagrafica del soggetto che effettua o a cui è stato effettuato il pagamento,

- gli estremi della fattura o altro documento emesso.

Sempre all’interno dei suddetti registri dovranno essere annotati, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi, gli altri componenti rilevanti ai fini della determinazione dell’imponibile (tipicamente plusvalenze, minusvalenze, canoni di leasing e ammortamenti, spese per prestazioni di lavoro, ecc.).

Questa modalità di gestione ha l’indubbio vantaggio di tassare i ricavi solo al momento dell’incasso, analogamente a quanto avviene per i professionisti o per le associazioni professionali. I suddetti registri degli incassi e dei pagamenti possono essere sostituiti da quelli da tenere ai fini dell’IVA, se il contribuente procede, all’interno di essi, con separata indicazione, a contabilizzare:

-  le operazioni, non soggette a registrazione ai fini IVA (es. ammortamenti, canoni di leasing, plusvalenze, ecc.),

- l’importo complessivo dei mancati incassi/pagamenti e delle fatture cui gli stessi si riferiscono.

Tale annotazione dovrà essere riportata nei registri IVA entro i termini di presentazione della dichiarazione delle imposte sui redditi.

In questo modo, infatti, secondo l’art. 18, comma 4, D.P.R. n. 600/73, risulta ugualmente certa la determinazione del reddito d’impresa in base al principio di cassa.

Si ricorda inoltre che, successivamente, al momento dell’effettivo incasso/pagamento i ricavi e i costi dovranno essere registrati separatamente entro i successivi sessanta giorni.

Si tratta dunque di un "sistema a consuntivo" che permette a posteriori l’indicazione dei soli componenti non incassati/pagati.

Tale metodologia si fa sicuramente preferire rispetto a quella dei registri degli incassi/pagamenti  poiché più snella sull’aspetto amministrativo, incamerando ugualmente l’indubbio vantaggio di permettere la tassazione dei ricavi solo al momento dell’incasso.

D’altro lato, questo metodo, potrebbe generare qualche difficoltà, specie in prossimità della fine dell’anno, derivanti dalla necessità di dover ricostruire i mancati incassi e pagamenti di tutto il periodo.

L’ultima soluzione percorribile per la tenuta della contabilità semplificata è data dalla possibilità di tenere solamente i registri IVA senza separata indicazione degli incassi e pagamenti.

La scelta si concretizza previo esercizio di un’apposita opzione (vincolante per almeno un triennio) che consente di tenere i soli registri IVA senza operare sugli stessi alcuna annotazione relativa ad incassi e pagamenti: opera infatti, in questo caso, una presunzione legale secondo cui la data di registrazione (ai fini IVA) dei documenti coincide con quella di incasso o pagamento.

Si tratta decisamente di un sistema semplificato in termini di oneri amministrativi poiché prevede, in buona sostanza, che tutte le fatture o documenti che risultano annotati nei registri IVA entro la data di fine esercizio siano da considerarsi incassati o pagati nell’anno.

Tale metodologia presenta tuttavia per le STP il grosso limite di dover anticipare la tassazione di ricavi già fatturati, ma non ancora incassati; il che, per i motivi sopra esposti, potrebbe anche non essere la soluzione idonea per tale tipo di società.

 

3.2.2. Le società tra professionisti in contabilità ordinaria

Come noto, l’art. 18 del D.P.R. n. 600 del 1973 subordina la possibilità di tenere una contabilità semplificata in luogo di quella ordinaria al ricorrere di determinati requisiti che vanno periodicamente verificati dai soggetti di minori dimensioni.

Con riferimento all’attività propria delle STP, che è tipicamente un’attività di prestazione di servizi, si rammenta che l’obbligo di tenuta della contabilità ordinaria scatta qualora i ricavi percepiti in un anno intero, ovvero conseguiti nell’ultimo anno di applicazione dei criteri previsti dall’art. 109, comma 2, del Tuir, abbiano superato l’ammontare di quattrocentomila euro.

Il regime di contabilità semplificata rimane, quindi, il regime naturale per quanti si collocano al disotto di detta soglia, ferma restando anche per questi soggetti la possibilità di optare per la tenuta di una contabilità ordinaria.

 

3.3. Le società tra professionisti costituite in forma di società di capitali o cooperativa

Le STP costituite sotto forma di società di capitali e società cooperative sono soggetti passivi dell’IRES (ex art. 73, co. 1 lett. a) del Tuir), proprio in virtù del principio più sopra esplicitato secondo cui le stesse non costituiscono un genere autonomo di società con causa propria, ma sono sottoposte in tutto e per tutto alla disciplina del modello societario prescelto.

Come noto, se le società di capitali non superano le soglie di cui all’art. 2435-ter del codice civile previste per le c.d. "micro-imprese" (72) che redigono il bilancio in forma abbreviata, il reddito di impresa sarà determinato secondo le regole previste dal Tuir (il principio di c.d. "derivazione semplice"). Per le altre società di capitali che superano dette soglie e redigono il bilancio in forma ordinaria, il reddito d’impresa sarà invece determinato secondo il principio di c.d. "derivazione rafforzata" di cui all’art. 83 del Tuir. Per queste ultime società varranno, pertanto, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti dai princìpi contabili nazionali.

 

4. Aspetti peculiari relativi alla determinazione del reddito delle società tra professionisti costituite in forma di società di capitali o cooperativa

Lo svolgimento dell’attività professionale sotto la veste giuridica di STP costituita nelle forme delle società di tipo commerciale provoca, come già ricordato, un vero e proprio "cambio di paradigma" nella determinazione del reddito per effetto del passaggio dalla categoria dei redditi di lavoro autonomo a quella dei redditi di impresa, che richiede una programmazione adeguata ed un profondo cambio culturale ed organizzativo nella gestione dell’attività.

L’attività professionale si fonda sulla prestazione d’opera intellettuale, sulla consulenza svolta dal professionista "intuitu personae" e vede l’organizzazione dello studio come ancillare alla prestazione professionale.

L’attività d’ impresa, viceversa, implica la gestione di una azienda definita dal nostro legislatore come "il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore". Le norme che ne derivano sia sul piano della redazione del bilancio e conseguente applicazione dei principi contabili, sia sul piano del diritto tributario presuppongono una differente organizzazione dell’attività svolta, che non può non essere in qualche misura implementata nella STP, quanto meno ai soli fini dell’assolvimento degli obblighi di bilancio e tributari.

Con l’eccezione delle s.n.c e s.a.s. in contabilità semplificata - forme societarie scarsamente utilizzate per il permanere della responsabilità illimitata in capo ai soci amministratori -, le altre STP determinano il reddito di impresa secondo il principio di competenza. Tale criterio di imputazione temporale dei componenti reddituali implica la necessità di dover valutare i lavori in corso alla data di chiusura dell’esercizio, distinguendo fra lavori di durata superiore o inferiore ai dodici mesi.

L’applicazione del principio di competenza comporta inoltre la rilevazione dei ratei e risconti attivi e passivi, dei crediti e dei relativi fondi di svalutazione, dei fondi per i rischi professionali derivanti da potenziali richieste di risarcimento del danno da parte di clienti o di terzi e, più in generale, il rispetto di una serie di regole proprie del reddito di impresa differenti da quelle previste per i redditi di lavoro autonomo.

Lo studio professionale che intenderà adottare la veste giuridica di STP costituita nella forma di società di capitali o società cooperativa dovrà quindi necessariamente dotarsi di una organizzazione interna che preveda un sistema di rilevazione dei tempi di lavoro (time sheet) dedicati da professionisti, collaboratori e personale dipendente alle singole pratiche. La rilevazione di tali tempistiche è infatti indispensabile per poter impostare una contabilità di tipo "industriale" dello studio-STP, anche al fine di valorizzare correttamente le prestazioni in corso alla data di chiusura dell’esercizio sociale. Con   la redazione del bilancio di esercizio si dovranno determinare anche i ratei e i risconti attivi e passivi, riferiti ad esempio alle polizze assicurative, ai contratti di locazione o alle utenze, si dovranno poi valutare i rischi relativi ai sinistri aperti con la propria compagnia di assicurazione non coperti dalla stessa o relativi agli avvisi ricevuti dalla clientela per i quali vi è una responsabilità dello studio, si dovranno altresì analizzare i singoli crediti per determinare gli importi delle eventuali svalutazioni degli stessi.

Appare infine importante evidenziare che il passaggio dalla tassazione per cassa alla tassazione per competenza determinerà, quanto meno nel primo esercizio, un esborso finanziario molto elevato che potrebbe di fatto azzerare quasi completamente i flussi di cassa in entrata. Molti studi hanno ingenti crediti nei confronti della clientela e di fatto si assiste in non poche realtà professionali ad un decalage di un anno fra prestazioni svolte e incassi. In questi casi, si avrà di fatto un carico di tassazione doppia che potrebbe portare quasi ad annullare il reddito dello studio nell’anno di costituzione della STP.

Di seguito, passeremo in rassegna le principali differenze derivanti dalla determinazione del reddito di impresa rispetto alla determinazione del reddito di lavoro autonomo, con l’obiettivo di offrire un quadro sintetico a coloro che per la prima volta volessero approcciare il tema della "trasformazione" dello studio individuale o associato in STP costituita nella forma di società di capitali o cooperativa.

 

Servizi in corso alla data di chiusura dell’esercizio sociale

La valorizzazione dei servizi in corso di esecuzione al termine dell’esercizio è certamente uno degli aspetti più problematici derivanti dal passaggio dal criterio di cassa a quello di competenza. In termini generali, è doveroso ricordare che:

- i servizi per i quali le parti hanno pattuito per contratto una durata non superiore ai 12 mesi sono valutati applicando alla parte non ancora ultimata il criterio basato sulla spesa sostenuta nell’esercizio (ex art. 92, comma 6, del Tuir);

- i servizi pattuiti come oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale sono valutati sulla base dei corrispettivi pattuiti. Alla fine di ogni esercizio, la STP dovrà quindi calcolare, con riferimento alla parte del servizio già prestato, la quota maturata del corrispettivo pattuito (ex art. 93 del Tuir).

Al riguardo, sembra opportuno segnalare i seguenti aspetti:

- senza un sistema di contabilità per commesse basato sulla rilevazione dei tempi di lavorazione da parte di tutti i componenti della STP (professionisti, collaboratori, dipendenti) risulta quasi sempre impossibile effettuare tali valutazioni;

- nelle STP in cui la componente del lavoro dei soci è preponderante in rapporto ai costi dei dipendenti, dei collaboratori e dei costi di struttura, la valutazione delle rimanenze dei servizi di durata infrannuale in corso di esecuzione al termine dell’esercizio sarà influenzata in modo rilevante dalla modalità con cui i soci professionisti sono remunerati da parte della STP per l’attività da loro prestata nei confronti della stessa. Nel caso in cui tali soci, non avendo anche una propria posizione IVA individuale, siano remunerati per l’attività svolta solo all’atto della distribuzione dei dividendi da parte della STP, quest’ultima non potrà infatti valorizzare nel costo della rimanenze l’attività svolta dai soci, per effetto della mancanza di costi per servizi professionali sostenuti dalla STP. Nel caso in cui i soci professionisti abbiano invece anche una propria posizione IVA individuale e per le prestazioni da loro svolte emettano fattura nei confronti della STP, quest’ultima potrà valorizzare nel costo delle rimanenze l’attività svolta dai soci sulla base dei costi per servizi professionali sostenuti;

- la maggior parte delle attività prestate dai professionisti come ausiliari del giudice hanno una durata ultrannuale, ma indeterminata, e un corrispettivo fissato in base a parametri determinati, ma di ammontare determinabile solo nel corso dell’adempimento della prestazione. In alcuni casi, quali le curatele, l’importo del compenso è condizionato anche dalla presenza di attivo nella procedura. In simili circostanze, la valutazione delle rimanenze finali dei predetti servizi in corso di esecuzione al termine dell’esercizio risulta particolarmente critica, né risulta possibile rilevare in bilancio un ricavo considerato che il principio contabile relativo ai lavori in corso su ordinazione (cfr. OIC 23, par. 52) prevede che la rilevazione di quest’ultimo sia effettuata "solo quando vi è la certezza che il ricavo maturato sia definitivamente riconosciuto ... quale corrispettivo del valore dei lavori eseguiti".

 

Oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione

Solo nell’ambito del reddito di lavoro autonomo troviamo una disciplina specifica per l’acquisto e la cessione di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione. L’art. 54, comma 5, del Tuir prevede, infatti, che il costo di acquisto o d’importazione di tali beni sia ricondotto fra le spese di rappresentanza, seguendone la relativa disciplina. La deducibilità è consentita nei limiti dell’1% dei compensi percepiti nel periodo d’imposta, unitamente alle altre spese di rappresentanza quali ad esempio quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad essere ceduti gratuitamente (omaggi). Lo stesso trattamento fiscale è previsto anche per gli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione che siano utilizzati come beni strumentali per l’esercizio dell’attività. La cessione di questi beni non determina, tuttavia, l’emersione di plusvalenze o minusvalenze rilevanti fiscalmente. Nell’ambito del reddito d’impresa le spese per l’acquisto di tali beni non sono invece oggetto di una disciplina specifica ed è necessario quindi ricorrere ai principi generali per stabilire le modalità con cui poter dedurre le stesse. Per la STP la scelta della deducibilità del costo sarà rimessa dunque alla sensibilità degli amministratori che dovranno stabilire la natura del bene, distinguendo quelli strumentali da quelli meramente patrimoniali ovvero ancora verificando la loro riconducibilità tra le spese di rappresentanza nel caso in cui gli stessi siano destinati ad essere ceduti gratuitamente alla clientela. La cessione (o la destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’attività) degli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione strumentali o meramente patrimoniali genererà inoltre plusvalenze o minusvalenze sempre rilevanti ai fini della determinazione del reddito d’impresa.

 

Spese di rappresentanza

Nell’ambito del reddito di lavoro autonomo, come già ricordato, è stato fissato un tetto alla deducibilità alle spese di rappresentanza pari all’1% dei compensi percepiti nel periodo d’imposta. È stato altresì ricordato che rientrano tra le spese di rappresentanza, oltre a quelle sostenute per l’acquisto di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione, le spese sostenute per l’acquisto di beni destinati ad essere ceduti a titolo gratuito.

L’Agenzia delle entrate con la circolare 13 luglio 2009, n. 34/E (par. 1) ha anche chiarito che le disposizioni relative alla qualificazione delle spese di rappresentanza previste in sede di determinazione del reddito di impresa rilevano anche ai fine del reddito di lavoro autonomo.

Ai fini della determinazione del reddito di impresa è previsto invece un differente limite alla deducibilità di tali spese. L’art. 108, comma 2, del Tuir stabilisce infatti che le spese di rappresentanza sono deducibili nei limiti dell’1,5% dei ricavi ed altri proventi della gestione caratteristica fino ad un importo di questi ultimi pari 10 milioni di euro, nei limiti dello 0,6% dei ricavi e altri proventi per la parte di questi ultimi eccedente 10 milioni di euro e fino a 50 milioni, e nei limiti dello 0,4% dei ricavi e altri proventi superiori a 50 milioni di euro.

Nell’ambito del reddito d’impresa le spese relative ai beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a 50 euro sono comunque deducibili integralmente, a prescindere dai predetti limiti, e non trova applicazione una disciplina specifica per la deduzione delle spese relative all’acquisto di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione.

In ogni caso, le spese di rappresentanza sono deducibili soltanto se rispondenti ai requisiti di inerenza stabiliti con il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 19 novembre 2008 (pubblicato in G.U. n. 11 del 15 gennaio 2009).

 

Compensi ai familiari

In sede di determinazione del reddito di impresa della STP non è replicata la disposizione di cui all’art. 54, comma 6-bis, del Tuir che, nell’ambito del reddito di lavoro autonomo, inibisce la deduzione dei compensi al coniuge, ai figli, affidati o affiliati, minori di età o permanentemente inabili al lavoro, nonché agli ascendenti del professionista, dei soci o associati, per il lavoro prestato o l’opera svolta nei confronti del professionista, della società o associazione.

Ne consegue la possibilità per la STP di dedurre tali compensi, nel rispetto ovviamente del requisito di loro inerenza all’attività esercitata.

Spese per corsi di formazione o di aggiornamento professionale, master, convegni e congressi La disciplina dei redditi di lavoro autonomo prevede che le spese per l’iscrizione a master, convegni e congressi, nonché a corsi di formazione o di aggiornamento professionale, comprese quelle di viaggio e soggiorno, sono integralmente deducibili entro il limite annuo di diecimila euro (art. 54, comma 5, Tuir).

In sede di determinazione del reddito d’impresa non sono invece previste limitazioni specifiche alla deducibilità di tali costi, per cui in presenza di spese eccedenti il predetto limite di diecimila euro, la STP potrà dedurre anche l’importo eccedente di tali spese.

 

Regime degli immobili strumentali e spese di natura incrementativa su beni di terzi

In sede di determinazione del reddito di impresa della STP vengono meno alcune significative limitazioni alla deduzione dei costi di acquisto degli immobili strumentali all’esercizio dell’attività. In particolare, le quote di ammortamento relative a tali immobili risultano pacificamente deducibili, a differenza di quanto accade nel reddito di lavoro autonomo (73).

Per quanto concerne il trattamento fiscale dei canoni di leasing il regime risulta invece simmetrico, essendo prevista sia per il reddito di impresa che per il reddito di lavoro autonomo che gli stessi siano deducibili in un periodo non inferiore a dodici anni, a prescindere dalla durata effettiva del contratto. Con riferimento ai costi di natura incrementativa, intendendosi per tali le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione, che dal bilancio non risultino imputate ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, quelle relative ai beni immobili strumentali sono deducibili in base al processo di ammortamento proprio del cespite in relazione al quale le stesse sono state sostenute.

Nell’ambito dei redditi di lavoro autonomo, tali spese (74) sono invece deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento nel limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili risultante all’inizio del medesimo periodo; mentre l’eventuale eccedenza è deducibile in quote costanti nei 5 periodi d’imposta successivi (cfr. art. 54, comma 2, ultimo periodo, Tuir) (75). Analoga differenza sussiste per le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione di natura incrementativa sostenute su immobili strumentali di terzi, detenuti in locazione o comodato. Ed infatti, in sede di determinazione del reddito di impresa della STP risulta applicabile l’art. 108, comma 1, del Tuir che prevede la deducibilità delle spese relative a più esercizi nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio. La norma rinvia dunque alle diposizioni civilistiche, per cui bisogna fare rifermento al principio contabile OIC 24, secondo cui tali spese devono  essere ammortizzate sulla base della loro utilità futura o della durata residua del diritto di utilizzazione dell’immobile, se inferiore. Nel caso le migliorie incrementative siano separabili dai beni alle quali le stesse si riferiscono, dovranno essere classificate nelle immobilizzazioni materiali, nella specifica categoria alla quale appartengono e seguiranno il processo di ammortamento proprio del cespite. Nell’ambito dei redditi di lavoro autonomo, l’Agenzia delle entrate, nella risoluzione 8 aprile 2009, n. 99/E, ha ritenuto che le spese di natura incrementativa su immobili strumentali di terzi sono deducibili in base ai medesimi criteri di imputazione temporale dettati dall’art. 54, comma 2, del Tuir per le spese non aventi tale natura, "non essendo rinvenibile nell’ambito della disciplina del reddito di lavoro autonomo un altro criterio d’imputazione per le spese di natura pluriennale". Dal che, le stesse, analogamente a quelle relative agli immobili in proprietà acquistati dal 1° gennaio 2010 in poi, sono deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento nel limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili risultante all’inizio del medesimo periodo; mentre l’eventuale eccedenza è deducibile in quote costanti nei 5 periodi d’imposta successivi.

 

Spese relative a autovetture, autocaravan, ciclomotori e motocicli

Tali spese, come è noto, ricevono la medesima disciplina ai fini della determinazione sia del reddito di impresa che del reddito di lavoro autonomo.

L’art. 164 del Tuir prevede, infatti, per entrambe le categorie di reddito i medesimi "limiti di deduzione delle spese e degli altri componenti negativi relativi a taluni mezzi di trasporto a motore, utilizzati  nell’esercizio di imprese, arti e professioni".

Per le autovetture, autocaravan, ciclomotori e motocicli le spese e gli altri componenti negativi relativi agli stessi risultano quindi deducibili nella misura del 20%, fermi restando i limiti di rilevanza fiscale del costo di acquisto dei medesimi (18.075,99 euro, per autovetture e autocaravan; 4.131,66 euro, per i motocicli; 2.065,83, per i ciclomotori).

 

Interessi passivi

Sebbene gli interessi passivi siano una componente di costo generalmente non molto rilevante nell’ambito della attività professionali, è bene ricordare che alla STP soggetta ad IRES si applicano i limiti di deducibilità previsti dall’art. 96 del Tuir. La norma consente, come è noto, la deduzione degli interessi passivi fino all’ammontare degli eventuali interessi attivi e per l’eventuale eccedenza nel limite del 30% del ROL (risultato operativo lordo) della gestione caratteristica determinato ai sensi del citato art. 96. Limiti di deducibilità, questi ultimi, che invece non trovano applicazione nell’ambito dei redditi di lavoro autonomo.

 

5. Le società tra professionisti e gli indici sintetici di affidabilità fiscale

Dalla qualificazione fiscale del reddito prodotto dalle STP come reddito di impresa discendono alcune conseguenze anche in merito all’applicabilità degli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA). Si ricorda infatti che una particolare situazione in cui trova applicazione una causa di esclusione dagli ISA riguarda i contribuenti con categoria reddituale diversa da quella per la quale è stato approvato l‘ISA e, quindi, diversa da quella prevista nel quadro dei dati contabili contenuto nel modello ISA approvato per l’attività esercitata.

Quest’ultima è proprio la situazione che si verifica quando l’attività professionale viene svolta sotto forma di STP, i cui criteri di determinazione del reddito, come più volte ricordato, sono quelli del reddito di impresa, ma i quadri dei dati contabili del modello si riferiscono alle attività di lavoro autonomo.

Si prenda ad esempio una STP costituita in forma di società a responsabilità limitata che ha ad oggetto l’attività di commercialista. Essa determina il reddito secondo le regole del reddito di impresa, ma il modello ISA (BK05U) non ne prevede il relativo quadro contabile (quadro F), in quanto esiste il solo quadro H concepito unicamente per l’attività di lavoro autonomo professionale. In tal caso scatta quindi la predetta causa di esclusione dall’applicazione degli ISA.

 

6. L’evoluzione dello studio individuale o associato: cessione, conferimento e trasformazione

Le operazioni straordinarie che possono coinvolgere i soggetti esercenti arti e professioni, ancorché nella pratica siano sempre più frequenti, non sono state nel corso degli anni oggetto di specifica attenzione da parte del legislatore fiscale.

L’unico intervento normativo è stato l’inserimento nell’art. 54 del Tuir - ad opera del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (conv. dalla L. 4 agosto 2006, n. 248) - del comma 1-quater, ai sensi del quale concorrono a formare il reddito di lavoro autonomo anche i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali, comunque riferibili all’attività artistica o professionale.

Con tale disposizione è, stato, dunque, ampliato il novero dei componenti positivi riconducibili alla categoria dei redditi derivanti dall’esercizio abituale di arti e professioni, risolvendo la controversa questione, sorta in passato, relativa al corretto inquadramento fiscale dei proventi in oggetto percepiti da parte dei titolari di reddito di lavoro autonomo, proventi che - prima della novella normativa - erano stati qualificati dall’Amministrazione finanziaria come redditi diversi ai sensi dell’art. 67 del Tuir (sul punto si rinvia alla ns. circolare n. 1/IR del 12 maggio 2008, § 7). Per tutte le altre ipotesi che consentono le aggregazioni tra studi professionali e, tra queste, il passaggio da studio individuale o associato a STP manca una disciplina positiva, a differenza di quanto previsto per i soggetti che esercitano un’attività d’impresa per i quali, a partire dal D.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, è stato introdotto un regime diffuso di neutralità fiscale.

A tal riguardo, occorre sottolineare come il CNDCEC abbia sollecitato in più occasioni un intervento normativo diretto a evitare che operazioni di apporto o conferimento di studi individuali o associati in società tra professionisti ovvero di trasformazione, fusione o scissione eterogenea di società semplici svolgenti attività professionale in società tra professionisti fossero considerati, sotto il profilo fiscale, realizzativi, con conseguente emersione di materia imponibile in relazione ai beni, ai crediti, al valore della clientela o agli elementi immateriali comunque riferibili all'attività professionale (76). In tale prospettiva, il Consiglio nazionale ha anche evidenziato la necessità di emanare una norma di interpretazione autentica volta ad assicurare il medesimo trattamento fiscale alle operazioni straordinarie poste in essere fino al momento di approvazione della norma sulla neutralità, al fine di superare l’attuale mancanza di espressa disciplina fiscale in materia.

Nella speranza che tale intervento normativo non tardi ad arrivare, per una sintetica ricognizione del dibattito sulla materia appaiono centrali il conferimento dello studio individuale o associato e la trasformazione dello studio associato.

 

6.1 Il conferimento dello studio professionale in STP

Tramite il conferimento dello studio professionale (77), il professionista ovvero i soci dell’associazione professionale forniscono alla società i mezzi necessari per lo svolgimento dell’attività professionale, ricevendone in cambio quote di partecipazione.

Nella pratica, il ricorso all’istituto in esame può realizzarsi per "trasformare" lo studio associato in STP ovvero per realizzare un’aggregazione di studi professionali fino a quel momento distinti.

In proposito, l’art. 10 della L. 12 novembre 2011, n. 183 - che, unitamente al D.M. 8 febbraio 2013, n. 34, detta la disciplina generale riguardante le STP - non contiene prescrizioni specifiche con riferimento agli apporti e ai conferimenti dei soci professionisti; saranno, pertanto, i soci a definire tali aspetti in sede di costituzione, in relazione al tipo societario prescelto (così, ad esempio, se la società è costituita sotto forma di s.r.l., i soci - oltre al denaro - potranno conferire anche beni in natura e crediti secondo quanto previsto dagli articoli 2464 ss. del c.c.).

Quanto ai profili fiscali, superando - almeno apparentemente - la ricostruzione proposta con la ris. 9 luglio 2009, n. 177, l’Agenzia delle entrate (risposta ad interpello 5 dicembre 2018, n. 125), ha ritenuto che - ai fini delle imposte dirette - non possa trovare applicazione il regime fiscale di cui all’art. 176 del Tuir, ai sensi del quale "i conferimenti di aziende effettuati tra soggetti residenti nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese commerciali non costituiscono realizzo di plusvalenze o minusvalenze".

Nel caso in parola non risulterebbe, infatti, integrato il requisito soggettivo richiesto da tale disposizione, ciò in quanto il professionista conferente non esercita (prima dell’operazione di conferimento) alcuna impresa commerciale e determina, altresì, il proprio reddito imponibile secondo regole diverse da quelle previste per gli imprenditori commerciali.

Pertanto, per il professionista conferente o per lo studio associato, in quanto titolari di redditi di lavoro autonomo, l’operazione di conferimento deve essere disciplinata in base al combinato disposto degli artt. 9 e 54 del Tuir (con riferimento alla trasformazione di cui si dirà in seguito, si veda anche la ris. 12 dicembre 2018, n. 107).

A tal riguardo, occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 9 comma 5 del Tuir, "le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche (...) per i conferimenti in società".

Ne consegue che tutte le ipotesi reddituali disciplinate dall’art. 54 del Tuir possono assumere rilievo ai fini in esame, fermo restando che, in assenza di un corrispettivo, le valutazioni dovrebbero essere effettuate sulla base del valore normale, intendendosi per tale il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi (art. 9, comma 3, del Tuir).

Come si è accennato, la ricostruzione recentemente proposta dall’Agenzia delle entrate sembra superare una pronuncia della stessa Amministrazione finanziaria, la quale aveva ritenuto fiscalmente irrilevante il conferimento della clientela (aspetto preponderante di uno studio professionale) in un’associazione professionale. Secondo l’Agenzia, "l'apporto della clientela in occasione dell'ingresso in uno studio associato, senza corresponsione di compenso, configura un'operazione fiscalmente irrilevante in capo ai singolo associati, indipendentemente dalla circostanza che tale apporto rientri tra i parametri considerati per la fissazione delle quote di partecipazione agli utili".

Tale contrasto comporta una serie di problematiche legate ai profili di legittimo affidamento dei contribuenti per quei soggetti che, nell’intervallo tra i due citati documenti di prassi, abbiano effettuato operazioni di riorganizzazione dello studio professionale in neutralità fiscale in anni ancora accertabili, con il rischio di contenzioso con l’Agenzia delle entrate. Sarebbe opportuno quindi che il legislatore intervenisse con una norma di interpretazione autentica che, nel sancire la neutralità delle predette operazioni, consentisse di superare il richiamato contrasto interpretativo. Come già accennato, il CNDCEC, ormai da tempo, ha avanzato nelle competenti sedi istituzionali una proposta di intervento normativo in tal senso.

 

6.1.1. Conferimento di beni strumentali

Ove si aderisse all’impostazione proposta dall’Agenzia delle entrate nelle risoluzioni di fine 2018, nel caso di conferimento di beni strumentali, dovrebbe trovare applicazione il disposto di cui all’art. 54, comma 1-bis, lett. a) del Tuir, secondo il quale concorrono alla formazione del reddito di lavoro autonomo le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni strumentali, calcolate sulla differenza positiva tra il valore normale del bene e il costo non ammortizzato.

Con riferimento ai beni mobili strumentali, assumerebbero quindi rilevanza le sole plusvalenze relative a beni acquisiti in epoca successiva all'entrata in vigore del DL n. 223/2006, norma che ne ha previsto la rilevanza fiscale, cioè successivamente al 4 luglio 2006 (ris. Agenzia delle entrate 21 luglio 2008, n. 310).

Con riguardo invece ai beni immobili, rileverebbero esclusivamente le plusvalenze relative ad immobili strumentali acquisiti nel triennio 2007-2009 (risposta all’interrogazione parlamentare 21 febbraio 2007, n. 5-00752).

Ai sensi dell’art. 54, comma 1-ter, del Tuir, si considerano plusvalenza o minusvalenza la differenza, positiva o negativa, la differenza tra il valore normale del bene e il costo non ammortizzato. Non concorrono invece alla formazione del reddito di lavoro autonomo le plusvalenze derivanti dalle cessioni di oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione (art. 54, comma 1-bis, del Tuir), indipendentemente dal momento in cui è intervenuto l'acquisto (ciò in quanto il costo d'acquisto o d'importazione di tali oggetti non è ammortizzabile ed è ricondotto tra le spese di rappresentanza, seguendone la relativa disciplina, cfr. circ. Agenzia delle entrate 4 agosto 2006, n. 28, § 38).

 

6.1.2. Conferimento di beni diversi da quelli strumentali

Nella risoluzione n. 107/2018, l’Agenzia precisa che anche i "beni diversi da quelli strumentali" conferiti concorrono alla formazione del reddito di lavoro autonomo (78). Con la locuzione sopra richiamata, stante la sua genericità, l’Agenzia sembrerebbe riferirsi, in prima battuta, alle fattispecie disciplinate dall’art. 54, comma 1-quater, del Tuir, norma che, giova ricordarlo, prevede l’assoggettamento ad imposizione dei corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali, comunque riferibili all'attività artistica o professionale. A ben vedere, la norma in esame, diversamente da quanto previsto dall’art. 54, comma 1 bis, del Tuir per i beni strumentali (79), non richiama la cessione a titolo oneroso, quanto piuttosto "i corrispettivi percepiti a seguito di cessione", circostanza questa che potrebbe far supporre che la cessione degli elementi immateriali assume rilievo solo quando questi sono monetizzati.

Deporrebbe a favore di tale ricostruzione la concomitante introduzione ad opera del DL n. 223/2006 di una nuova ipotesi di tassazione separata ex art. 17, comma 1, lett. g-ter) del Tuir, riferita ai corrispettivi di cui all'articolo 54, comma 1-quater, se percepiti in unica soluzione. Posto che concetti come "unica soluzione" o, all’opposto, rateazione richiamano inevitabilmente i corrispettivi in denaro, si dovrebbe concludere che il conferimento di clientela, in assenza di tali corrispettivi, non dovrebbe determinare il presupposto imponibile. Questa impostazione consentirebbe di delineare la fattispecie con maggiore chiarezza, posto che - come si avrà modo di evidenziare - la cessione di clientela non è una cessione in senso tecnico, ma un insieme di obblighi negativi e positivi che rendono quanto mai problematica l’applicazione della disciplina fiscale in assenza di un corrispettivo in denaro.

L’Agenzia non sembra valorizzare tale differenza terminologica (80), affermando ai fini in esame la centralità dell’art. 9 del Tuir, idoneo anche ad individuare il valore normale dei beni e dei servizi conferiti, quale corrispettivo del conferimento.

Resta il fatto che, per quanto evidenziato nel prosieguo, appare difficile ricondurre la "cessione della clientela" nell’alveo della cessione di beni, siano essi materiali o immateriali, motivo per cui a tale specifica fattispecie non potrebbe applicarsi l’art. 9, comma 2, del Tuir.

Venendo all’ambito oggettivo del comma 1-quater, è opinione condivisa che esso sia idoneo ad includere un’ampia gamma di elementi intangibili, quali il know how, il marchio e anche la clientela.

Tali elementi, ove conferiti nella STP, concorrerebbero a formare il reddito del soggetto conferente sulla base del valore normale.

A differenza di quanto previsto per i beni strumentali, relativamente ai quali la plusvalenza è rappresentata dalla differenza tra valore normale del bene e costo non ammortizzato, nel caso di specie, l’intero valore normale del bene sarebbe assoggettato ad imposizione.

D’altra parte, stante l’applicazione del criterio di cassa, i relativi costi sono stati dedotti nel corso degli anni, senza poter essere in alcun modo capitalizzati.

Detta impostazione trova conferma anche nella ris. 16 febbraio 2006, n. 30, con la quale l’Amministrazione finanziaria ha precisato che le spese relative all’acquisto di un marchio sono deducibili secondo il principio di cassa, nel periodo d'imposta in cui lo stesso è stato sostenuto.

Fatte queste premesse, ove si aderisse all’impostazione dell’Agenzia delle entrate, il profilo applicativo di maggiore complessità risulta essere la determinazione del valore normale, il quale risulterebbe riferito a risorse intangibili, che per loro intrinseche caratteristiche di esclusività e unicità sono difficilmente confrontabili con beni similari, spesso inesistenti (si pensi, ad esempio, al marchio che basandosi sull’esclusività ed originalità non dispone di una generica quotazione di mercato).

Al riguardo, la dottrina aziendalistica ha individuato alcuni criteri per la valutazione dei beni immateriali che vanno dai costi sostenuti per la realizzazione, all’attualizzazione delle royalties presunte ed altri criteri ancora.

Tali metodologie possono venire in considerazione anche nella fattispecie in esame, fermo restando che, soprattutto parlando di studi di dimensioni medio piccole, possono risultare sovradimensionate e comunque difficilmente applicabili.

Ancora più complesso risulta il quadro interpretativo in relazione al conferimento di clientela, tema che non risulta affrontato in modo espresso dall’Agenzia delle entrate nelle richiamate risoluzioni, ancorché costituisca la fattispecie più ricorrente e problematica.

L’art. 54, comma 1-quater, del Tuir si limita a stabilire che concorrono alla formazione del reddito di lavoro autonomo anche i proventi percepiti a fronte del trasferimento a titolo oneroso della clientela professionale. Nel silenzio del legislatore sull’ambito applicativo della norma, può soccorrere la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 9 febbraio 2010, n. 2860), la quale ha avuto modo di affermare che la cessione della clientela non può configurare una cessione in senso tecnico (attesi il carattere personale e fiduciario del rapporto tra prestatore d’opera intellettuale e cliente e la necessità, quindi, del conferimento di un nuovo incarico del cliente al cessionario), ma un complessivo impegno del cedente volto a favorire - attraverso l’assunzione di obblighi positivi di fare (mediante un’attività promozionale di presentazione e canalizzazione) e negativi di non fare (quale il divieto di riprendere ad esercitare la medesima attività nello stesso luogo) - la prosecuzione del rapporto professionale tra i vecchi clienti ed il soggetto subentrante.

Pertanto, un contratto di cessione della clientela può considerarsi validamente stipulato nei casi in cui il professionista cedente si sia impegnato a favorire la prosecuzione del rapporto professionale tra i propri clienti ed il soggetto subentrante e abbia in concreto assunto obblighi positivi di fare e negativi di non fare che possano essere autonomamente valutati ai fini della determinazione del corrispettivo.

Alla luce di quanto sopra, ove il conferimento venga utilizzato come strumento di trasformazione o aggregazione, i singoli professionisti continuano nella loro attività proseguendo, in linea di massima, nel rapporto con i medesimi clienti.

Anche con riferimento alle STP, infatti, permane il carattere personale della prestazione professionale dei soci, la quale deve essere svolta solo da soggetti iscritti ad albi.

In proposito, resta applicabile quanto previsto dall’art. 2232 c.c., in base a cui "il prestatore d’opera  deve eseguire personalmente l’incarico assunto", nonché il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione (cfr. ex multis Cass. 26 luglio 2017, n. 18393) secondo il quale "la responsabilità nell'esecuzione di prestazioni per il cui svolgimento è necessario il titolo di abilitazione professionale è rigorosamente personale perché si fonda sul rapporto tra professionista e cliente, caratterizzato dell'intuitus personae, e perciò, anche se il professionista è associato ad uno studio, (...), non sussiste alcun vincolo di solidarietà con i professionisti dello stesso studio né per l'adempimento della prestazione, né per la responsabilità nell'esecuzione della medesima".

Valorizzando la posizione della Corte di cassazione in base alla quale la cessione di clientela si sostanzia in una serie di obblighi di fare e non fare da parte del cedente, in assenza di queste attività a favore di un terzo, occorre chiedersi se nella fattispecie in esame si possa propriamente parlare di cessione.

Nel caso del conferimento in STP, infatti, il professionista, continuando a seguire personalmente il cliente, non pone in essere alcuna delle attività individuate dalla Corte di cassazione, facendo venire meno il presupposto impositivo individuato dalla norma (81).

 

6.2 La trasformazione dello studio professionale in STP

Secondo l’orientamento prevalente, è possibile trasformare lo studio associato in società, tanto di capitali quanto di persone (82).

Dal punto di vista fiscale, il trattamento dell’operazione è stato analizzato dall’Agenzia delle entrate con la risposta ad interpello 12 dicembre 2018, n. 107.

Secondo il richiamato documento di prassi, la disciplina fiscale applicabile alla trasformazione in parola dovrebbe rinvenirsi nei principi dettati dall’art. 171, comma 2, del Tuir (relativo alle trasformazioni eterogenee) per le operazioni che comportano l’ingresso o la fuoriuscita dei beni dal regime d’impresa (83).

La trasformazione viene, quindi, assimilata sul piano fiscale ad un conferimento di beni. Di conseguenza, poiché il professionista conferente produce reddito di lavoro autonomo, l’operazione di trasformazione dovrebbe essere disciplinata in base al combinato disposto degli articoli 9 e 54 del Tuir (84).

Per quanto, invece, attiene ai profili IVA l’operazione risulterebbe in ogni caso fuori campo IVA, ciò in quanto - per espressa previsione normativa - i passaggi di beni e servizi dipendenti da trasformazioni di società ed enti non assumono rilevanza ai fini dell’imposta ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. f) e art. 3, comma 4, lett. d) del D.P.R. n. 633/1972.

L’Agenzia delle entrate, per quanto si sia allineata a precedenti di prassi, non sembra tenere nella dovuta considerazione le ricadute negative di tale ricostruzione sul processo di aggregazione degli studi professionali, auspicato da più parti e alla base dell’intervento della L. n. 183/2011 in materia di STP.

Assoggettando ad imposizione un atto che non ha natura realizzativa, infatti, si introduce un’anticipazione del prelievo tributario che oltre, al descritto effetto disincentivante, appare criticabile sotto il diverso profilo del principio della capacità contributiva.

In tale prospettiva, non si può ignorare che l’art. 171 del Tuir è stato introdotto in un contesto nel quale non era possibile per lo stesso soggetto "passare" dal reddito di lavoro autonomo al reddito d’impresa, mentre invece era possibile per un ente non commerciale trasformarsi in ente commerciale (85). Per certi aspetti, l’art. 171, comma 2, del Tuir sembra assumere anche una funzione di garanzia, assicurando che il plusvalore che si è formato in capo all’ente non commerciale venga tassato secondo le regole applicabili durante il periodo di maturazione, dal momento che, per effetto della trasformazione, si crea una discontinuità di regole fiscali generalmente penalizzanti. Si pensi ad un immobile posseduto da più di cinque anni che entrerebbe nel regime del reddito d’impresa al valore normale senza essere assoggettato ad IRPEF.

D’altra parte, a conferma di quanto riportato e cioè che la trasformazione è solo parzialmente realizzativa, la relazione al DLgs. n. 344/2003 ricorda che "la qualificazione della trasformazione eterogenea come conferimento ha richiesto, altresì, di ampliare le fattispecie imponibili dell'art. 67 includendovi una nuova lettera n) che contempli le plusvalenze derivanti dall'apporto-conferimento di beni (partecipazioni, immobili, terreni, ecc.) in sede di trasformazione eterogenea; con  l'avvertenza, beninteso, che la tassazione potrà avvenire solo ove ricorrano le condizioni previste dalle precedenti lettere dello stesso articolo 67".

Con riferimento alla fattispecie in esame, l’Agenzia avrebbe potuto proporre per un’interpretazione evolutiva e sistematica che tenesse in adeguata considerazione l’intervento della L. n. 183/2011 e la circostanza che questa trasformazione di categoria reddituale non può determinare erosione di base imponibile, dal momento che il reddito d’impresa, anche dopo l’intervento del D.L. n. 223/2006, continua a prevedere regole più stringenti rispetto a quelle del reddito di lavoro autonomo.

A prescindere da quanto sopra e dalla necessità di un’interpretazione evolutiva, anche nell’attuale contesto normativo, la tesi dell’Agenzia delle entrate non è esente da critiche.

Si è, in primo luogo, rilevato che l’art. 171, comma 2, facendo riferimento alle trasformazioni, effettuate ai sensi dell'articolo 2500-octies del c.c., non contemplerebbe l’ipotesi in parola in quanto dalla richiamata previsione civilistica sono escluse le società semplici e le associazioni professionali (86). Inoltre, tale previsione fiscale dovrebbe regolare il passaggio dei beni da una sfera "privata" a una sfera economica, circostanza che non si realizzerebbe per la trasformazione in STP, perché i beni sarebbero già immessi in un circuito economico.

In aggiunta a quanto sopra, è stata sottolineata la stretta correlazione tra il comma 2 dell’articolo 171 e la lettera n) dell’articolo 67 del Tuir, in base al quale costituiscono redditi diversi «le plusvalenze realizzate a seguito di trasformazione eterogenea di cui all’articolo 171, comma 2, ove ricorrono i presupposti di tassazione di cui alle lettere precedenti».

Secondo una parte della dottrina, la trasformazione eterogenea sarebbe fiscalmente imponibile solo se ricorrono le condizioni per la realizzazione di un reddito diverso di cui all’articolo 67 Tuir e tale circostanza non potrebbe verificarsi nel caso di trasformazione di uno studio professionale in STP in quanto le regole dell’articolo 67 Tuir non potrebbero essere applicate quando i redditi vengono conseguiti nell’esercizio di una professione,

Pertanto, secondo la richiamata prospettiva, in assenza di realizzo o di destinazione dei beni a finalità diversa rispetto a quella originariamente attribuita dal contribuente, la trasformazione di uno studio professionale non determinerebbe un presupposto impositivo.

Da ultimo, è bene sottolineare che anche per la trasformazione vengono in rilievo tutte le riflessioni sviluppate nel precedente paragrafo con riguardo all’applicazione dell’art. 54, comma 1-quater, del Tuir.

 

PARTE TERZA - TRATTAMENTO PREVIDENZIALE

 

I Regolamenti di Cassa Nazionale di Assistenza e Previdenza dei Dottori Commercialisti e Cassa Nazionale di Previdenza Ragionieri prescindono dalla natura del reddito della STP (impresa/lavoro autonomo) e dalle regole applicate per ottenerlo (regime di cassa/competenza), prevedendo quanto segue.

Il Contributo Soggettivo, secondo le aliquote previste dai rispettivi regolamenti, è dovuto dal singolo professionista sulla quota di reddito prodotto dalla STP nell’anno precedente, quale risulta dalla relativa dichiarazione fiscale, ed attribuita al socio in ragione della quota di partecipazione agli utili. A tal fine si prescinde dalla qualificazione fiscale del reddito e dalla destinazione che l’assemblea della STP abbia eventualmente riservato a detti utili, non rilevando l’eventuale mancata distribuzione ai soci.

Con riferimento al Contributo Integrativo (4%), la STP deve applicare la maggiorazione su tutti i corrispettivi rientranti nel volume d’affari IVA in proporzione alla quota di partecipazione agli utili dei soci iscritti all’Albo. Il singolo dottore commercialista, socio della STP, deve versare annualmente alla Cassa il contributo integrativo, indipendentemente dall’effettiva riscossione, calcolato sulla parte del volume d’affari IVA complessivo della STP corrispondente alla percentuale di partecipazione agli utili spettanti al professionista stesso. Qualora nella STP siano presenti anche soci non professionisti, la percentuale di partecipazione agli utili deve essere riproporzionata escludendo dal calcolo la quota di partecipazione dei soci non professionisti.

In merito alla "duplicazione" del contributo integrativo, sul volume d’Affari dei soci che emettono fatture alla STP per prestazioni da quest’ultima fatturate al cliente finale, l’Assemblea dei Delegati di CNPADC ha recentemente deliberato una modifica regolamentare che prevede la decurtazione, dall’ammontare complessivo del contributo integrativo da versare, dell’importo del medesimo contributo riferito ai corrispettivi emessi dal professionista alla STP di cui è socio. Analoga delibera è stata adottata dal Comitato dei Delegati di CNPR.

Tali delibere sono tuttavia ancora al vaglio dei Ministeri vigilanti, chiamati ad approvare il relativo contenuto, pertanto non ancora applicabili.

Per quanto riguarda la distribuzione di dividendi, i Regolamenti dei rispettivi Enti previdenziali, si ribadisce, espressamente prescindono dalla destinazione che l’assemblea della STP abbia eventualmente riservato a detti utili, e pertanto non rileva l’eventuale mancata percezione da parte dei soci.

Con specifico riferimento ai compensi dei soci professionisti amministratori delle STP, ove il socio/amministratore sia munito di propria Partita IVA, vale quanto già riportato: i compensi di amministratore vengono de plano attratti nel reddito professionale del singolo dottore commercialista e il reddito della STP risulta decurtato per un pari importo, mentre resta la "duplicazione" del contributo integrativo giacché l’attesa approvazione ministeriale delle modifiche ai Regolamenti, ut supra, si riferisce solo alle prestazioni rifatturate dalla STP al cliente finale.

Nel caso di soci/amministratori senza propria Partita IVA, i compensi percepiti costituiscono redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (art. 50 lett. c bis TUIR).

 

CONCLUSIONI

Nel documento che qui si conclude sono stati esaminati i molteplici aspetti della normativa vigente in punto di società tra professionisti.

L’analisi ha messo in luce talune criticità, note al sistema, e derivanti da una legislazione disattenta che non ha posto la dovuta organica attenzione per incentivare lo sviluppo di questo strumento potenzialmente idoneo all’aggregazione di risorse professionali, anche sotto profili di competenze specifiche e settoriali.

Hanno quindi trovato spazio interpretazioni ministeriali e governative, talvolta non in senso univoco, che hanno generato le criticità evidenziate nel documento e disincentivato, nei fatti, il ricorso massivo a questo strumento di esercizio dell’attività professionale. Queste criticità sono state oggetto di ripetuti interventi del CNDCEC anche nel recente documento depositato nel corso dell’audizione in commissione Finanze alla Camera con l’auspicio che gli stessi vengano accolti in sede di conversione dei numerosi decreti emergenziali emanati in questo periodo.

I mercati sono in evoluzione e con essi anche la domanda di servizi secondo le tendenze e le necessità degli operatori, anche e soprattutto nel futuro che discenderà a seguito della crisi collegata alla pandemia da Covid - 19.

Sarà quindi una domanda, anche diversa dal passato, per rispondere alla quale in un regime di alta competizione non solo nazionale, la professione dovrà poter contare su strumenti operativi e dimensionali che le consentano di competere ed espandersi con efficaci modalità quali-quantitative che permettano adeguate marginalità creando altresì una prospettiva per l’inquadramento nelle STP dei giovani neo abilitati portatori di risorse, anche specialistiche, e quindi contributori alla realizzazione di una dimensione corporate delle attività professionali.

 In questa lungimirante quanto realistica previsione di sviluppo, in un quadro che vede e vedrà impegnato il governo nazionale in una sostanziale ricostruzione del modello economico, l’auspicio sopra formulato si indentifica in una espressa domanda al legislatore nazionale che verrà reiterata nelle competenti sedi per il potenziamento ed il concreto sviluppo delle società tra professionisti.

 

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Note:

(1) Come è noto, l’art. 1 del d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla legge 5 giugno 2020 n. 40 ha riconosciuto anche alle società tra professionisti e alle associazioni professionali la possibilità di accedere alla garanzia concessa dalla SACE al fine di assicurare la necessaria liquidità per far fronte alla situazione emergenziale causata dalla Pandemia.

(2) L’art. 12, comma 3, della legge n. 81/2018 prevede che è riconosciuta ai soggetti che svolgono attività professionale, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, la possibilità di costituire reti di esercenti la professione e consentire agli stessi di partecipare alle reti di imprese, in forma di reti miste, di cui all'articolo 3, commi 4-ter e seguenti, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, con accesso alle relative provvidenze in materia.

(3) In tal senso, Cassazione Civile, SS. UU., del 19 luglio 2018, n. 19282.

(4) In termini, Cassazione Civile, SS. UU., del 19 luglio 2018, n. 19282.

(5) P.O. n. 199/2019.

(6) L’art. 9, comma 3, del D.M. n. 34/2013 prevede che "Il consiglio dell’ordine o del collegio professionale, verificata l’osservanza delle disposizioni contenute nel presente regolamento, iscrive la società professionale nella sezione  speciale di cui all’articolo 8, curando l’indicazione, per ciascuna società, della ragione o denominazione sociale, dell’oggetto professionale unico o prevalente, della sede legale, del nominativo del legale rappresentante, dei nomi dei soci iscritti, nonché degli eventuali soci iscritti presso albi o elenchi di altre professioni.

(7) Cfr. art. 2233 c.c.

(9) P.O. n. 88/2018.

(10) Su cui, infra, par.12.

(11) P.O. n. 3525/2018.

(12) Cfr., ex multis, Corte di Cassazione, sezione V civ., 18 dicembre 2015, n. 25478; Corte di cassazione sez. I civ., 20 febbraio 2015, n. 3456.

(13) Segnalazione alle Camere e alla Presidenza del Consiglio, 1589 B del 12 giugno 2019.

(14) Su cui, infra, par. 9.

(15) Ai sensi dell’art. 2342, quinto comma, c.c., le prestazioni d’opera e di servizi non possono formare oggetto di conferimento.

(16) Si tratta del risalente, ma ancora attuale, precedente della Corte d’Appello Milano, 4 settembre 1956.

(17) Per l’esame delle relative problematiche fiscali, si rinvia alla sezione II, par. 6.1.

(18) Concetto messo in luce da Corte di Cassazione, sez. III civ., 13 gennaio 2005, n. 560.

(19) Corte di Cassazione, sez. II civ., 9 febbraio 2010, n. 2860.

(20) In tal senso si erano espresse le SS.UU., 21 luglio 1967, n. 1889.

(21) Convertito dalla legge n. 248/2006, c.d. seconda legge Bersani. La seconda legge Bersani rappresenta un tassello importante nell’evoluzione della concezione dell’esercizio dell’attività professionale in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 183/2011 per molteplici motivi. In essa, infatti, si chiarisce che: i) è valida la costituzione di società tra professionisti sotto forma di società personali; ii) che le associazioni tra professionisti e le società tra professionisti possono fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinari, iii) che l’oggetto sociale relativo all’attività libero-professionale delle società dovesse essere esclusivo (art. 2). Al contempo, sotto il profilo della qualificazione del reddito, l’art. 36 del decreto, contempla la cessione della clientela chiarendo che "concorrono a formare il reddito (di lavoro autonomo) i corrispettivi percepiti a seguito della cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale". Tale ultima previsione, inserita peraltro nell’art. 54, comma 1-quater del TUIR, pur relativa al trattamento fiscale, sancirebbe il riconoscimento giuridico della cessione della clientela.

(22) In tal senso, Corte di Cassazione, sez. II civ., 7 agosto 2002, n. 11896; Corte di Cassazione, sez. V civ., 3 maggio 2007, n. 10178, per le quali ricorrendone i presupposti si sarebbe in presenza della c.d. azienda professionale.

(23) È il caso di rilevare che molte delle questioni portate alla cognizione dei giudici concernevano vere e proprie realtà imprenditoriali trattandosi di studi medici con un elevato numero di dipendenti e un ingente impiego di strutture diagnostiche e terapeutiche.

(24) Corte di Cassazione, sez. II civ., 9 febbraio 2010, n. 2860.

(25) Come mette in evidenza anche la Corte di Cassazione la netta linea di demarcazione tra professionista e imprenditore è rappresentata dall’art. 2238 c.c. a mente del quale il professionista diventa imprenditore solo in quanto svolga un’ulteriore attività di impresa rispetto alla quale l’esercizio della professione si pone come semplice elemento.

(26) Possibilità concessa per i professionisti iscritti in albi o elenchi dalla legge n. 183/2011.

(27) Vicenda in cui avviamento e clientela sono oggetto di valutazione.

(28) Si tratta della sentenza n. 2860/2010. In base a quanto disposto nell’art. 1322, secondo comma, le parti possono concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. In termini anche Corte di Cassazione, sez. III civ., 8 febbraio 1974, n. 370

(29) È il caso di precisare che in termini analoghi si era espressa l’Agenzia delle Entrate nella Risoluzione108/E/2007.

(30) In osservanza dei precetti deontologici e dunque, per quanto concerne la professione dei commercialisti con il canone deontologico espresso nell’art.17 del codice deontologico della professione.

(31) Ovviamente per il conferimento in s.p.a., stante il disposto dell’art. 2342, comma quinto, c.c., la prestazione professionale potrà essere oggetto di prestazione accessoria ex art. 2345 c.c. ovvero di apporto ex art. 2346, comma sesto, c.c.

(32) Cfr. par. 16.

(33) Art. 10, comma 7, legge n. 183/2011.

(34) Ad eccezione delle STP che adottino la forma della società cooperativa, considerato quanto previsto dall’art. 2542, terzo comma, c.c. in forza del quale la maggioranza degli amministratori è scelta tra i soci cooperatori, che dovrebbero essere i soci professionisti.

(35) Art. 10, comma 3, legge n. 183/2011.

(36) Art. 10, comma 4, lett. a), legge n. 183/2011.

(37) Art. 5, commi 1 e 2, D.M. n. 34/2013.

(38) Art 12 della legge n. 247/2012.

(39) Recante il "Regolamento di attuazione dell’art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, in materia di istituzione del registro delle imprese di cui all’art. 2188 del codice civile".

(40) Si tratta del "Regolamento recante norme per la semplificazione della disciplina in materia di registro delle imprese, nonché per la semplificazione dei procedimenti relativi alla denuncia di inizio di attività e per la domanda di iscrizione all’albo delle imprese artigiane o al registro delle imprese per particolari categorie di attività soggette alla verifica di determinati requisiti tecnici (numeri 94-97-98 dell’allegato 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59)".

(41) Si tratta dell’art. 31 "Soppressione dei fogli annunzi legali e regolamento sugli strumenti di pubblicità" della legge n. 340/2000 recante "Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1999".

(42) Conformemente a quanto dispone l’art. 2 del D.P.R. n. 558/1999.

(43) La funzione di pubblicità-notizia è stata tradizionalmente attribuita all’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese. Singolare la disciplina prevista in punto di impresa agricola e società semplice esercente attività agricola che attribuisce all’iscrizione nella sezione speciale anche una funzione di pubblicità dichiarativa per espressa previsione dell’art. 2 del D.lgs. n. 228/2001, "Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57".

(44) Ai sensi dell’art. 6 D.M. n. 34/2013.

(45) Cfr. par.3.

(46) Art. 8, commi 1 e 2, D.M. n. 34/2013.

(47) Ai sensi dell’art. 9, comma 1, D.M. n. 34/2013, la domanda di iscrizione di cui all’articolo 8 è rivolta al consiglio dell’ordine o del collegio professionale nella cui circoscrizione è posta la sede legale della società.

(48) Circolare n. 33/IR.

(49) Sul punto anche CNDCEC, P.O. n. 158/2013.

(50) Su tali aspetti si rinvia alla nostra circolare n. 32/2013. Alle medesime conclusioni perviene il CNDCEC, P.O. n. 182/2013.

(51) CNDCEC, P.O. n. 184/2018.

(52) Trattandosi di STP s.r.l. o di STP costituita secondo le forme della società di persone.

(53) Ex art. 4 D.M. n. 34/256 A tale categoria di socio è riservata un’unica menzione nell’art. 10, comma 4, lett. b), della legge n. 183/2011.

(54) Risposta a quesito OT Roma del 31 luglio 2018. P.O. n. 127/2018.

(55) L’esclusione dalla società, mentre è disciplinata nell’ambito delle società personali e può essere prevista dall’atto costitutivo di s.r.l., non è contemplata nella disciplina della s.p.a. Appare maggiormente appropriato, in quest’ultimo caso, ricorrere, previa previsione di statuto, alla categoria delle azioni riscattabili ovvero all’uso delle prestazioni accessorie ex art. 2345 c.c.

(57) Si pensi, a titolo esemplificativo, alla STP che attui una pubblicità informativa non in linea con i criteri fissati nel d.l. n. 138/2011 e nell’art. 4 del D.P.R. n. 137/2011. L’illecito disciplinare è direttamente imputabile alla STP e non anche ai soci professionisti, fatta eccezione per le ipotesi in cui le scelte di gestione siano assunte dagli stessi professionisti.

(58) Per i commercialisti tali principi sono esplicitati nell’art. 49 del D.lgs. n. 139/2005.

(59) Ai sensi dell’art. 15, comma 1, lett. l) presso ciascun consiglio dell’ordine è istituito e tenuto aggiornato l’elenco delle associazioni e delle società comprendenti avvocati tra i soci, con l’indicazione di tutti i partecipanti, anche se non avvocati.

(60) Si veda, ex pluribus, Cass., I sez. civ., 5 agosto 2019, n. 20890 secondo la quale: " ... Il privilegio generale sui beni mobili del debitore, previsto dall'art. 2751-bis c.c. per le retribuzioni dei professionisti, trova applicazione anche nel caso in cui il creditore sia inserito in un'associazione professionale, costituita con altri professionisti per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività, a condizione però che il rapporto di prestazione d'opera si instauri tra il singolo professionista ed il cliente, soltanto in tal caso potendosi ritenere che il credito abbia per oggetto prevalente la remunerazione di un'attività lavorativa, ancorché comprensiva delle spese organizzative essenziali al suo autonomo svolgimento".

(61) Ex art. 2232 c.c.

(62) Cfr. art. 2249, secondo comma, c.c.

(63) Ai fini che ci occupano, è utile richiamare la precisazione contenuta nell’art. 5 della legge n. 247/2012, articolo poi abrogato dall’art. 1, comma 141 della legge n. 124/2017, in base alla quale la società tra avvocati era esclusa dalla soggezione alle regole della legge fallimentare, in quanto l’esercizio della professione in forma societaria non costituisce attività di impresa.

(64) Si tratta dell’ambito di applicazione delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento.

(65) Cfr. art. 121 del Codice della crisi.

(66) Di cui al Titolo IV, Capo II, della Parte prima del Codice della crisi.

(67) Fatto salvo il caso della STP costituita nella forma di società semplice, il cui reddito è pacificamente riconducibile tra quelli di lavoro autonomo.

(68) Recante il codice dei contratti pubblici. Tali società, è opportuno sottolinearlo, sono da tenere distinte dalle società di cui alla precedente lettera b) del citato art. 46, comma 1, ossia dalle società costituite esclusivamente tra professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, nelle forme delle società di persone di cui ai capi II (società semplice), III (società in nome collettivo) e IV (società in accomandita semplice) del titolo V del libro quinto del codice civile ovvero nella forma di società cooperativa di cui al capo I del titolo VI del libro quinto del Codice civile, che svolgono per committenti privati e pubblici servizi di ingegneria e architettura quali studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni dei lavori, valutazioni di congruità tecnico economica o studi di impatto ambientale.

(69) Va precisato che la risoluzione n. 56/E del 2006 è stata emanata con riferimento al previgente art. 17, comma 6, lett. b), della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (nel testo risultante dopo le modifiche recate dall’art. 7, comma 1, lett. i), della legge n. 166 del 2002 e, successivamente, dall’art. 24 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria 2004), testo poi riprodotto nell’abrogato art. 90, comma 2, lett. b), del D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, e da ultimo riprodotto nel vigente art. 46, comma 1, lett. c), del D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50).

(70) Ai sensi dell’art. 10, comma 7, della legge n. 183 del 2011, la STP risponde per le violazioni delle norme professionali e deontologiche applicabili all’esercizio in forma individuale delle attività professionali rientranti nell’oggetto sociale.

(71) Si segnala che, in precedenza, l’Agenzia delle entrate si era già espressa sul punto, con le risposte a interpello 9 maggio 2014, n. 954-93 e 16 ottobre 2014, n. 954-55, non pubblicate ufficialmente.

(72) Ai sensi del comma 1 del richiamato articolo, sono considerate micro-imprese le società di cui all’art. 2435-bis del codice civile che nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti limiti:

-  totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 175.000 euro,

- totale delle vendite e delle prestazioni: 350.000 euro,

-  dipendenti occupati in media nell’esercizio: 5.

(73) Ed infatti, per gli immobili acquistati o costruiti a partire dal 1° gennaio 2010, ad avviso dell’Agenzia delle entrate, le quote di ammortamento risultano indeducibili per effetto dell’art. 1, comma 335, della L. 27 dicembre 2006, n. 296, secondo cui "Le disposizioni introdotte dal comma 334 in materia di deduzione dell’ammortamento o dei canoni di locazione finanziaria degli immobili strumentali per l’esercizio dell'arte o della professione si applicano agli immobili acquistati nel periodo dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2009 e ai contratti di locazione finanziaria stipulati nel medesimo periodo ...". Tale conclusione trova conferma nelle istruzioni al quadro RE del modello REDDITI PF 2020, laddove viene precisato che "Nel rigo RE10 vanno indicati: [...] l’ammontare della quota di ammortamento, di competenza dell’anno, del costo di acquisto o di costruzione dell’immobile strumentale acquistato o costruito entro il 14 giugno 1990, ovvero acquistato nel periodo 1° gennaio 2007 - 31 dicembre 2009".

(74) Se sostenute su immobili per i quali le quote di ammortamento risultano indeducibili, ossia su immobili acquistati dal 1° gennaio 2010 in poi.

(75) Si segnala, per completezza, che per le spese di ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione di natura incrementativa sostenute su immobili acquistati nel periodo 15 giugno 1990 -31 dicembre 2006, le cui quote di ammortamento risultano quindi anch’esse indeducibili, l’Agenzia delle entrate, con la circolare 18 giugno 2008, n. 47/E (par. 3.1), è pervenuta alla conclusione che le stesse "sono deducibili in quote costanti nel periodo d’imposta in cui sono sostenute e nei quattro successivi", ritenendo in tal modo applicabile la regola di deducibilità, abrogata a decorrere dal 1° gennaio 2007, già prevista per le spese di manutenzione straordinaria.

(76) Si veda, da ultimo, l’audizione del 29 maggio 2020 innanzi alla V Commissione permanente Bilancio, Tesoro e Programmazione della Camera con riguardo alla ddl di conversione in legge del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, recante "misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emer genza epidemiologica da COVID-19".

(77) Intendendosi con tale locuzione l’insieme degli elementi materiali e immateriali utilizzati per lo svolgimento dell’attività.

(78) Secondo l’Agenzia, concorrono altresì i crediti conferiti.

(79) Secondo la richiamata disposizione, concorrono a formare il reddito le plusvalenze dei beni strumentali, esclusi gli oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione di cui al comma 5, se sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso

(80) In linea con quanto affermato con la risoluzione dell’Agenzia delle entrate 2 ottobre 2009, n. 255 ove, "sulla base di valutazioni di ordine logico sistematico", si è rilevato che il termine corrispettivo comprenderebbe anche le dazioni in natura, "anche che se la norma non contiene un'esplicita precisazione in tal senso".

(81) Senza trascurare che, ai sensi dell’art. 9, comma 2, del Tuir, "In caso di conferimenti o apporti in società o in altri enti si considera corrispettivo conseguito il valore normale dei beni e dei crediti conferiti" e, per quanto esposto, la clientela non può essere assimilata ad un bene, né materiale, né immateriale.

(82) Cfr. Parte prima, par. 14; CNDCEC, P.O. n. 53/2019.

(83) Come si avrà modo di evidenziare nel prosieguo, l’art. 171 comma 2 si riferisce alla trasformazione, effettuata ai sensi dell'articolo 2500-octies del codice civile, di un ente non commerciale in società commerciale, ma la sua applicazione alla trasformazione di società semplici (o associazioni professionali) pare essere una costante nella prassi dell’Amministrazione finanziaria, anche anteriormente all’introduzione del citato comma 2. Si veda, a tale specifico riguardo, la ris. Agenzia entrate n. 242/2002, ad avviso della quale esisterebbe un principio generale del sistema in base al quale i componenti di reddito debbono rilevare nel medesimo regime nel quale sono maturati e non in un regime diverso, al fine di evitare arbitraggi rivolti a scegliere il sistema di tassazione più conveniente.

Si vedano altresì le ris. Agenzia entrate 15 aprile 2008, n. 152 e 18 aprile 2008 n. 162 con riferimento alla fusione; la ris. DRE Piemonte 20 luglio 2007, n. 46754 con riferimento alla trasformazione che risulta confermata dalla ris. 12 dicembre 2018, n.107.

(84) Anche in questo caso si pone il problema del legittimo affidamento già evidenziato con riguardo al tema dei conferimenti; prima delle risoluzioni di fine 2018, secondo l’orientamento prevalente era applicabile la ris. 9 luglio 2009, n. 177 e quindi l’operazione era fiscalmente irrilevante.

(85) A tal riguardo la relazione governativa al DLgs. n. 344/2003 rileva che l’art. 171 del TUIR reca la disciplina fiscale del nuovo istituto della trasformazione c.d. "eterogenea" introdotta nel nostro ordinamento (artt. 2500-septies e 2500-octies del codice civile) per effetto della riforma del diritto societario attuata dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, in recepimento dei principi e criteri direttivi contenuti nella legge n. 366 del 2001.

(86) Il richiamato art. 2500-octies menziona espressamente i "consorzi, le società consortili, le comunioni d'azienda, le associazioni riconosciute e le fondazioni".