Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 agosto 2021, n. 30332

Reati tributari - Provvedimenti cautelari - Sequestro finalizzato alla confisca per equivalente - Conto corrente bancario sul quale si dispone di delega ad operare - Legittimità

 

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

 

1. Con ordinanza adottata in data 25 settembre 2020, e depositata in data 22 ottobre 2020, il Tribunale di Bari, pronunciando in sede di riesame ex art. 324 cod. proc. pen., per quanto interessa in questa sede, ha confermato il decreto di Bari nelle parti in cui aveva assoggettata a sequestro preventivo del GIP presso il Tribunale vincolo il denaro nella disponibilità della società "V. s.r.l." in misura non superiore a 7.824.340,89 euro, nonché, in caso di infruttuosità o incapienza, beni mobili o immobili di M.V., sino alla concorrenza della somma appena indicata.

I reati per i quali è stata disposta la misura nei confronti di M.V. sono quelli di cui: a) all'art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, commesso il 27 dicembre 2017; b) all'art. 2, comma 1, in relazione alla dichiarazione fiscale da presentare il 30 settembre 2015; c) all'art. 2, comma 1, in relazione alla dichiarazione fiscale da presentare il 28 settembre 2016. Tra i beni assoggettati a sequestro vi è anche un conto corrente, specificamente indicato in atti, intestato allo Studio Legale Associato V., ma ritenuto nella disponibilità dell'indagato, in quanto titolare della delega ad operare su tale rapporto bancario.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l'ordinanza indicata in epigrafe Massimo V., terzo interessato, con atto sottoscritto dall'avvocato M.F., articolato in un unico motivo, con il quale si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta disponibilità del conto corrente bancario da parte dell'indagato, invece che di esso terzo interessato.

Si deduce che illegittimamente l'ordinanza impugnata ha ritenuto il conto corrente bancario in sequestro nella disponibilità dell'indagato M.V., in quanto munito di delega ad operare sullo stesso al pari degli altri associati allo Studio Legale Associato V., omettendo, però, di valutare le censure dedotte dalla difesa dell'odierno ricorrente. Si rappresenta che il conto corrente in questione viene utilizzato esclusivamente dall'odierno ricorrente, avvocato Massimo V., e che il fratello, l'indagato M.V., è di fatto allo stesso estraneo, siccome non svolge attività forense. Si precisa che, sul rapporto bancario, sono appostate somme provento dell'attività forense del primo, o comunque collegate a questa, come, ad esempio, il bonus governativo erogato dal Governo in favore dei liberi professionisti a causa della pandemia da Covid 19, e che l'indagato M.V. non ha mai effettuato operazioni su tale conto, essendo anche sprovvisto di bancomat allo stesso relativo. Si segnala, poi, che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il sequestro di somme di denaro quale profitto di reato è legittimo solo se le stesse siano legate da un rapporto di derivazione, sia pure indiretta (si cita Sez. 3, n. 29830 del 2020), e che la delega ad operare su di un conto corrente, anche se non caratterizzata da limitazioni, non è di per sé sufficiente a dimostrare la piena disponibilità del delegato sulle somme ivi depositate (si cita Sez. 3, n. 23039 del 2020).

3. Con memoria depositata per via telematica il 12 aprile 2021, e sottoscritta dal difensore, il ricorrente replica alle conclusioni del Procuratore generale e insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Si reitera la rappresentazione dell'estraneità del conto alla disponibilità dell'indagato M.V., si sottolinea che l'odierno ricorrente ha dato dimostrazione della derivazione da titolo lecito della somma di 21.003,16, in quanto costituita dal bonus governativo erogato dal Governo in favore dei liberi professionisti a causa della pandemia da Covid 19, e si evidenzia che è stata devoluta alle Sezioni Unite la questione concernente l'ammissibilità del sequestro di somme di denaro quale prezzo o profitto del reato quando la parte interessata fornisca la prova della derivazione del denaro da un titolo lecito.

4. Il ricorso è inammissibile.

4.1. Occorre premettere, innanzitutto, che il sequestro di cui si discute, risulta essere un sequestro finalizzato alla confisca per equivalente.

Invero, come evidenziato nell'ordinanza impugnata, la misura è stata disposta con riguardo al denaro nella disponibilità della società V. s.r.l., e, «in subordine, nel caso in cui il patrimonio della detta società risulti, anche solo in parte, infruttuoso o incapiente, di beni mobili o immobili nella disponibilità [...] e di V.M. s.g., sino alla concorrenza della somma di cui sopra».

Sono quindi non conferenti le questioni dedotte nel ricorso circa l'ammissibilità del sequestro di somme di denaro quale prezzo o profitto del reato quando la parte interessata fornisca la prova della derivazione del denaro da un titolo lecito, essendo queste riferite, appunto, al denaro prezzo o profitto del reato, e, quindi, al denaro da apprendere in esecuzione di confisca diretta, non al denaro da apprendere in esecuzione di confisca per equivalente.

Ne discende, in considerazione di quanto prevede l'art. 12-bis, ultima parte, d.lgs. n. 74 del 2000, che la questione da esaminare è se il conto corrente sequestrato ed il denaro presente su di esso siano da qualificare come «beni, di cui il reo [nella specie, l'indagato] ha la disponibilità».

4.2. Ai fini dell'esame di tale questione, è fondamentale richiamare anche i limiti al sindacato sulla motivazione dei provvedimenti cautelari reali in sede di legittimità.

Precisamente, va rilevato che, secondo un principio enunciato dalle Sezioni Unite, e in relazione al quale non emergono ragioni di rimeditazione, il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativi posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (così Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692-01, cui ha prestato sistematicamente adesione la successiva giurisprudenza, come, ad esempio, Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656-01).

4.3. Va quindi evidenziato che l'ordinanza impugnata in questa sede ha ritenuto il conto corrente sottoposto a sequestro preventivo a fini di confisca nella disponibilità dell'indagato M.V., sulla base di specifiche indicazioni in risposta alle censure formulate a tal proposito in sede di riesame dall'odierno ricorrente, M.V.

Precisamente, in sede di riesame M.V., fratello di M.V., ha dedotto che il conto corrente è riferito all'attività professionale dello Studio Legale V., costituito sin dal 1996 tra il padre Nicola e i fratelli Marcello e M.V., che tale collegamento funzionale del precisato rapporto all'attività professionale dello Studio Legale V. è documentato anche dalla ricezione di bonifico relativo al finanziamento erogato per fronteggiare la crisi economica da COVID 19, che M.V. non svolge attività forense e che, in ordine al conto, gli associati hanno poteri disgiunti.

Il Tribunale ha replicato che il conto corrente in questione deve ritenersi nella disponibilità dell'indagato M.V., perché: a) le associazioni tra professionisti, come appunto è lo "Studio Legale Associato V.", non configurano un centro autonomo di interessi, dotato di autonomia strutturale e funzionale, né assumono la titolarità del rapporto con i clienti in sostituzione dei singoli associati (si cita, in proposito, Sez. 3 civ., n. 2415 del 04/02/2014); b) il conto intestato allo "Studio Legale Associato V.", quindi, è imputabile non ad un soggetto giuridico, bensì alle persone degli associati; c) l'indagato M.V. risulta far parte dello "Studio Legale Associato V.", e, al pari degli altri associati, è munito di delega ad operare sul conto precisato; d) di conseguenza, M.V., sia per i poteri derivanti dalla delega, sia per l'intraneità all'associazione professionale, risulta avere piena disponibilità delle somme esistenti a credito sul conto corrente in questione.

4.4. In considerazione dei principi giuridici applicabili e degli elementi esposti nella motivazione dell'ordinanza impugnata, le censure formulate debbono ritenersi diverse da quelle consentite, oltre che, allo stato, manifestamente infondate.

Ed infatti, il Tribunale offre una motivazione compiuta, rispondendo anche alle specifiche questioni poste nel corso del procedimento di riesame, perché ritiene che il conto corrente sequestrato sia nella disponibilità dell’indagato M.V.

In particolare, è significativo che venga valorizzato come M.V. sia non solo titolare della delega ad operare su detto conto, ma sia anche pienamente intraneo all'associazione professionale cui il rapporto bancario è riferito e, quindi, contitolare in proprio di esso. L'indicata ricostruzione fattuale, tra l'altro, determina l'applicabilità della disposizione di cui all'art. 1854 cod. civ., la quale prevede: «Nel caso in cui il conto [corrente bancario] sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto».

Né sono da esaminare, in questa sede, le prospettazioni relative al mancato svolgimento di attività forense da parte di M.V., sia perché di dubbia concludenza, stante la rilevata partecipazione del medesimo all'associazione professionale, e alla titolarità del rapporto di conto corrente, sia perché concernenti questioni di fatto non deducibili nel giudizio di legittimità.

5. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al versamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.