Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 01 aprile 2022, n. 10660

Fallimento - Stato passivo dichiarato esecutivo - Omessa comunicazione al creditore - Efficacia ai fini della decorrenza del termine per l’opposizione

 

Rilevato che

 

1. La P. soc. cons. a r.l. (d’ora in avanti, breviter, P.) ricorre per cassazione, affidandosi a cinque motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ., avverso il decreto del 31 luglio 2015 con cui il Tribunale di Teramo rigettò l’opposizione dalla stessa promossa contro la mancata ammissione al passivo del Fallimento T. s.r.l. del proprio complessivo credito di € 3.504.303,31, invocato a titolo di risarcimento dei danni cagionatile dall’inadempimento della T. s.r.l. in bonis al contratto stipulato il 2 novembre 2010 -con il quale essa le aveva affidato in subappalto i lavori di costruzione di due gallerie del tronco autostradale dell’A14 - e preteso: per € 1.875.000,00, in applicazione della penale di cui all'art. 9 del contratto, a titolo di ritardo della subappaltatrice nell'esecuzione dei lavori afferenti la galleria GN01; per € 1.369.875,46 a titolo di maggiori costi sopportati per aver dovuto provvedere in via diretta al completamento delle opere che T., abbandonando il cantiere il 13.11.2011, aveva lasciato ineseguite; per € 259.427,85 quale onere aggiuntivo, derivato dalla necessità di subentro nel contratto di leasing stipulato dalla società inadempiente per l’utilizzo di un’attrezzatura (cassero per getto del tunnel) che al momento dell’abbandono del cantiere era materialmente accorpata alla galleria ed era dunque inamovibile.

Il Fallimento non svolge difese in questa sede.

1.1. Quel tribunale innanzitutto disattese l’eccezione dell’opponente di inesistenza di uno stato passivo reso esecutivo dal G.D. premettendo che «se l'eccezione fosse fondata, il ricorso proposto ex art. 98 L.F. sarebbe esso stesso inammissibile per assenza di un presupposto indefettibile», il giudice di merito individuò il decreto di cui all’art. 96, penultimo comma, l. fall. nel provvedimento del 16.6.14 (tempestivamente impugnato da P.) col quale il GD aveva dichiarato esecutivo lo stato passivo approvato, disponendone l'immediato deposito in cancelleria e ordinando al curatore di provvedere alle comunicazioni, che andava letto congiuntamente al verbale di udienza del 30.1.14, in cui lo stesso GD, pur dichiarando approvato lo stato passivo, in realtà non aveva provveduto sulla domanda elencata al n. 45, finalmente esaminata e decisa, dopo vari rinvii, proprio il 16.6.14.

1.1.1. Ritenne parimenti infondate le eccezioni dell’opponente di nullità del provvedimento di sua esclusione, per difetto di motivazione e per violazione del contraddittorio, atteso che l’opposizione ex art. 98 l.fall. era stata proposta per motivi ben specificati.

1.1.2. Nel merito, il tribunale affermò che, pur a voler ritenere provato l’inadempimento di T. agli obblighi contrattualmente assunti, P. non aveva fornito prova del danno subito quale conseguenza immediata e diretta di detto inadempimento. Osservò in particolare: i) che difettava la prova dell’an del danno da ritardo, posto che, per ammissione della stessa opponente, la stazione appaltante, A.I. s.p.a., non le aveva applicato a sua volta la temuta penale contrattuale da ritardo (tanto che la società aveva rinunciato alla domanda di ammissione allo stato passivo in via condizionale, ex art. 55 l.fall., della somma di € 6.442.623,00, corrispondente a detta penale); ii) che difettava un parametro essenziale per il calcolo del danno differenziale, da maggiori costi sostenuti da P. per la realizzazione della galleria GN01, non avendo l’opponente allegato e provato esattamente quali lavori (e per quale valore) erano stati eseguiti da T. prima dell’abbandono del cantiere; che, d’altro canto, a sostegno di tale pretesa la ricorrente aveva prodotto solo fatture e computi metrici che, quali documenti unilateralmente formati, non potevano costituire prova del credito; che inoltre non v’era alcuna prova dell’effettivo esborso delle somme portate dalle fatture, così come di quelle relative a pretesi oneri aggiuntivi dettagliatamente elencati (approvvigionamento di acqua per la preparazione di miscele di sprizt beton, per fornitura di materiale elettrico ecc.); che, infine, erano inammissibili sia i capitoli di prova testimoniale articolati da P. per dimostrare l’effettiva realizzazione delle opere e dei servizi di cui alle fatture allegate, sia quelli diretti a provare i pagamenti, i primi perché generici, atteso che le fatture indicavano prestazioni riferibili a qualsiasi cantiere, i secondi per il divieto di cui agli art. 2726, 2721 cod. civ.; iii) che neppure poteva riconoscersi la spesa sostenuta dalla ricorrente per poter utilizzare il cassero già in detenzione di T., non essendovi prova che il subentro nel contratto di leasing fosse l'unica scelta percorribile ed indispensabile per la prosecuzione dei lavori.

 

Considerato che

 

1. Rileva preliminarmente il Collegio che, nella memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ., la ricorrente, tra l’altro, contesta le argomentazioni di un ricorso incidentale condizionato asseritamente proposto dal Fallimento T. s.r.l. che, tuttavia, non si rinviene in atti e che, per quanto emerge dalla consultazione dei registri informatici di cancelleria, non è stato depositato nel termine sancito dall’art. 370, comma 3, cod. proc. civ., a pena di improcedibilità (cfr. il combinato disposto degli artt. 371, comma 3, e 369 cod. proc. civ.): non risulta, in definitiva, che il Fallimento abbia svolto difese in questa sede.

2. Il primo motivo di ricorso è rubricato «Violazione o falsa applicazione degli artt. 96, comma 4, 97 e 98 della L.F. (R.D. 16/03/1942 n. 267 e ss.mm.) in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o, in subordine, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4». La ricorrente ascrive al tribunale di aver violato le norme appena menzionate «omettendo di rilevare e sanzionare le gravi ed inaccettabili violazioni procedurali reiteratamente commesse dal Curatore e dal Giudice Delegato nell'iter formativo e conclusivo dello stato passivo», che, a suo dire, avrebbero ripercussioni su tutte le fasi successive della procedura fallimentare, compresa quella del riparto. Nello specifico, P. contesta che, secondo quanto ritenuto implicitamente dal tribunale, il giudice delegato possa riservarsi il deposito dello stato passivo successivamente all’udienza di verifica, piuttosto che effettuarlo immediatamente all’esito di quest’ultima. Sostiene poi che, in conseguenza del mancato rispetto dell’art. 96 comma 4 l. fall., non sarebbero state correttamente applicate neppure le previsioni di cui all'art. 97 l.fall., posto che alla comunicazione via pec del curatore non erano stati allegati né lo stato passivo esecutivo (mai formato dal Giudice Delegato), né il provvedimento riservato del 16.06.2014 che il giudice dell’opposizione ha erroneamente qualificato come decreto di esecutività.

Infine, la comunicazione del curatore non informava i creditori del diritto di proporre l’opposizione in caso di mancato accoglimento della domanda.

2.1. La doglianza, prima ancora che infondata (cfr. Cass. n. 3054 del 2021; Cass. n. 1179 del 2018) è inammissibile, stante il difetto di interesse della ricorrente a proporla.

2.2. In primo luogo, il tribunale ha correttamente osservato che se l’eccezione di inesistenza di uno stato passivo esecutivo fosse fondata, il ricorso proposto ex art. 98 L.F. sarebbe stato esso stesso inammissibile per assenza di un presupposto indefettibile. Nessuna contestazione è stata mossa dalla ricorrente a tale assunto, già da solo decisivo.

2.2.1. Sotto altro, più generale, profilo va ricordato che è principio costantemente affermato da questa Corte che le norme processuali hanno natura servente, sicché la deduzione dei vizi derivanti dalla loro inosservanza (i cd. vizi formali) non serve a tutelare l'astratta regolarità dell'attività giudiziaria ma ad eliminare i pregiudizi conseguenti all'esercizio delle facoltà in cui si esprime il diritto di difesa. La recente Cass., SU, n. 36596 del 2021, peraltro, ha opportunamente precisato che, per quanto la riportata affermazione «abbia legittimato la conclusione dell'onere argomentativo aggiunto per le ipotesi di inosservanza di norme sul rito applicabile al tipo di controversia - in base alla giusta constatazione che è inammissibile per difetto di interesse la doglianza dedotta come motivo di impugnazione relativa alla mancata adozione di un diverso rito qualora non sia indicato anche lo specifico pregiudizio processuale che dalla sua mancata adozione sia concretamente derivato (Cass. Sez. U n. 3758-09) -, vi è che una conclusione del genere è strettamente collegata alla ratio sottintesa, che è, appunto, quella relativa alla questione del rito. L'esattezza del rito non è mai suscettibile di essere considerata come fine a sé stessa, donde può essere invocata solo per riparare a una precisa e apprezzabile lesione che, in conseguenza del rito seguito, si sia determinata (per la parte) "sul piano pratico processuale" (così Cass. Sez. U n. 3758-09)...». La medesima pronuncia ha chiarito pure che l'ambito di specificità di questa affermazione non può essere enfatizzato «...fino al punto da estenderla al ben diverso caso della dedotta lesione dei diritti processuali essenziali, come il diritto al contraddittorio e alla difesa giudiziale. Ché anzi proprio l'eventualità di una lesione siffatta conduce l'orientamento appena richiamato a considerare integrato il presupposto di rilevanza pratica della questione di rito...».

Quest’ultima ipotesi, tuttavia, è assolutamente inconfigurabile nella specie, alla stregua proprio delle concrete argomentazioni che sorreggono la censura in esame, prive di qualsivoglia deduzione circa l’avvenuta lesione di diritti processuali essenziali della P., la quale non descrive minimamente quale pregiudizio ai propri diritti di difesa e al contraddittorio (non individuabili, ovviamente, nel solo rigetto della sua domanda di insinuazione) le sarebbero concretamente derivati dall’errore procedimentale, in tesi, commesso dal giudice delegato (l’avere reso il decreto di esecutività dello stato passivo del fallimento T. s.r.l. dopo essersi riservato all’ultima udienza in cui si era complessivamente articolata la verifica dei crediti, piuttosto che direttamente all’esito di detta udienza), e ciò soprattutto alla luce del fatto che il tribunale ha espressamente dato atto che essa ha proposto l’opposizione ex art. 98 l.fall. tempestivamente e per motivi ben specificati.

2.2.3. Va osservato, infine, che questa Corte ha recentemente chiarito (cfr. Cass. n. 33622 del 2021) che l'omissione della informazione sul diritto di proporre opposizione in caso di mancato accoglimento della domanda non costituisce motivo di nullità della comunicazione ex art. 97 l.fall. e non impedisce la decorrenza del termine di cui all'art. 99 l.fall. (nell’odierna vicenda pacificamente rispettato) in quanto tale diritto nasce direttamente dalla legge e la comunicazione di copia dello stato passivo dichiarato esecutivo ha la mera natura di "provocatio ad opponendum".

3. Il secondo motivo di ricorso è rubricato «Violazione o falsa applicazione degli artt. 95 e 96 della L.F. (R.D. 16/03/1942 n. 267 e ss.mm.), dell'art. 112 c.p.c., nonché dell'art. 111, commi 2 e 6, della Costituzione, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.». La ricorrente lamenta che il tribunale abbia omesso di rilevare le gravi violazioni della procedura di accertamento dello stato passivo- per mancato rispetto del principio del contraddittorio e per carenza di motivazione del provvedimento di rigetto della sua domanda - che essa aveva denunciato col ricorso ex artt. 98-99 l.fall., evidenziando, in particolare, che nel progetto di stato passivo comunicatole il curatore aveva chiesto la nomina di un ctu per la quantificazione del credito risarcitorio insinuato e che all’udienza del 15.10.2013 il giudice delegato aveva coerentemente ritenuto di riservarsi sulla nomina, mentre alla successiva udienza del 30.1.2014 aveva inopinatamente accolto la richiesta, avanzata per la prima volta dal curatore, di non ammettere il credito, perché incerto nell’an e nel quantum, senza minimamente indicare le ragioni di un tale radicale mutamento di orientamento e senza concederle un termine per replicare.

3.1. Anche questo motivo si rivela complessivamente inammissibile.

3.2. Lo è innanzitutto nella misura in cui riguarda direttamente la condotta del curatore ed il provvedimento del giudice delegato, posto che le corrispondenti censure, ai sensi dell’art. 161 c.p.c., dovevano essere sollevate, come peraltro effettivamente avvenuto, in sede di opposizione ex art. 98 l.fall., spettando, poi, a questa Corte, nei soli limiti in cui è stata investita con il motivo in esame, lo stabilire l’esistenza, o meno, di una motivazione reale, e non meramente apparente, oltre che giuridicamente corretta, adottata dal giudice di secondo cure al fine di respingerle.

3.3. E’ parimenti inammissibile, poi, laddove ascrive al tribunale di non aver rilevato «i gravi vizi che hanno caratterizzato l'intero procedimento di accertamento del passivo compiuto dal Giudice Delegato».

3.3.1. Il tribunale, infatti, ha espressamente scrutinato la corrispondente censura sottopostagli ed ha negato, con motivazione esaustiva e giuridicamente ineccepibile, l’avvenuta violazione, in danno della P., del diritto al contraddittorio ed alla difesa nel corso del procedimento di verifica, dando espressamente atto che il giudice delegato aveva escluso il credito perché non adeguatamente dimostrato nel quantum, «e ciò a seguito di regolare contraddittorio sul punto, risultando verbalizzato che la curatela, in presenza del difensore della P., chiedeva "non ammettersi il credito in quanto incerto sia nell'an che nel quantum (non vi sono crediti certi, liquidi ed esigibili)...». Nessun rilievo, in contrario, possono assumere asserite, precedenti conclusioni del curatore circa il medesimo credito, né eventuali mere intenzioni del giudice delegato circa la nomina di uno o più c.t.u. «se necessario», da intendersi implicitamente superate dal provvedimento da lui definitivamente adottato sul credito predetto.

4. Il terzo motivo di ricorso, che investe il capo del decreto impugnato che ha respinto la domanda di P. di ammissione al passivo del credito (€ 1.875.000,00) relativo al danno da ritardo, è articolato in tre profili che denunciano, rispettivamente:

III-1) «Violazione o falsa applicazione dell’art. 1382 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.» per aver il tribunale erroneamente ritenuto che, accertato l’inadempimento della subappaltatrice, P. fosse anche tenuta a fornire la prova dell’an del danno, nonostante la pattuizione della clausola penale.

III-2) «Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.», avendo il giudice del merito omesso di tener conto che alla data del 7/5/2012, di abbandono definitivo del cantiere (doc. 5 bis fasc. opp.), T. era già incorsa in un ritardo di oltre 100 giorni nell’esecuzione dei lavori, rispetto al vincolante programma allegato al contratto di subappalto (doc. 4 fasc. opp.);

III-3) «Violazione e falsa applicazione dell’art. 111, comma 6, della Costituzione e dell’art. 99, penultimo comma, L.F. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», per manifesta illogicità dell’argomentazione addotta dal giudice a quo a supporto della decisione di rigetto, non essendovi alcuna relazione fra la clausola penale prevista nel contratto di subappalto e quella contenuta nel contratto di appalto stipulato da A.I. con P.

In subordine, la ricorrente prospetta ancora la «Nullità del decreto (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.) in relazione all’art. 99, penultimo comma, L.F. e 111, sesto comma, Cost.», per mancanza di motivazione, atteso che il tribunale ha dapprima ritenuto provato l’an dell’inadempimento, ma non del danno, ha successivamente ritenuto non provato l’inadempimento ed ha infine escluso la sussistenza del danno da ritardo perché la committente principale non aveva applicato alcuna penale nei confronti di P..

4.1. Il motivo, i cui differenti profili possono scrutinarsi congiuntamente perché connessi, è fondato.

4.2. Il credito risarcitorio di cui discute deriva dal lamentato inadempimento di T. s.r.l. in bonis al contratto di subappalto dalla stessa concluso con la P. il 2 novembre 2010, nel quale, all’art. 9 (il cui contenuto è stato puntualmente riportato in ricorso), le parti avevano pattuito una penale "per ogni giorno di ritardo rispetto alle milestones intermedie indicate nel programma esecutivo di dettaglio [...] dei lavori" pari "all’1% (dell’ammontare contrattuale presunto di € 18.750.000,00), altresì chiarendo che "l’ammontare complessivo delle penali suddette non potrà eccedere il 10% dell’importo complessivo netto contrattuale".

4.2.1.Ciò premesso, va in primo luogo rilevato che il tribunale ha solo apparentemente deciso la controversia in base alla c.d. "ragione più liquida" (mancanza di prova del danno), senza soffermarsi a valutare l’effettiva sussistenza del dedotto inadempimento di T. al contratto (inadempimento che ha precisato di voler dare, evidentemente solo in ipotesi, per provato); in realtà il giudice ha positivamente accertato (pagg. 6/8 del decreto impugnato) che la società poi fallita abbandonò il cantiere senza completare neppure la prima delle opere commissionatele, con ciò indubitabilmente, ancorché implicitamente, affermandone l’inadempienza.

4.2.2. A maggior ragione, deve quindi ritenersi accertato il ritardo della subappaltatrice nell’esecuzione dei lavori; ciò che emerge, del resto, anche dalla motivazione sottesa al rigetto della correlata domanda di ammissione: è il danno, infatti, e non il ritardo, che il giudice ha ritenuto non provato nell’an, in base al rilievo che "non avendo la committente A.I. applicato la penale contrattualmente prevista ... non è dato comprendere quale sia il danno patito da P. per il ritardo nell’esecuzione dei lavori alla stessa commissionati".

4.2.3. E’ intanto evidente che, escludendo la prova di un danno "da ritardo nell’esecuzione dei lavori commissionati alla stessa" (ovvero a P.), il tribunale ha operato un’indebita confusione fra la domanda cui la ricorrente aveva rinunciato (di ammissione con riserva del credito risarcitorio eventualmente derivatole, quale conseguenza del ritardo della fallita, dall’applicazione in suo danno della penale da ritardo) e la domanda effettivamente scrutinata.

4.2.4. Va d’altro canto osservato che la clausola penale del contratto di subappalto non era in alcun modo correlata a quella, di pari natura, contenuta nel distinto contratto d’appalto stipulato fra A.I. e P. (la sua applicabilità a T. non era, cioè, subordinata alla duplice condizione che P. ritardasse a sua volta la consegna dei lavori alla committente principale e che quest’ultima si avvalesse della penale nei suoi confronti).

4.2.5. Non appare, infine, superfluo ricordare, ancorché le questioni non abbiano formato specifico oggetto di dibattito in sede di merito, che l'art. 1383 c.c., che vieta il cumulo tra la domanda della prestazione principale e quella diretta ad ottenere la penale per l'inadempimento, non esclude che si possa chiedere tale prestazione insieme con la penale per il ritardo e, nella ipotesi di risoluzione del contratto, il risarcimento del danno da inadempimento e la penale per la mancata esecuzione dell'obbligazione nel termine stabilito ovvero, cumulativamente, la penale per il ritardo e quella per l'inadempimento, salva, nel caso di cumulo di penale per il ritardo e prestazione risarcitoria per l'inadempimento, la necessità di tenere conto, nella liquidazione di quest'ultima, della entità del danno ascrivibile al ritardo che sia stato già autonomamente considerato nella determinazione della penale, al fine di evitare un ingiusto sacrificio del debitore (Cass. n. 21207 del 2021, n. 27994/2018).

4.2.6. Ne consegue che il tribunale, nel rigettare la domanda in esame con la sopra richiamata motivazione, ha non solo violato il disposto dell’art. 1362, 2° comma, cod. civ. - obliterando di aver esso stesso accertato che il contratto di subappalto prevedeva una penale giornaliera per il ritardo o mostrando di ignorare che detta clausola costituisce una concordata, anticipata liquidazione del danno correlato al ritardo o all’inadempimento, indipendentemente dalla prova della sua effettiva esistenza (Cass. n. 21398/2021; n. 19358/2011) - ma anche speso un’argomentazione non coerente con la descritta ontologica diversità della penale per il ritardo da quella per l’inadempimento e con i principi giurisprudenziali precedentemente richiamati.

5. Il quarto motivo di ricorso è rubricato «Violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.. In subordine, violazione o falsa applicazione degli art. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 1218 e 1223 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.». La ricorrente lamenta che il tribunale abbia respinto la domanda di ammissione al passivo dell’ulteriore credito (€ 259.427,85) preteso quale onere sopportato per poter utilizzare l'attrezzatura (cassero), già in detenzione della T., non rimuovibile e necessaria per la prosecuzione delle opere della galleria, limitandosi ad affermare che «non vi è prova che la conclusione del contratto di leasing fosse l'unica scelta percorribile ed indispensabile per la prosecuzione dei lavori»; rileva, a confutazione dell’assunto, che non può imporsi al danneggiato una sorta di probatio diabolica, ritenendolo gravato dell’onere di dimostrare, oltre che l’altrui inadempimento, anche che qualsiasi sua altra condotta non avrebbe portato a una riduzione del pregiudizio subito.

5.1. La doglianza è fondata.

5.2. Invero - risultando incontroverso l’inadempimento di T. al contratto e non essendo neppure in contestazione la necessità dell’utilizzo dell’attrezzatura - non era onere della ricorrente di provare che lo strumento giuridico concretamente adoperato per poter proseguire i lavori (il subentro nel contratto di leasing a suo tempo stipulato dalla subappaltatrice) fosse l’unica scelta percorribile. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, «in tema di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale, poiché il soggetto responsabile è il contraente inadempiente, nvormalmente non si pone un problema di nesso di causalità tra comportamento ed evento dannoso, ma di estensione della responsabilità, ed il danno risarcibile coincide con la perdita o il mancato guadagno conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, delimitati in base al giudizio ipotetico sulla differenza tra situazione dannosa e situazione quale sarebbe stata se il fatto dannoso non si fosse verificato»(cfr., ex plurimis, Cass. n. 18832 del 2016; Cass., n. 11629 del 1999). P. era dunque tenuta unicamente a dimostrare l’improvvisa interruzione dei lavori da parte della subappaltatrice e la necessità di utilizzare il macchinario per poterli portare a termine: tanto basta a ritenere la motivazione censurata meramente apparente e/o sostanzialmente omessa.

6. Il quinto motivo di ricorso, infine, lamenta la «Violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.. Nullità del decreto (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.) in relazione all’art. 99, penultimo comma L.F. e 111, sesto comma, Cost., ovvero violazione delle citate norme in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.. In subordine, violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.». La ricorrente censura le argomentazioni poste a sostegno del rigetto della domanda di insinuazione del credito (€ 1.369.875,46) afferente i maggiori costi sopportati, a causa dell’inadempimento contestato a T., rispetto al costo previsto contrattualmente per il subappalto, contestando l’erroneità del criterio indicato dal giudice per il calcolo del danno differenziale, rilevando la natura di documenti provenienti da terzi (il cui contenuto poteva essere confermato in via testimoniale) delle fatture prodotte e osservando che il danno doveva ritenersi provato indipendentemente dall’avvenuto loro pagamento.

6.1. Il motivo si rivela nel suo complesso inammissibile.

6.1.1. Esso, infatti, non contesta specificamente gli accertamenti del giudice del merito in ordine alla genericità delle prestazioni e dei servizi indicati dalle fatture, siccome riferibili a qualsivoglia cantiere, e in ordine all’inammissibilità delle prove testimoniali dedotte a loro conferma (neppure riportate nel motivo), di per sé stessi sufficienti a sorreggere la decisione.

6.2. La ricorrente, peraltro, incorre nell'equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall'erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un'autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. può porsi, rispettivamente, solo allorché si alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d'ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge (cfr. Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pure precisato che «è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall'art. 116 c.p.c.»); 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (cfr. Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pur puntualizzato che, «ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione»; Cass. n. 27000 del 2016). Fattispecie, queste ultime, entrambe insussistenti nella specie.

7. In definitiva, l’odierno ricorso va accolto limitatamente ai suoi motivi terzo e quarto, dichiarandosene inammissibile gli altri. Il decreto impugnato, pertanto, deve essere cassato in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata al Tribunale di Teramo, in diversa composizione collegiale, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il terzo ed il quarto motivo di ricorso, dichiarandone inammissibili gli altri. Cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa al Tribunale di Teramo, in diversa composizione collegiale, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.