Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 30 aprile 2021, n. 11400

Tributi - Contenzioso tributario - Giudicato esterno - Efficacia espansiva - Condizioni - Limiti - Giudicato relativo ad un singolo periodo d'imposta - Determinazione di redditi di impresa - Elementi con valore "condizionante" inderogabile

 

Rilevato che

 

G.G., titolare della ditta individuale W., esercente commercio al minuto di articoli di abbigliamenti, impugnava l'avviso di accertamento di rettifica parziale emesso ai fini Iva per l'anno 1997, con cui l'Agenzia delle entrate, avendo il contribuente operato vendite a prezzi antieconomici, recuperava l'imposta non versata.

Il ricorso era accolto dalla CTP; la sentenza era confermata dalla CTR. La Corte di cassazione, su ricorso dell'Ufficio, cassava con rinvio la statuizione di secondo grado per difetto di motivazione.

Riassunto il giudizio, la CTR, con la sentenza in epigrafe, accoglieva l'appello dell'Ufficio.

G.G. propone ricorso per cassazione con quattro motivi.

L'Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

 

Considerato che

 

1. Il primo motivo denuncia omessa pronuncia e violazione degli artt. 112 c.p.c.e 2909 c.c. per non aver la CTR statuito sull'eccezione di giudicato avuto riguardo alle sentenze della Corte di cassazione che avevano dichiarato inammissibile il ricorso dell'Ufficio relativo ai giudizi per le annualità 1995 e 1996.

Nel corpo del motivo denuncia altresì vizio di motivazione in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.

1.1. Il motivo è infondato ed ai limiti dell'inammissibile.

1.2. Il contribuente, in primo luogo, afferma di aver dedotto innanzi alla CTR l'eccepito giudicato ma non assolve all'onere di attestare tale circostanza.

Infatti, come emerge dal ricorso (pag. 22), l'unico rilievo dedotto in appello è costituito dal seguente: «nell'atto di costituzione del contribuente in sede di rinvio si legge (pag. 4) che trattandosi di materia strettamente connessa, peraltro oggetto di successiva pronuncia da parte della S.C., parte riassumente fa sommessamente rilevare che le censure mosse alla sentenza dovrebbero essere assorbite ...» ed ancora che «la SC con successive sentenze ha chiaramente riconosciuto la piena legittimità delle doglianze della contribuente».

Nessuna eccezione di giudicato, dunque, è stata proposta ma solo una richiesta alla CTR di valutare le doglianze nel giudizio di rinvio alla luce delle statuizioni della Corte (rectius: delle sentenze d'appello per le annualità 1995 e 1996 attesa la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi per cassazione dell'Ufficio).

1.3. Quanto alla dedotta (irrituale) violazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c., poi, la censura è comunque inammissibile in quanto non più proponibile ratione temporis.

1.4. In ogni caso, anche ammettendo che l'eccezione sia stata proposta, è dirimente che la doglianza è manifestamente infondata, circostanza che toglie ogni rilievo alla omissione della CTR, risultando corretta in diritto la statuizione del giudice d'appello.

Nella vicenda concreta, infatti, non è configurabile una efficacia espansiva del giudicato delle decisioni invocate.

1.5. La questione attiene ai limiti in cui è configurabile nel processo tributario l’istituto del giudicato esterno, e la sua correlata efficacia espansiva, che ha quale fondamentale punto di riferimento la sentenza delle Sezioni Unite n. 13916 del 16/06/2006.

La Corte, in particolare, ha precisato che, «qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo»; e «tale principio non trova deroga in caso di situazioni giuridiche di durata, giacché anche in tal caso l'oggetto del giudicato è un unico rapporto e non gli effetti verificatisi nel corso del suo svolgimento, e conseguentemente neppure il riferimento al principio dell'autonomia dei periodi d'imposta può consentire un'ulteriore disamina tra le medesime parti della qualificazione giuridica del rapporto stesso contenuta in una decisione della commissione tributaria passata in giudicato».

La Corte ha poi precisato che:

a) il processo tributario non è un giudizio sull'atto (da annullare), ma ha, invece, ad oggetto la tutela di un diritto soggettivo del contribuente ed è quindi un giudizio che inevitabilmente si estende al merito e, dunque, anche all'accertamento del rapporto;

b) si deve escludere che il giudicato (salvo che il giudizio non si sia risolto nell’annullamento dell'atto per vizi formali o per vizio di motivazione) esaurisca i propri effetti nel limitato perimetro del giudizio in esito al quale si è formato e se ne deve ammettere una potenziale capacità espansiva in un altro giudizio tra le stesse parti, secondo regole non dissimili - nei limiti della «specificità tributaria».

- da quelle che disciplinano l'efficacia del giudicato esterno nel processo civile;

c) se è vero che l'autonomia dei periodi d'imposta comporta l'indifferenza della fattispecie costitutiva dell'obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori del periodo considerato, è altrettanto vero che una siffatta indifferenza trova ragionevole giustificazione solo in relazione a quei fatti che non abbiano caratteristica di durata e che comunque siano variabili da periodo a periodo (ad es. la capacità contributiva, le spese deducibili); vi sono, peraltro, anche elementi costitutivi della fattispecie a carattere (tendenzialmente) permanente, in quanto entrano a comporre la fattispecie medesima per una pluralità di periodi di imposta, quali le qualificazioni giuridiche (es. "ente commerciale"), assunte dal legislatore quali elementi preliminari per l'applicazione di una specifica disciplina tributaria e per la determinazione in concreto dell'obbligazione per una pluralità di periodi d'imposta, ovvero la rendita catastale e la spettanza di una esenzione o agevolazione pluriennale;

d) va quindi escluso che il giudicato relativo ad un singolo periodo d'imposta sia idoneo a «fare stato» per i successivi periodi in via generalizzata ed aspecifica, bensì solo in relazione a quelle statuizioni che siano relative a qualificazioni giuridiche o ad altri eventuali elementi preliminari rispetto ai quali possa dirsi sussistere un interesse protetto avente il carattere della durevolezza nel tempo.

La successiva giurisprudenza della sezione tributaria sì è uniformata alla pronuncia delle Sezioni Unite, pur evidenziando un approccio interpretativo rigoroso.

Si è rilevato, in particolare, che la sentenza del giudice tributario che definitivamente accerti il contenuto e l'entità degli obblighi del contribuente per un determinato periodo d'imposta fa stato, quanto ai tributi dello stesso tipo da questi dovuti per gli anni successivi, solo per gli elementi che abbiano un valore «condizionante» inderogabile rispetto alla disciplina della fattispecie esaminata, sicché, laddove risolva una situazione fattuale riferita ad uno specifico periodo d'imposta, essa non può estendere i suoi effetti automaticamente ad un'altra annualità, ancorché siano coinvolti tratti storici comuni (ex plurimis, Cass. nn. 22941 del 2013, 1837 del 2014); inoltre, l'efficacia preclusiva va limitata all'accertamento di fatto sugli elementi rilevanti necessariamente comuni ai distinti periodi d'imposta (Cass. n. 12763 del 2014).

Si è altresì sottolineato che una simile efficacia «trova ostacolo in relazione alla "interpretazione giuridica" della norma tributaria, ove intesa come mera argomentazione avulsa dalla decisione del caso concreto, poiché detta attività, compiuta dal giudice e contestuale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire un limite all'esegesi esercitata da altro giudice, né è suscettibile di passare in giudicato autonomamente dalla domanda e dal capo di essa cui si riferisce, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione, ferma, in ogni caso, la necessità del collegamento, tendenzialmente durevole, ad una situazione di fatto» (Cass. n. 23723 del 21/10/2013).

Di rilievo, infine, è la puntualizzazione operata da Cass. n. 4832 del 11/03/2015 (seguita poi da Cass. n. 14509 del 15/07/2016), per la quale «l'effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, è limitato ai soli casi In cui vengano in esame fatti aventi, per legge, efficacia permanente o pluriennale, fatti, cioè, che, pur essendo unici, producono, per previsione legislativa, effetti per un arco di tempo che comprende più periodi d'imposta, ed in cui l'elemento della pluriennalità ... costituisce un elemento caratterizzante della fattispecie normativa, che unifica più annualità d'imposta in una sorta di maxiperiodo: gli esempi tipici sono quelli delle esenzioni o agevolazioni pluriennali, o della "spalmatura" in più anni dell'ammortamento di un bene o, in generale, della deducibilità di una spesa», mentre esulano da tale ambito le fattispecie «tendenzialmente permanenti (come le "qualificazioni giuridiche"), ma che, proprio per essere tali, ben possono variare di anno in anno e delle quali, quindi, per ciascun anno va accertata la persistenza».

1.6. Orbene, nella vicenda in giudizio vengono in rilievo rimanenze, valutazioni su periodi di saldi, vendite operate nel corso delle singole annualità, elementi positivi di reddito non dichiarati e non contabilizzati, ossia tutti elementi che si riferiscono alla specifica annualità d'imposta e non riguardano una fattispecie permanente, né "pluriennale", né, comunque, una unitaria situazione di fatto "tendenzialmente durevole", neppure assumendo rilievo, a tal fine, che le richiamate voci fossero contenute in uno stesso pvc e fossero oggetto di parallele ricostruzioni induttive, rilevando sempre, in ogni caso, la specificità delle singole prestazioni anno per anno e, dunque, la puntuale valutazione dei requisiti di documentazione, inerenza, competenza ed effettività, nell'osservanza dei criteri di riparto dell'onere della prova.

2. Il secondo motivo denuncia violazione dell'art. 394 c.p.c. per l'inammissibilità delle argomentazioni trattate in sede di rinvio e poste a fondamento della decisione della CTR.

Rileva, in particolare, che l'Ufficio con l'appello aveva dedotto esclusivamente l'omessa motivazione da parte della CTP su "alcuni aspetti assunti come decisivi", mentre in sede di rinvio aveva dedotto profili inerenti l'onere probatorio del contribuente e sulla valenza confessoria delle dichiarazioni rese in sede di pvc.

2.1. Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 115 e 346 c.p.c., nonché 2909 c.c.

Deduce, in particolare, che l'Ufficio con l'originario atto d'appello non aveva impugnato la statuizione della CTP che aveva dichiarato l'inammissibilità dell'accertamento induttivo, sicché, come eccepito in sede di rinvio, doveva ritenersi maturato il giudicato sulla decisione di primo grado.

3. I motivi, che possono essere esaminati unitariamente per connessione logica, sono inammissibili perché carenti di specificità ed autosufficienza.

Il ricorrente, infatti, deduce la novità delle questioni dedotte ed esaminate in sede di rinvio ma non riproduce né l'atto di costituzione in primo grado, né l'appello dell'Ufficio (né, tantomeno, l'avviso di accertamento), precludendo ogni disamina da parte di questa Corte sui lamentati vizi.

Va detto, in ogni caso, quanto alle asserite questioni nuove di cui al secondo motivo, che dalla porzione dell'atto di appello riprodotta dal controricorrente, emerge la regolare introduzione dei lamentati profili, mentre, quanto alla censura di cui al terzo motivo, dallo stesso ricorso risulta che l'eccezione è stata proposta solo in sede di legittimità e poi di rinvio e, dunque, del tutto tardivamente; del resto, la stessa sentenza di annullamento con rinvio della Corte (n. 12789/2010) aveva ritenuto la questione inammissibile per carenza di autosufficienza e per violazione dell'art. 369 n. 4 c.p.c.

4. Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 2967 c.c., 55 e 59 d.P.R. n. 633 del 1972 con riguardo alla determinazione del ricarico, avvenuta nonostante la regolarità delle scritture contabili e in assenza di confessione, avendo la CTR malamente inteso quanto dichiarato dal contribuente e raccolto nel pvc, derivandone la carenza dei presupposti per l'accertamento induttivo, di elementi presuntivi idonei e la contraddittorietà della motivazione.

4.1. Il motivo è inammissibile.

Tale censura, univocamente rivolta a contestare la sufficienza e la congruità della motivazione della sentenza impugnata, non è più consentita ex art. 360 n. 5 c.p.c. ratione temporis applicabile trattandosi di sentenza pubblicata il 19 marzo 2013; la doglianza, peraltro, attinge - e in termini del tutto generici ed apodittici - la stessa valutazione delle prove da parte della CTR in una prospettiva di non condivisione delle scelte operate dal giudice d'appello ed in vista, dunque, di una revisione del giudizio di merito, come tale, dunque, non consentita in sede di legittimità neppure nella vigenza dell'art. 360 n. 5 c.p.c. nel testo previgente.

5. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese sono liquidate, come in dispositivo, per soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna G.G. al pagamento delle spese a favore dell'Agenzia delle entrate, che liquida in complessive € 2.900,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.