Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 aprile 2021, n. 11398

Tributi - Accertamento - Verifica fiscale a carattere generale - Reddito di impresa - Determinazione - Contratti di affiliazione ricondotti alla tipologia dei contratti permutativi - Ricavi non dichiarati

 

Fatti di causa

 

T. Srl, operante nel settore della radiodiffusione sonora e titolare dell'emittente radiofonica "L.", impugnava l'avviso di accertamento per l'anno 2005 per Iva, Irpef e Irap, oltre sanzioni, con cui l'Agenzia delle entrate, in esito a verifica fiscale a carattere generale, contestava l'omessa dichiarazione di ricavi derivanti da contratti di affiliazione con altre società radiofoniche, ricondotti alla tipologia dei contratti permutativi, nonché, correlativamente, di un imponibile Iva non fatturato per prestazioni rese e non autofatturato per quelle ricevute.

L'Ufficio contestava altresì ricavi di competenza non dichiarati, costi non di competenza contabilizzati e costi indeducibili per operazioni oggettivamente inesistenti, di cui recuperava l'iva perché indetraibile.

La contribuente eccepiva la nullità della notifica dell'avviso, l'infondatezza delle pretese, nonché l'illegittimità delle sanzioni.

L'impugnazione, accolta dalla CTP di Bologna, era rigettata dal giudice d'appello.

T. Srl propone ricorso per cassazione con dieci motivi, poi illustrato con memoria.

L'Agenzia resiste con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 60 d.P.R. n. 600 del 1973, 156, terzo comma, e 160 c.p.c. per aver la CTR ritenuto la notifica dell'avviso di accertamento inesistente perché eseguita da soggetto non abilitato e, ugualmente, sanata per raggiungimento dello scopo.

1.1. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 60 d.P.R. n. 600 del 1973, 148 e 156, secondo comma, c.p.c. per aver la CTR ritenuto sanata la notifica nonostante la relata fosse stata apposta sul frontespizio e non in calce all'atto, trattandosi di requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo.

1.2. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 64, comma 1, lett. c), I. n. 142 del 1990 e 274, comma 1, lett. a) e q), d.lgs. n. 267 del 2000 per aver la CTR ritenuto incombere sul contribuente la prova della qualità di messo notificatore dell'autore della notifica, contestata dal contribuente e spettante, invece, all'Ufficio.

2. I primi tre motivi, da esaminare unitariamente per ragioni di connessione logica, sono infondati.

2.1. Va escluso, in primo luogo, che la CTR abbia ritenuto od accertato l'inesistenza della notifica: la sentenza, infatti, si è limitata, dapprima, ad illustrare i principi generali regolatori del procedimento notificatorio, per concludere con l'affermazione che «la proposizione del ricorso del contribuente dunque produce l'effetto di sanare la nullità della notificazione della notificazione dell'avviso di accertamento portante la pretesa dell'Ufficio per il raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c.», così riformando la contraria decisione di primo grado. È evidente, dunque, che la CTR ha ritenuto, in ipotesi, la notifica meramente nulla e, quindi, sanabile.

2.2. Appare dirimente, peraltro, che, nella vicenda in giudizio, non sussiste nullità della notifica in relazione alla contestata qualità del messo notificatore.

Come affermato da questa Corte, difatti, «la mancata adozione della delibera di nomina del messo comunale da parte della Giunta municipale, al pari della mancata approvazione prefettizia della sua nomina già prevista dall'art. 273 del R.d. n. 383 del 1934, ora abrogato, non è riconducibile ai casi di nullità specificamente indicati dall'art. 160 c.p.c. né ad altra previsione desumibile dai principi generali di cui agli art. 156 e 157 stesso codice, poiché la nomina del messo e la legittimazione ad eseguire la notificazione discende direttamente dalla legge (in particolare dall'art. 56 d.P.R. n. 633 del 1972), sicché ai fini della qualifica di messo comunale è sufficiente l'inquadramento, incontrovertibilmente accertato dal giudice di merito, nella pianta organica dell'amministrazione di appartenenza con quella specifica mansione» (Cass. n. 29966 del 19/11/2019; v. anche Cass. n. 16819 del 20/06/2008 e n. 27375 del 18/11/2008).

Tale ultima circostanza risulta pacificamente in giudizio dal fax prodotto in appello dall'Agenzia (e riprodotto in ricorso a pag. 51) che ha, in tal modo, adeguatamente soddisfatto l'onere probatorio, e di cui parte ricorrente si limita a mettere in dubbio "la data precisa di adozione (se prima o dopo il 1° giugno 1990)", circostanza che, tuttavia, è priva di ogni incidenza.

2.3. Del pari priva di rilievo è la dedotta apposizione della relata di notifica sul frontespizio anziché in calce all'atto.

La censura - carente per autosufficienza avendo la parte omesso la trascrizione integrale dell'atto e della relativa relata (Cass. n. 5185 del 28/02/2017) - è comunque carente per decisività non avendo la contribuente fatto discendere dall'asserito vizio l'incompletezza e la non conformità dell'atto notificato (Cass. n. 23175 del 14/11/2016).

3. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi.

Il contribuente lamenta che la CTR ha omesso di considerare quanto prodotto dalla contribuente e non ha chiarito le ragioni di infondatezza delle eccezioni del contribuente, risolvendosi quanto dedotto dall'Agenzia in mere congetture e non in elementi idonei a costituire presunzioni gravi, precise e concordanti.

3.1. Il motivo è inammissibile.

3.2. Giova premettere che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis al presente giudizio, ovvero quello anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134) può sussistere solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione.

Questo vizio tuttavia non può dirsi sussistente solo perché il giudice non abbia preso in esame, nella motivazione della sentenza, alcune fonti di prova: infatti il giudice di merito, al fine di adempiere all'obbligo della motivazione, non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, ma è invece sufficiente che, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.

Ove il giudice di merito faccia ciò, la Corte di cassazione non ha il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione del giudice del merito.

3.3. Ne deriva che la censura proposta è inammissibile vuoi perché formulata in termini onnicomprensivi per una molteplicità di circostanze, riferite alla pluralità dei rilievi e alla complessiva motivazione della CTR, e non ad un unico fatto controverso, vuoi perché è configurabile il vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., nel testo ratione temporis applicabile, solo se il fatto non esaminato sia tale da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, vuoi perché, in realtà, mira ad una rivalutazione degli elementi probatori e documentali acquisiti in giudizio e valorizzati dal giudice di merito, in vista di una rivisitazione dell'accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito, non consentita nel giudizio di legittimità.

3.4. Nella vicenda in esame, infatti, la CTR ha, con ampia ed articolata motivazione, considerato i singoli rilievi, che ha esaminato partitamente, con specifica disamina della documentazione prodotta e delle stesse deduzioni del contribuente, che ha esplicitamente disatteso alla luce delle risultanze probatorie in giudizio e con argomentazioni sia in fatto che logiche.

Il percorso motivazionale si è fondato, in primo luogo, proprio sull'esegesi dei "contratti di affiliazione" che la CTR ha interpretato affermando, tra l'altro, che «dai contratti rinvenuti emergono impegni della contribuente nei confronti di terze società affiliate che si sono obbligate a trasmettere programmi radiofonici prodotti dalla contribuente in contemporanea nella logica incontestabile di un contratto a prestazioni corrispettive» «non si evince alcun spirito di liberalità risultante del tutto estraneo ai rapporti patrimoniali e agli interessi che sottendono all'accordo intervenuto tra le parti» «la natura dei contratti reperiti è indubbiamente quella di contratti a prestazioni corrispettive con reciproci obblighi fra i contraenti di produrre e diffondere programmi alle società affiliate che si obbligano a trasmetterli insieme alla pubblicità».

Pari considerazione con riguardo ai ricavi non dichiarati e ai costi, ove ha preso in esplicita considerazione le fatture e le modalità di contabilizzazione e le anomale modalità attuate dalla contribuente, le cui deduzioni sono state valutate inattendibili («il contribuente non ha convinto ... non ha dimostrato perché i costi non sono transitati dalla contabilità.

Anzi è emerso dal controllo delle fatture che il costo unitario degli spot pubblicitari mandati in onda che risultano essere nel primo esercizio sensibilmente superiore rispetto a quello solitamente applicato mentre gli spot pubblicitari mandati in onda nel secondo esercizio vengono ceduti omaggio»).

Anche con riguardo alle contestate operazioni inesistenti, infine, la CTR si è espressa in termini né generici né apparenti ma con puntuale individuazione delle fonti di prova (in ¡specie, oltre che dal controllo della contabilità, dai «controlli incrociati con altre imprese») ed esplicito apprezzamento delle allegazioni e deduzioni del contribuente, valutate prive di efficacia probatoria atta a contrastare la pretesa fiscale perché meramente formali.

3.5. Nessuna delle circostanze dedotte ha, poi, rilievo decisivo.

- non quella riferite alle operazioni oggettivamente inesistenti, non incidenti sulla prova dell'effettività delle operazioni contestate perché di carattere meramente formale, riferite a circostanze estranee, anche sul piano soggettivo, all'asserito rapporto e, inoltre, temporalmente disallineate alle operazioni stesse;

- non le deduzioni in merito all'interpretazione del contratto che si risolvono, in realtà, in una mera non condivisione della scelta interpretativa operata dalla CTR.

È appena il caso di sottolineare, sul punto, che la prospettata riconduzione dell'accordo di affiliazione ai "contratti con comunione di scopo", suggestivamente propugnata dalla ricorrente, non solo non trova un riscontro nel testo dell'accordo ma, per quanto emerge dalle stesse deduzioni della parte, neppure è ancorata ai caratteri della tipologia invocata (e, in ¡specie, all'esistenza di un indefettibile carattere associativo e plurilaterale invece, come risulta, di rapporti specifici tra le singole emittenti e la T.), restando la stessa unicità e comunanza di scopo solo pretesa ed affermata (a fronte dell'interesse autonomo, di incrementare i propri introiti pubblicitari, perseguito dalle singole parti, e di ottenere un network di carattere nazionale, da parte del contribuente, cui corrispondono distinte prestazioni ed obbligazioni).

3.6. Va infine rilevato - per quanto occorra - che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente nel corpo del motivo, la natura di accertamento operato ai sensi dell'art. 41 bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972 non postula una "prova diretta" poiché non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole, per cui può basarsi senza limiti anche sul metodo induttivo (da ultimo Cass. n. 28681 del 07/11/2019).

4. Il quinto motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 7 I. n. 212 del 2000 per l'omessa allegazione al pvc della segnalazione della Guardia di Finanza, sulla cui base si fondano parte delle riprese, all'avviso di accertamento.

4.1. Il motivo è inammissibile.

Occorre ricordare che, secondo il consolidato orientamento della Corte, «in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l'obbligo dell'Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell'avviso (art. 7, legge n. 212 del 2000) va inteso in necessaria correlazione con la finalità "integrativa" delle ragioni che, per l'Amministrazione emittente, sorreggono l'atto impositivo, secondo quanto dispone l'art. 3, comma 3, legge 7 agosto 1990, n. 241: il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell'atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore "narrativo"), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell'atto impositivo) sia già riportato nell'atto noto. Pertanto, in caso di impugnazione dell'avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l'esistenza di atti a lui sconosciuti cui l'atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell'atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione» (Cass. n. 26683 del 2016; Cass. n. 22118 del 2010; Cass. n. 7654 del 2012; Cass. n. 2614 del 2016).

Orbene, la ricorrente contesta la mancata allegazione della indicata segnalazione ma nulla dice con riguardo alla riproduzione dell'atto nell'avviso stesso e, in particolare, se le indicazioni riferite ai vari contratti contenute nel pvc (e di cui la ricorrente da diffusamente atto nell'intero ricorso), integrassero o meno "il contenuto essenziale" dell'atto medesimo, né precisa quali altre parti, non riprodotte, fossero necessarie per integrarne la motivazione. La censura, dunque, è carente di decisività.

5. Il sesto motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 75 e 109 tuir, nonché degli artt. 41 bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 d.P.R. n. 633 del 1972.

5.1. Il motivo, formulato in termini non del tutto lineari, lamenta, in sostanza, l'erroneità della ripresa per aver l'Ufficio, nel contestare il carattere permutativo delle prestazioni contrattuali, riconosciuto i maggiori ricavi e non anche i corrispondenti costi, e, nel riprendere l'iva dovuta, non tenuto conto di quella, corrispondente, maturata a credito, contestando sia l'omessa fatturazione delle prestazioni rese che l'omessa autofatturazione di quelle ricevute.

Inoltre, nel corpo del motivo richiama, quanto alle operazioni inesistenti, il principio di neutralità fiscale, dovendosi ritenere irrilevante il mancato adempimento degli obblighi formali.

5.2. Il motivo è inammissibile, attingendo direttamente la condotta dell'Amministrazione e non la sentenza della CTR, che in alcun punto è specificamente censurata.

Oltre a ciò, in ogni caso, va rilevato che - venendo in rilievo un accertamento analitico induttivo - è il contribuente che deve dimostrare, con onere probatorio a suo carico, l’esistenza dei presupposti per la deducibilità di costi afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa o debba procedere al riconoscimento forfetario di componenti negativi (v. ex multis Cass. n. 22868 del 29/09/2017).

Quanto al dedotto rispetto del principio di neutralità in materia di Iva, infine, non si pone, infine, una questione di disconoscimento del diritto di detrazione per violazioni formali ma di fatturazione di operazioni inesistenti, non essendo pertinente l'invocata sentenza della Corte di Giustizia, 8 maggio 2008, Ecotrade.

6. Il settimo motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 10 I. n. 212 del 2000 per non aver la CTR escluso la sanzione di omessa fatturazione trattandosi di violazione meramente formale.

6.1. Il motivo è infondato, rispondendo al costante orientamento della Corte che sia l'omessa fatturazione (v. Cass. n. 2605 del 10/02/2016) sia l'omessa autofatturazione (v. Cass. n. 27598 del 30/10/2018) non costituiscono violazioni meramente formali, in quanto arrecano pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo, e sono, pertanto, punibili anche quando non ne derivi l'omesso versamento dell'Iva, restando esclusa l'applicazione dell'esimente di cui all'art. 10 dello Statuto del contribuente.

7. L'ottavo motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 163 tuir e 67 d.P.R. n. 600 del 1973 e del divieto di doppia imposizione per aver l'Ufficio, con riguardo alle operazioni permutative, riconosciuto i ricavi e non i costi ed assoggettato la medesima ricchezza ad imposizione sia nei confronti del ricorrente che delle controparti contrattuali.

7. Il motivo è inammissibile - oltre che per novità della questione nulla risultando dalla sentenza impugnata, né avendo il ricorrente riprodotto la doglianza e il luogo ove essa sarebbe stata proposta - incorrendo nella medesima carenza rilevata al punto 5.2., in quanto rivolto esclusivamente avverso la condotta dell'Ufficio (e l'avviso di accertamento) e non nei confronti della sentenza.

Non sussiste, in ogni caso, l'asserita duplicità di imposizione né, come già sopra evidenziato, con riguardo al mancato riconoscimento dei costi, né con riferimento alla fatturazione dei corrispondenti ricavi della controparte contrattuale (relativi alla controprestazione), né, infine, per la tassazione di ricavi per erronea imputazione per competenza non sussistendo un dovere di rettifica officiosa in capo all'Ufficio, ferma la possibilità per il contribuente, in simili casi, di avanzare istanza di rimborso per l'indebito pagamento nei limiti delle preclusioni di legge.

8. Il nono motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 6, comma 8, d.lgs. n. 471 del 1997 per non aver la CTR annullato la sanzione per l'omessa fatturazione di operazioni imponibili, in violazione della disciplina unionale e, in specie, della sentenza della Corte di Giustizia, 8 maggio 2008, in C-95/07 e C-96/07.

8.1. Il motivo è infondato, discendendo la stessa censura da una inesatta lettura del precedente della Corte di Giustizia, la quale si è limitata a ritenere l'autofatturazione modalità idonea per assolvere al versamento dell'imposta, senza che ciò escluda l'eventuale irrogazione delle sanzioni per ritardo o per l'inesatto adempimento (salva la necessità di rispettare parametri di proporzionalità), mentre nella vicenda in giudizio non vi è stata né fatturazione, né, per le prestazioni ricevute, autofatturazione.

9. Il decimo motivo denuncia "l'intervenuto giudicato in relazione all'art. 2909 c.c." per esser intervenuta, dopo la decisione della CTR, sentenza penale di assoluzione con riguardo alle operazioni inesistenti, da cui la caducazione della sentenza della CTR.

9.1. Il motivo è inammissibile per carenza di specificità, neppure essendo indicato il tipo di vizio asseritamente configurabile.

9.2. Va comunque sottolineato che la sentenza penale, ancorché relativa ai medesimi fatti, non ha ai sensi dell'art. 654 c.p.p. efficacia di giudicato nel giudizio tributario, nel quale operano le limitazioni probatorie sancite dall'art. 7, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992 e possono valere anche le presunzioni, invece inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna (Cass. n. 4924 del 27/02/2013).

Nel giudizio tributario, per contro, la decisione penale può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova e, dunque, rileva come circostanza di fatto, la cui valutazione resta comunque autonoma.

9.3. Ne deriva che la produzione della sopravvenuta decisione irrevocabile in sede penale non rileva come deduzione di intervenuto giudicato ma solo come mera allegazione di una circostanza di fatto sopravvenuta, sicché la sua astratta rilevanza potrebbe ravvisarsi soltanto per l'affermazione (o negazione) di fatti materiali pertinenti a valutazioni di stretto merito, in sé non deducibili nel giudizio di legittimità.

10. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, sono regolate per soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna T. Srl al pagamento delle spese a favore dell'Agenzia delle entrate, che liquida in complessive € 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.