Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 gennaio 2023, n. 2378

Tributi - Maggior reddito non dichiarato - Somme versate a titolo oblativo sulle sanzioni - Definizione agevolata - Errata compilazione del modello per la definizione agevolata - D.Lgs. n. 472/1997 - Definizione delle sanzioni 

 

Fatti di causa

 

A seguito di indagine sui conti correnti bancari cointestati con la moglie, esperito il contraddittorio preventivo e l’istanza di autotutela, l’Ufficio adottava provvedimento impositivo notificato il 18 dicembre 2012, con ripresa a tassazione ritenendo maggior reddito non dichiarato da parte del contribuente, esercente la professione di medico.

All’esito del parziale accoglimento delle proprie ragioni nei gradi di merito, residua qui il rilievo n. 4 dell’originario avviso di accertamento, relativo alla somma di € 126.900,00 versata dal ricorrente in diverse soluzioni con denaro contante nel periodo a cavallo di luglio – agosto 2007, poiché i giudici di merito non ritenevano superate le presunzioni di maggior reddito dalle affermazioni ed allegazioni difensive circa tenore di vita ed abitudini del contribuente.

La sentenza d’appello era impugnata – per il capo di soccombenza tanto per revocazione, quanto per cassazione con il ricorso qui all’esame, affidato a sei motivi, cui controdeduce il patrono erariale con tempestivo controricorso.

Il giudizio di revocazione esitava in sentenza di rigetto, a sua volta impugnata per cassazione con procedimento rgn. 17904/2018, chiamato all’udienza odierna avanti questo collegio, con ricorso affidato a quattro motivi, cui controdeduce il patrono erariale con tempestivo controricorso.

Peraltro, nelle more dei giudizi, il contribuente proponeva istanza di definizione agevolata della controversia a mente del d.l. n. 119/2018 che però era rigettata dall’Ufficio, sulla considerazione di indebita deduzione di alcune somme versate a titolo oblativo sulle sanzioni, quindi non più oggetto di contestazione.

Avverso tale provvedimento la parte contribuente ricorre avanti questa Corte a mente dell’art. 6, comma dodicesimo, d.l. n. 119/2018, che individua la competenza del giudice ove pende la controversia di cui è stata negata la definizione agevolata. Il ricorso è affidato a tre mezzi, cui replica l’Avvocatura generale dello Stato.

In prossimità dell’udienza la parte contribuente ha depositato memoria complessiva a sostegno dei propri argomenti.

 

Ragioni della decisione

 

I. In via preliminare occorre disporre la riunione al presente del ricorso avverso la sentenza che ha rigettato la domanda di revocazione avverso la sentenza qui impugnata. Ed infatti, i ricorsi per cassazione contro la decisione di appello e contro quella che decide l'impugnazione per revocazione avverso la prima vanno riuniti in caso di contemporanea pendenza in sede di legittimità nonostante si tratti di due gravami aventi ad oggetto distinti provvedimenti, atteso che la connessione esistente tra le due pronunce giustifica l'applicazione analogica dell'art. 335 c.p.c., potendo risultare determinante sul ricorso per cassazione contro la sentenza di appello l'esito di quello riguardante la sentenza di revocazione, che deve, pertanto, essere esaminato con precedenza.

(Sez. 5, Sentenza n. 16435 del 05/08/2016, Rv. 640658 - 01; conf. Sez. U, Sentenza n. 10933 del 07/11/1997, Rv. 509592 - 01).

II. Altresì, sempre in via preliminare, occorre esaminare il ricorso avverso il diniego di definizione agevolata che riveste carattere pregiudiziale di merito sul ricorso principale, ma anche sul ricorso avverso la sentenza che ha rigettato la revocazione, incidendo sull’intera controversia.

Ed infatti, in applicazione del principio processuale della "ragione più liquida", desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., va esaminato ed accolto il secondo motivo del ricorso ex d.l. n. 119/2018, la cui fondatezza assorbe ogni altra questione dibattuta fra le parti. La causa, infatti, può essere decisa sulla base della questione di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, secondo l'indirizzo espresso da questa Corte: "a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità di giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell'impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell'evidenza a quello dell'ordine delle questioni da trattare ai sensi dell'art. 276 c.p.c." (Cass. V, n. 363/2019; Cass. n. 11458/2018; Cass. n. 12002/; Cass. S.U. n. 9936/2014).

Vengono proposti tre motivi di ricorso.

III. Con il primo motivo ex art. 360 n. 3 c.p.c. si lamenta violazione dell’art. 6, quarto comma, e dell’art. 10, primo comma, l. n. 212/2000, sul principio di collaborazione e buona fede, ove l’Agenzia, pur avendo rilevato l’errata compilazione del modello per la definizione agevolata, non ha tenuto conto che le somme versate - e portate a scomputo - erano state comunque corrisposte in costanza di giudizio, giusto versamento avvenuto il 15 febbraio 2013, cioè dopo la notifica del ricorso introduttivo di primo grado, in data 13 febbraio 2013, anche se prima del deposito del ricorso avvenuto il 5 marzo 2013. In sintesi, l’Ufficio avrebbe dovuto cogliere e rettificare autonomamente l’errore di indicazione del momento di inizio della controversia al 5 marzo, mentre deve farsi riferimento al 13 febbraio, data della notifica del ricorso, giorno in cui le somme oblate non erano state corrisposte e, quindi, legittimamente iscrivibili - in tesi - a quelle versate in pendenza del giudizio.

Con il terzo motivo, ex art. 360 n. 3 c.p.c., parallelamente si lamenta violazione degli articoli 18 e 20 d.lgs. n. 546/1992, per aver errato l’Ufficio sul momento della litispendenza, dato dalla notifica e non dal deposito del ricorso, quindi, prima del versamento oblativo le cui somme potevano ritualmente essere portate in deduzione sull’ammontare previsto per la definizione agevolata.

I due motivi possono essere trattati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione e sono inammissibili, perché eccentrici alla ratio decidendi. Ed infatti non viene in contestazione il momento di versamento delle somme sulla definizione delle sanzioni, ma ne viene contestata la deducibilità (ai fini della definizione complessiva ex d.l. n. 119/2018) in quanto somme non più in contestazione.

.IV. Con il secondo motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione dell’art. 6, comma nono, d.l. n. 119/2018 e dell’art. 17 d.lgs. n. 472/1997, nella sostanza criticando l’indeducibilità dal calcolo per la definizione agevolata delle somme corrisposte - in costanza di controversia- relative alla definizione agevolata delle sanzioni.

Il primo periodo del prefato comma nono dispone: “Dagli importi dovuti ai sensi del presente articolo si scomputano quelli già versati a qualsiasi titolo in pendenza di giudizio.”

A differenza di altre precedenti disposizioni clemenziali o condonistiche, la novella del 2018 consente di calcolare ai fini della definizione agevolata, tutte le somme comunque versate nel corso del giudizio. In quanto lex specialis e posteriore, essa deroga all’altra disposizione premiale, il citato d.lgs. n. 472/1997, che consente di definire le sanzioni con un abbuono dei due terzi, rinunciando alla loro ripetizione, concentrando il contenzioso solo sulle imposte. In altri termini, le due disposizioni premiali non sono incompatibili, poiché una contiene l’altra, nel senso che la definizione delle sanzioni di cui alla d.lgs. n. 472/1997 ha collegamento con la definizione di cui al d.l. n. 119/2018. Accedendo ai benefici della prima, le somme relative escono dal contenzioso, divenendo definitivamente irripetibili, ma restano sempre somme corrisposte in ragione ed in costanza della controversia che si vuole definire con la procedura di cui al più volte citato d.l. n. 119/2018. Deve infatti essere valorizzata l’espressione testuale del legislatore che ha voluto fossero scomputabili le somme “a qualsiasi titolo” versate in costanza di giudizio e che trovano fondamento sul contenzioso in essere che si vuol definire.

All’argomento letterale si affianca, irrobustendolo, l’argomento logico sistematico. Ed infatti, nell’ottica premiale, il contribuente che avesse pagato - pur in misura ridotta - le sanzioni non potrebbe tenerne conto nel calcolo del dovuto e subirebbe trattamento peggiore di chi non ha pagato nulla, poiché entrambi sarebbero tenuti a pagare la stessa somma. La conseguenza palesemente iniqua induce ad escludere l’opzione ermeneutica, dovendosi scegliere la soluzione interpretativa che sia conforme ai canoni costituzionali, nel caso di specie quelli dell’art. 53 e 97 della Carta, specificazioni puntuali del generale principio di eguaglianza - formale e sostanziale - di cui all’art. 3.

V. Il ricorso avverso il diniego di definizione agevolata dev’essere quindi accolto e, per l’effetto, deve dichiararsi estinto il giudizio rgn. 14172/2017 attinente all’atto impositivo. Per l’effetto, altresì, va dichiarata la sopravvenuta carenza di interesse del giudizio rgn. 17904/2018, relativo all’impugnazione della sentenza che ha rigettato la revocazione.

Le spese dei giudizi di legittimità possono essere integralmente compensate in ragione dell’andamento della controversia.

 

P.Q.M.

 

Riunisce al presente il ricorso rgn. 17904/2018; accoglie il ricorso ex art. 6 d.l. n. 119/2018 e, per l’effetto, dichiara estinto il giudizio rgn. 14172/2017; altresì, dichiara inammissibile per sopravvenuta carenza il giudizio rgn. 17904/2018.

Spese di entrambi i giudizi integralmente compensate.