Infortunio: liquidazione dei danni non riconducibili alla copertura assicurativa

A fronte di una domanda del lavoratore che chieda al datore di lavoro il risarcimento dei danni connessi all'espletamento dell'attività lavorativa (nella specie, per demansionamento), il giudice, una volta accertato l'inadempimento, dovrà verificare se, in relazione all'evento lesivo, ricorrano le condizioni soggettive ed oggettive per la tutela obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali stabilite, ed in tal caso, potrà procedere, anche di ufficio all'individuazione dei danni richiesti che non siano riconducibili alla copertura assicurativa (cd. "danni complementari") (Cassazione, ordinanza n. 24401/2021).

Una Corte d’appello territoriale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha accolto le domande avanzate da un dipendente a tempo determinato, condannando la società al pagamento di una cospicua somma a titolo di danno differenziale conseguente all'infortunio sul lavoro.
In particolare, con riguardo alla liquidazione del danno differenziale conseguente all'inabilità permanente residuata dall’infortunio, la società datrice sostiene che non sarebbe stata dimostrata l'esistenza di patimenti che avrebbero giustificato il riconoscimento del danno differenziale nella misura del 40%, come ritenuto immotivatamente dalla Corte di Appello.
In via generale, le somme eventualmente versate dall’Inail a titolo di indennizzo ex art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 non possono considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico in capo al soggetto infortunato o ammalato, sicché, a fronte di una domanda del lavoratore che chieda al datore di lavoro il risarcimento dei danni connessi all'espletamento dell'attività lavorativa (nella specie, per demansionamento), il giudice adito, una volta accertato l'inadempimento, dovrà verificare se, in relazione all'evento lesivo, ricorrano le condizioni soggettive ed oggettive per la tutela obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali stabilite dal d.P.R. n. 1124 del 1965, ed in tal caso, potrà procedere, anche di ufficio, alla verifica dell'applicabilità dell’art. 10 del decreto citato, ossia all'individuazione dei danni richiesti che non siano riconducibili alla copertura assicurativa (cd. "danni complementari"), da risarcire secondo le comuni regole della responsabilità civile; laddove siano dedotte in fatto dal lavoratore anche circostanze integranti gli estremi di un reato perseguibile di ufficio, potrà pervenire alla determinazione dell'eventuale danno differenziale, valutando il complessivo valore monetario del danno civilistico secondo i criteri comuni, con le indispensabili personalizzazioni, dal quale detrarre quanto indennizzabile dall'Inail, in base ai parametri legali, in relazione alle medesime componenti del danno, distinguendo, altresì, tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, ed a tale ultimo accertamento procederà pure dove non sia specificata la superiorità del danno civilistico in confronto all'indennizzo, ed anche se l'Istituto non abbia in concreto provveduto all'indennizzo stesso.
La Corte territoriale ha correttamente applicato detti principi e non è incorsa in alcuna violazione delle regole dettate in ordine alla distribuzione degli oneri probatori atteso che il lavoratore ha puntualmente allegato i fatti poi accertati nel corso del giudizio per il tramite di accertamento peritale disposto d'ufficio.
Quanto alla liquidazione del danno differenziale in relazione all'inabilità temporanea conseguente all'infortunio, i giudici rilevano che l'indennizzo erogato dall'INAIL non copre il danno biologico da inabilità temporanea, atteso che il danno biologico risarcibile è solo quello relativo all'inabilità permanente.