Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 29 settembre 2020, n. 20645

Tributi - IVA - Istanza di rimborso del credito presentata dal curatore fallimentare - Cessione del credito - Chiusura del fallimento - Provvedimento di sospensione del rimborso ex art. 69, RD n. 2440 del 1923 - Illegittimità

 

Rilevato che

 

1. - La s.r.l. V. è stata dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Cuneo del 23.6.2006; l’attività è cessata definitivamente nell’anno 2013 e il fallimento è stato chiuso con decreto del 30.1.2014; il curatore fallimentare nel 2013 ha chiesto un rimborso IVA per l’anno 2012, credito poi ceduto alla I. nel giugno 2013 e notificato all’Agenzia in data 4 luglio 2013. L’Agenzia ha sospeso il rimborso ex art. 69 RD 2440/1923 per crediti erariali anteriori al fallimento.

La I. ha impugnato il provvedimento di sospensione deducendo che non sussistono ragioni di credito né nei confronti del fallimento né nei confronti di essa I. . Il ricorso del contribuente è stato accolto in primo grado. Propone appello l’agenzia lamentando la violazione degli art. 69 e 56 L.F. e la CTR del Piemonte con sentenza depositata in data 16 aprile 2018 ha confermato la sentenza di primo grado ritenendo che legittimamente la I. ha opposto all’Agenzia l’eccezione di giudicato, posto che la richiesta di compensazione era già stata avanzata dall’Agenzia innanzi al Tribunale fallimentare, era stata respinta e avverso detto provvedimento l’Agenzia non ha proposto impugnazione. Pertanto, afferma la CITI, l’erario non ha ragioni credito nei confronti del fallimento trattandosi di procedura chiusa.

2. Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia affidandosi a un motivo. Resiste con controricorso la I.. Assegnato il procedimento alla sezione sesta, su proposta del relatore è stata fissata l’adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. notificando la proposta e il decreto alle parti.

 

Ritenuto che

 

3. - Con il primo motivo del ricorso, la parte lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 69 RD 2440/1923, 56 L.F., 1248 c.c. e 2909 c.c.nonché 1263 c.c.

Osserva che la cessione di credito è stata notificata all’ufficio ma non è stata accettata e quindi l’erario può opporre in compensazione al cessionario i crediti sorti anteriormente all’atto di cessione; pertanto, l’Agenzia può anche adottare il provvedimento cautelare previsto dall’art. 69 R 2440/1923. Deduce che la CTR ha erroneamente ritenuto che il provvedimento del giudice fallimentare di diniego della istanza di compensazione, ancorché non impugnato dall’Agenzia, abbia efficacia di giudicato; deduce inoltre che la CTR ha erroneamente escluso che l’Agenzia fosse legittimata a emettere provvedimento ex art. 69 nei confronti del cessionario del credito.

Il ricorso è infondato e non coglie per intero la ratio deciderteli della sentenza impugnata.

La CTR ha respinto la pretesa della odierna ricorrente sul presupposto che l’Agenzia aveva già fatto valere l’eccezione di compensazione nella procedura fallimentare, ove detta eccezione è stata respinta, con provvedimento non impugnato e che la I., nella sua qualità di cessionaria, è autorizzata a far valere tutte le eccezioni che competevano alla curatela; ha quindi concluso che non ci sono ragioni di credito né nei confronti della curatela, né nei confronti di I.. L’Agenzia conferma di non avere impugnato il provvedimento del giudice fallimentare, ma contesta che sul provvedimento del tribunale fallimentare si formi il giudicato e deduce che se non è stato estinto il credito, essa Agenzia è in ogni caso legittimata a far valere il proprio credito anche nei confronti del debitore tornato in bonis. Deduce altresì come fatto pacifico che il provvedimento di rigetto della istanza di compensazione di rigetto da essa proposta ex art. 56 L.F. era fondato essenzialmente sulla considerazione che al momento della presentazione della istanza di compensazione il credito erariale della società non apparteneva più al suo patrimonio in quanto ceduto a terzi (la I.). Questo punto è in verità parzialmente contestato dalla controricorrente la quale deduce che il rigetto della istanza di compensazione si fondava sulla considerazione che il credito fatto valere dall’Agenzia era già stato ammesso al passivo per l’intero e che lo stato passivo era definitivo (pag. 2 controricorso).

La questione non è irrilevante poiché è pacifico nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui nel procedimento fallimentare l'ammissione di un credito, sancita dalla definitività dello stato passivo, una volta che questo sia stato reso esecutivo con il decreto emesso dal giudice delegato ai sensi dell’art. 97 LF, acquisisce all'interno della procedura concorsuale un grado di stabilità assimilabile al giudicato, con efficacia preclusiva di ogni questione che riguardi il credito (Cass. 25640/2017). Deve quindi osservarsi che la sospensiva ex art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923, è espressione del potere di autotutela della P.A. a salvaguardia dell'eventuale compensazione legale dell'altrui credito con quello, anche se attualmente illiquido, che l’amministrazione abbia (o pretenda di avere) nei confronti del suo creditore (Cass. 25893/2017). L’elemento caratterizzante dell’istituto è la provvisorietà e strumentalità anticipata rispetto alla futura ed eventuale operatività della compensazione. Infatti, qualora sia impugnato il provvedimento reso ex art. 69 del R.D. n. 2440 del 1923, il giudice tributano non può limitarsi ad annullare il provvedimento, ma deve esaminare il merito dell'eccezione di compensazione a cui esso è strumentale (cfr., con specifico riguardo alla procedura fallimentare Cass. 19335/2016).

La CTR nel rigettare l’appello della Agenzia ha appunto valutato la fondatezza della eccezione di compensazione: ha rilevato che la suddetta eccezione era già stata fatta valere in sede di procedura fallimentare, che essa era stata respinta dal tribunale fallimentare e che non vi erano ragioni di credito nei confronti della curatela (creditore cedente) né nei confronti della I. (cessionario).

In questi termini si deve intendere il richiamo al principio del giudicato, e in ogni caso il giudice d'appello ha, nella sostanza, deciso il merito della eccezione di compensazione, ritenendola infondata, sicché non potendo essere opposta al cedente, non lo può essere neppure al cessionario e quindi non è giustificato il provvedimento di sospensione adottato ex art. 69 nei confronti del cessionario. Ciò peraltro in conformità alla giurisprudenza di questa Corte in tema di compensazione di crediti nell’ambito della procedura fallimentare, secondo la quale il credito vantato prima dell'apertura della procedura è formalmente un credito facente capo al fallito che il curatore trova nel patrimonio e aziona quale soggetto che amministra i beni del fallito ex art. 42 I. fall., laddove il credito che sorge in corso di procedura è un credito facente capo alla massa dei creditori, (Cass. 10349/2003) pertanto ciò che rileva è che il credito e il debito opposto in compensazione da parte dell'amministrazione finanziaria siano sorti o entrambi prima della apertura della procedura (Cass.19335/2016) oppure entrambi siano sorti successivamente all'apertura della procedura e, in quanto tali, siano omogenei (Cass. 13467/2020).

Ne consegue il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.100,00 oltre rimborso spese forfètarie ed accessori di legge.