Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 maggio 2020, n. 10157

Tributi - Disciplina società non operative - Redditi dichiarati inferiori a quelli minimi previsti dall'art. 30, co. 1, L. n. 724 del 1994 - Utilizzo indebito di crediti in compensazione

 

Fatti di causa

 

Con il ricorso iscritto al n. 2369/2014, la G.A.R. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR dell'Abruzzo n. 71/111/13, depositata il 24 settembre 2013, con la quale, rigettato l’appello della contribuente, è stata confermata la legittimità dell'avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, mediante il quale l'Agenzia ha proceduto al recupero fiscale dell'eccedenza d'imposta compensata dalla società nell'anno 2006. Segnatamente, risultando i redditi dichiarati dalla ricorrente odierna inferiori a quelli minimi previsti dall'art. 30, comma 1, I. n. 724 del 1994, la stessa si palesava "non operativa". L'Ufficio, in particolare, procedeva a rettificare la dichiarazione dei redditi d'impresa relativa all'anno di imposta 2005, considerando la compensazione indebitamente effettuata. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso e depositato successiva memoria.

Col ricorso iscritto al n. 8419/2014 R.G. D.G. ha impugnato per cassazione la sentenza della CTR dell'Abruzzo n. 67/111/13, depositata il 24 settembre 2013, con la quale, rigettato il suo appello, è stata confermata la legittimità dell'avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, mediante il quale l'Agenzia recuperava i maggiori importi da costui dovuti a titolo di Irpef per l'anno 2005. Segnatamente, sul presupposto che, risultando i redditi dichiarati dalla G.R.A. s.a.s. di D.G. inferiori a quelli minimi previsti dall'art. 30, comma 1, I. n. 724 del 1994, la società in parola si palesasse "non operativa", l'ufficio aveva proceduto a rettificarne la dichiarazione dei redditi relativa all'anno di imposta 2005, rideterminando conseguentemente il reddito d'impresa quale imponibile in capo ai soci ai fini IRPEF, in funzione delle rispettive quote di partecipazione alla società. L'Agenzia delle entrate si è costituita al solo fine di partecipare all'udienza di discussione della causa ai sensi dell'art. 370, comma 1, c.p.c..

Con il ricorso iscritto al n. 8421/2014 R.G. Dragoni Adele ha impugnato per cassazione la sentenza della CTR dell'Abruzzo n. 112/111/13, depositata l'8 ottobre 2013, con la quale, rigettato il suo appello, è stata confermata la legittimità dell'avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, mediante il quale l'Agenzia recuperava i maggiori importi da costei dovuti a titolo di Irpef per l'anno 2006. Segnatamente, sul presupposto che, risultando i redditi dichiarati dalla G.R.A. s.a.s. di D.G. inferiori a quelli minimi previsti dall'art. 30, comma 1, I. n. 724 del 1994, la società in parola si palesasse "non operativa", l'ufficio aveva proceduto a rettificarne la dichiarazione dei redditi relativa all'anno di imposta 2006, rideterminando conseguentemente il reddito d'impresa quale imponibile in capo ai soci ai fini IRPEF, in funzione delle rispettive quote di partecipazione alla società. L'Agenzia delle entrate si è costituita al solo fine di partecipare all'udienza di discussione della causa ai sensi dell'art. 370, comma 1, c.p.c.

Con il ricorso iscritto al n. 8425/2014 R.G., la G.A.R. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR dell'Abruzzo n. 70/111/13, depositata il 24 settembre 2013, con la quale, rigettato l'appello della contribuente, è stata confermata la legittimità dell'avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, mediante il quale l'Agenzia ha proceduto ad un recupero fiscale IRPEF sul presupposto che, risultando i redditi dichiarati dalla ricorrente odierna inferiori a quelli minimi previsti dall'art. 30, comma 1, I. n. 724 del 1994, la stessa si palesava "non operativa". Segnatamente, l'Ufficio procedeva a rettificare la dichiarazione dei redditi d'impresa relativa all'anno di imposta 2006, rideterminando il reddito in parola quale imponibile in capo ai soci ai fini IRPEF, in funzione delle rispettive quote di partecipazione alla società. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

Con il ricorso iscritto al n. 8427/2014 R.G., G.A.R. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR dell'Abruzzo n. 69/111/13, depositata il 24 settembre 2013, con la quale, rigettato l'appello della contribuente, è stata confermata la legittimità dell'avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, mediante il quale l'Agenzia ha recuperato un importo erogato all'odierna ricorrente a titolo di credito IVA, dietro sua richiesta. Segnatamente, sul presupposto che, risultando i redditi dichiarati dalla ricorrente odierna inferiori a quelli minimi previsti dall'art. 30, comma 1, I. n. 724 del 1994, la stessa si palesava "non operativa", l'ufficio procedeva a rettificarne la dichiarazione dei redditi relativa all'anno di imposta 2005, rideterminando conseguentemente il reddito d'impresa quale imponibile in capo ai soci ai fini IRPEF, in funzione delle rispettive quote di partecipazione alla società. L'Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

Con il ricorso n. 8414/2014 R.G., D.A. ha impugnato per cassazione la sentenza della CTR dell'Abruzzo n. 112/111/13, depositata l'8 ottobre 2013, con la quale, rigettato il suo appello, è stata confermata la legittimità dell'avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, mediante il quale l'Agenzia recuperava i maggiori importi da costei dovuti a titolo di Irpef per l'anno 2005. Segnatamente, sul presupposto che, risultando i redditi dichiarati dalla G.R.A. s.a.s. di D.G. inferiori a quelli minimi previsti dall'art. 30, comma 1, I. n. 724 del 1994, la società in parola si palesasse "non operativa", l'ufficio aveva proceduto a rettificarne la dichiarazione dei redditi relativa all'anno di imposta 2005, rideterminando conseguentemente il reddito d'impresa quale imponibile in capo ai soci ai fini IRPEF, in funzione delle rispettive quote di partecipazione alla società. L'Agenzia delle entrate si è costituita al solo fine di partecipare all'udienza di discussione della causa ai sensi dell'art. 370, comma 1, c.p.c.

Con il ricorso n. 8431/2014 R.G., D.G. ha impugnato per cassazione la sentenza della CTR dell'Abruzzo indicata in epigrafe, con la quale, rigettato il suo appello, è stata confermata la legittimità dell'avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, mediante il quale l'Agenzia recuperava i maggiori importi da costui dovuti a titolo di Irpef per l'anno 2006. Segnatamente, sul presupposto che, risultando i redditi dichiarati dalla G.R.A. s.a.s. di D.G. inferiori a quelli minimi previsti dall'art. 30, comma 1, I. n. 724 del 1994, la società in parola si palesasse "non operativa", l'ufficio aveva proceduto a rettificarne la dichiarazione dei redditi relativa all'anno di imposta 2007, rideterminando conseguentemente il reddito d'impresa quale imponibile in capo ai soci ai fini IRPEF, in funzione delle rispettive quote di partecipazione alla società. L'Agenzia delle entrate si è costituita al solo fine di partecipare all'udienza di discussione della causa ai sensi dell'art. 370, comma 1, c.p.c..

 

Ragioni della decisione

 

1. Deve essere preliminarmente disposta, ai sensi dell'art. 274 c.p.c., la riunione al procedimento n. 2369/2014 di quelli recanti i nn. 8419/2014 R.G., 8421/2014 R.G., 8425/2014 R.G., 8427/2014 R.G., 8429/2014 R.G., 8431/2014 R.G.. Sussiste, invero, un'evidente connessione tra i giudizi, pendenti fra parti analoghe ed aventi ad oggetto le impugnazioni di una serie di analoghi atti impositivi, definite con sentenze contrassegnate da identica motivazione.

2. Questa Corte ha di recente ribadito il principio - mutuabile nel caso di specie - secondo il quale la riunione delle impugnazioni, che è obbligatoria, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., ove investano lo stesso provvedimento, può altresì essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro provvedimenti diversi ma fra loro ma connessi, quando la loro trattazione separata prospetti l'eventualità di soluzioni contrastanti, siano ravvisabili ragioni di economia processuale ovvero appaiano configurabili profili di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie (Cass. n. 27550 del 2018; v. anche Cass., sez. un., n. 18050 del 2010 e Cass., sez. un., n. 1521 del 2013).

3. Nei giudizi recanti i nn. 2369/2014 R.G., 8419/2014 R.G., 8421/2014 R.G., 8425/2014 R.G., 8427/2014 R.G., 8429/2014 R.G., 8431/2014 R.G., con il primo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 30, comma 1, I. n. 724 del 1994, per avere la CTR erroneamente applicato la norma in parola al caso di specie. Nei medesimi giudizi, con il secondo motivo di ricorso, la contribuente censura, ex art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza, con riferimento agli artt. 111 Cost. e 112 c.p.c., per avere la CTR adottato una motivazione apparente, senza prendere in esame domande ed eccezioni prospettate dalla contribuente.

4. Giova premettere che nel processo tributario, in ipotesi di rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone, sussiste ex art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 817 il litisconsorzio necessario originario tra la società e tutti i soci della stessa in ragione dell'unitarietà dell'accertamento, che è alla base della rettifica e della conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio (proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi) (v. Cass. n. 25300 del 2014; Cass. n. 27337 del 2014; Cass. n. 12375 del 2016).

5. Non sfugge al Collegio che, nel caso di specie, la G.A.R. è divenuta una società di capitali allorché le controversie sui rapporti fiscali erano già state radicate al tempo in cui l'ente era una società in accomandita semplice, il che avrebbe postulato il coinvolgimento processuale della società e dei suoi soci A.D. e G.D..

6. Viceversa nelle singole cause - come sopra riassunte - mancano processualmente l'altro socio e/o la società, il che fa attrito col su richiamato principio del "litisconsorzio necessario originario". Tuttavia, nel caso di specie vi è una identità sia del Collegio giudicante, sia dell'oggetto specifico riguardante l'accertamento della non operatività dell'ente, sia delle questioni dedotte ed affrontate, sia del contenuto delle statuizioni assunte, sia del tempo di trattazione dei procedimenti e di loro definizione, contrassegnato da un'evidente contestualità.

7. Deve, quindi, farsi applicazione del condivisibile principio per già espresso da questa Corte, in base al quale "In tema di rettifica del reddito di una società di persone, l'inosservanza dei litisconsorzio necessario tra la stessa ed i soci non spiega effetti quando le pronunce rese sui ricorsi siano sostanzialmente identiche ed adottate dallo stesso collegio nel contesto di una trattazione unitaria: ne deriva che la riunione dei giudizi può avvenire in sede di gravame, atteso che il rinvio al giudice di primo grado non sarebbe giustificato dalla necessità di salvaguardare il contraddittorio e si porrebbe in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo" (Cass. n. 3789 del 2018). Infatti, come ulteriormente chiarito dalla giurisprudenza nomofilattica "In tema di rettifica del reddito di una società di persone e di quello di partecipazione dei soci, le pronunce riguardanti la società ed i soci adottate dallo stesso collegio in identica composizione, nella medesima circostanza e nel contesto di una trattazione sostanzialmente unitaria, implicano la presunzione che si sia realizzata una vicenda sostanzialmente esonerativa del litisconsorzio formale, sicché la parte ricorrente per cassazione, che lamenti la violazione del principio del necessario contraddittorio con riferimento al giudizio di primo grado, ha l'onere - in conformità al principio di autosufficienza del ricorso - di descrivere lo sviluppo delle procedure nel corso di quel grado" (Cass. n. 12375 del 2016).

8. Su queste premesse, vanno esaminati i motivi dei ricorsi.

9. Il primo motivo - riproposto in ciascuno dei sette procedimenti summenzionati - non coglie nel segno e va rigettato.

10. Va ribadito che "In materia di società di comodo, i parametri previsti dall'art. 30 I. n. 724 del 1994, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, sicché la determinazione dell'imponibile è effettuata sulla base di precisi criteri di legge, che escludono qualsiasi discrezionalità deduttiva, imponendosi sia in sede di accertamento, sia di determinazione giudiziale, salva la prova contraria da parte del contribuente" (Cass. n. 13699 del 2016); altresì analogamente che "In materia di società di comodo, i parametri previsti dall'art. 30 I. n. 724 del 1994, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, spettando, poi, al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l'esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto" (Cass. n. 21358 del 2015).

11. Orbene, la Commissione di secondo grado ha fatto corretta applicazione, in ciascuna delle cause alla medesima stregua, di tali principi, con giudizio che quanto al merito non può essere sindacato in questa sede, motivatamente escludendo che la causa di disapplicazione della norma antielusiva, prevista dal comma 4-bis dell'art. 30 della I. 724 del 1994 (ossia le "oggettive situazioni" che hanno reso impossibile il conseguimento dei maggiori ricavi calcolati secondo i parametri normativi), possa essere integrata dall'esistenza dell'affitto d'azienda afferente l'unico immobile della società, stipulato nel 1995, riveduto in relazione all'entità del canone nel 1997 e ancora in essere durante l'annualità oggetto di accertamento (anno 2005).

12. Osserva questa Corte che il contratto d'affitto d'azienda, invero, non rientra tra le ipotesi d'impossibilità oggettiva di percepire ricavi maggiori perché esso è espressione della manifestazione di volontà del contribuente che, per potere essere esonerato dall'applicazione della norma antielusiva, è tenuto a dimostrare che, quando stipulò il contratto, determinate ragioni oggettive - che non si riducono, né si condensano nella manifestazione della volontà contrattuale che conduce alla stipula dell'affitto - non consentivano la pattuizione di un canone più alto.

13. D'altronde, la società che lamenti la straordinarietà delle circostanze idonee a comportare la disapplicazione dell'art. 30, comma 5, I. n. 724 del 1994, non può limitarsi, in corso di causa, ad allegare un contratto e ad insistere nell'attribuirvi rilevanza, adducendo la propria impossibilità giuridica di aumentare unilateralmente in costanza di rapporto il canone d'affitto del cespite aziendale, infine negando la necessità della prova ostica dell'esistenza di ragioni oggettive impedienti la pattuizione di un corrispettivo maggiore.

14. Una simile prova era astrattamente suscettibile, in realtà, di essere agevolmente fornita, da parte della contribuente, con la produzione in giudizio della documentazione attestante le condizioni di mercato dell'epoca e le eventuali altre offerte ricevute prima di determinarsi a concedere in affitto la propria azienda verso un canone non conforme, per difetto, ai parametri normativi.

15. Questa Corte ha più volte affermato (v. ex multis, Cass. n. 4156 del 2018; Cass. n. 26728 del 2017; Cass. n. 21358 del 2015) che l'art. 30, comma 4-bis cit. mira a disincentivare la costituzione di "società di comodo", per il raggiungimento di scopi eccentrici rispetto alla normale dinamica degli enti collettivi commerciali, con la fissazione di ricavi minimi, correlati al valore di determinati beni aziendali, che, se non raggiunti, costituiscono un indice sintomatico del carattere non operativo della società contribuente e fanno scattare la presunzione di un certo reddito minimo (calcolato secondo determinati parametri).

16. Nell'operatività di tale presunzione, il contribuente non si è confrontato con l'onere di provare quelle situazioni oggettive, indipendenti dalla sua volontà, che hanno impedito, nell'annualità in verifica, la realizzazione di maggiori ricavi. La ricorrente odierna non era, infatti, legittimata a fare perno sul "fatto" della stipula di un contratto, quello di affitto d'azienda, in quanto, per guadagnare l'esonero dall'applicazione della norma antielusiva, era tenuta a dimostrare che, al momento della stipula, determinate e specifiche ragioni oggettive - espresse da dati ed elementi concreti - non consentivano la pattuizione di un canone più alto.

17. In tal senso, immune da profili di censura si palesa la statuizione della CTR, che, condividendo la prospettazione erariale, ha escluso che tale situazione oggettiva, menzionata dalla ridetta disposizione normativa, potesse coincidere con la mera vigenza di un contratto d'affitto d'azienda, stipulato dalla contribuente odierna negli anni '90 del secolo scorso, ossia in epoca anteriore al periodo di imposta in contestazione (anno 2005), che prevedeva un canone annuo esiguo.

18. Per quanto appena esposto il motivo di censura "omogeneo" va disatteso.

19. Non miglior sorte assiste il secondo motivo, che ancora una volta appare del medesimo tenore in ciascuno dei procedimenti ora in esame e che va del pari disatteso.

20. Esso è inammissibile in quanto viene, invero, a censurare come omessa pronuncia la mancata considerazione da parte dei giudici d'appello di argomentazioni ed esposizioni difensive di parte. In tal guisa, nel censurare la nullità della sentenza, il ricorso tende, in realtà, a veicolare una diversa ricostruzione di fatto ed a valorizzare, secondo in una chiave "soggettivistica", taluni elementi fattuali e documentali in luogo di altri.

21. Orbene, il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ai sensi dell'art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia una omissione di qualsiasi decisione su un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l'attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all'attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (v. Cass. n. 7653 del 2012; Cass. n. 22799 del 2017).

22. Nel caso che occupa, invece, la contribuente tende a denunciare la omessa considerazione da parte della CTR di elementi documentali e/o lato sensu indiziari impingendo in una censura inammissibile, in quanto il vizio di omessa pronuncia causativo della nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c. non è configurabile quando il giudici di merito non abbia considerato i "fatti secondari", non concernenti, cioè, alcun fatto estintivo, modificativo od impeditivo della fattispecie costitutiva del diritto fatto valere, in quanto, in tal caso, deve ritenersi integrato il diverso vizio di cui all'art. 360, nn. 5, c.p.c., nella sola misura in cui il giudice abbia omesso la considerazione di tementi circostanziali rilevanti ai fini della ricostruzione della "quaestio facti" in funzione dell'esatta qualificazione e sussunzione "in iure" della fattispecie (v. Cass. n. 17698 del 2011; Cass. n. 22799 del 2017 cit.).

23. D'altronde, è principio consolidato quello per cui è sottratto al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, nel mentre spetta al giudice del merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Nel caso che occupa, la CTR ha assolto al compito prescrittole, limitandosi a dare libera prevalenza ad alcuni elementi di prova in luogo di altri e a offrirne idonea contezza argomentativa. Né la parte processuale può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è, come detto, preclusa in sede di legittimità (da ultimo ed ex multis v. Cass. n. 29404 del 2017); del resto, con la proposizione del mezzo di impugnazione, il ricorrente non può spingersi a contrapporre un difforme apprezzamento in fatto rispetto a quello reso dai giudici d’appello.

24. Conclusivamente, quindi, i ricorsi vanno tutti rigettati in relazione ad entrambi i motivi che li articolano; la ricorrente va condannata al pagamento delle spese di legittimità connesse ai giudizi riuniti, nella misura liquidata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna le parti ricorrenti in solido al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate le spese dei giudizi riuniti di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Da atto dei presupposti di applicabilità dell’art. 13, d.P.R. 115/2002 per il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.