Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 04 agosto 2020, n. 16629

Accertamento - Imposte dirette - IRPEF - Diniego rimborso ritenuta - Contezioso tributario

 

Rilevato che

 

I contribuenti P.R.,P.A. e P.C., in proprio e quali eredi di E.N., A.G., in proprio e nella qualità di erede di L.G., M.G.B., in proprio e nella qualità di erede di G.P., propongono ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, nei confronti dell'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria Centrale- Sezione di Firenze, in epigrafe richiamata, con la quale - in controversia concernente l'impugnazione di diniego di rimborso della ritenuta Irpef applicata, nel 1992, dal Comune di San Giovanni Valdarno su somma erogata a titolo di indennità di esproprio di terreni di loro proprietà - è stata riformata la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado di Arezzo, che aveva accolto il ricorso dei contribuenti.

In particolare, la Commissione tributaria Centrale, nell'accogliere il gravame dell'Agenzia delle Entrate, richiamando la sentenza di questa Corte n. 2194 del 2012, ha affermato che la ritenuta del 20 per cento, prevista dall'art. 11, comma 5, della I. n. 413 del 30 dicembre 1991, deve essere applicata su qualunque indennità che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, e ciò anche qualora la percezione della somma sia avvenuta dopo l'entrata in vigore della anzidetta legge, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto in data antecedente al 1  gennaio 1989; ha tuttavia parzialmente accolto la domanda subordinata svolta dai contribuenti, escludendo dall'imponibile la somma corrispondente al rimborso delle spese legali liquidate dalla Corte di Appello di Firenze nell'ambito del giudizio civile promosso dagli stessi contribuenti nei confronti del Comune di San Giovanni Valdarno ai fini della determinazione della indennità di esproprio.

L'Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione al solo fine della partecipazione all'udienza di discussione.

Il Ministero dell'Economia e delle Finanze non ha svolto attività difensiva.

 

Considerato che

 

1. Preliminarmente, va dichiarata l'inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze. In tema di contenzioso tributario, a seguito del trasferimento alle agenzie fiscali, da parte dell'art. 57, comma 1, del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, di tutti i «rapporti giuridici», i «poteri» e le «competenze» facenti capo al Ministero dell'Economia e delle Finanze, a partire dal primo gennaio 2001 (giorno di inizio di operatività delle Agenzie fiscali in forza dell'art. 1 del d.m. 28 dicembre 2000), unico soggetto passivamente legittimato è l'Agenzia delle Entrate, sicché è inammissibile il ricorso per cassazione promosso nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze (Cass. n. 1550 del 28/01/2015; Cass. n. 29183 del 6/12/2017).

2. Con l'unico motivo, i ricorrenti lamentano, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell'art. 11 della I. n. 413 del 1991, anche in relazione ai principi dettati dalla CEDU, non avendo la Commissione tributaria centrale tenuto conto della peculiarità della fattispecie caratterizzata dalla ritardata liquidazione della indennità di esproprio, e sostengono che la decisione impugnata si pone in contrasto con la pronuncia di questa Corte n. 1429 del 2013, che, dopo avere ricostruito in modo puntuale la disciplina che interessa la fattispecie in esame, pur non rimettendo in discussione il principio generale di cassa che, sotto il profilo  impositivo, dà rilevanza al momento della percezione della plusvalenza, ha affermato che tale principio generale possa soffrire eccezioni con riferimento  a particolari situazioni in cui, a seguito di un ingiustificato ritardo della Pubblica Amministrazione nel corrispondere l'indennità di esproprio, il soggetto possa avere subito un danno per effetto della modifica normativa nel frattempo intervenuta e che non avrebbe sofferto ove il pagamento fosse avvenuto nel termine ragionevole di definizione dei procedimenti  amministrativi.

3. Il motivo è fondato e va accolto.

L'art. 11 della I. 30 dicembre 1991, n. 413, confluito nell'art. 35 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, stabilisce la tassazione delle somme percepite a titolo di indennità di esproprio (o di cessione volontaria) a seguito di procedimento espropriativo.

Il citato art. 11, difatti, qualifica plusvalenze, che costituiscono reddito imponibile e che concorrono alla formazione dei «redditi diversi» di cui all'art. 81 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non solo le indennità di espropriazione, ma anche le «le somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute illegittime relativamente ai terreni destinati ad opere pubbliche» e prevede, al settimo comma, che le plusvalenze da esproprio conseguenti alla percezione di dette somme, da parte di soggetti che non esercitano imprese commerciali, siano sottoposte ad una ritenuta a titolo di imposta del 20 per cento, che viene applicata dall'ente espropriante in qualità di sostituto d'imposta al momento del pagamento dell'indennizzo.

4. Come emerge dalla stessa sentenza gravata, il credito risarcitorio dei contribuenti per il danno dagli stessi subito, per effetto del procedimento espropriativo dei lori terreni, è stato riconosciuto e liquidato dalla Corte di Appello di Firenze; in ricorso i contribuenti hanno dedotto che l'indennità di esproprio è stata determinata con sentenza passata in giudicato n. 849 del 12 settembre 1987, e quindi in data antecedente all'entrata in vigore della I. n. 413/1991, e che solo nel marzo 1992 il Comune di San Giovanni Valdarno ha disposto, in favore dei contribuenti, il pagamento della somma liquidata, sulla quale ha operato la ritenuta del 20 per cento, essendo nel frattempo intervenuta la I. n. 413/1991.

5. E' ben vero, come rilevato dalla Commissione tributaria centrale, che, secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 2194 del 16/2/2012; Cass. n. 5962 del 25/3/2015; Cass. n. 9173 del 7/5/2015; Cass. n. 9441 del 11/5/2015; Cass. 910 del 20/1/2016), «In tema di imposte sui redditi, ai fini del prelievo fiscale di cui all'art. 11, comma 5, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, è sufficiente che la percezione della somma, che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, sia avvenuta dopo l'entrata in vigore della legge anzidetta, a  nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto prima del 1° gennaio 1989. Né tale disciplina pone dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., sul rilievo che essa determinerebbe una ingiustificata differenziazione di situazioni omogenee o una lesione del diritto di difesa rispetto alle espropriazioni che, invece, rimarrebbero indenni da tassazione, solo perché l'Amministrazione ha corrisposto indennità prima del 31 dicembre 1991 o perché l'eventuale giudizio si sia chiuso a quella data, in quanto, sotto il profilo impositivo, l'unico momento rilevante è quello della percezione della plusvalenza ed il diverso trattamento costituisce un effetto tipico della disciplina della successione delle leggi nel tempo, il cui decorso costituisce, di per sé, elemento diversificatore» (Cass. n. 2194 del 16/02/2012).

5.1. Va, tuttavia, rilevato che tale principio, che ha una portata certamente più ampia e coinvolge il rapporto tra la CEDU e le disposizioni nazionali in materia di tassazione delle plusvalenze derivanti da procedimenti espropriativi, è stato meglio precisato da questa Corte con la decisione n. 1429 del 22 gennaio 2013, richiamata dai ricorrenti, cui ha aderito Cass. n. 265 del 12 gennaio 2016.

5.2. La pronuncia di questa Corte, di cui i contribuenti invocano l'applicazione, non ha inteso rimettere in discussione il principio generale di cassa con riferimento a tale tipologia di atti, ma ha sottolineato la necessità di verificare se tale principio, di natura giurisprudenziale, possa essere derogato in presenza di situazioni peculiari connotate da un ingiustificato ritardo da parte della Pubblica Amministrazione nella corresponsione dell'indennità di esproprio, laddove il soggetto espropriato possa avere subito un danno in conseguenza della modifica normativa nel frattempo intervenuta e che non avrebbe subito ove il pagamento fosse avvenuto nel termine «ragionevole» di definizione dei procedimenti amministrativi.

5.2.1. Muovendo dall'art. 2-bis della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, sul procedimento amministrativo, il quale impone alla Pubblica Amministrazione l'obbligo del risarcimento del danno ingiusto cagionato dall'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha affermato che non rileva, ai fini della responsabilità dello Stato, «che il danno per il contribuente tragga origine dal ritardo del Comune nel pagamento dell'indennità e l'azione risarcitoria, in forza della convenzione, è esercitabile dal danneggiato contro lo Stato in quanto parte contraente, in quanto ai fini della CEDU lo Stato va considerato quale apparato unitario che dal punto di vista internazionale ha "un solo volto" (raggruppando l'insieme di autorità cui l'ordinamento attribuisce il potere di emanare e di applicare le norme e i comandi con i quali lo Stato fa valere la sua supremazia) e che, dunque, ha il dovere di non vulnerare il diritto di proprietà e quello della giustizia del processo per come tutelati dagli artt. 6 CEDU e 1 Prot. n. 1 annesso alla CEDU- dir. Proprietà».

5.2.2. Pervenendo ad analizzare la decisione CEDU del 16 marzo 2010, in causa Di Belmonte c. Italia, che, trattando proprio una fattispecie in cui si discuteva del ritardato pagamento di una indennità di espropriazione anteriore all'entrata in vigore della I. n. 413 del 1991, aveva rilevato che il ritardo da parte della Pubblica Amministrazione nel dare esecuzione alla sentenza che aveva riconosciuto il diritto al pagamento dell'indennità aveva avuto un'influenza determinante nell'applicazione del nuovo regime fiscale, in quanto l'indennità concessa non sarebbe stata assogettata ad imposta prevista dalla nuova legislazione fiscale se l'esecuzione della sentenza fosse stata tempestiva, questa Corte, con la sentenza n. 1429 del 2013, fornendo una interpretazione della legislazione nazionale conforme ai principi comunitari, ha escluso l'assoggettamento a tassazione della plusvalenza qualora il ritardo ascrivibile alla P.A. integri inadempimento.

Ha, quindi, affermato il principio di diritto secondo cui «qualora gli atti integranti il trasferimento cui consegue la plusvalenza, cioè, rispettivamente, il decreto di esproprio, la cessione volontaria o l'occupazione acquisitiva, siano intervenuti prima del 31 dicembre 1988, ma il pagamento sia intervenuto dopo l'entrata in vigore della legge n. 413 del 1991, la plusvalenza non è imponibile nel caso di ingiustificato ritardo della P.A. nel pagamento della plusvalenza», ponendo in rilievo che una diversa interpretazione risulta in contrasto con i principi costituzionali di: a) buon andamento e imparzialità dell'Amministrazione (art. 97 Cost.); b) degli obblighi internazionali come limite generale di validità della legislazione statale e regionale (art. 117 Cost.) e c) del giusto processo e della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost).

5.3. Questo Collegio intende dare continuità al principio enunciato da Cass. n. 1429/13.

Va, in proposito, osservato che le norme fiscali che prescrivono di tassare le plusvalenze derivanti dall'espropriazione di beni rientrano sicuramente nell'ambito del giudizio discrezionale del legislatore nazionale, il quale può certamente valutare e decidere in ordine alla tipologia ed all'ammontare della tassazione da imporre, oltre che in ordine alla determinazione del reddito imponibile, e, quindi, scegliere lo strumento concreto di attuazione, tenuto conto dell'ampio margine di apprezzamento di cui godono gli Stati in materia fiscale (si veda N.K.M. c. Ungheria, in causa n. 66529/11, del 14 maggio 2013, § 57).

Deve, tuttavia, considerarsi che secondo la consolidata giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo (si vedano, tra i numerosi precedenti, Gasus Dosier - und Fordertechnik GgmbH c. Paesi Bassi, 23 febbraio 1995, § 62, e N.K.M. c. Ungheria, in causa n. 66529/11, § 42, del 14 maggio 2013), un'ingerenza, anche derivante da una misura finalizzata ad assicurare il pagamento delle imposte, deve pervenire ad un «giusto equilibrio» tra le esigenze degli interessi generali della collettività e le esigenze di tutela dei diritti fondamentali della persona, atteso che la necessità di conseguire tale equilibrio trova riscontro nella struttura complessiva dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 (che recita: «Ogni persona fisica e giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende»).

5.4. Poiché secondo la decisione della Corte di Strasburgo (Di Belmonte c. Italia del 16 marzo 2010), cui si riferisce Cass. n. 4129/13, «l'obbligazione finanziaria del prelevamento di imposte può dirsi in contrasto con la garanzia sancita da questa disposizione (l'art. 1, Protocollo 1, CEDU) se essa impone alla persona in oggetto un carico eccessivo», risulta evidente che qualora venga riscontrato un comportamento negativo della Pubblica Amministrazione nell'erogazione dell'indennità, il cui ritardo abbia inciso sull'applicazione del regime fiscale, deve ritenersi violato l'art. 1, Protocollo 1, CEDU, in quanto «l'applicazione retroattiva della legge n. 413 del 1991 non ha garantito quel giusto equilibrio fra l'interesse generale e la tutela dei diritti fondamentali dell'individuo».

6. Nel caso di specie, la Commissione tributaria centrale si è limitata  a confermare il principio di cassa, quale criterio per l'assoggettamento a tassazione, tralasciando di valutare, in conformità alla giurisprudenza  comunitaria sopra richiamata, se nel comportamento della Pubblica Amministrazione fosse ravvisabile un ritardo ingiustificato nella liquidazione dell'indennizzo che rendesse non imponibile la plusvalenza derivante dal procedimento espropriativo.

7. In accoglimento del ricorso, la sentenza va, pertanto, cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, la quale dovrà procedere a nuovo esame, valutando in particolare le ragioni per cui la liquidazione della indennità è avvenuta dopo alcuni anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna al pagamento della stessa indennità e se il ritardo sia di tale portata da giustificare il non assoggettamento a tassazione della plusvalenza derivante dal procedimento espropriativo, oltre che provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze; accoglie il ricorso proposto nei confronti dell'Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità