Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 settembre 2021, n. 24648

Dichiarazione dei redditi - Costi deducibili - Black list - Sanzioni - art 8, co. 3 bis, L. n. 471/1997

 

Fatti di causa

 

La C.G. s.p.a. ha impugnato la sentenza n. 4405/67/2015, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia il 12.10.2015, che, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva rigettato il ricorso introduttivo della contribuente avverso la sanzione comminata dall'Agenzia delle entrate ai sensi dell'art 8, comma 3 bis, I. 18 dicembre 1997 n. 471, per omessa separata indicazione nel Modello Unico 2008 -per l'anno d'imposta 2007- dei costi sostenuti per operazioni con Paesi a fiscalità privilegiata, come previsto dall'art. 110, comma 10, d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, ratione temporis vigente.

Ha rappresentato che, pur avendo dedotto i costi in presenza delle cause esimenti previste dal comma 11 dell'art. 110 cit., aveva omesso di indicarli separatamente nella dichiarazione dei redditi, sicché l'Agenzia aveva comminato la sanzione nella misura massima prevista dal comma 3 bis dell'art. 8 cit.

Contestando la determinazione della sanzione, la società aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale della Lombardia, la quale, valorizzando la sussistenza delle esimenti previste dalla disciplina all'epoca vigente per il riconoscimento della deducibilità dei predetti costi, con sentenza n. 93/03/2013 aveva ridotto la sanzione da € 50.000,00 ad € 2.000,00.

La pronuncia era stata appellata dall'Amministrazione finanziaria dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che con la sentenza ora al vaglio della Corte ne aveva accolto le ragioni, riconfermando la sanzione originariamente comminata. Il giudice regionale ha motivato la decisione rilevando che l'art. 8, comma 3 bis, I. n. 471 del 1997 si applica indipendentemente dalla deducibilità o meno dei costi, sanzionando la mera omissione in dichiarazione della separata indicazione delle spese e degli altri componenti negativi derivanti dalle operazioni compiute con Paesi a fiscalità privilegiata (cd. Black list).

Con il ricorso in cassazione la società ha censurato la pronuncia affidandosi a due motivi.

L'Agenzia delle entrate ha depositato un "atto di costituzione" al solo fine dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione.

L'Agenzia delle entrate si è costituita al solo fine della partecipazione all'udienza di discussione.

All'udienza pubblica del 29 aprile 2021 la causa è stata decisa sulla base degli atti difensivi depositati dalla ricorrente.

 

Ragioni della decisione

 

Pregiudizialmente deve rilevarsi che l'Agenzia delle entrate ha resistito con un "atto di costituzione", non notificato e privo dell'esposizione dei motivi di diritto su cui si fonda, con la sola finalità della partecipazione eventuale alla discussione in pubblica udienza.

Va affermato che l'atto depositato, carente dei suoi requisiti essenziali, come previsti dagli artt. 370 e 366 cod. proc. civ., e peraltro neppure notificato, non è qualificabile come controricorso (cfr. Cass., 2014, n. 25735; 18/04/2019, n. 10813).

Nel merito, con il primo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione dell'art. 3, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., per omessa applicazione del principio del favor rei, in particolare perché il giudice regionale non avrebbe tenuto conto che la fattispecie sanzionata sarebbe stata abrogata dall'art. 1, comma 142 della I. 28 dicembre 2015, n. 208 (cd. legge di Stabilità 2016);

con il secondo, in subordine al primo motivo, per violazione e falsa applicazione dell'art. 8, d.lgs. n. 471 del 1997, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., perché, in presenza delle esimenti previste dall'art. 110, comma 11, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, erroneamente il giudice regionale ha ritenuto corretta l'applicazione della sanzione prevista dall'art. 8, comma 3 bis e non di quella contemplata nell'art. 8, comma 1 del d.lgs. n. 471 cit.

Deve innanzitutto chiarirsi che, non essendo in discussione la deducibilità dei costi, ed essendo sopraggiunta nelle more l'abrogazione dell'obbligo di separata indicazione dei costi sostenuti per operazioni commerciali con imprese sedenti in Paesi compresi tra quelli considerati a fiscalità privilegiata, ad opera della legge di stabilità del 2016, la ricorrente ha impugnato la decisione della Commissione regionale lombarda, che aveva confermato integralmente la sanzione comminata dall'Amministrazione finanziaria ai sensi dell'art. 8, comma 3 bis, cit., per violazione imputabile all'anno d'imposta 2007.

Il primo motivo, con il quale si invoca l'applicazione del principio del favor rei, previsto in materia di sanzioni amministrative a violazioni fiscali dall'art. 3, I. n. 472 del 18 dicembre 1997, per la sopravvenuta abrogazione dell'obbligo di separata indicazione dei costi, prevista dall'art. 110, comma 11, d.P.R. n. 917 del 1986, è infondato e va rigettato.

Inquadrando la disciplina richiamata nella controversia e la sua evoluzione per le modifiche portate dal Legislatore nel corso degli anni, sino alla sua definitiva abrogazione, gli approdi interpretativi della giurisprudenza di legittimità in tema di regolamentazione fiscale dei rapporti commerciali con paesi inseriti nella cd. "black list" - fermi i riflessi sostanziali in ordine alla indeducibilità dei costi quando non provata l'effettiva attività commerciale del contraente estero, o la corrispondenza delle operazioni ad un effettivo interesse economico del contribuente, o ancora la mancata concreta esecuzione (art. 110, co. 10 e 11, TUIR) -, hanno chiarito che la disciplina introdotta dall'art. 1, commi 302 e 303, della I. n. 296 del 27 dicembre 2006, a decorrere dall'1 gennaio 2007, aveva degradato l'obbligo di separata indicazione in dichiarazione dei suddetti costi da presupposto sostanziale per la loro deducibilità ad adempimento di carattere formale, la cui violazione doveva essere sanzionata con un importo pari al 10% della componente negativa, e comunque entro i limiti minimi di € 500,00 e massimi di € 50.000,00 (comma 302, che ha modificato l'art. 8 del d.lgs n. 471 del 1997, introducendo il comma 3 bis).

La disciplina transitoria ne aveva esteso gli effetti anche alle violazioni commesse in epoca anteriore alla entrata in vigore della legge (comma 303), alle quali doveva cumularsi, se applicata dalla Amministrazione, la sanzione prevista dall'art. 8, co. 1, del d.lgs. n. 471 del 1997 (sanzione amministrativa da € 258,00 ad € 2.065,00), come desumibile dalla lettera del medesimo comma 303 cit. (cfr. Cass., 10/06/2016, n. 11933; 28/10/2015, n. 21955; 21/05/2020, n. 9338).

Quanto poi alla possibilità di correzione della omissione mediante la dichiarazione integrativa, di cui all'art. 2, commi 8 e 8 bis, del d.P.R. n. 322 del 22 luglio 1998, con regolarizzazione della dichiarazione dei redditi e con incidenza, se tempestiva, sulla stessa sanzione prevista dal citato comma 3 bis, essa trovava preclusione quando ormai iniziate nei confronti del contribuente omittente operazioni di verifica e controllo. Sul punto infatti costituisce orientamento consolidato quello secondo cui la possibilità di regolarizzare la dichiarazione dei redditi successivamente all'inizio delle operazioni di verifica, ponendo rimedio alla irregolarità, si tradurrebbe in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni stabilite dal legislatore (Cass., 27/05/2016, n. 10989; 14/10/2015, n. 20635).

Successivamente è intervenuta l'abrogazione dei commi 10 e 11 dell'art. 110 del TUIR, disposto dall'art. 1, co. 142, lett. a), della I. n. 208 del 28 dicembre 2015 (cd. legge di Stabilità 2016). Tale legge nel comma 144 ha tuttavia disposto che <<Le disposizioni di cui ai commi 142 e 143 si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015>>.

Ebbene, secondo la difesa della società ricorrente, quest'ultima disposizione non può essere intesa nel senso che l'abrogazione dell'obbligo di separata indicazione dei costi a decorrere dal periodo d'imposta 2016, importi per gli anni pregressi la persistenza della sanzione prevista dall'art. 8 comma 3 bis del d.lgs. n. 471 del 1997.

Ciò contrasterebbe con i principi sanciti dall'art. 3 del d.lgs. n. 472 del 1997, e in particolare con il principio del favor rei.

Deporrebbe in tal senso la circostanza che già con la modifica normativa introdotta nel 2006 l'indicazione separata dei suddetti costi era degradata da obbligo di natura sostanziale ad obbligo strumentale; che una norma che disponga l'entrata in vigore di una modifica normativa non può derogare al generale principio del favor rei; che la disapplicazione del favor rei deve essere in ogni caso espressamente prevista; che la giurisprudenza già pronunciatasi sulla questione (si riporta Cass., 6/04/2016, n. 6651) riguardava una fattispecie diversa, in particolare l'omessa separata indicazione in una dichiarazione relativa all'anno d'imposta anteriore al 2006, quando era ancora vigente la natura sostanziale dell'obbligo e la conseguente indeducibilità assoluta dei costi nell'ipotesi di omessa dichiarazione; che non troverebbe applicazione l'art. 11 delle preleggi.

Le pur interessanti argomentazioni della ricorrente non trovano condivisione.

Il dato letterale della disciplina introdotta dalla I. n. 208 del 2015, nella lettura combinata dei commi 142, 144 e 143, impone una lettura della disciplina che per un verso dispone il venir meno dell'obbligo di separata indicazione in dichiarazione dei costi per operazioni commerciali con società sedenti in paesi a fiscalità privilegiata, per altro verso prevede che l'eliminazione del suddetto obbligo abbia decorrenza dall'anno d'imposta 2016.

Ciò innanzitutto esclude che il tenore della modifica introdotta con la legge di Stabilità 2016 abbia implicitamente abrogato la sanzione per gli anni anteriori. Con essa si sancisce semplicemente la cessazione degli obblighi dichiarativi, precedentemente esistenti in materia, ma con espressa previsione della salvezza di quell'obbligo di condotta sino a tutto l'anno 2015. Ne consegue che anche le sanzioni per l'ipotesi di omessa dichiarazione devono considerarsi vigenti sino al 2015. La novella infatti non ha semplicemente eliminato la sanzione, ma ha escluso una regola di condotta del contribuente, ritenendo tuttavia di fissare una data a partire dalla quale non doveva più darsi indicazione separata delle componenti passive sostenute per quelle specifiche operazioni commerciali. Dunque è proprio l'oggetto della disciplina, il venir meno dell'obbligo della separata indicazione in dichiarazione a partire da un dato momento, ossia dal 2016, ad escludere in radice nel caso di specie l'applicabilità del principio del favor rei.

E la ratio di questa scelta trova un riscontro anche nella lettura combinata del comma 144 con l'intero contenuto del comma 142 e con il comma 143. evidentemente in una riconsiderazione della materia, ha voluto sì eliminare quegli obblighi dichiarativi prescritti dal comma 11 -già degradati ad obblighi formali-, ma non ha superato del tutto il "disvalore" nei confronti dei rapporti con paesi a fiscalità privilegiata, risistemando a tal fine la disciplina complessiva. Ha infatti contestualmente novellato l'art. 167 del TUIR, dedicato alle società partecipate, dimostrando di mutare l'angolo di osservazione critica sui rapporti delle società italiane con società estere sedenti in quei paesi, modificando addirittura il criterio identificativo dei paesi a fiscalità privilegiata, con evidenza ampliato e collegato a criteri obiettivi (cfr. le numerose modifiche apportate a questa norma dal d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147, e soprattutto dalla I. n. 208 del 2015).

Peraltro, non è casuale che con la modifica introdotta dall'art. 1, commi 302 e 303, della I. n. 296 del 2006, a decorrere dall'1 gennaio 2007, con degradazione dell'obbligo dichiarativo da presupposto sostanziale per la deducibilità dei costi ad adempimento di carattere formale, il Legislatore ebbe ad avvertire la necessità di prevedere espressamente l'applicazione della sanzione prevista dal nuovo comma 3 bis dell'art. 8 cit. anche alle fattispecie precedenti. La previsione, che costituiva certamente un trattamento comunque più favorevole rispetto alla pregressa "sanzione" (impropria) di indeducibilità dei costi, avvenne con la disciplina transitoria, che ne estese espressamente gli effetti anche alle violazioni commesse anteriormente all'entrata in vigore della legge (comma 303). E l'applicazione della sanzione a condotte anteriori alla sua previsione sarebbe stata certamente denunciata come in contrasto con il divieto previsto dall'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997, se non fosse stata ritenuta più favorevole rispetto al precedente trattamento della condotta omissiva (disconoscimento tout court dei costi a fronte del pagamento di una somma pari al 10% dei costi e comunque entro un limite massimo di 50.000,00 €). Evidentemente, dunque, l'esigenza fu avvertita proprio perché in quel caso, mutando la natura dell'obbligo, ma a partire dal 2007 -da sostanziale, per infedele dichiarazione, a formale-, si ritenne opportuno fare espressa applicazione del trattamento più favorevole.

Allo stesso modo, persistendo l'obbligo di dichiarazione separata delle componenti passive di operazioni commerciali con società sedenti in Paesi compresi nella black list sino a tutto l'anno 2015, il silenzio legislativo sulle sanzioni depone a favore dell'applicabilità dell'art. 8 comma 3 bis del d.lgs. n. 471 cit. per le violazioni, formali, commesse nel 2007, e sino alla vigenza stessa di tale obbligo (2015). D'altronde ciò non confligge neppure con la disciplina complessiva dettata dall'art. 3 del d.lgs. n. 472 del 1997, dedicato al principio di legalità, atteso che è lo stesso comma 2 della norma RGN 9610/2016 a prevedere che l'esclusione dell'assoggettamento a sanzione per un fatto che una legge posteriore ritiene non punibile può subire deroghe per una "diversa previsione di legge".

Infine, è proprio la logica sequenziale delle scelte legislative a far ritenere che la sanzione prevista dall'art. 8, comma 3 bis cit., non possa essere esclusa per condotte anteriori all'anno d'imposta 2016. Prevedere infatti che l'obbligo dichiarativo permanga sino a tutto il 2015 ed escludere la sanzione comminabile per la violazione di quel medesimo obbligo implicherebbe un salto logico, una scelta legislativa irrazionale, quale la prescrizione di permanenza di un obbligo, privo però di sanzione per l'ipotesi di sua mancata osservanza.

Deve allora rigettarsi il motivo affermando il seguente principio di diritto: «in tema di omessa separata indicazione nella dichiarazione dei redditi delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni con imprese residenti o localizzati in Stati inseriti nella c.d. black list, previsto dall'art. 110, comma 11, d.P.R. n. 917 del 1986, vigente ratione temporis, il dato letterale della disciplina introdotta dalla I. 28 dicembre 2015, n. 208 (cd. legge di Stabilità 2016), nella lettura combinata dei commi 142, 144 e 143, abrogando l'obbligo con decorrenza dall'anno d'imposta 2016, esclude l'abrogazione della relativa sanzione pecuniaria (introdotta dall'art. 8 comma 3 bis del d.lgs. n. 471 del 1997) per gli anni anteriori». Da tale principio il giudice regionale non si è discostato.

Il rigetto del primo motivo assorbe il secondo, peraltro del tutto ultroneo per la distinta fattispecie prevista e disciplinata dall'art. 8 comma 1 del d.lgs. n. 471.

Le spese non vanno regolate per la mancata costituzione dell'Amministrazione resistente.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.