Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 19 ottobre 2017, n. 24752

Licenziamento disciplinare - Esercizio del potere punitivo - Fatti contestati e sanzionati con una precedente sospensione dal servizio e dalla retribuzione - Sanzione conservativa per condotte di rilevanza penale - Passaggio in giudicato della sentenza di condanna - Licenziamento - Non sussiste - Principio di consunzione del potere disciplinare

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di Appello di L'Aquila, con sentenza del 19 febbraio 2015, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva accolto l'impugnativa del licenziamento disciplinare proposta da A. F. nei confronti di P. I. Spa.

La Corte territoriale ha condiviso l'iter argomentativo svolto dal primo giudice affermando che, con il contestato provvedimento espulsivo, la società aveva reiterato l'esercizio del potere punitivo in relazione a fatti già contestati e sanzionati con una precedente sospensione dal servizio e dalla retribuzione per giorni dieci, "in tal guisa consumando un potere disciplinare che, una volta esercitato, non può essere nuovamente attivato per gli stessi fatti già sanzionati".

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Poste Italiane Spa con due motivi. Ha resistito l'intimato con controricorso.

3. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo si denuncia "violazione e falsa applicazione di norme di legge, in particolare degli artt. 1175, 1375, 2104 e 2119 c.c. e degli artt. 52 e 54 CCNL 2001". Si critica la sentenza impugnata, da un lato, per non aver riconosciuto "l'elemento di novità apportato dal definitivo accertamento della responsabilità penale del Sig. F., considerando violato nel caso di specie da parte delle P. il divieto di ne bis in idem sull'inaccettabile assunto secondo cui i fatti materiali posti alla base del licenziamento per cui è causa sono gli stessi posti a base dei precedenti provvedimenti", e, dall'altro lato, "per non aver valutato sufficiente a rompere il vincolo fiduciario la condotta posta in essere dal Sig. F.".

Il motivo, oltre a presentare preliminari profili di inammissibilità in quanto non riporta compiutamente il contenuto delle contestazioni che hanno dato luogo al duplice procedimento disciplinare e censura una motivazione - quella della rottura del vincolo fiduciario - che non rappresenta la ratio decidendi della pronuncia impugnata, non è meritevole di accoglimento in quanto la Corte territoriale si è attenuta al principio di diritto espresso da questa Corte Suprema secondo cui: "L'avvenuta irrogazione al dipendente di una sanzione conservativa per condotte di rilevanza penale esclude che, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna per i medesimi fatti, possa essere intimato il licenziamento disciplinare, non essendo consentito (in linea con quanto affermato dalla Corte EDU, sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens ed altri contro Italia, che ha affermato la portata generale, estesa a tutti i rami del diritto, del principio del divieto di "ne bis in idem"), per il principio di consunzione del potere disciplinare, che una identica condotta sia sanzionata più volte a seguito di una diversa valutazione o configurazione giuridica" (Cass. n. 22388 del 2014; v. pure Cass. n. 17912 del 2016).

2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge ed omesso esame di un fatto decisivo per non avere la Corte di Appello "fornito alcuna motivazione sull'eccezione spiegata in via gradata da Poste Italiane Spa nella memoria difensiva, afferente la possibilità per il giudice - semmai avesse ritenuto che non potesse ricorrere la giusta causa di recesso ex art. 2119 c.c. - di qualificare il licenziamento quanto meno come licenziamento per giustificato motivo soggettivo".

Il mezzo di gravame è manifestamente infondato atteso che, una volta ritenuto consunto il potere disciplinare da parte della Corte territoriale, quest'ultima ha evidentemente ritenuta ultronea ogni argomentazione sulla sussistenza di un giustificato motivo soggettivo di risoluzione del rapporto parimenti precluso dalla precedente sanzione conservativa.

3. Conclusivamente il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 dei 2002, come modificato dall'art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 4.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.