Violazione del divieto di fumo durante l'orario di lavoro: la pronuncia della Cassazione

In tema di licenziamento, laddove alla mancanza sia ricollegata una sanzione conservativa, il giudice non può estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall'autonomia delle parti, a meno che non si accerti che le parti stesse "non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità di una sanzione espulsiva", dovendosi attribuire prevalenza alla valutazione di gravità di quel peculiare comportamento, come illecito disciplinare di grado inferiore, compiuta dall'autonomia collettiva nella graduazione delle mancanze disciplinari (Cassazione, sentenza 26 giugno 2020, n. 12841).

Nella specie, una Corte di appello territoriale, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda di annullamento del licenziamento per giusta causa intimato a un lavoratore per aver contravvenuto al divieto di fumo durante l'orario di lavoro e presso un recondito ambito (intercapedine) dei locali della ditta committente. La Corte, circoscritto l'oggetto del licenziamento esclusivamente alla contravvenzione al divieto di fumare, escludeva che il fatto addebitato al lavoratore, risultato provato, rientrasse nella previsione di cui all'art. 48, lett. b) del CCNL Pulizie - Multiservizi, disposizione che ricollega il licenziamento ai casi in cui il lavoratore sia trovato a "fumare dove può provocare pregiudizio all'incolumità delle persone o alla sicurezza degli impianti", dovendosi, invece, ritenere integrata la previsione collegata al mero divieto di fumare dettata dall'art. 47 del medesimo CCNL e concernente la sanzione conservativa dell'ammonizione o della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, con conseguente illegittimità del licenziamento.
La Corte territoriale - condividendo le conclusioni del Tribunale circa la vigenza del divieto di fumo (a norma di legge e di specifica disposizione adottata dalla ditta committente) in tutto lo stabilimento, presso il quale il dipendente in questione era stato assegnato per lo svolgimento della sua attività lavorativa - ha valutato, ai fini di riempire di contenuto la clausola generale dettata dall'art. 2119 cod.civ. (recesso per giusta causa), la scala valoriale del codice disciplinare contenuto nel contratto collettivo applicato in azienda; avendo rinvenuto due tipizzazioni contrattuali concernenti l'infrazione al divieto di fumo (l'una, ex art. 47 ccnl, punita con sanzione conservativa e l'altra, ex art. 48, lett. f) con sanzione espulsiva) ha proceduto alla verifica della sussistenza dei requisiti elaborati dalle parti sociali per l'adozione del provvedimento di licenziamento, pervenendo alla conclusione della impossibilità della sussunzione della condotta adottata dal lavoratore nell'art. 48, lett. f) per carenza della situazione di "pericolo per le persone o per gli impianti".
La stessa Corte, valutando sia il profilo soggettivo che quello oggettivo della condotta e in specie la conformazione del luogo ove il lavoratore è stato trovato intento a fumare (zona di intercapedine tra uffici sprovvisto di impianti e di persone; assenza di attrezzature pericolose quali bombole contenenti materiale infiammabile; planimetria dello stabilimento), ha ritenuto di escludere la ricorrenza dei requisiti costitutivi della fattispecie contrattuale punita con sanzione espulsiva, in particolare rilevando che - alla luce delle circostanze concrete che caratterizzavano la condotta in esame - non poteva ritenersi integrato un pericolo alla salute derivante dalla mera combustione di una sigaretta posto che l'infrazione al divieto di fumo in ambienti chiusi previsto dalla legge doveva misurarsi, quanto agli effetti sul rapporto di lavoro, con le due distinte previsioni disciplinari elaborate dalle parti sociali (artt. 47 e 48 ccnI).
In tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento, denotando scarsa inclinazione all'attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza.
Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell'addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all'assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo.
In particolare, la giusta causa di licenziamento è nozione legale ed il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo onde lo stesso può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile ove tale grave inadempimento o tale grave comportamento, secondo un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore e, per altro verso, può escludere altresì che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato.
Tuttavia la scala valoriale espressa dal contratto collettivo deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell'art. 2119 c.c.
Il principio generale subisce eccezione ove la previsione negoziale ricolleghi ad un determinato comportamento giuridicamente rilevante solamente una sanzione conservativa: in tal caso il giudice è vincolato dal contratto collettivo, trattandosi di una condizione di maggior favore fatta espressamente salva dal legislatore. Pertanto, laddove alla mancanza sia ricollegata una sanzione conservativa, il giudice non può estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall'autonomia delle parti, a meno che non si accerti che le parti stesse "non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità di una sanzione espulsiva", dovendosi attribuire prevalenza alla valutazione di gravità di quel peculiare comportamento, come illecito disciplinare di grado inferiore, compiuta dall'autonomia collettiva nella graduazione delle mancanze disciplinari. In ordine ai criteri di interpretazione di un contratto collettivo ed alla previsione di una scala valoriale recepita dal contratto collettivo, la Suprema Corte ha già affermato che, in considerazione della sua natura privatistica, vanno applicate le disposizioni dettate dall'art. 1362 c.c. e ss.,, che sussiste il divieto di interpretazione analogica delle clausole contrattuali e che l'interpretazione estensiva è possibile solo laddove risulti l'"inadeguatezza per difetto" dell'espressione letterale adottata dalle parti rispetto alla loro volontà, verifica che deve essere condotta con particolare severità in un contesto nel quale trova applicazione il principio generale secondo cui una norma che preveda una eccezione rispetto alla regola generale deve essere interpretata restrittivamente.
E', dunque, conforme ai principi sopra richiamati l'operato della Corte che ha accertato se sussisteva la nozione legale di giusta causa di licenziamento, anche alla luce delle fattispecie previste dal ccnI di settore e sulla base della scala valoriale contenuta, e pervenuta alla esclusione della ricorrenza di una giustificazione della sanzione espulsiva, ha svolto - ai fini della scelta del sistema sanzionatorio da applicare - una disamina sulla ricorrenza delle condizioni previste dall'art. 18, comma 4 per accedere alla tutela reintegratoria.